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Peppino Mazzoleni, di Giuseppe Leone, pag

PEPPINO MAZZOLENI Una vita tra musica e pittura

di Giuseppe Leone

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CON una presentazione dell’amico Beppe Marelli, che invita i lettori a leggere il libro, motivandone le ragioni attraverso una nota dell’autore: “Voglio lasciare ai miei concittadini lecchesi un mio ricordo storico, non solo artistico. I miei quadri potranno sempre vederli ed apprezzarli, le mie musiche potranno sempre ascoltarle e suonarle, ma mi piacerebbe che la città di Lecco si ricordasse di me anche per il mio contributo umano e sociale che ho dato fin dalla mia infanzia e gioventù” (3), Giuseppe Mazzoleni, pittore e musicista, più noto e conosciuto in città con il diminutivo di Peppino, ha pubblicato, nel 2020, I ricordi personali della mia vita, a cura e impaginazione grafica dello stesso Marelli. Un volume nel quale recupera i momenti più significativi della sua vita trascorsa a Lecco sin dalla prima infanzia, dove si era trasferito, ancora in tenera età, dalla nativa Calolziocorte, con la famiglia, e dove rimarrà fino agli anni della maturità, eleggendola, in seguito, a sede di affetti e di lavoro.

Nato tra le due guerre, nel 1929, non molto a ridosso dalla conclusione della prima e non molto lontano dalla successiva, Peppino ricorderà -a novant’anni compiuti, e per la cronaca anche festeggiati nella splendida cornice di Villa Sironi a Oggiono, circondato dall’amore di Paola e della figlia Loredana nonché dall’affetto e gratitudine di numerosi estimatori, amici e amiche, - i lunghissimi anni trascorsi nella cittadina lariana proprio a partire dagli

anni dell'infanzia, vissuti all’insegna del fascismo e dei patti lateranensi.

“Praticamente – scrive - l’ambiente era quello che era. Tutto era fascista, tutto conforme a quello che diceva il Duce (11); oppure, “mi ricordo che quando andavamo a scuola all’inizio ci facevano dire l’Avemaria, poi ci facevano bere l’olio di merluzzo (era d’obbligo!), dicevano che i balilla dovevano essere forti”, … ci facevano marciare e poi ci portavano in un posto dove c’erano delle armi e ci davano dei fuciletti, dei piccoli fucili, mi ricordo che eravamo obbligati a fare degli esercizi di tiro con questi fucili. Io però ero sempre stato contrario a questa disciplina” (11).

Sono anni, questi, che Peppino descriverà con esemplare sobrietà e misura, non caricando mai il suo racconto né di retorica fascista né di epopea partigiana: “Si andava a scuola il pomeriggio del sabato che era dedicato al fascio di Benito Mussolini. Vorrei anche ricordare che quando si entrava in aula e nei banchi, dovevamo alzarci in piedi, alzare il braccio destro e gridare “viva il Duce” (12); “Io ero a tavola coi miei genitori … A un certo momento sono arrivati in casa nostra questi fascisti, hanno preso mio fratello e l’hanno portato via …” (14); “Mio fratello era un po’ di sinistra, e non aveva mai voluto sottostare a questo regime e quindi era andato a fare il partigiano in Erna” (13); “Fu in quel tragitto che vedemmo due aerei inglesi sfrecciare … e colpire con parecchie bombe lo stabilimento della Fiocchi munizioni” (17).

Il fatto che Peppino racconti ogni cosa con semplicità e schiettezza non significa che banalizzi il male. Per lui, anche se il fascismo rimane sempre il male assoluto, la violenza che proviene da chi non è fascista non è meno riprovevole. Almeno così fa pensarequando parla di esecuzioni di partigiani ai danni dei fascisti e di bombardamenti su Lecco e dintorni da parte degli alleati anglo-americani (17-18).

Né banalizza il bene quando passa a parlare della pace pubblica e privata, dei luoghi dove ha trascorso fra suoni e colori i momenti piacevoli e sereni della sua vita: la Casa Matta, dove si riunivano i pittori amici: da Orlando Sora, a Gianni Secomandi, a Beppe Gilardi (39); la caserma vicino alla Canottieri, dove teneva i suoi concerti con l’orchestra Azalea; le scuole medie ed elementari dove istruiva i ragazzi nella musica; il Tubercolosario e la Casa del Cieco di Civate, che allietava con le sue note musicali.

Anche in questo caso, sempre a proposito del bene, Peppino lo descrive, non perdendo mai di vista la sua contrapposizione al male: “dopo di allora, negli anni che seguirono, tutto in me era parso di cambiare, perché la vita e la società senza oscuramenti, libere da dittature, e con nuove speranze, proponevano nuovi orizzonti ed un futuro a me sconosciuto ma oltremodo affascinante” (5).

Quello che colpisce, allora, sfogliando le 140 pagine di questo saggio e racconto insieme, nonché catalogo, almeno a giudicare dalle foto che ritraggono Peppino con il presentatore televisivo Corrado, il maestro Camillucci, Giorgio Gaslini, il maestro e amico

Francesco Sacchi, il soprano Daniela De Francesco, il trio Turba, i giornalisti Germano Campione e Aloisio Bonfanti, il maestro Alberto Minonzio, il paroliere Walter Orsati, tanto per citarne alcune, è la meraviglia con cui si sofferma a commentarle, sempre “coerente di una pacata ma concreta soddisfazione” (4); in altri termini, di quell’inguaribile ottimismo che, in ogni istante, ha soffiato sulla sua vita estetica e civile.

Peppino, scrivendo questo libro, pur in un’età così venerabile, non incappa mai in stati d’animo malinconici; e per una ragione molto

semplice: a lui, non interessa ricercare o sapere ciò che è diventato, di volta in volta, in tutto questo tempo, ciò che ha acquistato e ciò a cui ha dovuto rinunciare. Ma gli preme avere rassicurazioni intorno all’“essere”, a ciò che è sopravvissuto ad ogni cambio di stagione e che ha permesso al suo io di non sbriciolarsi davanti alle derive della realtà.

E questo è quanto gli sta più a cuore, dipingere, questa volta senza pennelli, un ritratto che li riunisca tutti, pubblico e privato a un tempo, che, mentre da una parte narra le vicende della sua vita personale, dall’altra ne descrive scene di vita culturale lecchese. Ammesso che non sia facile, per certi aspetti, separare le vicende private di Peppino da quelle pubbliche della cittadina lariana. Perché dei moltissimi eventi che hanno caratterizzato la vita cittadina, egli è stato tra coloro che li ha ispirati: ora, con le sue personali di pittura, ora, con i suoi sodalizi artistici con poeti e altri musicisti e artisti, pittori come lui, ora, coi suoi innumerevoli concerti.

Tutti eventi che il Nostro, dagli anni dell’infanzia trascorsi all’ombra del fascismo,

agli anni della giovinezza e della maturità, vissuti nel segno della democrazia e dell’antifascismo, ha sempre potuto e saputo onorare, grazie a una creatività longeva e generosa che dura ancora, come si evince da questo suo ulteriore omaggio letterario a se stesso e alla città di Lecco, che va ad aggiungersi a un medagliere di per sé già onusto di riconoscimenti e premi. Grazie Peppino!

Giuseppe Leone

Peppino Mazzoleni, I ricordi personali della mia vita. Impaginazione grafica di Beppe Marelli, 2020. Pp. 140.

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