Il futuro dopo Lenin. Viaggio in Transnistria

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Il futuro

dopo Lenin Viaggio in Transnistria




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volna mare•

• Simone Benazzo Marco Carlone Martina Napolitano

Il futuro

dopo Lenin Viaggio in Transnistria


Con il sostegno di MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura

© 2018 DOTS Edizioni www.dotsedizioni.it • info@dotsedizioni.it isbn: 9788894328806 DOTS edizioni è un marchio di Les Flâneurs Edizioni di Alessio Rega


Perché abbiamo scelto questo

libro

Abbiamo conosciuto Martina, Simone e Marco in occasione di una delle date del Goodbye, Lenin? Tour a Genova: a margine di un convegno sullo straniamento, volna mare parlava del viaggio in Transnistria mostrando fotografie e raccontando l’avventura in un Paese sconosciuto ai più. «Perché non ne facciamo un libro?» è stata la proposta immediata. DOTS ancora non aveva forma e la sua prima pubblicazione iniziava in quel momento ad averne una, quella di un progetto editoriale nutrito di entusiasmo e di cui siamo molto orgogliosi. Questo libro rispecchia l’idea che vorremmo portare avanti: intravedere un libro dove ancora non c’è ma dovrebbe esserci. Buon viaggio a DOTS, buon viaggio a voi.


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Indice

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Prefazione di Sergio Paini

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Il futuro dopo Lenin

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I viaggiatori

Mare o montagna?

Andata. «Certo le circostanze non sono favorevoli» 25

1. Oltre le colonne d’Ercole 2. Gli stivali di Stalin 3. Il capitalismo che marcia vittorioso 4. Un posto al mare 5. W la TIKA 6. Una comunità in via d’estinzione

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Transnistria. «Mal s’addice alla fretta» 55

7. Passaporti, prego 56 8. Per la fame dei turisti 65 9. Russia mon amour 69 10. Batman sul Dnestr 76 11. Identità transnistra 82


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12. Un parco giochi a tema sovietico 13. Dolce vita 14. Educazione benderiana

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Ritorno. «Sa che tutto passa» 107

15. Verso ovest 16. La geografia è destino 17. L’insostenibile complessità dei Balcani 18. Dracula e i camini da addentare 19. Un fast-food di cibo magiaro 20. Trainspotting a Timișoara 21. Le ultime sorsate di Balcani 22. Il ponte sulla fine

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«…e tutto lascia traccia» 9 novembre 2089

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Ringraziamenti 154


Prefazione di Sergio Paini•

• Giornalista della RAI corrispondente dalla Russia.


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Un vero viaggio è sempre una scoperta, una corsa verso l’ignoto, tanto più se la destinazione è un posto che esiste pur non essendo riconosciuto da nessuno: parliamo della Transnistria, una striscia di terra ai margini dell’ex Unione Sovietica, stretta tra Moldavia e Ucraina, dove – sotto certi aspetti – il tempo sembra essersi fermato e su cui tanto si è favoleggiato, spesso a sproposito. L’avventura estiva di tre ragazzi in marcia verso est riempie di immagini e racconti le pagine di questo libro, il cui maggior merito è quello di restituire uno sguardo vergine, privo di pregiudizi e cliché, su quelle lande dell’Europa centro-orientale dove la Storia si è sbizzarrita, forse come mai altrove, a mischiare popoli e incrociare confini. I resti del socialismo reale, che per più di quarant’anni e fino alla caduta del Muro di Berlino ha isolato mezzo continente, sono ormai come le quinte di un antico teatro, convertito in palcoscenico rétro del neoliberismo globale. Anche lì dove meno te lo aspetti, dove le statue di Lenin

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occupano ancora il posto centrale nelle piazze e i simboli comunisti non sono esclusiva dei musei. Grazie a una sana curiosità e a una solida preparazione (ciascuno vede ciò che sa), gli autori e i protagonisti del libro riescono però a far emergere le innumerevoli tracce della Storia disseminate lungo la strada e danno spazio a tutte le esperienze umane: a quelle ostaggio del passato e a quelle segnate dall’attuale, e apparentemente infinita, fase di transizione in quell’angolo di Europa. I tre viaggiatori riescono davvero a farci incontrare l’Altro: danno voce a donne e uomini dell’Est di tutte le età e così facendo conferiscono loro dignità e autenticità, li affrancano da ruoli, troppe volte già scritti, di comparsa o “macchietta”. La freschezza, l’ironia e la sincerità del racconto colpiscono, divertono e restano a lungo nella memoria dopo la conclusione della lettura: invitano al viaggio, come le nuvole bianche che corrono sulle grandi pianure. Indicano una direzione e danno l’esempio: quando tutti vi dicono di non andare, voi andate… ne varrà sempre la pena.

