
20 minute read
Famiglie terapeutiche. Uno studio esplorativo sui candidati ospitanti IESA
Iob G.*, Ceccarini L.**, Zuffranieri M.***, Aluffi G.****
Abstract
Advertisement
La riflessione che si vuole proporre in questo articolo riguarda il processo di selezione dei candidati al ruolo di ospitanti, che precede l'eventuale avvio di progetti IESA. In questo contesto, la selezione è intesa come un processo dialogico che porta a esplorare reciprocamente le motivazioni e la disponibilità di entrambi gli interlocutori, gli operatori del servizio e i candidati, al fine di dare inizio e continuità a un progetto IESA.
È stata realizzata una ricerca d'archivio dei dati socio-anagrafici e delle motivazioni riportate dai volontari raccolti attraverso i colloqui di selezione realizzati in un arco temporale di 14 anni, presso il servizio IESA dell' ASL TO3 di Collegno (TO). In questo lavoro si presenta un'analisi descrittiva circa le caratteristiche e le aspettative dei volontari, e le motivazioni alla base della scelta di ospitare una persona affetta da disagio psichico o disabilità presso la propria abitazione. Inoltre, si esplora la relazione tra variabili socio-anagrafiche, motivazionali e contestuali e il tipo di progetto nel quale i caregiver vengono coinvolti. In particolare, i progetti full-time si distinguono in progetti a medio termine aventi finalità prevalentemente riabilitativa e progetti a lungo termine con finalità assistenziale.
Una riflessione sul tema della disponibilità all'inclusione sociale può essere utile a quanti, operatori, volontari, stakeholders, ricercatori vogliano riflettere sull'esperienza dell'inserimento eterofamiliare supportato di adulti (IESA), definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come “uno dei migliori esempi di presa in carico dei malati mentali da parte della comunità” (2001).
La diffusione di questa pratica è chiara espressione del superamento dello stigma responsabile an- che dell'isolamento di persone affette da disturbi psichici negli ospedali psichiatrici o in analoghe istituzioni totali (Goffman, 1968). L'adesione allo IESAda parte dei volontari implica, infatti, accogliere presso la propria abitazione persone portatrici di sofferenza psichica, bisognose di calore umano, rispetto, speranza, attenzione, assistenza, ascolto, comprensione, vicinanza. La scelta di ospitare una persona affetta da disagio psichico implica per la famiglia non solo non avere pregiudizi verso questa persona, ma anche essere
* Psicologa, Operatrice Unità di Monitoraggio e Programmazione Clinica dell'ASLTO3, Cooperativa Il Margine.
** Psicologa Psicoterapeuta, Università degli Studi di Torino.
*** Psicologo Psicoterapeuta, Coordinatore Scientifico Unità di Monitoraggio e Programmazione Clinica dell'ASLTO3, Cooperativa Il Margine, Università degli Studi di Torino.
****Psicologo Psicoterapeuta, Responsabile Servizio IESAe Unità di Monitoraggio e Programmazione Clinica dell'ASLTO3, Università degli Studi di Torino , Vice Presidente del Gruppo preparata per affrontare la reazione del contesto entro il quale vive. Uno degli effetti con i quali dovrà confrontarsi la famiglia con l'ingresso di un paziente psichiatrico all'interno del nucleo familiare è lo stigma, in quanto non solo la persona affetta da malattia psichica, ma anche i familiari della stessa possono sperimentare il disagio legato allo stigma (Sommer, 1990; Mehta & Farina, 1988). In letteratura, il fenomeno dello stigma associato alle persone affini a coloro che presentano un disturbo psichico viene indicato con l'espressione courtesy stigma (Goffman, 1963) o associative stigma (Östman & Kjellin, 2002) oppure, se riferito a familiari, family stigma (Corrigan & Miller, 2004). In una ricerca di Struening e colleghi (Struening et al., 2001) è emerso che circa il 70% dei caregiver di persone affette da disturbi psichici, come schizofrenia o disturbo bipolare, crede che questi ultimi vengano svalutati da molte persone, e il 43% crede che tale svalutazione si estenda anche ai familiari. Diversi lavori hanno indagato le conseguenze associate allo stigma percepito dai familiari di persone affette da malattia mentale. In particolare, lo stigma conduce i familiari a celare il disagio psichico del proprio congiunto, all'evitamento o allontanamento di quest'ultimo, al ritiro sociale, alla compromissione dei rapporti familiari, al ritardo nella ricerca di un intervento da parte dei servizi preposti alla cura e alla promozione della salute mentale (Shamsaei et al., 2013; Mak & Cheung, 2008; Compton et al., 2004; Wahl & Harman, 1989).
