Notiziario settembre 2016

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ANNO V, n.52 settembre 2016

Cari fratelli e sorelle, e voi, cari giovani, dopo aver vissuto quattro giorni intensi di incontri e di dialoghi e dopo aver camminato lungo la notte guidati dalla Parola di Dio, lampada per i nostri passi e luce sulla nostra strada (Sal 118,105), siamo approdati sul piazzale del santuario della Vergine de finibus terrae, nel punto terminale della penisola salentina, dai greci anticamente chiamata Messapia, "terra fra due mari". Ci sentiamo incoraggiati dal messaggio che il Santo Padre ci ha inviato, nel quale egli ha espresso l’auspicio «che la significativa manifestazione, che coinvolge giovani provenienti da varie nazioni, susciti un rinnovato impegno nel favorire una cultura dell’accoglienza e della solidarietà promuovendo così la pace e la fraternità». Seguendo il suo alto magistero, voi giovani avete firmato la #cartadileuca.0, dando così avvio a un percorso che ci auguriamo possa proseguire e incrementarsi nei prossimi anni, prospettando un concreto cammino di pace tra i popoli.

Omelia per la firma della #cartadileuca.0, Piazzale del Santuario della Vergine de finibus terrae, Leuca, 14 agosto 2016.

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Convenuti in questo luogo, siamo circondati dal fascino di uno spettacolo dall’indubbio valore simbolico. L’incontro dei due mari, sovrastati dal santuario mariano della Vergine di Leuca, è molto di più di un semplice contesto scenografico, sia pure suggestivo e affascinante. È, invece, un ambiente evocativo di una promessa che, in non pochi casi, è divenuta realtà e che desidera rimanere un faro di luce anche nel nostro tempo. Quante persone provenienti dal mare sono approdate su queste coste, per stabilirsi tra noi o continuare il loro viaggio verso altre località. Dal mare sono venuti anche gli annunciatori del Vangelo! Il clima di gioia e di festa di questi giorni ci avvolge e stimola la nostra responsabilità a sentirci tutti coinvolti, non come semplici spettatori, ma come attori sapienti e lungimiranti che sanno scorgere nei segni dei tempi il nuovo che si affaccia all’orizzonte. La locuzione de finibus terrae affibbiata a questo promontorio suggerisce l’idea di un panorama e di una prospettiva di largo respiro, più che il senso di un limite o una linea di confine. La stessa conformazione del territorio si presenta come un ponte naturale che unisce mondi differenti e orienta lo sguardo verso uno sconfinato orizzonte. Sostando su questo piazzale, possiamo ammirare, con gli occhi del salmista, «il mare spazioso e vasto, dove guizzano senza numero animali piccoli e grandi. Lo solcano le navi, il Leviatàn che hai plasmato perché in esso si diverta» (Sal 104,25-26). Ammiriamo cioè una scena di unità, di pace e di armonia. È la visione avvalorata da Benedetto XVI nell’omelia tenuta durante la Messa celebrata su questo stesso piazzale, il 14 giugno 2008. Queste le parole del Papa: «De finibus terrae: il nome di questo luogo santo è molto bello e suggestivo, perché riecheggia una delle ultime parole di Gesù ai suoi discepoli. Proteso tra l’Europa e il Mediterraneo, tra l’Occidente e l’Oriente, esso ci ricorda che la Chiesa non ha confini, è universale. I confini geografici, culturali, etnici, addirittura i confini religiosi sono per la Chiesa un invito all’evangelizzazione nella prospettiva della “comunione delle diversità”»1.

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Benedetto XVI, Omelia nella Messa celebrata sul Piazzale del Santuario di Santa Maria de finibus terrae, Basilica di Leuca, 14 giugno 2008, in “Bollettino Diocesano”, 71, 2008, n. 1, p. 22.

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Da questo punto di osservazione, siamo invitati a considerare il mare come un riflesso del cielo. L’uno si specchia nell’altro, l’azzurro dell’uno si confonde con il colore ceruleo dell’altro per mostrare la bellezza del creato e l’armonico intreccio della storia e delle culture che si affacciano sulle sue coste. Il cielo e il mare sono il mantello di cui Dio ama rivestirsi (cfr. Sal 104, 2 e 6). Nello spirito corale e cosmico del salmo 148, intonato da 22 creature, quante sono le lettere dell'alfabeto ebraico, anche il mare è invitato a cantare il suo halleluia: «Lodate il Signore, mostri marini e voi tutti abissi!» (Sal 148,7). L’orizzonte sembra unire in un unico scenario il cielo e il mare, infondendo in tutti la nostalgia di infinito. Il mare diventa così simbolo del desiderio di conoscenza. Sono note le interpretazioni dell’ultimo viaggio e del naufragio di Ulisse, celebrazione del desiderio di sapere che spinge l’umanità verso soglie sempre più avanzate. La navigazione, che metaforicamente conduciamo oggi nello sconfinato mare di Internet, è mossa dalle stesse curiosità intorno al mondo delle conoscenze e degli oggetti, ma anche in riferimento ai valori e al senso delle cose.

