a Domenico
Ciro Maddaluno
a cura di Nunzio Giustozzi Daniela Simoni
Ciro Maddaluno
FERMO Villa Vitali 20 luglio_12 agosto 2012 Le Bagnanti
Gesti scritture, 1980
MONTE VIDON CORRADO Centro Studi Osvaldo Licini (pgc) 4 agosto_2 settembre 2012 Il Paesaggio
PORTO SANT’ELPIDIO Villa Baruchello 15_29 settembre 2012 Il Ritratto
con il patrocinio di
Mostra e catalogo a cura di Nunzio Giustozzi Daniela Simoni
PROVINCIA DI FERMO
Saggi Gennaro Avano Nunzio Giustozzi Daniela Simoni Sabrina Vallesi
CITTÀ DI FERMO
Poesie Alessandro Catà Francesco Scarabicchi
COMUNE DI PORTO SANT’ELPIDIO
COMUNE DI MONTE VIDON CORRADO
© 2013 Ciro Maddaluno - Tutti i diritti riservati
Progetto grafico e impaginazione Monica Simoni Catalogo edito dalla casa editrice Edizioni Ephemeria Macerata Stampa Fast Edit srl Acquaviva Picena (AP)
con il sostegno di
con la collaborazione di
Ciro Maddaluno
SOMMARIO
Introduzione 13 LE BAGNANTI 21 Inserire le cose nel mondo Nunzio Giustozzi
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340 41 IL PAESAGGIO 53 Il paesaggio interiore 55 Gennaro Avano Il paesaggio come idea in fieri Daniela Simoni
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IL RITRATTO 81 Il ritratto: riflessione su arte e realtĂ Daniela Simoni
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Suono e segno, incontro e confronto Sabrina Vallesi
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Biografia
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Esposizioni
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Senza titolo, 1978
Non sa di sé la luce che si posa sui nomi delle cose, se le sfiora per un addio d’eterna spesa muta. Nel bagliore del vero è un’apparenza la piccola realtà che le somiglia. Imita il gesto che nessuno vede, lo sceglie nel silenzio delle forme, voce dell’ombra che si fa discreta. Dove si ferma il vento è la misura dell’aria che s’accosta ad ospitare l’orlo di pietra, quella fune, il suono delle parole che ardono nascoste, juta rappresa e madre al chiuso specchio, lo stelo di favilla, gabbia e graffio, il dono della musica che strazia, un numero che scivola, alfabeto, rete di trama, luna d’oro e niente. Che sa di sé la luce che si ferma a contemplare il buio che la invade? Nulla del mondo che si fa d’attorno, siepe di scene, stanze, tende, vele, bianco del senso, scia, onda che muta. Il fiore che si ostina aperto al cielo ad un di più di chiaro si congeda, se la beltà del fuoco lo rapisce, nel tumulto dei segni, nella cura di calchi e tavole, di nodi e tele immote. C’è un sonno grato all’eterno risveglio, come il gelo al torrido sole, come la polvere, certa del futuro.
Francesco Scarabicchi
[…] come una facella messa all’aria inquieta che ondeggia Giacomo Leopardi
INTRODUZIONE
L’arte per Ciro Maddaluno è un’esperienza totalizzante, coincide con il suo essere nel mondo, indaga la complessità del fenomeno artistico, le leggi che regolano il microcosmo dell’opera, metafora della realtà, sia essa un’incisione, uno schizzo o un dipinto, una scultura o un’installazione. La matrice concettuale della sua ricerca focalizza l’attenzione sul tema del limite inteso come sottile confine tra azione e rappresentazione, tra creazione e fruizione; il luogo dell’opera viene misurato, interiorizzato, sfondato attraverso inedite prospettive, frammentato da riflessi di specchi, deformato da anamorfosi. Numi tutelari per Maddaluno sono stati fin dagli esordi Cézanne e Matisse: il fil rouge che lega tutte le sue esperienze artistiche è la “sensibilità della forma” come esito di una intensa, profonda elaborazione del dato reale. Pietra, marmo, bronzo, acciaio, vetro, legno, corda: la materia viene forgiata esaltandone i valori espressivi, secondo criteri di ritmo e modularità, conseguendo una “mirabile sintesi”. Questo libro documenta il progetto espositivo attivato nel corso dell’estate 2012 nel territorio fermano e articolato in tre sedi, ciascuna dedicata ad uno dei generi o temi della tradizione artistica rivisitati da Maddaluno. Nella mostra di Villa Vitali a Fermo è stata esposta per la prima volta l’installazione “Le bagnanti” di ispirazione evidentemente cézanniana, dedicata allo studio del rapporto tra corpo umano e natura, al concetto di luogo dell’opera inteso come “altrove”. Nell’esposizione al Centro Studi Osvaldo Licini di Monte Vidon Corrado il genere approfondito è stato “Il paesaggio”, interpretato non come spazio naturale ma come luogo mentale, sintetizzato in volumi di purezza pierfrancescana.
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La natura morta, 1994
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A Villa Baruchello, nella mostra tenutasi nel contesto della rassegna “Settembre Incontri” di Porto Sant’Elpidio il tema portante è stato quello del “Ritratto”, riflessione di ampio respiro sul mutamento dell’estetica artistica nel tempo, dalla mimesi greca alla rappresentazione prospettica rinascimentale, all’astrazione novecentesca. Ne è scaturita un’antologica che attraversa cinque decenni di attività artistica caratterizzata da un’incredibile, rabdomantica, inesauribile capacità di comprendere a fondo la contemporaneità e di anticipare i tempi. Il racconto delle tre mostre si compone attraverso i testi critici dei curatori Nunzio Giustozzi e Daniela Simoni, di Gennaro Avano e di Sabrina Vallesi ma soprattutto grazie alle intense, incisive fotografie scattate da Daniele Maurizi nel corso dell’allestimento: immagini che colgono l’artista durante l’atto creativo, che svelano l’epifania dell’opera d’arte o che ne fissano in modo mirabile la “parvenza”. Anche Claudio Marcozzi è presente in catalogo con due suggestivi scatti. Illuminanti sono le poesie di Alessandro Catà e Francesco Scarabicchi dedicate all’arte di Maddaluno. Coerentemente con la sua concezione artistica legata alla fusione delle arti il catalogo comprende dunque diversi linguaggi: quello concettuale delle sue opere, la fotografia, la poesia, la musica.