Altre sequele afferenti alla sfera emotiva e cognitiva derivanti dal courtesy stigma riguardano i pensieri suicidari, il senso d'impotenza, l'infelicità, la ridotta autostima e il senso di colpa sperimentati dai familiari (Mak & Cheung, 2008; Corrigan & Miller, 2004; Östman & Kjellin, 2002; Wahl & Harman, 1989).
In questo contributo, si vuole proporre una riflessione sul processo di selezione dei candidati inteso come percorso di conoscenza reciproca tra Servizio IESA e volontari ed esaminare le variabili che influenzano la scelta del tipo di progetto fulltime da affidare ai caregiver. I progetti full-time si distinguono in full-time a breve, medio e lungo termine a seconda delle finalità terapeutiche. In particolare, i progetti a breve termine si propongono di offrire supporto all'ospite in momenti di crisi personale o dell'ambiente circostante. I progetti a medio termine sono rivolti a persone gio- vani per le quali è previsto un recupero, anche solo parziale, delle funzioni compromesse al fine di favorire l'autonomia, la responsabilizzazione e l'integrazione sociale dell'individuo.Infine, i progetti a lungo termine si caratterizzano per una finalità assistenziale attraverso l'offerta di sostegno e cura di “pazienti cronici” nella quotidianità (Aluffi et al., 2010). La finalità della ricerca è fornire un'analisi descrittiva delle caratteristichedelle famiglie che hanno concluso positivamente il percorso di selezione e sono state coinvolte almeno in un progetto IESA(full-time) e approfondire la relazione tra queste variabili e la scelta del tipo di progetto affidato ai caregiver.
La famiglia ospitante come esperienza emozionale e relazionale correttiva Saraceno (2012) illustra il concetto di famiglia facendo riferimento a uno strumento ottico, il caleidoscopio, al fine di enfatizzare la molteplicità di possibili forme in cui può strutturarsi lo “stare insieme” di due o più individui che condividono uno stesso luogo di vita. Un luogo, quello familiare, che contiene in sé possibili valenze cliniche e terapeutiche connesse anche al crearsi di uno spazio/tempo simbolico di intermediazione tra realtà sociali e individuali. Luogo e tempo, quindi, di ricostruzione di significati sociali e culturali in significati e vissuti individuali.
Lo spazio familiare rappresenta infatti la socialità più prossima all'individuo, il quale condividendo il tempo e i luoghi della quotidianità, costruisce nell'incontro e nel dialogo di ogni giorno narrazioni condivise (su di sé, sul mondo, sulle relazioni) anche attraverso il gioco dei rimandi collegati all'“essere con ” .
Premesso che i processi della mente possono essere influenzati dalle esperienze che l'individuo fa nel corso della vita, la pratica IESA può rappresentare un'occasione per favorire una ristrutturazione emozionale e cognitiva e, date le evi1 denze neuroscientifiche, anche cerebrale.
