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Sonia Giovannetti: Pharmakon, di Marina Caracciolo, pag

SONIA GIOVANNETTI PHARMAKON

di Marina Caracciolo

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TUTTO comincia con una vox media: φάρμακον. Balsamo e droga insieme, come i veleni dei serpenti, che in certe dosi sono curativi ma in altre letali. Come la digitalis purpurea o l’atropa belladonna o altre piante medicinali che possono curare come anche portare alla morte. Un duplice aspetto, quello del phármakon, che rimanda alla complessità della vita e delle cose, alludendo ad un tempo alla loro complementare contraddittorietà. Un elemento bifronte che partecipa in egual modo del bene come del male, raffigurando ciò che è gradevole ma anche il suo contrario. E nell’uno e nell’altro dei suoi due volti risulta senza dubbio seducente perché trascina, perché induce ad uscire dai percorsi abituali e apre la strada al sortilegio, alla magia. E quale maggior magia, quale più grande sortilegio della poesia, che è una misteriosa congerie di dolceamari pensieri, sensazioni, sogni, incanti, memorie, intuizioni!

Tutto ciò si ritrova puntulamente in questo nuovo, bellissimo libro di versi di Sonia Giovannetti. La poesia può curare perché porta ad accettare, proprio nel momento in cui lo afferma, il male del mondo, riuscendo ad esorcizzarlo pur senza mai poterlo eliminare del tutto. «Il dolore che il poeta prova – scrive la poetessa nella sua presentazione – quando, in esito al suo travaglio, arriva a nominare le cose è infatti spesso anche il segno e la condizione della sua guarigione: come ogni pharmakon, anche la parola è dunque, in qualche modo, antidoto di se stessa». Di quanti travagli sono densi questi versi! Il dolore della guerra, l’orrore mai dimenticato dell’Olocausto, il disagio dell’emigrazione, un amore che abbandona, drammatici enigmi rimasti irrisolti, speranze deluse, un’epidemia che terrorizza e allontana gli uomini dai loro simili, la nostalgia della giovinezza e delle sue gioie incontaminate, i quesiti esistenziali che urgono ma non trovano mai risposte certe. Ogni aspetto qui si fonde e si intreccia ad un altro, senza strappi né visibili suture, con un’impronta lirica sempre vellutata, leggera e piana, avvolta in una malinconica serenità che si tramuta nel naturale esito di un’aristocratica finezza espressiva. È come se il pensiero poetante dell’autrice fosse un crogiuolo, anzi una conca sotterranea colma di riflessioni, impressioni e ricordi, che tuttavia, pur nella sua profondità, non è mai oscura, perché c’è un raggio che vi penetra e la rischiara: è un anelito costante, che definirei luminoso, verso un approdo, una salda sponda che possa donare certezze e quiete; un punto d’appoggio nel faticoso itinerario del viandante, del Wanderer che procede instancabile, sempre cercando di accostarsi a quel dove irraggiungibile (Quel dove che tutto contiene / nella diversità dell’essere), proprio perché in quella tenace brama, in quell’incessante proseguire reclamando squarci di libertà sta il senso vero dell’esistenza. Il lessico poetico, cosparso di parole come mare, fiume, foce, vento, sentiero, stelle, onde, scoglio, voli, vela, ha appunto il fascino possente di un “fatale andare” mirando sempre oltre, in

lontananza, con la volontà di superare d’un volo proteso e fiero le barriere contingenti, lasciandosi turbare e insieme attrarre dall’arcano divenire delle cose e dalla straordinarietà del tutto. Visioni di cose incerte, sospese, ardue da decifrare, che trovano autentica espressione lirica in versi come: Lo sguardo si sposta lento / sull’azzurro del mare. / Distesa lucente appare e abisso / infinito – nel suo lato oscuro. / Proprio come te, vita che mi attraversi, / col mistero dell’inizio e della fine. / Inondi i miei giorni, sei moto, / trasformazione, perfino invito / al non essere quando mi attiri nel nulla. Una poesia eminentemente filosofica, quella di Sonia Giovannetti, e tuttavia colma assai più di immagini che di concetti, affabile e moderna eppure in certo qual modo anche romantica e classica. E proprio in un voluto ritorno alla classicità, al piacere di un’armonia antica, si conclude questa raccolta – con la sezione finale intitolata Pillole vitaminiche (in rima) –, dove la poetessa si compiace di fare eco ai poeti del Dolce Stil Novo ma più ancora, forse, alle petrarchiste del Cinquecento come Veronica Gambara o Gaspara Stampa o Isabella di Morra. Un’incantevole “civetteria”, come di chi si guardi allo specchio con indosso un costume d’altri tempi scoprendo in un sorriso che in fondo gli sta a pennello... Oppure esercizi di bravura, come li intende Sandro Gros-Pietro nella sua prefazione. O forse anche un sottinteso affermare che la Poesia è inossidabile, universale e non bada a mode, ad epoche, a rime o metri. È sempre un’espressione sublime che si sprigiona da un animo che la detta, indipendentemente dalle diverse incastellature in cui la forma può costringerla. Non un accessorio che cambia a seconda dei tempi e dei luoghi, ma qualcosa di fondamentale, in qualunque veste si presenti: sempre un vero e proprio farmaco, dunque, che alimenta e cura lo spirito di chi la scrive ma non di meno quello di coloro che la leggeranno.

Marina Caracciolo

PHARMAKON di Sonia Giovannetti (Genesi Editrice, Torino 2021; pp. 89, 11,00)

REGALATEVI E REGALATE UNA SANA LETTURA

…ventuno racconti che si svolgono all’interno (…) della sofferenza umana. È la sensazione di soffocamento che induce a un senso di angoscia (…) che nasce dopo aver compiuto un’azione sbagliata, a cui si è stati costretti (…) Il tema del soffocamento (…) quando non riesce a risolversi, come avviene in alcuni racconti, sfocia nella tragedia. Ad esempio, in Una lettera di addio (…) le vicende sono positive poiché l’uomo ama veramente la sua donna (…) Il protagonista non vuole far soffrire nessuno, preferisce morire piuttosto (…) l’amore è libertà non femminicidio.

Manuela Mazzola

In Nuova Antologia, gennaio-marzo 2022

Il libro, edito dalla Genesi di Torino, è in libreria, ma può essere acquistato anche su Internet

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