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Luce (dall’installazione “Ierofania”), 1988
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Fermo Villa Vitali
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INSERIRE LE COSE NEL MONDO Nunzio Giustozzi Non è necessario che un’opera abbia molti elementi da osservare, confrontare, analizzare uno per uno. Ciò che conta è la cosa nel suo insieme, con le sue caratteristiche. Le cose più importanti sono sole, e sono più intense, chiare e potenti. Donald Judd, Specific Objects, 1965
A proposito del luogo dell’opera, in un bel libro del 1986 dal titolo emblematico Il quadro che mi manca, Giorgio Soavi racconta dell’incontro di Beckett e Giacometti nell’allestimento parigino di Aspettando Godot. “Ci doveva essere solo un albero. Un albero e la luna. Siamo stati lì tutta la notte, con quell’albero di gesso, a togliere, ad abbassare, a fare i rami più sottili. Non andava mai bene, per nessuno dei due. E uno diceva sempre all’altro: ‘Forse’. Passa il tempo. Nessuno in sala, o sul palcoscenico, osa fiatare. Quando Giacometti si alza, ha deciso. Attraversa il teatro, sale su un praticabile e guardando da vicino il proprio albero comincia a togliere un rametto dopo l’altro. Ogni tanto si ferma e grida a Beckett, seduto laggiù nel buio della sala: Giacometti - ‘Adesso va meglio, no?’ Beckett - ‘È perfetto. Adesso va proprio bene.’ Giacometti - ‘Un momento ancora. Aspetta... E così?’ Beckett - ‘Be’, così è perfetto.’ Giacometti - ‘Aspetta... Ecco.’ Quando Giacometti fu soddisfatto, dell’albero era rimasto solo l’esile tronco. Dalla platea, dove i due si ritrovarono a fumare insieme, si vedeva una sola cosa striminzita e storta, una specie di niente della natura che a loro sembrò l’ideale”. Il dialogo asciutto tra i due maestri del Novecento sembra evocare il processo che ha condotto Ciro Maddaluno alla moderna ricerca dell’essenziale, a una progressiva sottrazione dei segni per cui il levare e il restituire all’invisibile diventano un’esigenza pressante, in una società piena di artifici, di realtà effimere, di semeiotiche multiple. Si tratta di una scelta etica dettata dall’horror pleni, da un disdoro della saturazione contemporanea che non coinvolge solo le forme e i contenuti concettuali dell’opera ma la sua stessa esistenza materiale. L’ispirazione si invera al confronto con un uomo di un altro secolo, modesto, semplice, e tuttavia capace di opere destinate a sconvolgere il corso dell’arte. Ciro Maddaluno condivide da una vita con Cézanne l’impulso ossessivo che occupa lo spirito e il desiderio della creazione e individua nelle variazioni su motivi simili la possibilità di scoprire evoluzioni, rimandi e riflessi al fine di cogliere quell’armonia tra numerosi rapporti che è il fine ultimo della sua poetica.
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Le bagnanti, 1979
Nell’ardimento delle Bagnanti, in una sola immagine il pittore del silenzio racchiudeva le volontà architettoniche di struttura con le sensazioni di luce e di colore, l’abbandono dell’emozione con la regola del pensiero, l’acutezza limpida dell’occhio con la complicazione oscura del cervello. Come per il maestro provenzale “Bagnanti” diventava una dizione convenzionale, quasi una copertura per significare figure nel paesaggio, l’unione, e possibilmente la fusione, tra due entità primarie, uomo e natura, così per Maddaluno, parallelamente, ha senso dar forma al valore originario, cosmico del nudo cambiando il tempo, opponendo la durata dell’immanenza alla fugacità dell’impressione. Per arrivare a questo punto Cézanne ha dovuto distruggere il linguaggio; deformare lo spazio; costruire volumi indifferenziati di tronchi, rami, braccia, gambe; far riflettere il verde sui ventri e l’incarnato sui prati; avvolgere ogni cosa in un’aria che circola e gira attorno ai corpi, si insinua tra le fronde, si perde nelle lontananze; rendere tutto vibrante e tutto immobile, come leggiamo negli scritti di Roberto Tassi. Sotto un cielo nuvoloso graffiato sulla superficie grezza delle pareti di Villa Vitali, le moderne, ermetiche Bagnanti di Maddaluno, quali tralicci scomposti, assumono un aggetto ambientale che immerge il riguardante in una totalità epifanica. Elementi in vetro, in parte specchiato, in parte trasparente, formano l’onda piatta, qualche metro quadrato di mare, di lago o di fiume, dolce o salato, su cui versano “leggeri” tubolari di metallo come semplici veicoli luminosi e dinamici, cavità spaziali in una natura artificiale. Si respira anche un’atmosfera di raccoglimento nell’impossibile quiete, cadenzata e irretita com’è in geometrie quadre capaci di evocare, nello specchio/riflesso, una frantumazione dell’immagine di matrice picassiana. In questa installazione Maddaluno va dunque oltre ogni portato del Minimalismo nell’ambito del quale le opere, prodotte a livello industriale o realizzate da operai specializzati in base alle istruzioni dell’artista, non alludevano a nient’altro che alla loro presenza concreta o alla loro esistenza nel mondo fisico. Altre volte l’autore sembra invece condividerne i fondamenti per superarli: la prevalenza della scultura in genere costituita da forme geometriche singole, variate, ripetute e scomposte in una sequenza modulare più o meno bilanciata; l’esclusione del superfluo nella riduzione estetica oggettuale; il rifiuto del piedistallo dell’arte antica tanto che il solido cubo diventa esso stesso parte della creazione; la posa delle opere direttamente a terra o a muro in
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installazioni che mostrano l’area espositiva come un luogo reale, rendendo il pubblico consapevole del suo movimento attraverso uno spazio specifico. Così nella limonaia di Villa Baruchello stele totemiche fatte di bronzo, marmo, pietra, gesso e disposte con un ritmo modulare invitano il riguardante a inusuali esperienze percettive, ponendosi in stretta relazione con l’ambiente che le accoglie, in un dialogo ulteriore tra artefatto e natura, e presentando, pur nell’omogeneità della forma, una gamma espressiva di caratteristiche cromatiche, luministiche, tattili, plastiche differenti non solo in superficie. Lo scopo di questo processo risiede forse nell’affermazione di una ritrovata soggettività al di là di ogni visione contemplativa, verso un dissimile, più complesso, individuale - ma anche perché no collettivo - godimento estetico in aggiunta all’impatto immediato, per riuscire a cogliere un più alto ordine ideale nella radicalizzazione delle modalità rappresentative. Per un recupero dell’artigianalità del fare artistico nell’accurata scelta dei materiali che nel loro colore e nella loro sostanza tornano a essere referenziali di sensazioni profonde