Una famiglia attenta ai bisogni del paziente, in grado di cogliere e accogliere i segnali anche non verbali di benessere e disagio dell'ospite, crea le condizioni per lo sviluppo di una “esperienza emozionale e relazionale correttiva” (Liotti, 2009). La relazione rappresenta un'occasione per conoscere le emozioni e le intenzioni proprie e altrui: attraverso l'azione di neuroni specchio nell'individuo si riproduce l'agire e il sentire dell'altro (Favole, 2011), ossia si attiva il meccanismo della simulazione incarnata (Gallese et al., 2006), ed è grazie alla risonanza del sentire e agire altrui che sviluppa e affina la conoscenza di sé e del mondo. I meccanismi di sintonizzazione affettiva tra ospitante e ospite permettono a quest'ultimo di modulare lo stato mentale del momento e sviluppare la capacità di autoregolazione di emozioni anche intense, così da consentirgli di assumere e mantenere un comportamento più flessibile e adattivo. L'ospite si sente accolto nelle sue vulnerabilità che diventano meno intollerabili e gestibili grazie alla vicinanza e al sostegno offerto dalla famiglia. In quest'ottica, la famiglia offre uno spazio fisico e relazionale in cui il paziente può ridefinire l'immagine di sé e attribuire nuovi significati ai comportamenti altrui modificando gli schemi interpersonali disadattivi (Semerari, 2009), ossia le aspettative negative circa i comportamenti degli altri in risposta alle proprie richieste di cura e supporto che possono 2 dare luogo ai cosiddetti cicli interpersonali. Soprattutto per i progetti aventi finalità riabilitative, che mirano dunque al reinserimento sociale dell'individuo, e quindi all'acquisizione da parte dell'ospite di una sempre e maggiore autonomia, una famiglia che funge da base sicura consente all'individuo di sviluppare un crescente senso di sicurezza in sé e negli altri, elementi necessari per l'avvio di un processo di autonomizzazione. Una “nuova” famiglia può offrire alle persone con disturbi psichici una nuova chance per costruire differenti esperienze di condivisione e diversi significati. Tale luogo simbolico è un'opportunità in particolare per coloro che, per diversi motivi, non hanno più, o non hanno mai avuto, una famiglia o per chi non ha la possibilità di vivere con la propria famiglia biologica.
1 Le scoperte neuroscientifiche mostrano che così come i processi mentali possono essere influenzati dalle funzioni cerebrali, anche l'anatomia e il funzionamento del cervello possono risentire dei processi psicologici e cognitivi per effetto della plasticità neurale, meccanismo attivo tanto nel bambino quanto nell'adulto (Siegel, 2001).
Il “sistema familiare IESA” necessariamente s'incontra con il “sistema familiare biologico” sia esso presente o vissuto nell'immaginario della persona. E proprio in tale incontro può essere cercata la terapeuticità di tale progetto nel creare nuovi assetti relazionali e simbolici.
Le famiglie IESA, dunque, rappresentano uno dei nodi fondanti della progettazione clinica. Una riflessione sul percorso di selezione dei volontari ci sembra dunque d'importanza cruciale per una buona pratica clinica.
Ricerche internazionali sui caregiver IESA
Nonostante l'inserimento eterofamiliare sia una antica forma di accoglienza di persone con disagio psichico (McCoin, 1985), sono ancora limitate le ricerche sullo IESA a livello sia nazionale (Aluffi, 2014) sia internazionale (Piat et al., 2007).AlcuniAutori hanno posto il focus delle loro ricerche sulle responsabilità (Piat et al., 2005) e sulle caratteristiche dei caregiver (Piat et al., 2008; Piat et al., 2007; Rhoades & McFarland, 1999; Blaustein & Viek; 1987). In particolare, Piat e colleghi (Piat et al., 2007) hanno condotto uno studio qualitativo in Canada per esplorare come i caregiver e gli ospiti percepiscono la relazione di aiuto nell'inserimento eterofamiliare.Ai caregiver coinvolti è stato chiesto di indicare i valori e le qualità richieste per poter supportare e favorire l'integrazione nella comunità di persone con disturbi mentali. L'analisi dei dati raccolti mediante interviste semi-strutturate nei quali sono stati coinvolti 20 caregiver, ha rivelato che vi è uno stretto collegamento tra il sistema di valori e le qualità personali di un buon caregiver. Le persone intervistate hanno mostrato di possedere consapevolezza di sé, delle loro credenze e ideali, rispetto per la vita umana, abilità intuitive, un carattere forte e maturità. I caregiver hanno dichiarato che la scelta di offrire aiuto a persone con gravi malattie mentali non era sostenuta da motivazioni economiche né dal prestigio, bensì dai valori di riferimento e dalle qualità personali; inoltre, gli stessi hanno descritto la cura come un impulso interiore sviluppato e arricchito nel corso della propria esperienza di vita.