Sotto questo profilo, non è difficile riconoscere dentro l’accogliente, protettivo e domestico mar Mediterraneo, il “mare nostrum”, il mare noto e conosciuto, perché culla di civiltà e di storia. Sì, questo mare ci è familiare! Riconosciamo i segni delle nostre origini, l’ambiente dove si sono forgiate civiltà e culture disparate, unite dalla comune presenza dell’ulivo, del mandorlo, dell’uva e del melograno. La cultura classica greco-romana ha assunto e sviluppato le categorie delle civiltà asiatiche e nordafricane e le ha tramandate in un sapiente intreccio di linguaggi, di idee, di stili di vita e di creazioni artistiche. Non ci sfugge, però, che lo stesso mare-culla, in non pochi casi si sia trasformato, lungo il corso dei secoli, in una tomba liquida. Per millenni, gli uomini ebbero paura del mare, perché non dava nessuna sicurezza rispetto alla terraferma. Il mare, canta Omero, è «infecondo»2, tanto che, alla vista del mare tempestoso «si sciolsero a Ulisse le ginocchia e il cuore»3. Anche nella Bibbia, il mare incombe arcigno. L'uomo biblico considera il mare non solo come un grembo materno, ma anche come luogo di pericolo e di morte, dalle cui fauci solo Dio può trappare il navigante (cfr. Sal 18,17.20). Esemplare è, al riguardo, la scena evangelica della tempesta 2 3

Omero, Odissea, V, 202. Ivi, 381.

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sedata, dove Cristo sgrida il mare e gli impone di calmarsi e non fare alcun danno (cfr. Mc 4,39-41). Nella storia, infatti, il mar Mediterraneo è diventato teatro di aspri conflitti, di durissimi scontri, di epiche battaglie navali che hanno deciso i destini della storia: Salamina, Anzio, Otranto, Lepanto fino alle paventate imprese che oggi ci minacciano, da parte di chi ha una malsana nostalgia di eventi sanguinosi chiamandoli “scontri di civiltà”. Per molto tempo, i 70 chilometri di mare, che dividono l'Albania da Otranto, hanno visto molte tragedie. Ora, questo oscuro scenario si è spostato nel tratto di mare che divide la Puglia, Lampedusa e Pantelleria dalla Tunisia e dalla Libia. E se durante la seconda guerra mondiale il Mediterraneo inghiottì molte vite italiane, oggi continua a inghiottirne tante provenienti da altri paesi: vite di uomini, donne e bambini che sognavano un futuro sereno sul territorio europeo. Nel nostro tempo, le acque sapide del “mare nostrum”, per secoli considerato naturale luogo di traffici, di passaggi e di ritorni alla ricerca di un punto di arrivo e di approdo che potesse donare il sospirato riposo e giorni di pace, sono diventate le velenose acque del “mare mortuum”, dove persone inermi trovano la loro ultima dimora. Firmando la Carta di Leuca, voi cari giovani, avete voluto contestare questo tragico esito e avete riaffermato la verità di un sogno: il Mediterraneo e la Puglia, la terra tra due mari, devono rimanere luoghi di incontro tra le culture e i popoli. Sognate la via maris come via pacis, perché, come recita il salmista, essa è percorsa non solo dagli uomini, ma anche da Dio: «Sul mare passava la tua via. I tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili» (Sal 76,20). Silenziosamente e invisibilmente il Signore scivola sulle acque del mare ed entra sulla scena del mondo e nelle vicende degli uomini. Il pensiero corre a Cristo che cammina sulle acque, simbolo eloquente della sua vittoria sul male (cfr. Gv 6,16-21). Ed è Maria, la Vergine de finibus terrae, il faro di luce divina che dona la certezza della vittoria del bene sul male. Per questo ci rivolgiamo a lei con la preghiera pronunciata da Papa Francesco al termine della Messa celebrata a Lampedusa (8 luglio 2013):

O Maria, stella del mare, ancora una volta ricorriamo a te, per trovare rifugio e serenità, per implorare protezione e soccorso. Madre di Dio e Madre nostra, volgi il tuo sguardo dolcissimo su tutti coloro che ogni giorno affrontano i pericoli del mare per garantire alle proprie famiglie il sostentamento necessario alla vita, per tutelare il rispetto del creato, per servire la pace tra i popoli. Protettrice dei migranti e degli itineranti, assisti con cura materna gli uomini, le donne e i bambini costretti a fuggire dalle loro terre in cerca di avvenire e di speranza. L’incontro con noi e con i nostri popoli non si trasformi in sorgente di nuove e più pesanti schiavitù e umiliazioni.