secondo le loro proprietà naturali, svelandone la più intima costruzione organica e simbolica. Anche i paesaggi di Ciro Maddaluno lasciano respirare la natura ricreata recuperando spazi al vuoto e al silenzio, favorendo l’attitudine alla contemplazione non solo di ciò che c’è ma anche di ciò che manca o che in un’altra combinazione di spazio e di tempo potrebbe darsi; si riappropriano del sostrato mitico, dei segni simbolici, della profondità storica del loro essere territorio-tempo oltre che territorio-spazio. L’arte paesistica di Ciro Maddaluno nel campo delle forze latenti vuole costruire con i vuoti come con i pieni, il visibile e l’invisibile, in cui il levare deve essere inteso in termini musicali coincidendo con il tempo debole della battuta che anticipa o segue il battere in un gesto ad animare il ritmo di un’opera. Il gesto è sempre alla base della ricca e più recente produzione grafica dell’artista. Il disegno in Ciro Maddaluno va inteso in un duplice significato: come segno in sé e come progetto, prefigurazione concettuale in una dinamica pro-creativa con una valenza che le carte mantengono intrinsecamente e per il concepimento dell’opera. Il disegno ne è l’anima perché ne determina la misura, un po’ come il montaggio nel cinema. “L’inquadratura è un battito di palpebra, il montaggio è il battito del cuore” affermava Godard. È ciò che dà vita, cadenza e struttura all’immagine.
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Per Maddaluno il disegno è innanzitutto un incessante dialogo che l’artista attiva con se stesso, risponde al suo bisogno di materializzare subito un pensiero in ogni situazione, dandogli una forma nella concretezza, verificandone più volte la consistenza. Il primo atto che si desidera compiere è mettere l’idea sulla carta, perché si appalesi attraverso il segno in un’intensa immediatezza che si carica di energia straordinaria, e per creare le atmosfere in cui si deve immergere. Il disegno non diventa così mai eccessivamente illustrativo a scapito della sua densità inventiva. È lo strumento che serve a materializzare l’idea e il suo contesto, deve possedere la capacità di prefigurare il luogo dell’opera che si deve poi ritrovare in un progetto anche molto grande come un’installazione, un’architettura prima di giovarsi felicemente della modellazione virtuale. Il dialogo tra il pensiero che si forma e il segno che si materializza sul foglio scaturisce spontaneamente, frutto dell’intelligenza che si trasferisce dalla dimensione razionale a quella intuitiva e precipita nella mano, creando un rapporto diretto, dove intervengono lo sbaglio, la riconfigurazione, l’aggiustamento, il coinvolgimento dello spazio. Ecco il vantaggio del disegno a mano rispetto alla grafica digitale: è l’immediatezza tra pensiero e mano che interpreta, la capacità di trasformare il segno e il colore in vibrazione musicale, scrittura, profumo. Implica la tolleranza e persino lo sfruttamento dell’errore, di cui si conservano le tracce, che a loro volta divengono parte del risultato finale. Per il suo carattere sorgivo, il disegno, come la grafia, è tra i più affidabili rivelatori dell’identità di un artista e di un uomo: non c’è niente che testimoni in modo così netto la singolarità dell’essere. È ciò che ci distingue, come una sorta di “impronta digitale” involontaria: non ci sono due modi uguali di disegnare quindi nell’universo della serialità, della standardizzazione e dell’omogeneizzazione, i disegni, come le stampe di Ciro Maddaluno ci preservano l’unicità della sua presenza e della sua particolare esperienza. Le raffinate geometrie in ferro brunito, che Daniela Simoni ha felicemente definito “enigmatici spartiti musicali”, sono i più riusciti esercizi di squadratura dello spazio in un foglio, una sorta di materializzazione metallica del disegno, derivante da un’incessante calibratura di “ipotesi di progetto” fermate sulla carta. Eppure anche in tanto rigore geometrico Maddaluno è sempre più incline alla fantasia, al segno ambiguo e all’apparizione visionaria delle forme, ereditando da Calder e Giacometti il concetto di una scultura allo statuto di dispositivo, a una relazione fra soggetti ed elementi talvolta mobili, a un equilibrio tra pieni e vuoti, tra il segno e lo spazio, di una straordinaria levità. Nelle Geometrie l’organizzazione, la varietà spaziale dissuadono
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Senza titolo, 1978
Maddaluno dall’imprimere ai ferri un dinamismo e l’artista così si eleva sul piano di una sospensione immota, quasi metafisica, che ambisce a trasportare queste apparizioni fuori dal tempo della visione grafica. Ogni forma geometrica viene infatti a lungo studiata per poi isolarla su un irrelato piano ortogonale, investito di un’assoluta luce che proietta delle ombre nette. Questo “spazio inquieto”, come lo chiamava Paolo Fossati, questi “segni nell’aria” ricordano le linee al fil di ferro di Fausto Melotti capace di rendere la materia trasparente essenziale all’opera, come le regole della composizione musicale. Le cesure orizzontali e verticali che modulano l’impianto di questi pentagrammi plastici possono evocare le stanghette che racchiudono i valori di una battuta, un’attitudine di ripartire lo spazio in sostanze ontologicamente differenti: dentro/fuori, pieno/vuoto, figura/sfondo, melodia/contrappunto. In questa estensione fisica dimora però anche un’inconfondibile vena poetica nella scelta fra le potenzialmente infinite combinazioni di parti armonizzabili in divine proporzioni, di barre finanche oblique, di formule in tralice. In un equilibrio instabile, come nella musica jazz: una volta che il tema è fissato, quello che succede tra una linea e l’altra, tra una nota e l’altra può essere variabile, diverso a ogni fruizione. Questo l’intendimento, declinato tridimensionalmente, nell’ordito della serie di Geometrie, percettibili in ogni senso come disegni solidi a fender l’aria, e ambigui, visibili da sotto e da sopra, da destra o da sinistra ma mai insieme. La linea, sia essa disegnata o scolpita in filo metallico - ma modulando non modellando - è lo strumento più efficace per comunicare un’informazione visiva ma anche per registrare una formula “strutturale” trovata dall’artista. Nell’estrema stilizzazione la linea solida e al contempo minima diventa opera solo per il fatto di essere visibile, a mezz’aria, come un’epifania, mutevole con il muoversi dell’osservatore in prospettive rovesciate e inverse. È in definitiva un’accurata ricerca dell’armonia in una scansione ritmica e contrappuntistica quella rintracciabile nell’invenzione plastica di Maddaluno perché “nel bel disegno la linea, come un’anima, palpita di indecisioni, di certezze, di voluti inganni” (Fausto Melotti).