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I viaggiatori Martina oscilla costantemente tra campanilismo friulano e internazionalismo post-sovietico. Conosce il russo per caso a quattordici anni, se ne appassiona e non smette più di studiarlo. Ama pressoché tutte le città e i luoghi in cui ha vissuto: Vilnius, Mosca, la California, Pordenone, e anche quelli in cui è solo passata. Per lei sì che «le parole sono importanti!», le pronunce ancor di più, e non lo nasconde mai ai suoi compagni di viaggio, soprattutto quando sbagliano le traslitterazioni dal russo. Precisa, minuta, elegante, è capace di passare ore ed ore rinunciando quasi del tutto ai pasti (ben diverso il discorso con le bevande, soprattutto se prevedono un tasso alcolemico). A due lauree in Letteratura Russa decide, caparbia, di aggiungere un dottorato in Slavistica, e così va a fare ricerca negli Stati Uniti. Know your enemy, direbbe qualcuno. Marco è nato una settimana prima della Caduta del Muro di Berlino, e fin dall’infanzia non si vuole rassegnare al fatto che il tempo scorra implacabile. Nel tentativo di fermarlo, si inventa di tutto: sviluppa passioni forti e virulente per le locomotive e i treni antiquati, diventa fotografo; come se fosse ancora negli anni Novanta, finisce addirittura a fare il percussionista in un paio di band. Seguendo le amate ferrovie, poi, compie il passo finale e definitivo: approda nei Balcani. Albania, Bosnia, Serbia, Macedonia, Bulgaria: non importa quanto sia in ritardo, non importa quanto sia lento: se c’è un treno, c’è anche lui. Trovandosi più in ex Jugoslavia che nella natia Pianezza, viene iniziato alla lingua serbo-croata e alle prelibatezze della cucina balcanica, abusandone immancabilmente in modo da tornare a casa ogni volta pieno non solo di emozioni.

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Simone, detto “Benny”, cresciuto all’ombra delle Alpi Retiche, fin da piccolo si contraddistingue per una spiccata tendenza alla riflessione pseudo-filosofica e per una insofferenza generale a regole e ordine. Le maestre contro cui lanciava le castagne lo punivano mandandolo a “pensare” lontano dai compagni durante la ricreazione, di fatto aumentando la sua innata attitudine meditabonda. La semiotica attira il giovane uomo a Bologna, ma poi è il richiamo dell’Est ad avvilupparlo maggiormente. L’incontro con Sarajevo segna il punto di non ritorno nella sua venerazione dei Balcani. Dopo studi internazionali a Torino, prosegue a Varsavia, portandosi a casa una terza laurea conseguita al Collegio d’Europa. Dopo i Balcani, è l’Europa centro-orientale con la sua storia memoriale travagliata e i populismi nazionali in auge a diventare valvola di sfogo dei rivolgimenti cervellotici del mezzo montanaro, che nel frattempo continua a esportare ovunque pizzoccheri e Braulio.

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Il futuro

dopo Lenin Viaggio in Transnistria



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Fa freddo, l’aria è tersa e spazza la vallata. Le casupole grigie guardano curiose e timide due figure arrancare per la notte di un giorno non qualunque. Avanzano affaticati, mano nella mano, calibrando i passi. L’incedere lento lascia impronte nella neve intonsa che ricopre il sacrario. Si appoggiano a un bastone per i pochi gradini, raggiungono la parte coperta del tempietto votivo. Volgono le spalle ai morti del ’15, ai morti del ’18, a quelli del ’45, agli alpini. Non sono lì per leggere i nomi e le età di chi è stato ghermito dalle Guerre mondiali. Osservano Morbegno e Morbegno osserva loro, con uno sguardo vacuo e assente, marmorea e stolida come sempre, come se gli anni passassero senza fare vittime. Poi, d’un tratto, dalla foschia emerge una figura, il passo più svelto, ma anche questo rallentato; dall’età, dall’emozione, da qualcosa di innominabile. Al collo ondeggia una macchina fotografica. Raggiunge gli altri due, si siede accanto a loro.

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Mare o montagna? (Torino, Italia) È una di quelle sere di fine giugno in cui il cemento di Torino continua a sputare afa anche alle nove di sera; i tre sono in pizzeria, l’estate è il momento migliore per ritrovare vecchie conoscenze e approfittare della loro ospitalità a nord sud ovest est, scappando dall’ennesima città di soggiorno temporaneo in cui la vita inevitabilmente trasporta. Benny ha ordinato la consueta pizza vegetariana, Martina una Margherita e Marco è andato sul leggero con salsiccia e friarielli. Prendono due Peroni dal frigo ed escono per cercare refrigerio lontano dal forno a legna. «Sentite un po’, ma le vacanze? Non siete tipi da mare o montagna e basta». «Mah, per ora ho organizzato dieci giorni in Montenegro con la donna della mia vita e, se ne usciamo vivi, ho un’altra decina di giorni ancora liberi». «Quindi vacanza con tua sorella!». «Ovviamente». «Ve la butto lì… che ne direste di un’allegra macchinata nella direzione del sole che si leva?». «Mi hai incuriosita. Hai già in mente qualcosa?». «Transnistria». Martina sgrana gli occhi e sbuffa in una risatina ironica, quasi di scherno. Benny inarca il sopracciglio in un gesto sornione d’intesa. «Ma cosa ci andiamo a fare in Transnistria a Ferragosto, vez?». «No, aspetta, è interessante. Spiegati meglio».