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Madre di misericordia, implora perdono per noi che, resi ciechi dall’egoismo, ripiegati sui nostri interessi e prigionieri delle nostre paure, siamo distratti nei confronti delle necessità e delle sofferenze dei fratelli. Rifugio dei peccatori, ottieni la conversione del cuore di quanti generano guerra, odio e povertà, sfruttano i fratelli e le loro fragilità, fanno indegno commercio della vita umana. Modello di carità, benedici gli uomini e le donne di buona volontà, che accolgono e servono coloro che approdano su questa terra: l’amore ricevuto e donato sia seme di nuovi legami fraterni e aurora di un mondo di pace. Amen.

Costruttori di ponti: lo spirito di Assisi e la strategia del dialogo nella costruzione della pace

Alberto Quattrucci -

Buonasera. Mi chiamo Alberto, sono della Comunità di Sant’Egidio e vengo da Roma. Sono contento di essere qui con voi in questa piazza. E’ bello, ma è anche importante, soprattutto in questi tempi, essere insieme. Questa sera vorrei regalarvi o forse regalarci, con tanta amicizia, cinque parole: CAMMINO, MURI, NOTTE, PONTI, SPERANZA. Di ognuna di queste 5 parole parlerò per sei minuti.

CAMMINO Può sembrare una parola “vecchia”, un po’ antiquata. Oggi piuttosto si vola, si prende treni veloci - almeno quando funzionano e ci auguriamo che siano più sicuri … - si fanno spostamenti anche più brevi in macchina o in moto. E anche quando il “movimento” avviene a piedi magari si corre, certo poche volte si “cammina”.

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Si dice non c’è tempo, ho fretta, insomma camminare poco conviene ai nostri tempi. Questo vale anche per l’informazione, che è diventata estremamente veloce in tutto il mondo. Siamo subito raggiunti dalle notizie degli altri e possiamo in un attimo inviare le nostre, magari con “parole abbreviate e con un linguaggio simbolico …”. Internet, email, Facebook e WhatsApp o i vecchi sms. Insomma non si scrive più una lettera ad un amico, affidandola al postino che la recapita. E il postino “camminava” per portarla. Non si cammina più per incontrare l’altro e portargli notizie. Le notizie viaggiano da sole. Eppure, cari amici, il cammino è importante, direi è tra i fondamenti della vita. Vedete, gli uomini e le donne sono presi oggi da molte angosce, circondati da tante tristezze. In generale disorientati e insoddisfatti. Questo avviene per tanti motivi, ma anche perché hanno smesso di “camminare”, e soprattutto di “camminare insieme”. Dobbiamo tornare a camminare. Il cammino è la “dimensione umana” della vita dell’uomo. Quando il bambino è appena nato non cammina. Così conosce soltanto la madre e poi il padre. Ma quando comincia a camminare, allora inizia a conoscere il mondo. Ma per iniziare a camminare il bambino ha bisogno che qualcuno gli tenda una mano a cui aggrapparsi. Per camminare c’è bisogno dell’altro, c’è bisogno della mano dell’altro, c’è bisogno della comunità. Nella prima comunità cristiana, quella di Gerusalemme, un giorno Pietro e Giovanni andando verso il tempio videro un uomo a terra. Non poteva camminare perché era storpio, ridotto a chiedere le elemosina. Loro si fermano a parlare con lui, lo guardano negli occhi, gli tendono le mani, lui le afferra e lo sollevano. Quell’uomo, per la prima volta, iniziò a camminare e la vita per lui ricominciò da capo. Camminare è ricominciare a vivere! Tutti noi possiamo fare come Pietro e Giovanni, se siamo in due, non da soli. Pensa ai tuoi compagni di classi, ai tuoi vicini di casa, a quello straniero che hai incontrato per strada, a quell’anziano che vive da solo. Possiamo tendere le mani verso l’altro e insegnargli a camminare di nuovo, così ricomincerà a vivere! E insegnando all’altro a camminare ritroveremo anche noi il gusto di camminare insieme. Questo è possibile per tutti, se non sono soli, è possibile camminare insieme. Ma il nostro mondo giudica male chi cammina insieme e chi si preoccupa troppo che gli altri imparino a camminare. Le regole sono: camminare poco e, soprattutto, pensare sempre e solo a se stessi. Si rifiuta chi è diverso, chi cammina per cercare un futuro migliore. Vorrei ricordarvi due gruppi di persone. Il primo è quello degli zingari, i rom, chiamati giustamente nomadi, cioè camminatori. Essi sono davvero gli ultimi europei rimasti: gli unici che si sentono cittadini dell’Europa, per niente nazionalisti! Una nazione, infatti, non ce l’hanno. Il secondo è quello dei rifugiati. Quelli costretti a camminare per fuggire dalla guerra e per salvare la loro vita e quella dei loro figli. Ma tutti e due questi gruppi di gente che sta “in cammino” non vengono accettati ne accolti. Piuttosto sono respinti. In un mondo in cui piace essere fermi, seduti sulle proprie abitudini, sedentari, chi cammina è visto male. Chi cammina è pericoloso perché non consuma, non è normale, non è “uno dei nostri”.