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Dimensione, 1978
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Senza titolo, 1978
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Orfeo, 1985
Zefiro, 1988
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“... ora cerco di parlare della bellezza delle figure, non come potrebbero intenderla i piĂš, per esempio, come bellezza di esseri viventi o di pitture, ma ... intendo qualcosa di rettilineo e di circolare, e le figure piane e solide che se ne generano per mezzo di compassi, righe e squadre... Infatti, affermo che queste figure sono belle non in senso relativo, come le altre, ma sono sempre belle in se stesse, per natura...â€? Platone, Filebo, 51 C
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Forme, 2008
Città, 2009
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Ciro Maddaluno
Fermo Villa Vitali
Monte Vidon Corrado Centro Studi Osvaldo Licini
Paesaggio, 1990
IL PAESAGGIO INTERIORE Gennaro Avano
Il concetto di paesaggio, nel mondo contemporaneo, è idea prima che luogo fisico. Idea che precede la possibile realtà e luogo mentale che anticipa il terreno dell’azione e del vissuto umano. Una costituzione concettuale che lo rende ente spettante alla filosofia teoretica. Proprio in quanto idea esso rende possibile decidere i tratti e le forme che dovrà assumere e che, forse, si tradurranno in realtà. Il paesaggio è dunque rappresentazione esclusiva dell’uomo che lo determina concettualmente; non v’è paesaggio senza idea di paesaggio. Nella logica di un paesaggio interiore, pensato e, perciò, concettuale, Maddaluno modifica il suo disporsi in direzione centripeta, liberandosi dai vincoli dell’ambiente per agire nell’ambiente interiore, in un esercizio di profonda impronta esistenziale. Già nell’anticipazione di una potenziale azione sul reale, prevedendo e ordinando i volumi, ancora oggetti del pensiero, ha luogo il suo paesaggio, che è tale prima di una possibile traduzione progettuale e prima della scelta della sua sostanza materiale. Scegliendo i tratti di un paesaggio interiore l’artista organizza se stesso predisponendosi al progetto, senza necessariamente pervenire al progetto, poiché è il processo stesso ad essere rappresentato come suscettibile di senso estetico. Esso rappresenta dunque il processo progettuale quale oggetto pregno di pienezza creativa. Il progetto indica un desiderio da trasformare in realtà, la rappresentazione del processo progettuale indica la qualità artistica del pensiero creativo, un soffermarsi sull’atto della deliberazione in un momento e in un luogo senza tempo.
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Percorso dal pensiero carsico dell’artista il paesaggio rappresentato, estratto dalle viscere del pensiero, viene continuamente modificandosi, l’eracliteo panta rei, lo scorrere del fiume dell’esistenza. Il paesaggio di Maddaluno è dunque una propaggine mentale dell’artista, egli è artefice non contaminato da una possibile relazione con la natura, il suo è un prodotto della libertà del pensiero dalla materia e, pertanto, non dominato da vincoli e canoni; come per Friedrich questo atto contemplativo è una riflessione sull’immanenza dello spirito assoluto. Parliamo dunque di una libertà kantiana che si pone come differenza dalla natura, da un effetto naturale, in quanto opera del pensiero. Questo viaggio verso l’interiore ha lo scopo di condurci all’essenza delle cose, un’ascensione verso la realtà al di là dell’apparenza e, proprio come in Friedrich, questa ricerca non ammette la sola trasfigurazione del sentimento: l’aspetto contemplativo tocca quella recondita regione, nascosta e tragica, dello spirito. Questa condizione conferisce al paesaggio lo status di prodotto dell’arte che non è uno stato semplicemente estetico ma profondamente etico. Il paesaggio dunque è oggetto assimilabile ad ogni creazione umana ma molto più complesso, poiché esso è contenitore esistenziale e culturale. Il paesaggio trascende l’effimero vivente oltre il tempo, una presenza assoluta che contiene in sé passato e futuro.
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Ragiono col gesso e col filo, come la sarta dell’azzurro e dell’aria preparo l’aperto, la nuvola rispetto ai tavolini superstiti e al colore di un’ultima bibita ghiacciata – mezza nave per me, metà dietro l’orizzonte; di modo che il frusciare dell’asse terrestre, il vivere retto o a testa in giù separino il boreale e l’australe, che l’umile moto del pendolo indichi a tutti la latitudine. Così, in uno scorcio d’estate, un indumento di lana porge un ricordo di primi freddi, sorgono luoghi chiusi, e nel cristallo occhi di tutti stavano imbalsamati gli animali.
Alessandro Catà
Questa poesia di Alessandro Catà è tratta da Continenti persi, libro inedito dell’autore di prossima pubblicazione.