La motivazione dei caregiver, insieme all'impegno e ai riconoscimenti derivanti dall'assistenza continua di persone affette da grave disagio psichico, è stata indagata anche in una precedente ricerca qualitativa (Rhoades & McFarland, 1999) che prevedeva la somministrazione di un questionario strutturato e un'intervista. Dall'analisi dei dati raccolti mediante il Caregiver Questionnaire è emerso che la maggior parte dei partecipanti allo studio (52 %) ha spiegato la propria motivazione con l'altruismo (es. mi piace aiutare le persone); alcuni (33%) hanno fatto riferimento all'autorealizzazione (es. il poter disporre di un maggior reddito); per il 15% dei partecipanti, invece, l'offerta di cure ha rappresentato una ra- emozionali e automatici elicitando nell'altro un comportamento che conferma le previsioni negative dello schema interpersonale. In quest'ottica, gli schemi interpersonali disadattivi di un individuo possono essere rinforzati gione di vita (es. Dio vuole che noi aiutiamo gli altri). Per quanto riguarda le difficoltà incontrate, più di un terzo dei partecipanti hanno indicato la disabilità e la malattia mentale. Il secondo aspetto più frequentemente riportato erano le sfide insite in questo tipo di lavoro, come per esempio la burocrazia che ostacolava l'accesso alle risorse. Dall'intervista ai 14 caregiver, “aiutare gli altri” era indicata più frequentemente come motivazione del proprio impegno alla cura. Questi risultati sono in linea con quelli emersi in precedenti lavori di Braun e colleghi (Braun et al., 1988; Blaustein & Viek, 1987), nei quali la maggior parte dei caregiver ha dichiarato che il motivo alla base della scelta di operare all'interno di una foster home era aiutare le persone. Un altro aspetto che è stato indagato in letteratura riguarda la differenza tra esperto e nonprofessional della salute mentale (Piat et al., 2008). È stato chiesto a 20 caregiver di spiegare in che termini l'aiuto da loro offerto a persone affette da malattie mentali si distingue da quello fornito dagli assistenti sociali. Diciassette dei 20 partecipanti hanno descritto l'unicità che caratterizza la figura del caregiver argomentando quanto segue:
- il caregiving è più di un lavoro;
- i caregiver condividono la loro vita con i pazienti;
- la relazione tra caregiver e paziente è egualitaria;
- i caregiver offrono supporto per qualsiasi esigenza;
- i caregiver sono i real frontline workers e possono rispondere meglio ai bisogni e alle difficoltà dei pazienti rispetto agli assistenti sociali;
- i caregiver possono valutare meglio i bisogni dei pazienti rispetto agli assistenti sociali.
I risultati di questo lavoro mirano a enfatizzare il ruolo del caregiver. Gli Autori sottolineano l'importanza di coinvolgere il caregiver nella pianificazione del trattamento e nella decisione circa l'inserimento residenziale, e di formalizzarne il contributo all'interno del sistema di salute mentale.
Metodo di ricerca
È stata realizzata una ricerca d'archivio dei dati relativi ai volontari. I dati sono stati raccolti attraverso i colloqui di selezione realizzati tra il 30 luglio del 1998 e il 19 settembre 2012 presso il Servizio IESA afferente al Dipartimento Interaziendale di Salute Mentale dell'ASLTO3. In particolare, sono state analizzate le caratteristiche sociali, ambientali, e psicologico-motivazionali dei candidati.
Il protocollo di selezione è basato su un primo contatto telefonico, via mail o di persona; un colloquio informativo sul progetto a cui segue la decisione da parte del candidato di proseguire o meno il percorso; un'intervista semi-strutturata al candidato e una visita domiciliare concordata con il candidato. Viene richiesta la compilazione di un documento “Dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà e certificazioni” a cui segue la verifica di aderenza di quanto dichiarato nel certificato penale del casellario giudiziario. Questo percorso prosegue con la formazione del volontario e si conclude con l'eventuale abilitazione a cui 3 può seguire l'avvio di un progetto.
I dati analizzati dal presente studio sono stati raccolti attraverso la somministrazione della scheda di primo contatto e dell'intervista semistrutturata.
La scheda di primo colloquio viene compilata quando si riceve una candidatura volontaria, o in seguito a reperimento telefonico: in questa scheda vengono riportati i dati anagrafici, il tipo di progetto per il quale il volontario si candida e la fonte dalla quale è venuto a conoscenza del servizio. La suddetta scheda, inoltre, riporta alcune informazioni aggiuntive raccolte dall'operatore durante il colloquio consistenti in annotazioni ed eventuali punti di criticità da approfondire nell'intervista semi-strutturata. Il primo colloquio è un momento importante anche per far conoscere ai candidati le peculiarità del servizio e per rispondere ai loro eventuali dubbi e chiarimenti.