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Ma noi siamo venuti qui questa sera per camminare insieme, come pellegrini verso il futuro. Dobbiamo ritrovare, per noi e per gli altri, il valore del “cammino”. La vita, infatti, è cammino. La gioia è cammino. Chi si mette in cammino già trova quello che cerca, perché la felicità è nel camminare, non nell’arrivare per poi potersi fermare sicuri, senza più dover camminare … che tristezza! E camminando si resta giovani, non si invecchia camminando. E far camminare le persone più deboli e anziane, magari prendendole ancora per mano, fa si che esse ritrovino la propria giovinezza. Il cammino è una grande risposta alla ricerca di senso per la propria vita. Infatti “cammino” è diventato sinonimo di “esperienza”. Ma attenzione: non serve a niente e a nessuno un’esperienza episodica, quella che si chiama la “bella esperienza”. E’ come una bella foto da tenere nell’album. Quello che serve è un cammino che continua, avanti, con gli altri, verso la felicità e la libertà per tutti. Non abbiamo paura di camminare insieme, questa è la nostra libertà!

MURI I muri impediscono di camminare. I muri sono costruiti per dividere gli uomini, le donne, i popoli. Quanti muri nel nostro mondo! La storia dell’umanità è piena di muri. Muri per proteggere e muri per conquistare, barricate di cemento e barriere di filo spinato, barriere che crollano e altre in piena costruzione, di carattere razzista, economico o politico. Simili e diversi, muri per difendere confini, annettere territori, combattere l'immigrazione e il terrorismo. I muri fanno una sola cosa: dividono il mondo. Il 9 novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino: segnò nel modo più spettacolare la fine del dopoguerra, iniziò la riunificazione della Germania. Chiamato il "Muro della vergogna" fu voluto dal regime comunista della Germania dell'Est per arginare l'immigrazione. Dal 1949 oltre 2 milioni di tedeschi dell'est erano migrati nella zona occidentale. Tra i più antichi – III secolo a.C. – e il più lungo del mondo la Grande Muraglia Cinese. Costruito per proteggere i confini settentrionali dalle tribù mongole. E’ lungo 21.196,18 km, più o meno la distanza tra l'Italia e la Nuova Zelanda. Ma tanti muri … pensiamo alle Peace Lines dell'Irlanda del Nord, o alla divisione a Cipro, ultima Europa divisa, tra parte greca e parte turca. E ancora … la barriera tra Corea del Nord e Corea del Sud, poi tra India e Bangladesh,

un'interminabile

barriera

metallica

lungo

l'intero

confine,

mentre

i

muri

in Israele crescono e diventano sempre più tecnologici … fino al muro di Tijuana tra Stati Uniti e Messico, conosciuto oggi in tutto il mondo grazie alla visita di Papa Francesco. I muri sono ferite della storia, penso al muro delle esecuzioni nel campo di concentramento di Auschwitz, dove fu fucilato tra i tanti Massimiliano Kolbe. Tanti muri, troppi muri … e si continua, come in Ungheria o in altri paesi dell’Est: muri contro i rifugiati. Muri, muri, muri … muri per dividere il mondo. La guerra è sempre un muro, interrompe la vita, mutila intere società: è una drammatica avventura senza ritorno. Qualche giorno fa stavo ad Hiroshima, era il 6 agosto, 71 anni dopo quella terribile mattina quando alla 8.15 fu sganciata la bomba. Il pilota prima di farlo recitò una preghiera a Dio - quale