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IL PAESAGGIO COME IDEA IN FIERI Daniela Simoni
Il percorso espositivo nel territorio fermano articolato nelle tre sedi di Fermo, Monte Vidon Corrado e Porto Sant’Elpidio si configura come una sorta di itinerario metartistico e riflette l’estrazione concettuale della ricerca condotta da Maddaluno dagli anni settanta, mirata ad analizzare e ripensare l’atto creativo, l’epifania dell’opera d’arte e le sue componenti. Il titolo “La sensibilità della forma” contiene rimandi ai due artisti a cui Maddaluno da sempre si ispira: Cézanne è evocato nel concetto di sensazione intesa come rielaborazione interiore del dato reale, mentre a Matisse si riferisce l’idea della sintesi della forma. Il trait-d’union della poliedrica attività di Ciro, documentata in mostra attraverso bozzetti grafici, dipinti, sculture, installazioni, è proprio la sintesi della forma che si esprime attraverso il principio di modularità, di ritmo, di equilibrio, di proporzione, di commensurabilità, tutti caratteri questi che chiariscono la matrice classica della sua arte. Se quella di Villa Vitali a Fermo è un’esposizione antologica, prevalentemente retrospettiva che prende il titolo dal tema cézanniano delle Bagnanti, nelle altre due sedi la riflessione si focalizza su due generi portanti della tradizione pittorica, interpretati da Maddaluno in chiave concettuale. Al Centro Studi Osvaldo Licini tratta “il Paesaggio”, inteso come essenza geometrica e non come spazio antropico, a Villa Baruchello affronta “il Ritratto” interpretandolo come rilettura del rapporto arte-realtà e rimeditazione sull’evoluzione dell’estetica artistica dalla mimesi greca all’aniconicità dell’arte contemporanea. Il paesaggio, spazio naturale e luogo esistenziale, palinsesto storico e culturale delle civiltà, nei secoli ha esercitato un intenso fascino sugli artisti. Già negli affreschi di Giotto grande rilievo acquisiscono i potenti e sintetici contesti montani e i gotici scorci urbani; nel Rinascimento italiano la definizione dello spazio prospetticamente e razionalmente concepito ha un ruolo determinante all’interno dei dipinti in relazione alla figura umana, mentre in ambito fiammingo la luce definisce in modo lenticolare e quasi iperrealistico le ambientazioni domestiche e le lontananze negli sfondi naturali. Ed è con il Seicento olandese che nasce il “paesaggio puro”, protagonista assoluto del quadro. Dal vedutismo illuminista al sentimento della natura romantico al realismo dei macchiaioli, alla pittura en plein air degli impressionisti fino alle sperimentazioni avanguardiste il paesaggio è stato in età moderna rappresentato, interpretato, idealizzato, trasceso, reso nei suoi valori luministici, cromatici, formali, emozionali, simbolici. Nell’età contemporanea il paesaggio continua ad essere fonte di ispirazione, il luogo della meditazione, riverbero della dimensione esistenziale: uno dei temi salienti è la riflessione sui mutamenti ambientali e sul grado dello sviluppo sostenibile dell’umanità.
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Forma, 2010
Nelle raccolte e silenziose stanze di Monte Vidon Corrado - il paese liciniano fortemente evocativo, immerso tra le colline che guidano lo sguardo verso il profilo dei Sibillini o verso il mare - la sintesi della forma si declina nel paesaggio come idea in fieri e l’intervento di Maddaluno è mirato a rendere complice lo spettatore nel processo di elaborazione dell’idea di paesaggio. Ancora una volta l’analisi della creazione artistica è al centro dell’indagine di Maddaluno: all’inizio c’è l’idea annotata di getto, sviluppata poi attraverso una serrata sperimentazione materica e formale che non vuole giungere ad una soluzione assoluta e irrevocabile ma che si pone all’osservatore nella sua dimensione in fieri, come provocazione, coinvolgendolo inevitabilmente nell’interpretazione della forma e del suo significato. Ricreando l’atmosfera dell’atelier l’artista non espone dunque delle opere finite, compiute, date una volta per tutte, ma attraverso la citazione costruisce una sorta di percorso cifrato fatto di annotazioni che con un andamento a climax rappresentano diversi gradi di elaborazione creativa. Il primo livello, quello dell’abbozzo dell’idea, si può cogliere su di un pannello alla parete dove Maddaluno ha appuntato, come avrebbe fatto nel suo studio, alcuni schizzi e disegni con i quali attraverso la forza del segno e con assoluta immediatezza ha impresso diverse soluzioni compositive sulla carta, caratterizzate dall’essenzialità e dalla semplificazione delle forme geometriche, esiti questi del processo di astrazione del dato naturale. Alle pareti nelle due sale del Centro Studi ha poi appeso una serie di incisioni che invece rappresentano la meditazione, la riflessione, lo scavo interiore trasposti nei tracciati sicuri, intensamente espressivi che segnano un altro stadio di elaborazione del concetto “Paesaggio”. L’incisione richiede conoscenza dei procedimenti, sicurezza nel segno, abilità, pazienza, tempo: il concetto del tempo, come durata interiore, proprio di Cézanne, è uno dei punti di forza della riflessione di Ciro. Infine l’idea di paesaggio si traduce in purissime forme scultoree di gesso e di bronzo, sublimazione dell’essenza geometrica della realtà. Il discorso metartistico di Maddaluno ha come punto di arrivo un’opera aperta che è una possibile soluzione formale e insieme un nuovo punto di partenza per un dialogo interpretativo con l’osservatore: prospettive inedite, tagli compositivi spiazzanti, molteplicità di punti di vista da scoprire girandoci intorno, coinvolgono la sfera percettiva ed emotiva del visitatore stimolando ognuno a creare dentro di sé una propria, personalissima idea di paesaggio.