La scheda dell'intervista semi-strutturata è una traccia che serve all'operatore per conoscere il volontario e i suoi eventuali conviventi. Le principali aree d'indagine riguardano i dati socioanagrafici dei caregiver e le loro abitudini, le aspettative rispetto all'ospite, le motivazioni associate all'accoglienza di un paziente affetto da disagio psichico presso la propria abitazione, la disponibilità in termini di tempo e spazio che il caregiver è disposto a riservare al paziente.
3 È utile precisare che l'abilitazione non implica necessariamente l'inserimento di un paziente nella famiglia in quanto la priorità del servizio è riuscire a creare una combinazione ottimale tra le aspettative e le risorse offerte dal caregiver e i bisogni del paziente.
Nell'arco di tempo indicato, sono stati raccolti 455 questionari. Il focus dell'analisi viene posto sui candidati (n=42) che hanno raggiunto l'abilitazione e che effettivamente sono stati coinvolti in un progetto full-time a medio (MT) e/o lungo termine (LT).
Analisi statistica
L'associazione tra varibili categoriali è stata ana2 lizzata attraverso il calcolo del test χ prodotto con il software statistico 'Statistical Package for Social Sciences' (SPSS versione 23.0 inglese). Si tratta di una tecnica di inferenza statistica che si propone di verificare le differenze tra le frequenze osservate (dati ottenuti dalle operazioni di rilevazione) e le frequenze attese nell'ipotesi di assenza di relazione (ipotesi nulla o H) ed effettua- 0 re un'inferenza sul grado di scostamento tra queste. Il livello di significatività (α) era fissato allo 0,05 per tutti i confronti effettuati.
(n=133) ha raggiunto l'abilitazione. Di 133 candidati, il 32% (n=42) è stato coinvolto in progetti full-time a medio e/o a lungo termine.
La durata media dei progetti full-time è di circa 2.033 giornate (DS=1.874,2), pari a 5 anni e 7 mesi circa.
L'età media del campione è di 52 anni circa (DS=7,5): gli uomini hanno un'età media di 56 anni (DS=6) e le donne di 52 anni (DS=7,6).
Situazione abitativa e mezzi di trasporto
Per quanto riguarda la situazione abitativa dei 42 caregiver coinvolti in convivenze, il 35,7% (n=15) vive in un alloggio, il 28,6% (n=12) vive in una villa, il 19% (n=8) in una casa popolare e il 16,7% (n=7) in cascina. Tra coloro che specificano se l'abitazione è o meno di proprietà, il 40,5% (n=17) candidati dichiarano di abitare in una casa di proprietà, mentre il 38,1% (n=16) riferisce di vivere in affitto.
Risultati
Descrizione del campione
Per quanto riguarda l'analisi descrittiva del campione (vedi Tabella 1), dei 455 candidati, il 29%
La maggior parte (78,6%; n=33) dei caregiver riporta di disporre di un'auto, aspetto che deve essere valutato qualora l'abitazione del candidato risulti ubicata in un luogo distante dal servizio
IESAe da altri servizi territoriali.
Aquesto riguardo, l'intervista semi-strutturata seguita prevede anche un approfondimento circa la distanza dell'abitazione dai servizi competenti.
Più della metà (59,5%; n=25) dei caregiver riferiscono di poter raggiungere i servizi a piedi e il 38,1% (n=16), invece, di poterli raggiungere con i mezzi.
Aspettative del candidato sull'ospite
La parte finale dell'intervista indaga le aspettative rispetto all'ospite e la disponibilità nel suo coinvolgimento nella vita familiare. Per quanto concerne il sesso dell'ospite, metà candidati (50%; n=21) preferirebbe ospitare una donna, il 7,1% (n=3) un uomo e per il 42,9% (n=18) dei caregiver il sesso dell'ospite è indifferente.
La maggior parte (83,3%; n=35) dei caregiver è disposto ad accogliere un ospite, una più ridotta percentuale, 16,7% (n=7), è disponibile ad accogliere 2 ospiti.
Per quanto riguarda la percezione dell'ospite, per il 70% circa dei caregiver (n=29) l'ospite è un membro della famiglia, mentre per il 9,5% (n=4) l'ospite è un coinquilino.
Sulla presenza dell'ospite a casa, ventisei caregiver (61,9%) si sono dichiarati favorevoli alla presenza dell'ospite a casa per tutto il giorno.
Trentacinque candidati (83,3%) sono disposti a trascorrere le vacanze con l'ospite.