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Dio? - chiamando quel gesto una “purificazione dell’umanità”. Poi la tremenda esplosione, la morte, e il fungo atomico, premessa di tante altre morti per le radiazioni … Oggi ci sono tanti muri nell’area dell’epicentro della bomba, muri con i nomi delle vittime. Ma molti altri muri bloccano i cuori di chi ha perso i suoi cari o di chi ancora subisce le conseguenze delle tremende radiazioni. Riflettevo ad Hiroshima sul male che è la guerra nella storia umana, ma anche sulla sua inutilità. Quel 6 agosto 1945 la guerra era già vinta. Quella bomba era solo una “dimostrazione di forza” che è costata la vita a centinaia di migliaia di persone. E poi la guerra è ingiusta e sempre inutile, come la pena di morte. La prima non ha mai risolto mai alcun conflitto nella storia; la seconda non riduce il numero dei reati ma, al contrario lo fa aumentare. La violenza, anche commessa da uno Stato, non paga mai. E i muri generano tanta violenza, perché i muri sono “fabbriche di nemici”. Il nemico è quello che sta dall’altra parte del muro. Non si vede la sua faccia, così si può bene immaginare che si tratti di un mostro. Questo è molto utile ai politici che giustificano i muri per guadagnare voti, che sfruttano le paure per proporsi come “uomini forti”, capaci di risolvere ogni problema. Ma non si governa con la paura: prima o poi un Paese esplode, e a farne le spese sono sempre i più poveri. E poi dietro la forza apparente si nasconde sempre una enorme debolezza. La violenza, infatti, è sempre frutto della debolezza e conseguenza della paura. L’apostolo Paolo parla di un muro, scrivendo ai cristiani di Efeso. Dice loro che quel muro che un tempo li divideva era stato abbattuto grazie a Gesù, che aveva fatto di tanti uomini e donne divise un solo popolo, una unica comunità, una stessa famiglia. Quel muro si chiamava “inimicizia”. Eppure muri di inimicizia ancora esistono nel mondo e quanti nuovi ne sono costruiti oggi in Europa! Mi chiedo: che cos’è l’unità europea? Sì, unità nella moneta, ma quanta divisione tra i popoli e all’interno di ogni popolo! Oggi l’unità del nostro continente si manifesta piuttosto nella paura dell’altro, nella chiusura verso chi è diverso, nell’inaccoglienza al rifugiato. In Europa, come nel mondo, si rialzano tanti muri che un tempo erano stati demoliti. I muri del razzismo verso gli immigrati e oggi di nuovo in America muri tra i bianchi e i neri; i muri delle celle sovraffollate delle carceri, che non rieducano ma rafforzano esclusione e violenza; i muri di quell’ultimo corridoio percorso dai condannati a morte che dicono “fine” alla vita; i muri degli istituti per i disabili o di quelli per gli anziani … è moderno parlare di “eutanasia”, ma si tratta di quella “cultura dello scarto” di cui parla Papa Francesco. Cari amici, il nostro mondo è drammaticamente diviso. Il 10% della popolazione ha accesso al 86 % delle risorse; il 50% ha accesso allo 0 %. Il restante 40 %, cioè la classe media, difende il proprio accesso al 14 % e costruisce muri per paura di essere invasa e derubata dal quel 50% che possiede 0%. Il nostro mondo globale è una “terra disseminata di paure”. La nostra generazione, che gode delle

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più avanzate tecnologie, è quella che sperimenta la maggiore insicurezza e paura nella storia del genere umano. Questo genera tanti muri. Ha detto Papa Francesco: “Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo …”. Facciamo nostro questo sogno.

NOTTE Questa notte noi cammineremo insieme. Non ci fermeranno i muri della divisione o del pregiudizio, cammineremo insieme: giovani di tanti paesi del mediterraneo, figli di questa bella e accogliente terra di Puglia, insieme. Camminare insieme ci sostiene e ci aiuta a attraversare il buio della notte, tanto simile al buio del mondo in cui oggi viviamo. Credo davvero che forse mai come oggi il nostro mondo stia vivendo una lunga notte. Questa notte la si vive nelle famiglie in difficoltà, la si vive nelle società. Perché “la malattia più grave non è la lebbra o la tubercolosi, ma la solitudine …” lo ha detto, con le parole e con la vita, Madre Teresa. Si è trattato di una piccola donna di un piccolo Paese, il più piccolo dell’Europa, l’Albania. E’ il primo Paese visitato da Papa Francesco, ma è anche il Paese da cui sono arrivati i primi, tanti, immigrati. Sono sbarcati proprio qui in Puglia. Era il 7 marzo del 1991 quando arrivarono nel porto di Brindisi 27.000 migranti albanesi. Molti gridarono all’invasione, molti, proprio in questa regione, hanno saputo accoglierli, qualcuno stasera è qui con noi. Li salutiamo con affetto e gratitudine perché la loro presenza in Italia – oggi possiamo riconoscerlo – ha aiutato la crescita del nostro Paese e ha aiutato lo sviluppo del loro popolo in patria. Ma è vero, la solitudine è la malattia peggiore. Chi è solo, chi è abbandonato e dimenticato, vive nella notte. Pensiamo agli anziani soli o ai malati non visitati da nessuno … ogni dolore, di notte, diventa amplificato dal buio … e come sono lunghe le loro notti … interminabili! Continua Madre Teresa: “La solitudine è la causa di tanti disordini, divisioni e guerre che oggi ci affliggono.”. E’ la notte delle tante guerre ancora aperte, diffuse in molti angoli del mondo. Papa Francesco ha parlato di una terza guerra mondiale a pezzi. Sono guerre di cui non si vede la fine, guerre a volte dimenticate o considerate ormai “normali”, scritte nei cromosomi di un’area, di un popolo. Pensiamo all’Afghanistan, dove sembra lontana ogni soluzione; ai tanti scontri etnici in Birmania o in Burundi; alla violenza diffusa in Salvador; alle continue tensioni tra Corea del Nord e Corea del Sud; alla drammatica situazione in Libia in questi giorni; ai continui attentati in Pakistan e ora nello Yemen; alla difficile e lunga soluzione per l’autonomia di Mindanao nelle Filippine; pensiamo agli oltre 270.000 morti nella martoriata Siria dopo 5 anni di guerra … le notti di Aleppo sono illuminate solo dai lampi di continui bombardamenti. Una drammatica abitudine per tanti bambini, anziani, famiglie superstiti, malati, affamati e assetati in una città assediata. Quando verrà l’alba?

