Giurisprudenza
In altre parole, la Corte ha qualificato le unioni omosessuali alla stregua di “vita familiare”, ma come è emerso nel noto caso Schalk e Kopf33, gli artt. 8 e 14 della CEDU non impongono agli Stati di garantire alle coppie formate da persone del medesimo genere l’accesso al matrimonio34. Per quanto concerne l’ordinamento giuridico italiano, la Corte costituzionale35 si è espressa nel senso che l’unione omosessuale può essere considerata una “formazione sociale” ai sensi dell’art. 2 del dettato costituzionale, ma che non può, invece, essere equiparata alla famiglia fondata sul matrimonio di cui all’art. 29 Cost36; da ciò consegue l’esclusione dell’operatività di una serie di diritti e di doveri che scaturiscono dal matrimonio e, pertanto, la registrazione dell’unione civile non comporta l’attribuzione di uno status identico a quello del coniuge. È possibile notare, infatti, come il legislatore sia stato molto attento a non introdurre alcun tipo di disposizione che potesse, in qualsiasi misura, richiamare quel carattere affet-
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Schalk e Kopf c. Austria, 24 giugno 2010, application n. 30141 nella quale la Corte ha affermato che “La Corte reputa di dovere mutare la propria giurisprudenza e, dunque, non considererà più che il diritto al matrimonio è riconosciuto solo a persone di sesso diverso, approdando ad una concezione contemporanea ed evoluta che riconosce a tutti il diritto in questione e, dunque, anche alle persone omosessuali. La Corte pure annuncia che le relazioni omosessuali non saranno più comprese soltanto nella nozione di «vita privata», ma nella nozione di «vita familiare» pure contenuta nell’art. 8. Contestualmente, però, la Corte ribadisce che è riservato allo Stato, poi, disciplinare ed introdurre l’istituto del matrimonio omosessuale a livello statuale”. Per un approfondimento, si rinvia a M. Fortino, Piccoli passi e cautele interpretative delle Corti sui diritti delle unioni omosessuali, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 129-142; L. Lorello, Coppie omosessuali e tutela costituzionale, Torino, 2015. 34 Salgueiro da Silva Mouta c. Portogallo, application 33290/96 del 21 dicembre 1999. Il caso portoghese riguardava un padre a cui era stata negata l’autorità parentale sulla propria figlia, nata dal precedente matrimonio, in quanto l’uomo aveva intrapreso una relazione di natura omosessuale; la Corte ha evidenziato che, sebbene l’obiettivo dei giudici fosse quello di proteggere la minore, non poteva ritenersi soddisfatto il criterio della proporzionalità, in quanto essi si erano limitati ad affermare l’opportunità della bambina di vivere all’interno la famiglia tradizionale, senza tener conto della situazione concreta. Inoltre, con la sentenza 26 maggio 2002, Fretté c. Francia, application n. 36515/97, la Corte ha sottolineato che la tutela dei diritti degli adottanti rappresenta idonea giustificazione per escludere talune categorie da tale diritto, riconoscendo un margine di apprezzamento notevole alle autorità nazionali in merito alle adozioni da parte delle coppie omosessuali. 35 Sentenza n. 138 del 15 aprile 2010 “Non è fondata la q.l.c. degli art. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis c.c., censurati, in riferimento agli art. 3 e 29 cost., nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso. Premesso che, l’art. 29 cost., nello stabilire che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», aggiungendo, nel comma 2, che «il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare», fa riferimento alla nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso, la censurata normativa del codice civile trova fondamento nell’art. 29 cost., e non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”. E ancora “Premesso che per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico, e che in tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri, si deve escludere, tuttavia, che l’aspirazione a tale riconoscimento possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, non essendo questa una scelta costituzionalmente obbligata, giacché, nell’ambito applicativo dell’art. 2 cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni”. 36 Art. 29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
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