Il 71,4% dei caregiver (n=30) è propenso ad accogliere anche eventuali animali.
Per quanto riguarda il coinvolgimento dell'ospite nei lavori domestici, quasi tutti i caregiver (95,2%, n=40) sono favorevoli nello stimolare l'ospite a svolgere queste attività.
Quattro caregiver (9,5%) hanno manifestato disponibilità per l'accoglienza di persone portatrici di patologie trasmissibili; una più alta percentuale (83,3%; n=35) ha manifestato parere favorevole per l'accoglienza di un ospite fumatore.
Motivazioni della candidatura
Per quanto riguarda le ragioni della candidatura, la maggior parte dei partecipanti esprime diverse motivazioni che spiegano la volontà di accogliere presso la propria abitazione una persona affetta da disagio psichico. Le ragioni della candidatura riportate dai caregiver sembrano risentire del sistema di valori della persona (solidarietà, disponibilità all'offerta di attenzione e cura all'altro e a favorirne l'integrazione sociale). Ulteriori fattori sono la disponibilità di risorse, intese come disponibilità di spazi e tempo da dedicare all'ospite, pregresse esperienze lavorative o di volontariato, interesse verso il coinvolgimento in un progetto IESA (curiosità, desiderio di sperimentarsi e occasione formativa), e del bisogno di contrastare la propria solitudine. A queste si aggiungono anche le ragioni economiche: in particolare, per il 76,2% (n=32) dei caregiver, che sono stati coinvolti in progetti full-time a medio e/o lungo termine, il motivo della candidatura è anche di natura economica. In parte, questa motivazione può essere spiegata dal fatto che la maggior parte dei partecipanti, 74% circa (n=31), riferisce entrate mensili inferiori o pari a 1.500,00 €.
Analisi bivariata
2
Attraverso la statistica del χè stata indagata la relazione tra la tipologia dei progetti e altre variabili, come per esempio il tipo di abitazione e la professione dei caregiver, con lo scopo di individuare gli aspetti che influenzano il coinvolgimento di un caregiver in un progetto IESA a medio e/o lungo termine.
Dall'analisi della relazione tra la professione dei caregiver e la scelta del tipo di progetto full-time è emerso che le due variabili si influenzano reci2 procamente (χ=7,41; p=0,02; gdl=2). In altri termini, sembra che a coloro che hanno svolto lavori di natura assistenziale tende ad essere affidato indifferentemente un progetto a medio termine, a lungo termine oppure entrambi, mentre i caregiver impegnati in lavori di natura non assistenziale tendono ad essere coinvolti in progetti aventi finalità riabilitative, ossia progetti a medio termine. Per le altre variabili oggetto di analisi, il test del 2 χ, pur non raggiungendo i livelli di significatività, assume valori tali da non poter escludere l'esistenza di una relazione tra le variabili. In particolare, l'esame della relazione tra sesso e tipo di 2 progetto affidato ai caregiver, il valore del χ 2 (χ=3,89; p=0,14; gdl=2) mostra che i progetti a medio termine tendono ad essere affidati soprattutto a donne, mentre i progetti a lungo termine, anche quando associati a progetti a medio termine, tendono ad essere assegnati a uomini.
Per quanto riguarda la relazione tra tipo di pro2 getto e tipo di abitazione il valore del χ è pari a 7,26 (p=0,30; gdl=6). Si nota un'associazione tra tipo di abitazione e tipo di progetto affidato al ca- regiver: in particolare, coloro che vivono in alloggio, casa popolare o villa tendono a essere coinvolti in progetti a medio termine, mentre ai caregiver che abitano in cascina tendono a essere affidati progetti a lungo-termine oppure entrambi, progetti sia a medio sia a lungo termine.
22
I risultati del test χ (χ=2,77; p=0,25; gdl=2), estendendo l'analisi alla relazione tra la variabile abitazione di proprietà e in affitto e la variabile tipo di progetto, suggeriscono che il vivere in affitto o in proprietà non influenza il tipo di progetto affidato ai caregiver.
Per quanto concerne la relazione tra le variabili 2 distanza dai servizi e tipo di progetto (χ=3,70; p=0,15; gdl=2), i progetti a medio termine tendono a essere affidati ai caregiver che vivono in prossimità dei servizi tanto da poterli raggiungere rapidamente.