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«Ci sono stato qualche tempo fa con i miei compari fotografi. L’idea era di perderci a scattare tra i villaggi di Moldavia e Ucraina, ma facendo un po’ di ricerca nell’infinito sapere di papà Google, venne fuori ’sta strisciolina di terra piazzata lì tra i due Paesi a dare fastidio agli automobilisti, la Transnistria». «La sto cercando mentre parli e non sembra per niente rassicurante». «Esatto. Tutte le notizie che trovi su internet parlano di guerra, pericoli, trafficanti, carri armati per strada, cecchini sui tetti, invasioni di locuste. La Farnesina mette in guardia gli avventurieri, invitandoli a girare per l’area solo avvalendosi “dell’ausilio di accompagnatori fidati ed esperti”. Non potevamo non andare».

«Quando ci sei andato, esattamente?» «Visto che dovevamo armeggiare con macchine fotografiche e attrezzature, e non sapevamo quante delle teste di quell’Idra di Lerna avrebbero provato ad aggredirci, abbiamo scelto un giorno particolare per oltrepassare la dogana: il 9 maggio». «La giornata della Vittoria!». «Esattamente. In quel giorno per le strade della capitale si tiene una bella sfilata di commemorazione, era perfetto».

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Il 9 maggio, la Giornata della Vittoria

È una sorta di 25 aprile in salsa post-sovietica. In alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale, in Russia e in altri Stati che un tempo facevano parte dell’urss, il 9 maggio si festeggia tutt’oggi la capitolazione della Germania nazista nella cosiddetta Velikaja Otečestvennaja Vojna, la “Grande Guerra Patriottica”, cioè la Seconda guerra mondiale. Non si celebra la liberazione dal nazifascismo, ma la sua sconfitta. La Giornata della Vittoria venne proclamata giorno festivo (e celebrata da allora con grandi parate e cerimonie) in Unione Sovietica nel 1965, nel ventesimo anniversario: la resa della Germania venne infatti firmata a Berlino nella notte dell’8 maggio 1945 (9 maggio, secondo l’ora locale di Mosca). «Quel giorno l’assaggio di Transnistria fu particolarmente succulento, a partire dalla dogana. Attraversare il confine di uno Stato vero per finire in una repubblica non riconosciuta dalla comunità internazionale non è roba di tutti i giorni». «Be’, specialmente visto che lo dipingono come un Paese criminale… guarda qua: “Il buco nero dell’Europa”». «Ma aspetta, è il posto di cui parla Lilin?». «Sì. È esattamente in Transnistria che è ambientato Educazione siberiana». «E tu vorresti andare in una terra di pazzi, guerre e strazi? Ha senso». «Quindi non è una leggenda metropolitana, tipo il Molise». «Guarda, praticamente nessuno Stato ne riconosce l’esistenza, ma lei c’è! Ci sono andato, proprio come in Molise, e pensa: la Transnistria è ancora più piccola».

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Uno stato de facto e una questione di prospettiva La Transnistria è una repubblica non riconosciuta dalla comunità internazionale. Appartiene de iure alla Moldavia, ma de facto è indipendente. “Indipendente” non significa necessariamente autonoma, soprattutto nelle scelte che riguardano la politica estera, l’economia, le relazioni con i Paesi limitrofi e, a tratti, anche la politica interna. Come Stato “indipendente” ha le sue istituzioni, una Costituzione, le sue lingue ufficiali, una moneta, addirittura le targhe delle auto. La bandiera è a strisce orizzontali rosse e verdi, con falce e martello incastonati in alto a sinistra. Viene generalmente etichettata come un relitto sovietico in Europa, o come un avamposto strategico per Mosca. È grande circa quanto due terzi del Molise, una striscia di terra nell’est della Moldavia e compresa tra il corso del fiume Dnestr e il confine ucraino. “Transnistria” è letteralmente “ciò che è al di là del Dnestr”. In russo il nome del Paese è invece “Pridnestrov’e”, ovvero “terra lungo il Dnestr”. Le due denominazioni tradiscono due prospettive opposte: l’una orientalista, esotista, di chi vede la terra da lontano, dall’Ovest; l’altra assimilatrice, accentrante, di chi sente il territorio come proprio e lo guarda da est. La Transnistria conta oggi circa 475.000 abitanti, concentrati perlopiù nella capitale Tiraspol’ (133.000 abitanti). «Ma noi, precisamente, che ci andremmo a fare? Andiamo a trovare i parenti di Lilin?». «Capisco che non sia proprio nella top 10 delle destinazioni Lonely Planet per l’estate, ma ti assicuro che potrebbe venir fuori qualcosa di interessante. Soprattutto grazie a te, Martina». «Mi date in pegno alla dogana?». «Poter comunicare in russo renderà tutto una passeggiata. A maggio abbiamo provato più volte con l’inglese, ma non lo masticano granché».

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