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Massimo Ranieri, di Isabella Michela Affinito, pag

MASSIMO RANIERI

TUTTI I SOGNI ANCORA IN VOLO

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di Isabella Michela Affinito

C’era proprio bisogno di rendere edita l’autobiografia di Giovanni Calone alias Massimo Ranieri, per noi pubblico che volevamo sapere come ha fatto a diventare i ‘tantissimi’ Massimo Ranieri che conosciamo da oltre mezzo secolo.

Giovanni detto Gianni nella cerchia della sua numerosa famiglia e tra gli amici, è stato dapprincipio una persona che s’è data da fare prestissimo, già a sette anni era a ‘faticare’ per contribuire alla sussistenza della famiglia composta da otto figli, la madre casalinga e il padre, Umberto Calone, classe 1917, operaio all’Italsider di Napoli con la paga di venticinquemila lire al mese, straordinari compresi (tredici euro di oggi), proveniva dal serraglio poiché orfano di guerra che aveva denunciato per violenza il compagno di sua madre e aveva imparato da solo a suonare la tromba, duettò con la voce insieme al figlio Gianni nelle canzoni in vernacolo Simmo ’e Napule paisa’ e Funiculì funiculà.

A distanza di vari decenni da quella vita di ragazzino, adolescente trascorsa perlopiù fuori casa per espletare più mestieri possibili nell’arco della stessa giornata e, poi, ritornare a casa a notte fonda per trovare il piatto col cibo «[…] sotto il materasso, il miglior modo per tenere la cena “in caldo” in una casa senza riscaldamento né acqua calda» (pag. 24), ebbene, il cantante attore di cinema e di teatro ballerino funambolo regista mattatore partenopeo, Massimo Ranieri, ha ricostruito ‘scena dopo scena’ il suo rocambolesco vissuto alfine di chiarire i suoi innumerevoli “volti”, le sue giustificate “rughe”, le sue ininterrotte “corse” per arrivare dove ancora non ha posto alcun traguardo perché ha Tutti i sogni ancora in volo (da una frase tratta dal testo della sua canzone vincitrice del primo premio al Festival di Sanremo del 1988, Perdere l’amore). Abitava all’ultimo piano di uno stabile posto sul contrafforte di tufo del quartiere Pallonetto di Santa Lucia a Napoli, così in alto da non udire i rumori della strada, intrecci di grida d’ambulanti, bambini, donne che andavano a fare la spesa, negozianti e qualche volta faceva la sua comparsa il mitico ’O pazzariello: «[…] Lo interpretò anche Totò, nell’Oro di Napoli. Negli anni Cinquanta i pazzarielli erano artisti di strada dediti all’antica e sublime arte di arrangiarsi, che prendevano cinquanta o cento lire per annunciare nel quartiere l’apertura di una nuova bottega.» (Pag. 26).

Nel mentre svolgeva freneticamente i modesti lavori di garzone d’un vinaio, di bar, di guardamacchine, di una bottega di frutta e verdura, persino spazzino improvvisato, etc, cantava e si era sparsa la voce che c’era un ragazzo che consegnava la merce a domicilio ed elargiva al cliente l’audizione di un paio di brani musicali, che gli facevano mettere in

tasca dieci, venti, a volte addirittura cinquanta lire di mancia!

La madre, detta “la carabiniera”, Giuseppina Amabile, non approvava di vedere, il suo secondogenito figlio maschio, Gianni nelle vesti di cantante, lo preferiva nel ruolo di chi percepisce la paga del posto fisso e non si convinse nemmeno quando lui, di appena dodici anni nel 1963, portò a casa, tramite suo padre che l’aveva accompagnato alla galleria Umberto I per incontrare i discografici della Zeus, ben duecento mila lire in banconote da dieci una sull’altra (mai viste prima d’allora soprattutto dal padre, a cui tremarono le ginocchia fino al ritorno a casa), che servirono per fare la dote alla sorella Titina che andava in sposa. «[…] Come mi piace dire: mia madre ha messo al mondo Giovanni Calone, ma è stato mio padre a far nascere Massimo Ranieri.» (Pag. 65).

Da allora in poi Gianni Rock si ritrovò risucchiato dal vortice della musica italiana chiamato persino in America a fare da valletto al grande Sergio Bruni e attraversò da solo l’oceano a bordo della Cristoforo Colombo, con la fobia amplificata per la distesa marina (all’epoca non sapeva nuotare) che era oceano debordante il cui ricordo a tutt’oggi lo spaventa e di cui ha fatto qualche accenno nella sua nuova canzone, vincitrice del Premio della Critica “Mia Martini”, con la quale è tornato a Sanremo nel 2022, Lettera di là dal mare, in omaggio agli emigranti di tutti i tempi.

Nel libro, Massimo Ranieri regala uno spaccato della sua personalità rilucente sotto il Segno zodiacale, femminile di Terra governato da Venere, del Toro: lavoratore infaticabile, moralmente onesto, incline ai legami duraturi di qualsiasi genere, caparbio, adatto ai lavori manuali e artistici, amante delle tradizioni e del consolidamento d’una ragguardevole posizione sociale. «[…] Sono un po’ orso, non amo la vita mondana. Fratelli, sorelle, nipoti e pronipoti abitano tutti a Napoli. Ho pochi amici carissimi con cui parlo di cinema, di sport, a volte improvvisiamo una partita a poker. Ma la mia casa vera è sempre stata il palco: dall’altra parte non ho mai imparato a stare. Mi piacerebbe averlo fatto.» (Pag. 144).

