aristotele_la_rettorica(versione toscana di annibal caro)

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LIBRO SECONDO. ―――― CAPITOLO PRIMO.

ABBIAMO sino a qui detto di che cose ci convien consigliare e disconsigliare, biasimare e lodare, ed accusare e difendere. E quali sono le opinioni e le proposizioni delle quali ci dobbiamo servire in ciascuno di questi generi per esser creduti. Perciocchè di queste si fanno, e da queste si cavano gli entimemi, per così dire, partitamente sopra ciascuna sorte di parlamento. Ora perchè il fin della rettorica sta nel giudizio di quelli che ascoltano, conciossiacosachè si giudichi ancora ne' consigli, e che le liti non siano altro che giudizio; è necessario non solamente aver l'occhio all'orazione, ch'ella sia dimostrativa e degna di fede; ma che il dicitore e il determinatore siano preparati e condizionati in un certo modo. Perciocchè molto importa per acquistarsi fede, sopra tutto nelle deliberazioni, di poi nelle liti, che d'una qualche condizione sia tenuto colui che dice, e che per bene o male affezionato sia preso verso quelli che ascoltano. E di più che gli ascoltanti medesimi s'abbattino ad esser in una qualche disposizione. La condizione del dicitore è di maggiore utilità ne' consigli. E la disposizion dell'auditore è di più profitto nelle liti; perciocchè non con un occhio medesimo vede l'amico che il nemico, nè l'adirato che il mansueto. Ma le medesime cose si rappresentano loro o in tutto diverse, o non tanto


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