Conclusioni
L'obiettivo dello studio era fornire un'analisi descrittiva delle caratteristiche delle famiglie coinvolte in un progetto full-time a medio e/o lungo termine ed esaminare la relazione tra queste variabili e il tipo di progetto in cui le famiglie sono state coinvolte. Si riscontra che la maggior parte dei caregiver sono donne, di nazionalità italiana, coniugati, con licenza elementare o media, con un lavoro fisso, che vivono in alloggio, possiedono un'auto e abitano vicino ai servizi.
Per quanto riguarda le aspettative sull'ospite, metà caregiver esprime preferenza per un ospite di sesso femminile, la maggior parte preferirebbe ospitare un solo ospite, trascorrere le vacanze con l'ospite, coinvolgerlo nei lavori domestici e accogliere anche eventuali animali.
Le motivazioni dichiarate dai caregiver, che stimolano un atteggiamento positivo all'accoglienza di persone portatrici di disagio psichico presso la propria abitazione, sono principalmente l'offerta di vicinanza e cura e il bisogno di un'entrata economica.
In riferimento alla relazione tra variabili socioanagrafiche, motivazioni e aspettative circa l'ospite, si riscontra una relazione significativa tra professione dei caregiver e scelta del tipo di progetto full-time in cui viene coinvolto il caregiver. In particolare, coloro che hanno svolto lavori di natura assistenziale tendono ad essere coinvolti in progetti a medio e/o lungo termine; invece, a coloro che svolgono altri tipi di lavori tendono ad essere affidati progetti aventi finalità riabilitative, ossia progetti a medio termine. Per altre variabili, quali sesso del caregiver, tipo di abitazione, distanza dai servizi ed entrate mensili la relazione con la variabile tipo di progetto non raggiunge i livelli di significatività.
L'analisi ci porta a concludere che non ci sono aspetti che incidono significativamente nella scelta della tipologia di progetti da affidare a un caregiver, fatta eccezione per l'esperienza lavorativa/professionale. Ci sono elementi che non possono essere trascurati nella progettazione di un inserimento IESA: il caregiver deve offrire uno spazio fisico e relazionale tale da favorire l'assistenza o la riabilitazione dell'ospite. L'inserimento, infatti, ha luogo quando le caratteristiche e le aspettative del caregiver si incontrano con le caratteristiche e le aspettative dell'ospite. Ne deriva che, aspetti come il titolo di studio del caregiver, le entrate mensili o la disponibilità di un'auto, assumono un'importanza marginale per la realizzazione di un adeguato e positivo inserimento.
Per quanto riguarda gli sviluppi futuri della ricerca, potrebbe essere interessante esplorare quanto il percorso riabilitativo all'interno di una famiglia IESA possa favorire il processo di autonomizzazione dell'individuo e di conseguenza anche di integrazione sociale.
La ricerca potrebbe focalizzarsi su coloro che al termine dell'inserimento hanno acquisito le capacità per creare e gestire uno spazio fisico e relazionale allo stesso tempo permeabile e indipendente dall'esterno.
Riferimenti bibliografici
Aluffi, G., Zuffranieri, M., Amistà, E., Furlan, P. M., Ostacoli, L., & Picci, R. L. (2010). La diffusione dell'Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti (IESA) nella psichiatria italiana. Epidemiologia e Psichiatria Sociale, 19(4), 348-351. doi:10.1017/S1121189X00000683
Aluffi, G. (2014). Famiglie che accolgono: Oltre la psichiatria. GruppoAbele: Torino.
Blaustein, M., & Viek, C. (1987). Problems and needs of operators of board-and-care homes:Asurvey. Psychiatric Services, 38(7), 750-754.
Braun, K. L., Horwitz, K. J., & Kaku, J. M. (1988). Successful foster caregivers of geriatric patients. Health & social work, 13(1), 25-34. doi: 10.1093/hsw/13.1.25
Compton, M. T., Kaslow, N. J., & Walker, E. F. (2004). Observations on parent/family factors that may influence the duration of untreated psychosis among African American first-episode schizophrenia-spectrum patients. Schizophrenia Research, 68(2), 373-385. doi: 10.1016/j.schres.2003.09.001
Corrigan, P. W., & Miller, F. E. (2004). Shame, blame, and contamination: A review of the impact of mental illness stigma on family members. Journal of Mental Health, 13(6), 537-548. doi: 10.1080/09638230400017004
Favole, A. (2011). Variazioni sul tema dell'affettività. Complessi a tonalità affettiva e modelli operativi interni: una proposta di confronto. In F. Vigna & A. Favole (A cura di). Riconnessioni: Dall'alessitimia all'anima (pp. 58-112). Moretti&Vitali: Bergamo.