Ad un certo punto, giovanissimo all’età di appena ventiquattro anni, Massimo Ranieri decise di non cantare più per non venire ‘schiacciato’ dagli ingranaggi della potente macchina organizzativa musicale e perché avvertì prepotentemente dentro di sé la necessità di acculturarsi, così da colmare le profonde lacune dovute alla sua scarsa istruzione. Doveva e volle sterzare per immettersi sulla strada della recitazione teatrale e cinematografica, aveva già interpretato un ruolo da protagonista nel film Metello (1970) del regista Mauro Bolognini, pellicola che vinse il David di Donatello e il Nastro d’argento, e ai due protagonisti, Ottavia Piccolo e Massimo Ranieri, andò il Globo d’oro altri David di Donatello e un altro Nastro d’argento come migliore attrice. «[…] Anche Patroni Griffi aveva la testa molto dura. Nessuno credeva che avrei potuto recitare, men che meno in sei ruoli diversi. “Ma questo è un ragazzino!” gli dicevano. “Non ha mai fatto teatro!” Lui però era sicuro: “Può farlo” ripeteva senza sosta. “So che lui può farlo.”. Debuttammo il 3 luglio 1975. In prima fila sedevano Giorgio De Lullo e Romolo Valli, i direttori artistici del Festival di Spoleto. Lo spettacolo fu un successo immenso. Peppino aveva fatto un lavoro sublime, che portammo in giro per due anni.» (Pagg. 99-100).

Dopo l’educativa esperienza teatrale nella nuova compagnia dei giovani, seguì un’inaspettata telefonata da parte del braccio destro di Giorgio Strehler di Milano e Ranieri si trovò catapultato nel top dell’universo teatrale del Maestro Strehler, nonostante la sua non ancora perfezionata preparazione in campo recitativo – ad esempio, non aveva letto nulla di Bertolt Brecht (iniziò studiando medicina e divenne poeta e drammaturgo, tedesco, 1898-1956) , che fu il maestro di Giorgio Strehler.

Quel semplice (e rimasto innanzitutto sé stesso) ragazzo tuttofare partito minorenne

dalla sua Napoli aveva percorso moltissima non-facile strada, imboccato diverse strade ed era diventato un abile esperto dell’arte di mostrarsi al grande pubblico in sorprendenti versioni plurime. «[…] A essere “doppio”, per così dire, sono abituato da quando ho accettato di cambiare nome. Sono come il dottor Jekyll e mister Hyde: l’uomo ha bisogno dell’artista, ma l’artista non esisterebbe senza l’uomo. Massimo è di Giovanni la longa manus, ha reso reali i suoi sogni di ragazzino. Ma è Giovanni la forza vitale, è da lui che vengono il coraggio, l’energia e, soprattutto, l’entusiasmo e l’amore per questo mestiere. Spesso i due si tengono per mano; a volte, come è normale che sia, si mandano a quel paese; sempre, però, dialogano, e hanno più punti in comune che differenze. Hanno la stessa passione e a questa passione hanno votato la loro vita.» (Pagg. 138-139).

Isabella Michela Affinito

Massimo Ranieri: TUTTI I SOGNI ANCORA IN VOLO, Rizzoli da Mondadori Libri S.p.A. Milano, Anno 2021, Euro 18,00, pagg. 203.

Er cagnolo stracco

Da tant’anni un cagnolo spelacchiato sta a sede davanti a un magazzino. Nun core più, perché j’amanca er fiato e s’appennica sopra lo storino.

Ner vedello così spaparacchiato, aripenzo a quann’era riccettino che baccajava come ‘n esartato. E mo, puro si passa un regazzino,

coll’occhi je sta a dì: “Me sò ammuffito; nun me va de fa festa, pupo bello! Me vojo ariposà. Fai l’impunito

e scherzi perché ancora sei pischello; ‘na vorta me svejavo ingalluzzito e mo sò stracco puro cor cervello!”

Elisabetta Di Iaconi

Roma

REGALATEVI E REGALATE UNA SANA LETTURA

Sono ventuno, che si leggono come brevissimi romanzi. (…) Questi racconti invero avvincono per le istanze sociali, per l’aperto autobiografismo, per il ricorso alla figura retorica della metafora e per la frequente beltà delle (…) terre che nutrono ulivi, aranceti ed altri alberi della Calabria. (…) la descrizione dell’autore è cruda e nuda (…) Un pezzo di storia tragica (…) “La banda tedesca” che non può non far riflettere sulla guerra che ancora imperversa nel nostro pianeta.

Sebastiano Saglimbeni

Su: Nuovo Soldo, 1 Aprile 2022 e sul blog Posted by Ecopolisanpi, del 2 aprile 2022

Il libro, edito dalla Genesi di Torino, è in libreria, ma può essere acquistato anche su Internet

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