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Ma ancora, è la notte di una violenza che si moltiplica ovunque e che diviene “spettacolo”: attentati terroristici, torture fisiche, giochi perversi. Quanti giovani affascinati dal poter essere, anche se solo per un giorno, “protagonisti del male”. E la violenza attrae, diventa un gusto folle e impazzito. Ho conosciuto diversi giovani in Belgio, un anno fa, che ad un tratto non hanno più visto un amico o una collega di studio, abitavano alla porta accanto o nello stesso quartiere … dissolti, non una traccia. Solo in Belgio più di 450 giovani tra i 20 e i 26 anni sono partiti dal loro paese per arruolarsi nelle file dello Stato Islamico. Viene da dire: ma tu dov’eri? Perché non hai parlato più a lungo con quel tuo amico, con quella tua compagna di studio? E’ la domanda che il Signore fece a Caino, quasi all’inizio della Bibbia “Dov’è Abele, tuo fratello?” e quello rispose “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?”. Questa domanda arriva fino a noi, nella notte di questo nostro mondo. Ci accorgiamo dell’individualismo, dell’isolamento, della mancanza di legami e di comunità. E così il male si diffonde ed entra nei cuori.

PONTI “Non si va in cielo salendo scale, ma costruendo ponti”. Lo ha detto don Tonino Bello, testimone del nostro tempo. Il primo ponte da costruire è quello fatto dalle proprie mani tese verso l’altro. Come dice Papa Francesco: “Occorre farsi testimoni della carezza di Dio per ogni ferità dell’umanità”. Ma poi continua con forza: “Siate costruttori di ponti per spezzare la logica della divisione, del rifiuto, della paura gli uni degli altri, mettetevi al servizio dei poveri …” Noi della Comunità di Sant’Egidio abbiamo aperto delle brecce nei muri: si chiamano “corridoi umanitari”. Essi evitano i drammatici viaggi della morte con i barconi nel Mediterraneo; impediscono lo sfruttamento dei trafficanti di uomini che fanno affari con chi fugge dalle guerre; consentono di entrare in Italia in modo sicuro ai profughi stessi, ma anche sono sicurezza per il Paese che accoglie, perché le persone vengono identificate e controllate prima di partire. Abbiamo costruito questi ponti sul mediterraneo attraverso i quali uomini e donne, anziani e bambini, sono arrivati salvi a Roma dal Libano, dove si erano rifugiati dalla Siria. Non sono morti, come tanti loro corregionali affogati nel mare. Da mare di pace è divenuto tristemente mare di morte. Cari amici, oggi nel mondo le notizie arrivano ovunque, possiamo dire che sappiamo tutto. Una ragazza a Manila mi ha detto quanto sia stata toccata dal dramma del Bataclán, ma anche da quel piccolo libro “Non avrete il mio odio” scritto da un giornalista francese che ha parso la moglie, proprio nella tragedia del Bataclán a Parigi. Non avrete il mio odio, questa è la vera risposta al terrorismo. Ebbene sappiamo tutto, ma sapere non basta. C’è bisogno di scegliere, di fare, e tutti possiamo scegliere e fare. Il mondo è pieno di idee … servono testimoni ! E il testimone è sempre uno che costruisce ponti ! E’ un costruttore di ponti che lavora nel cantiere della pace, è “la pace è un cantiere aperto a tutti”, come affermò il Santo Papa Giovanni Paolo II in quel primo grande incontro di Assisi, 30 anni fa. Da allora la Comunità di Sant’Egidio ha voluto

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raccogliere quella eredità e diffondere quello “spirito di Assisi” in ogni angolo del mondo. Tanti incontri, tante tappe di amicizia, di dialogo, di pace, pure in un modo pieno di tante guerre. Lo spirito di Assisi è un ponte che supera tanti muri e che avvicina realtà religiose e popoli diversi. Attraverso quel ponte di dialogo abbiamo costruito la pace in Mozambico, in Guatemala, in tanti Paesi fino al Centrafrica, dove Papa Francesco ha voluto aprire, a Bangui, l’Anno Santo della Misericordia. Nel prossimo settembre, dal 18 al 20, ancora ad Assisi, celebreremo il 30° anniversario con un nuovo Incontro Mondiale dal titolo “SETE DI PACE”. Siete tutti invitati ad essere con noi!