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Forme, 2008
La luce ha un ruolo determinante in questi solitari paesaggi idealizzati: “Non sa di sé la luce che si posa / sui nomi delle cose, se le sfiora / per un addio d’eterna spesa muta. / Nel bagliore del vero è un’apparenza / la piccola realtà che le somiglia. / Imita il gesto che nessuno vede, / lo sceglie nel silenzio delle forme, / voce dell’ombra che si fa discreta.” È la parola poetica di Francesco Scarabicchi che coglie intimamente e interpreta la cifra del fare artistico di Ciro Maddaluno. Nella seconda sala, a terra, un’installazione dalla forte valenza simbolica: l’autore ha tracciato un quadrato con il gesso e all’interno c’è del materiale argilloso con dei solidi geometrici in gesso. È una metafora dell’idea di paesaggio: “Ragiono col gesso e col filo come / la sarta dell’azzurro e dell’aria / preparo l’aperto, la nuvola”. Ancora la poesia chiarisce: sono i versi con cui mirabilmente Alessandro Catà rende il senso della poetica di Maddaluno. Il perimetro del quadrato allude all’idea di paesaggio che si forma, come scrive il sociologo tedesco Georg Simmel nel saggio Filosofia del paesaggio, grazie ad un atto di circoscrizione ai nostri occhi della natura, atto che non è puramente visivo ma spirituale, e deve il suo fascino alla nostra capacità di percepire in questo frammento un’immagine del “tutto” naturale. L’argilla informe è la natura nella sua evidenza fenomenica, le forme geometriche in gesso rappresentano la purezza adamantina dell’idea: torna ancora il concetto di “sensazione” cézanniana, la rappresentazione del processo di astrazione che trasforma il dato naturale in pura geometria. Uno dei topoi della ricerca di Ciro Maddaluno è il luogo dell’opera e chiari nei suoi rigorosi paesaggi grafici o plastici sono i rimandi al suggestivo spazio collinare che circonda Monte Vidon Corrado, vera sostanza dell’arte liciniana. In effetti assonanze si colgono tra la rappresentazione geometrica delle colline marchigiane nelle opere figurative di Licini e la sintesi geometrica operata da Maddaluno: la radice è la stessa, Cèzanne. Osservando poi le incisioni ed in particolare quelle legate all’installazione “Il Paesaggio” degli anni ’90 è evidente che il segno sinuoso delle sagome dei segnavento ricorda quello liciniano: medesima è la fonte ispiratrice, Matisse. L’idea di queste forme fantastiche che si ergono su alti steli proiettandosi nel cielo ha senz’altro qualcosa in comune con le creature fantastiche di Licini, con il regno della “Bella Irrealtà”.
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Paesaggio, 2012
Paesaggio, 2012 Forme, 2008
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Ciro Maddaluno
Monte Vidon Corrado Centro Studi Osvaldo Licini
Porto Sant’Elpidio Villa Baruchello
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IL RITRATTO: RIFLESSIONE SU ARTE E REALTÀ Daniela Simoni
L’installazione “Il Ritratto” costituisce il nucleo centrale della mostra tenutasi nella limonaia di Villa Baruchello, terzo tassello del percorso espositivo intitolato “La sensibilità della forma”. La ricerca di Ciro Maddaluno, condotta intorno al processo creativo e al luogo del quadro, è qui focalizzata su uno dei generi più cari alla tradizione figurativa occidentale, estendendo la riflessione al concetto di mimesis e all’evoluzione dell’estetica dal Rinascimento alla contemporaneità. Composta da tre cornici realizzate in stili differenti fronteggiate da altrettanti pannelli di diverso colore che rappresentano dei momenti distinti della storia dell’arte, l’installazione coinvolge lo spettatore proiettandolo fisicamente e mentalmente in tre dimensioni che corrispondono ciascuna ad un particolare rapporto arterealtà ma anche ad una determinata immagine che la società ha di sé. ʹ Mimesi deriva dal greco μιμησις, imitazione della realtà e della natura che è, secondo l’estetica classica, l’essenza della creazione artistica. Platone riteneva che anche la creazione ad opera del demiurgo fosse una forma di imitazione e che quindi la riproposizione artistica di questa realtà creata fosse sostanzialmente la copia di una copia: l’arte per il filosofo ateniese era dunque diseducativa e distruttrice, assolutamente ingannevole. Alimentata dall’immaginazione e dall’emozione, l’arte secondo Platone annebbia le facoltà razionali e stimola la sfera sensoriale, quella meno nobile nell’uomo. Questa negatività di giudizio sarà invertita da Plotino e in seguito dal neoplatonismo rinascimentale, che esalterà l’arte riconoscendole la funzione di mediatrice tra umano e divino, tra sensibile e ideale. Dall’estetica neoplatonica parte l’installazione: la prima cornice, preziosamente decorata con dorature, allude infatti al Rinascimento. In quest’epoca l’uomo, ritenuto copula mundi, domina razionalmente la realtà, la rappresenta attraverso la prospettiva e il ritratto diventa un genere diffusissimo in cui si cimentano tutti i grandi maestri. Ricchi borghesi, nobili, regnanti, papi vengono raffigurati nella loro essenza umana con capacità introspettiva ed evidenziando i simboli del loro potere: il colore dominante di questi dipinti è il rosso porpora, emblema della regalità. Il visitatore passa e vede la sua immagine proiettata nello specchio su uno sfondo rosso, riflesso della realtà e insieme spunto di riflessione sul rapporto arte-realtà. La seconda cornice fa riferimento al Barocco e al gusto Rococò, caratterizzati da un prezioso decorativismo, dal virtuosismo illusionistico: è l’arte delle grandi corti europee, delle sfarzosissime regge come Versailles e Schönbrunn, canto del cigno di quell’Ancien Régime che verrà spazzato via dall’epoca delle rivoluzioni.
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Il ritratto, 2009
Lo specchio è emblema del rapporto tra realtà e rappresentazione, dell’illusionismo secentesco e settecentesco: il gioco delle illusioni, la falsificazione della realtà si coglie nei soffitti di chiese e palazzi sfondati da scorci arditi che simulano attraverso l’artificio del trompe-l’oeil l’irruzione della natura e la visione dell’azzurro infinito del cielo. Lo specchio appare anche nei ritratti secenteschi per suscitare meraviglia, ingenerare ambiguità, ingannare i sensi, come nella Venere allo specchio di Velázquez. Lo sfondo su cui si proietta l’immagine riflessa dell’osservatore è qui azzurro, il colore che prevale nei ritratti settecenteschi come i pastelli di Rosalba Carriera o negli ariosi sfondi di Tiepolo. La terza cornice, minimale, non presenta lo specchio ma un vetro scuro su cui la nostra immagine non si riflette appieno ma si intuisce nella sagoma. Nell’età contemporanea l’arte non è più riproduzione del bello e imitazione della realtà: le avanguardie storiche hanno scardinato tutti i canoni artistici, Duchamp ha compiuto la svolta concettuale, si sono affermati l’astrattismo e l’informale. Nel rapporto con la realtà prevale il criterio analogico, la citazione, la suggestione: ecco perché la nostra immagine nella cornice viene solo intuita. Nella società contemporanea il rapporto tra reale e virtuale, tra verità e finzione, tra essere e apparire è assolutamente complesso e confuso. Maddaluno induce il visitatore a riflettersi visivamente negli specchi ma lo invita anche a riflettere mentalmente sulla propria identità e sul proprio contesto esistenziale, cosicché lo specchio oscurato è anche metafora della crisi identitaria che connota la nostra epoca. Per Maddaluno è il giallo il colore dell’arte attuale, simbolo di una luce artificiale che annulla anche la naturalità dell’avvicendarsi del giorno e della notte. L’arte contemporanea ha prima cercato di sottolineare il valore della luce eliminandola dal quadro, come nei monocromi di Schifano a Klein, in seguito ha utilizzato i materiali connessi alla generazione della luce come mezzi artistici: neon, led luminosi, fibre ottiche, light compongono le opere di Dan Flavin, Mario Merz, Joseph Kosuth, Maurizio Nannucci, e altri. Dunque il discorso metartistico di Ciro Maddaluno continua. La sua scelta concettuale tuttavia non è integralista, non prescinde mai dalla “sensibilità della forma” improntata al modulo, al ritmo, alla misura. Anche in questa che è una delle opere più concettuali esposte non rinuncia ad un armonico esito estetico improntato ad un vivace cromatismo dal sapore un po’ pop.
