Il diritto penale della globalizzazione 1/2019

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Alessandro Quattrocchi

Muovendo da tale prospettiva ermeneutica, il Supremo Collegio rileva che la struttura della fattispecie di resistenza postula una condotta commissiva-oppositiva connotata: a) sul piano oggettivo, dalla violenza o dalla minaccia (esclusa la mera resistenza passiva) rivolta (in modo diretto o indiretto, esplicito o implicito) contro il pubblico ufficiale (o il soggetto normativamente ad esso equiparato), teleologicamente diretta a coartarne o a impedirne l’agire funzionale al compimento dell’atto di ufficio o di servizio; b) sotto il profilo soggettivo, dalla volontà (dolo specifico) di ostacolare il soggetto passivo nel momento dell’esercizio della funzione pubblica. L’espressione adoperata dal legislatore per tipizzare la condotta penalmente rilevante (“mentre compie un atto di ufficio o di servizio”) individua quindi contesto e finalità dell’azione, perimetrando l’oggetto materiale del reato sulle direttrici del nesso funzionale oppositivo e dell’arco temporale ricompreso tra l’inizio e la fine dell’esecuzione dell’atto di ufficio (al di fuori del quale, la violenza o la minaccia rivolte al pubblico ufficiale configurano fattispecie diverse, come ad esempio l’art. 336 c.p. laddove violenza e minaccia siano antecedenti all’atto di ufficio14). Le Sezioni Unite evocano infine, per delineare compiutamente l’oggetto materiale del reato, la risalente ma ancora attuale pronuncia della Corte costituzionale15, secondo cui l’art. 337 c.p. non mira a punire la violazione di una privilegiata posizione personale connessa ad una ormai obsoleta configurazione dei rapporti tra pubblici ufficiali e cittadini, ma la maggior offesa arrecata alla pubblica amministrazione da una condotta volta ad impedire, con violenza o minaccia, l’attuazione della sua volontà: all’evidenza sottintendendo l’esistenza di una compenetrazione tra la persona fisica del pubblico ufficiale e la pubblica amministrazione per la quale quello agisce. Determinati in questi termini la condotta tipica e l’oggetto materiale su cui la stessa si riverbera, le Sezioni Unite si soffermano nell’individuazione del bene giuridico tutelato dalla disposizione, rinvenuto nel “regolare funzionamento della pubblica amministrazione”, come riprovato dalla collocazione sistematica e dell’intitolazione della disposizione, escludendo viceversa la possibilità di rinvenire nell’incriminazione la tutela di plurimi interessi giuridici di pari rango contestualmente protetti, quale emblematicamente la tutela del pubblico ufficiale. Prendendo le mosse dalla definizione di la pubblica amministrazione quale organizzazione complessa, costituita sia dai beni materiali strumentali al raggiungimento delle finalità pubbliche sia dalle persone che per essa agiscono, le Sezioni Unite evidenziano che la relazione giuridica intercorrente tra la persona fisica e la pubblica amministrazione in cui la prima è incardinata è definito “rapporto organico”. Alla stregua di quest’ultimo, la persona fisica che ricopre l’ufficio o la funzione pubblica viene identificata con la stessa pubblica amministrazione, sicché il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio è esso stesso pubblica amministrazione, costituendo il mezzo della sua estrinsecazione nel mondo giuridico tanto sul piano volitivo che su quello esecutivo. Proseguono le Sezioni Unite rilevando che, anche nel campo del diritto penale, il testo dell’art. 337 c.p. presuppone quest’ultimo assunto, assimilando la figura del pubblico ufficiale al concreto esercizio della funzione espletata.

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G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale, pt. spec., I, III ed., Bologna, 2002, 286. Corte Cost., ord. n. 425 del 27/12/1996, in Cass. pen., 1997, p. 957.

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