SOMMARIO

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5. SINONIMI

Il mistero della morte di Dio La posizione di un «mistero» non può aver luogo nella regione vuota dello spirito, là dove sussistono solo le parole estranee alla vita. Non può derivare da una confusione tra l’oscurità e il vuoto astratto. L’oscurità di un «mistero» è quella delle immagini che una specie di sogno lucido trae dal dominio della folla: ora riportando alla luce ciò che la cattiva coscienza ha rigettato nell’ombra, ora dando un senso capitale a figure che sono l’oggetto di disattenzione quotidiana. Dal patibolo di Luigi XVI all’obelisco,una composizione si forma sulla PUBBLICA PIAZZA, cioè su quella delle diverse piazze publbiche del «mondo civile» che per fascino storico e aspetto monumentale prevale sulle altre. Perché non è in nessun altro luogo, è LA che un uomo in qualche modo stregato, in qualche modo preso da frenesia, si dà espressamente per il «pazzo di Nietzsche», spiega con la sua lanterna di sogno il mistero della MORTE DI DIO. L’obelisco Clausewitz scrive nel suo trattato Della guerra: «Come quegli obelischi che si elevano nei crocevia da cui si dipartono le strade principali di una contrada, l’energica volontà del capo costituisce il centro da dove tutto s’irradia nell’arte militare», Place de la Concorde è il luogo dove la morte di Dio deve essere annunciata e gridata precisamente perché l’obelisco ne è la negazione più calma. Una polvere umana movimentata e vuota gravita intomo ad esso a perdita d’occhio. Ma niente risponde con tanta esattezza alle aspirazioni in apparenza disordinate di questa folla come gli spazi misurati e tranquilli che ordina la sua semplicità geometrica. Georges Bataille, Il labirinto • Metropolitana Neila metropolitana, ad esempio, Alberto [Giacometti] arrivava a guardare una persona, un viso, con una fissità, un’intensità che sorprendevano lui stesso – agli altri, facevano paura – e questo perché quel viso non gli appariva più semplicemente come l’espressione di un essere particolare, di bellezza o bruttezza sorprendenti, cosa che ha interessato tanti pittori, ma come qualcosa di infinitamente lontano e deserto, fuori dal tempo, fuori persino da ogni spazio. Come dirà più tardi, con quell’estrema attenzione nei confronti dei suoi percorsi passati che l’ha sempre caratterizzato: la distanza tra quei due occhi, lì davanti a lui, gli sembrava «come un Sahara» insormontabile. Una trascendenza affiorava attraverso i tratti comunicando a questi la sua spaventosa intensità, scoraggiando questo disegnatore, che tuttavia avvertiva con pardcolare forza il bisogno di fissare quest’epifania. Yves Bonnefoy, Alberto Giacometti

TRA VISIBILE E INVISIBILE 169


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