Gallese, V., Migone, P., & Eagle, M. N. (2006). La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell'intersoggettività e alcune implicazioni per la psicoanalisi. Psicoterapia e scienze umane, 3, 543-580.
Goffman, E. (1963). Stigma: Notes on the Management of Spoiled Identity. New Jersey: PrenticeHall.
Goffman, E. (1968). Asylums. Le istituzioni totali. Einaudi: Torino.
Liotti, G. (2009). Il ruolo dell'attaccamento nella conoscenza e regolazione delle emozioni. In B. G. Bara (A cura di), Nuovo manuale di psicoterapia cognitiva: Teoria (p. 105-133). Bollati Boringhieri: Torino.
Mak, W. W., & Cheung, R. Y. (2008). Affiliate stigma among caregivers of people with intellectual disability or mental illness. Journal of Applied Research in Intellectual Disabilities, 21(6), 532545. doi:
10.1111/j.1468-3148.2008.00426.x
McCoin, J. M. (1985). Evolution of adult foster care. Journal of Sociology and Social Welfare, 12, 392-412.
Mehta, S. I., & Farina, A. (1988). Associative stigma: Perceptions of the difficulties of college-aged children of stigmatized fathers. Journal of Social and Clinical Psychology, 7(2-3), 192.
Östman, M., & Kjellin, L. (2002). Stigma by association: Psychological factors in relatives of people with mental illness. The British Journal of Psychiatry, 181(6), 494-498. doi: 10.1192/bjp.181.6.494
Piat, M., Ricard, N., Lesage, A., & Trottier, S. (2005). Le point de vue des responsables des ressources de type familial sur les transformations des services de santé mentale au Québec. Santé mentale au Québec, 30(2), 209-231. doi: 10.7202/012146ar
Piat, M., Ricard, N., Sabetti, J., & Beauvais, L. (2007). The values and qualities of being a good helper: A qualitative study of adult foster home caregivers for persons with serious mental illness. International journal of nursing studies, 44(8), 1418-1429. doi: 0.1016/j.ijnurstu.2007.06.001
Piat, M., Ricard, N., Sabetti, J., & Beauvais, L. (2008). From the real frontline: The unique contributions of mental health caregivers in Canadian foster homes. Health & Social Work, 33(1), 43-53. doi: 10.1093/hsw/33.1.43
Rhoades, D. R., & McFarland, K. F. (1999). Caregiver meaning: A study of caregivers of individuals with mental illness. Health & Social Work, 24(4), 291-298.
Safran, J. D, & Segal, Z. V. (1993). Il processo interpersonale nella terapia cognitiva. Feltrinelli: Milano.
Saraceno, C. (2012). Coppie e famiglie: non eÌquestione di natura. Feltrinelli: Milano.
Semerari, A. (2009). La relazione terapeutica. In B. G. Bara (A cura di), Nuovo manuale di psicoterapia cognitiva: Teoria (pp. 153-174). Bollati Boringhieri: Torino.
Shamsaei, F., Kermanshahi, S. M. K., Vanaki, Z., & Holtforth, M. G. (2013). Family Care giving in Bipolar disorder: Experiences of Stigma. Iranian journal of psychiatry, 8(4), 188-94.
Siegel, D. J. (2001). La mente relazionale: Neurobiologia dell'esperienza interpersonale. Raffaello Cortina: Milano.
Sommer, R. (1990). Family advocacy and the mental health system: The recent rise of the alliance for the mentally ill. Psychiatric Quarterly, 61(3), 205-221. doi:10.1007/BF01064970
Struening, E. L., Perlick, D.A., Link, B. G., Hellman, F., Herman, D., & Sirey, J.A. (2001). Stigma as a barrier to recovery: The extent to which caregivers believe most people devalue consumers and their families. Psychiatric services, 52(12) 1633-1638.
Wahl, O. F., & Harman, C. R. (1989). Family views of stigma. Schizophrenia Bulletin, 15(1), 131. World Health Organisation, The World Health Report 2001. Mental Health: New Understanding, New Hope, Geneva, 2001.