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La sensibilitĂ della forma, 2012
Il ritratto, 2009
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Spazio-forma, 2010
SUONO E SEGNO, INCONTRO E CONFRONTO Sabrina Vallesi “Quando cominciai a scrivere le prime poesie degli Ossi di seppia avevo certo un’idea della musica nuova e della nuova pittura. Avevo sentito i Minstrels di Debussy, e nella prima edizione del libro c’era una cosetta che si sforzava di rifarli: Musica sognata. E avevo scorso gli Impressionisti del troppo diffamato Vittorio Pica” Eugenio Montale, Intenzioni (intervista immaginaria), in Il secondo mestiere
La complessità della cultura contemporanea molto spesso si traduce in interazione fra le arti: Montale la indica come modalità di grande efficacia perché permette di sperimentare nuove possibilità, nuovi orizzonti, traslando un linguaggio in un altro, traducendo i risultati di un campo in un altro. Quella di Ciro Maddaluno è da tempo un’esperienza di commistione di linguaggi, dal momento che l’artista si pone come obiettivo quello di amplificare le sensazioni suggerite dalle opere in mostra, attraverso il dato sonoro, già nella fase dell’esposizione. Una sorta di percorso musicale parallelo che si dipana, si costruisce nel contesto espositivo e che accompagna con il suono, il segno. Sperimentare come una citazione musicale possa caricare di senso il prodotto artistico, sottolineando ciò che è caro all’autore (l’ambientazione, il contesto in cui vive l’opera d’arte), significa per lo spettatore diventare anche ascoltatore che sa cogliere significati dagli elementi visivi e sonori che si fondono. Non stupisce questa sensibilità anche musicale di Maddaluno: molti percorsi artistici del Novecento hanno tratti comuni indipendentemente dalla materia compositiva e dalla tipologia del prodotto artistico e sono la manifestazione della stretta connessione esistente tra pensiero, riflessione e atto formale. In questo caso, quello che risulta interessante è un modello di compartecipazione artistica pur nel rispetto della struttura linguistica e della specificità del medium espressivo adottato. Scriveva Vassilij Kandinskij in Dello spirituale nell’arte: “Un’arte deve imparare da un’altra in che modo quest’ultima proceda coi mezzi che le sono propri e deve imparar ciò per usare poi nello stesso modo i propri mezzi secondo il proprio principio, cioè nel principio che a essa sola è peculiare”.
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Le faville, 1990
La singolarità, la peculiarità del segno e del suono rimangono, a fondersi sono gli elementi, i “mezzi”: pieni, vuoti, suoni, silenzi, materiali, timbri, colore, forme, melodie, ritmi … alla ricerca non solo di un’arte, ma di una cultura globale che si organizza narrativamente e che si svolge tra tempo e spazio. Può capitare, dunque, al visitatore della mostra di Ciro Maddaluno, di cogliere come la ricerca dei materiali e l’elaborazione del dato reale si accostino, suggestivamente, ai suoni del Trio cameristico Incanto (soprano, viola, chitarra), esecutori di composizioni del Novecento, caratterizzate dalla ricerca timbrica, dallo sfaldamento di melodia e armonia, anche se molto spesso in presenza di una forma classica. Una forma che attraverso i suoni, serve ad affrontare temi complessi, come quello dell’esilio. Il Trio Incanto, per accompagnare le opere di Maddaluno esposte in mostra, ha selezionato The Divan of Moses Ibn Ezra, un ciclo di composizioni di Mario Castelnuovo Tedesco su testi del poeta spagnolo Moses Ibn Ezra: un ideale testamento spirituale del compositore. La scelta di affidare al suono intimo e raccolto della chitarra l’accompagnamento di questi testi non è certamente casuale, la musica che Castelnuovo Tedesco ha composto a partire dalle poesie è di struttura assai semplice e quasi disadorna, una rinuncia al canto nella proposizione più fisicamente piena e nell’espansione virtuosistica, rinuncia dalla quale nasce la scelta di un canto sì ispirato, ma del tutto «interiore», dolce ma anche scabro, tenero ma anche severo e rassegnato. Non vi sono tinte forti, nessuna forzatura drammatica, nessuna ricerca di tipo teatrale; la meditazione si sostituisce alla recitazione anche e soprattutto nella struttura del melos, mentre la chitarra, strumento essenziale e, rispetto al pianoforte, “povero”, crea un clima musicale di una edificante modestia. La varietà ritmico-armonica e le scelte dinamiche e coloristiche sono tutte esplicate all’interno di questo disegno di smaterializzata perfezione.
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Una forma che si articola tra pieni e vuoti, come nelle composizioni di Avro Part che scrive: “Io potrei paragonare la mia musica ad una luce bianca che contiene tutti i colori”. Una musica bianca, immersa nel silenzio, come quella titolata Spiegel im Spiegel, che presenta una ricerca di semplificazione progressiva di tutti gli strumenti costitutivi, allo scopo di eliminare il “superfluo” dalla composizione. Il senso profondo delle pause, il respiro lento tra un suono e l’altro, il vuoto che acquista importanza nel momento in cui un suono lentamente scompare per fare spazio al successivo … l’ascoltatore che torna ad essere spettatore tra le composizioni di Maddaluno. La visita alla mostra è perciò un’occasione intellettuale: l’opera dell’artista e la composizione musicale, interpretata dagli esecutori, costituiscono lo spunto ma anche gli elementi di partenza di questo complesso rapporto, di certe significative relazioni suono - segno che, alternandosi, sciogliendosi, ricomponendosi, danno luogo e connotano una modalità artistica sensibile. L’arte torna ad essere luogo d’incontro, momento privilegiato per lo scambio e il confronto tra intellettuali, luogo dove si intrecciano legami e corrispondenze tra artisti e musicisti, nel segno dell’innovazione e della ricerca.