SPERANZA La speranza è la forza della vita, è la “benzina” per il cammino della vita. La speranza fa uscire da se, fa uscire dalla stanchezza delle abitudini, fa camminare per le strade del mondo alla ricerca del nuovo, dell’altro, del futuro. Papa Francesco tante volte, soprattutto con i giovani, ha insistito a dire: “Non fatevi rubare la speranza!”. Qui, cari amici, credo sia davvero la chiave per una vita spesa bene, con gli altri, divenendo autentici distruttori di muri e “costruttori di ponti”. Infatti noi questa notte vogliamo ritrovare il senso della nostra responsabilità e rinnovare con forza la nostra scelta: essere distruttori dei muri della separazione, dell’esclusione, della rassegnazione e dell’indifferenza, ed essere costruttori dei ponti dell’amicizia, della solidarietà, dell’integrazione, del vivere insieme nella pace. Ma questo a patto di “non farci rubare la speranza”. Perché vedete, noi siamo molti attenti a non farci rubare i soldi, a non farci rubare le cose, magari a non farci rubare il ragazzo o la ragazza … ma poi siamo poco attenti a non farci rubare la speranza. Ed è molto facile, nel mondo in cui oggi viviamo, che ci rubino la speranza. Ce la ruba la disoccupazione, la mancanza di un futuro sicuro; ce la riba la situazione difficile in famiglia, la divisione; ce la rubano le notizie violente e drammatiche di ogni giorno, a cui purtroppo spesso facciamo abitudine; a diversi poi, gliela ruba la droga o le illusioni facili … E se chiamiamo “ladri” quelli che ci rubano le cose, siamo ormai abituati a chiamare “normalità” il furto della speranza. Attenti! Senza speranza non si vive, ma si sopravvive; non si cammina, ma si resta fermi; non si guarda in avanti, ma si tiene gli occhi curvi su se stessi e quindi, prima o pio, si inciampa. Certo, non è facile mantenere o proteggere la speranza quando si è soli. La solitudine è sempre debolezza. Se sei solo è più facile che ti rubino la speranza. Per questo noi siamo insieme … quando diciamo NOI e non IO la speranza è più forte. In un mondo come il nostro, di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza - che significa sempre individualismo, che è il vero nemico della pace, più di ogni guerra – di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza c’è bisogno della globalizzazione della solidarietà. Oggi è il tempo opportuno per questa scelta e per questo impegno. Vorrei dirvi che non c’è mai stato un tempo come questo: tanto pieno di uomini e donne impauriti e violenti, ma anche tanto

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pieno di possibili costruttori di pace. Ha detto più volte Andrea Riccardi: “Siamo in un tempo in cui tutti possono iniziare una guerra, ma anche in cui tutti possono lavorare per costruire la pace.”. Ha da poco dichiarato Zygmunt Bauman, grande pensatore dei nostri giorni: “La paura è il sentimento prevalente del nostro tempo. Succede che i legami umani si frantumano, che lo spirito di solidarietà si indebolisce, che la separazione e l'isolamento prendono il posto del dialogo e della cooperazione. In questo clima di esasperata diffidenza basta poco perché l'altro sia percepito come un potenziale nemico: sarà ritenuto colpevole fino a prova contraria.". Poi lo stesso Bauman conclude: “La strada è un dialogo volto a una migliore comprensione reciproca, in un'atmosfera di mutuo rispetto, in cui si sia disposti ad imparare gli uni dagli altri. Ascoltiamo troppo poco Francesco, ma la sua strategia, benché a lungo termine, è l'unica in grado di risolvere una situazione che somiglia sempre di più a un campo minato, saturo di esplosivi materiali e spirituali, salvaguardati dai governi per mantenere alta la tensione. Finché le relazioni umane non imboccheranno la via indicata da Francesco, è minima la speranza di bonificare un terreno che produrrà nuove esplosioni, anche se non sappiamo prevedere con esattezza le coordinate". Cari amici, ha detto Papa Francesco ai giovani, come noi, a Cracovia: “La sofferenza dell’altro non è più anonima. Ha un nome, un volto, una storia. Basta guardare la sofferenza attraverso lo schermo della televisione! Basta guardare le notizie in internet per poi “cambiare” per non rattristarci troppo!” Usiamo i nostri cellulari per parlare con chi è nella sofferenza, per stabilire un legame con chi è solo, per stringere amicizia con chi è dimenticato da tutti, per costruire un ponte con chi è dall’altra parte, oltre il mare, dall’altra parte della vita! Cominciamo questa sera, camminando insieme. CAMMINO, MURI, NOTTE, PONTI, SPERANZA. Vi chiedo di ricordare queste parole, di cominciare subito a viverle. Spero che la nostra amicizia, iniziata questa sera, duri per sempre. Alessano, 13 agosto 2016

