Diogene Cesena | Maggio 2013

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CESENA

diogene@diogenecesena.it • Tel. 0543 553131 Supplemento a Diogene n° 882 di Lunedì 13 Maggio 2013

I Diari di Mangiafuoco

di Roberto Mercadini

Leonardo e il porto di Cesenatico

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“Il porto canale di Cesenatico è stato disegnato da Leonardo da Vinci”. La frase precedente è assolutamente vera. E, contemporaneamente, assolutamente falsa. Mi spiego meglio. Anno di grazie 1502. 6 di settembre. Leonardo da Vinci arriva a Cesenatico. Trova, già lì da circa 200 anni, il porto canale. Estrae il taccuino che si porta sempre dietro (un piccolo taccuino di circa 7 cm per 10; ora noto agli studiosi come “Codice L”). E sul taccuino disegna, con pochi e rapidi tratti, il porto canale. Dunque se per “disegnare” si intende “progettare”, ecco che la frase è perfettamente falsa. Se si intende, alla lettera, “tracciare sulla carta”, diventa vera al di là di ogni dubbio. Mi spiego ancora meglio. Cominciando dal principio. Cioè dal Principe. Ancora anno di grazia 1502. Luglio. Cesare Borgia ha da poco conquistato la Romagna e parte delle Marche. È un principe ambizioso e, soprattutto, gode di un vantaggio politico-economico senza eguali: suo padre, Rodrigo Borgia, è il Papa: Alessandro VI. Convoca, niente meno, Leonardo da Vinci come “ministro della guerra” del Ducato di Romagna. Leonardo dovrà rendere inattaccabile le sue terre, inespugnabili le sue fortezze, invincibili i suoi eserciti. Così, nel periodo forse più frenetico e avventuroso della sua vita, il toscano percorre la Romagna in lungo e in largo. Osserva, ascolta, riflette, appunta tutto sul suo inseparabile taccuino. Riguardo al porto canale, il Borgia ha in mente un progetto mastodontico (ma non del tutto irrealizzabile): prolungarlo fino alla capitale del ducato: Cesena. Si tratta di realizzare circa 12 km di canale navigabile. Vale la pena, capite bene, andare a fare una capatina nel punto di partenza. E tirare giù qualche schizzo. Ci si può chiedere, a questo punto, come mai di quei 12 km, oggi, non ci sia neppure l’ombra. È molto semplice. Una anno dopo, nel 1503, il Papa-papà muore. Improvvisamente (forse avvelenato). A Cesare manca –metaforicamente- il terreno sotto i piedi e –realmente- ogni appoggio politico. Il papa successivo è Pio III, che resterà in carica neppure un mese. Quello ancora successivo, Giulio II: un Della Rovere, famiglia nemica giurata dei Borgia. L’inarrestabile ascesa di Cesare si arresta di colpo. Il granitico Ducato di Romagna svanisce nel nulla. Il che ci riporta ad un’altra frase assolutamente vera e, contemporaneamente, assolutamente falsa: “morto un Papa se ne fa un altro”. Di solito si usa per dire che, anche se vengono a meno certe persone, se qualcosa cambia, le istituzioni permangono immutate. È una frase che vorrebbe parlare di stabilità, di continuità, di certezze. Ma per Cesare Borgia la morte del papa, al contrario, sancì la fine di ogni stabilità, di ogni continuità, di ogni certezza. Egli conobbe, amaramente, un altro significato della frase: più letterale. Morto un papa, ce ne fu un ALTRO: uno che era tutt’altro, del tutto diverso, diametralmente opposto. Non più suo padre, e neppure un suo lontano parente. Al contrario, un nemico giurato della sua famiglia.

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