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Gesti scritture, 1980
Geometrie, 2012
Ciro Maddaluno
Porto Sant’Elpidio Villa Baruchello
BIOGRAFIA
Ciro Maddaluno nasce a Sarno di Salerno il 29 maggio 1944, studia a Napoli e lì forma i suoi interessi culturali. Frequenta lo scultore Carmine Cecola che lo avvicina all’attenzione e alla tecnica della scultura, poi con il maestro Alfio Castelli completa il Corso di Scultura all’Accademia di Belle Arti. Il contatto con i compagni di corso, i maestri Brancaccio e Spinosa, Capogrossi, Greco, Perez, Mastroianni, Mazzacurati e numerosi artisti della nuova generazione, gli dà stimolo a comprendere e relazionarsi con le problematiche contingenti dell’arte contemporanea. Gli artisti di riferimento e di studio durante il periodo della Accademia sono Marini e Moore, così volume, architettura e segno divengono i supporti formali alla base delle rappresentazioni ed è proprio dall’analisi e dalla riflessione sulle loro opere che passa inevitabilmente dall’arte oggettuale a quella concettuale, attraverso un processo che lo coinvolge lungo tutti gli anni settanta. Suoi riferimenti diventano Marcel Duchamp, Sol LeWitt, Vincenzo Agnetti, Donald Judd e altri. Schivando le mode, dagli anni ottanta il lavoro prosegue nelle costanti della ricerca e della sperimentazione di significati esistenziali dell’uomo e nelle problematiche dell’essenza dell’atto artistico nel luogo dell’opera d’arte. Espone dagli anni sessanta in collettive e personali; sue opere sono presenti in collezioni private e pubbliche in Italia, Germania, Francia, Spagna, Croazia, Libia, Canada e Ungheria. Hanno scritto testi critici sulla sua opera: Gennaro Avano, Maurizio Calvesi, Enrico Capodaglio, Giuseppe De Paolo, Carlo Franza, Armando Ginesi, Piero Girace, Nunzio Giustozzi, Arcangelo Izzo, Paolo Minetti, Simonetta Simonetti, Daniela Simoni, Luca Telò.
ESPOSIZIONI
1ª Rassegna d’Arte del Mezzogiorno al Maschio Angioino, Napoli 1961 / Collettiva Galleria d’Arte “Il Cigno“, Salerno - Milano 1974 / Centroarte Multiplo 9ª Edizione Indagine Artistica - Marigliano 1974 / Centroarte Multiplo “Bru Salvador - Ciro Maddaluno“ Marigliano 1975 / Premio Nazionale di Pittura ”Città di Gallarate“ 10ª Edizione 1976-77 / Civica Galleria d’Arte Moderna, 4ª Mostra “L’Arte sperimentale dei nuovi mezzi espressivi e comunicativi”, Gallarate 1977 / Collettiva internazionale di Grafica “59 Maestri Contemporanei” Art Center di Cortina D’Ampezzo 1977 / Centro documentazione Arti Visive - Archivio Rosamilia “Mail Art Exhibition“ Castel San Giorgio 1981 / Premio “G. B. Salvi“ Palazzo Oliva, Sassoferrato 1983 / Galleria d’Arte Moderna “M. Moretti“, installazione “Ierofania“ nella chiesa di S. Agostino Invito del Comune e Pinacoteca di Civitanova Marche 1988 / “Premio Marche 1989“ Biennale d’Arte Contemporanea, Ancona 1989 / Collettiva “Galerie Schroder“, Augsburg 1992 / Installazione “Dialogo“ invito Pinacoteca Comunale “F. Podesti“ e Assessorato alla Cultura di Ancona 1993 / Installazione “Il Luogo del Progetto“ Sala Rubicone al Mercato del Sale, invito Comune e Assessorato alla Cultura di Cervia 1993 / “L’Incisione nelle Marche - Calcografia e Xilografia 1900-1993”, S. Elpidio a Mare 1993 / Collettiva “Profiterart“ Castello di Masnago, Varese 1995 / “Scuola - Arte - Porto” Stazione Marittima, Trieste 1995 / “1799-1999 La Repubblica Napoletana, I valori della storia e delle forme dell’arte”, Palazzo Ducale, Marigliano 1998 / Co.S.I.F. “Presenze del Territorio“ Palazzo Paccarone, Fermo 2003 / Marche Arte 2004, 1ª Edizione “Art On“ Museo arte contemporanea, Castel di Lama 2004 / “Ciro Maddaluno - Piero Principi nelle sale espositive del Museo di Offfida” invito del Comune, Offida 2005 / “Ciro Maddaluno. L’autoritratto” Palazzina Azzurra, San Benedetto del Tronto 2008 / “Nuovi Scenari“ Rassegna Internazionale d’Arte curata da Carlo Franza Teglio 2009 / “Kunst & Arte”, collettiva a Villa Baruchello, Porto Sant’Elpidio 2010 / “La Rete“ personale di Ciro Maddaluno al Centro d’Arte L’Idioma, Ascoli Piceno 2011 / Partecipazione alla 54ª Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia Iniziativa speciale per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, Torino 2012.
Referenze fotografiche Daniele Maurizi copertina pp. 6 7 9 10 12 14 17 18 20 21 22 30 32 34 35 36 37 38 39 40 42 43 44 46 47 48 49 52 53 54 57 58 60 63 64 65 68 69 72 73 80 81 82 87 92 93 96 97 98 101 102 104 105 106 107 112 113 114 115 116 117 118 119 Elvira Palloni e Brunello Corchia pp. 50 51 78 79 110 111 Claudio Marcozzi pp. 76 77 Archivio dell’artista
Catalogo edito dalla casa editrice Edizioni Ephemeria Macerata
Finito di stampare Aprile 2013 presso la tipografia Fast Edit srl Acquaviva Picena (AP)