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Mons. Vito Angiuli

Palazzo Gallone, Tricase 11 agosto 2016.

Siamo l’Europa del Sud. Sentiamo di appartenere all’una e all’altro. Ci sentiamo europei perché riconosciamo che inevitabilmente, nonostante pareri discordanti, le sue radici sono quelle della cultura classica e del fondamentale apporto dato lungo il corso dei secoli dal cristianesimo e dall’azione della Chiesa. Siamo gente del Sud, perché qui siamo nati e in questa tradizione meridionale siamo profondamente radicati. Scenari inquietanti In questi ultimi tempi, lo scenario mondiale è profondamente cambiato e questo ha avuto e continua ad avere notevoli ripercussioni anche sul nostro territorio e, in generale, sul continente europeo, sul suo modo di rappresentarsi e sulle scelte che è chiamato a compiere. La miscela composta dalla crisi economica e dal terrorismo di matrice islamica sta rimodellando la frontiera geopolitica europea. Dopo l'entusiasmo per l’ingresso di altre nazioni (2004-2008), il “cuore” geopolitico dell’Europa sembrava essersi spostato a Nord e nell'area orientale mentre il mar Mediterraneo sembrava ormai declassato a periferia irrilevante, facendo perdere qualsiasi centralità al fronte meridionale europeo. All’improvviso, gli equilibri faticosamente raggiunti sono profondamente mutati e il mar Mediterraneo ha rivendicato il suo primato. Il “mare nostrum” è diventato “mare mortuum”, se si pensa alle migliaia di migranti annegati lungo la sua traversata. Oggi, il Mediterraneo appare come “muro liquido” che si estende dalla Turchia alla Spagna, dal Libano al Marocco, dalla Grecia alla Francia, al cui centro c’è proprio l’Italia, anzi il Sud Italia. Il Vecchio Continente si specchia in queste acque anche quando rifiuta di farlo, fingendo che quanto accade riguardi solo i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. In tal modo, gli interventi politici sono pensati al massimo come una sorta di solidarietà economico-strategica e non invece come un inevitabile coinvolgimento dell’intero continente. Occorrerebbe, invece, un coordinamento senza distinzioni tra Est e Ovest, tra Nord e Sud; una presa di coscienza e di iniziativa comune, assegnando un ruolo cruciale al Mediterraneo. In realtà, secondo un alto esponente del Parlamento europeo, «la disintegrazione dell'Unione Europea è purtroppo già una realtà. E lo si vede anche da quanto sta accadendo nella lotta al terrorismo, come nel contrasto alla crisi economica: come sempre, davanti alle sfide e alle emergenze, non riusciamo a prendere decisioni rapide ed efficaci. Attendiamo, attendiamo... ogni scelta richiede l'approvazione di 27 Stati. Così siamo sempre in ritardo, o prendiamo decisioni deboli»4.

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L. Offreddu, Risposta comune e coordinata. Altrimenti è la fine dell’Europa, in “Il Correrie della sera”, 1 agosto 2016, p. 13.

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Il dibattito sul Sud In questo scenario mondiale profondamente mutato, è ritornato di attualità il dibattito sul Mezzogiorno, sul suo rapporto con l’Europa e sul suo ruolo nello scenario mondiale5. Per alcuni, il Sud sta ripartendo: «I dati Istat sull'andamento del Pil nel 2015 consentono finalmente un po' di ottimismo. Il Mezzogiorno sta uscendo da una delle più gravi recessioni della sua storia, allineandosi se pur con ritardo al resto d' Europa e superando anche il Centro-Nord»6. Sembra che «a trainare questa ripresa meridionale è soprattutto l'agricoltura: +7,3 per cento in un anno»7. C’è chi, invece, ritiene che, a partire dagli anni Ottanta, si registra una diminuzione dell’attenzione verso il Mezzogiorno. In tal modo, esso «è così giunto dov’è oggi sull’orlo del collasso (…). Ciò che colpisce di questa situazione è la sostanziale assenza di una reazione forte e continua da parte dell’opinione pubblica meridionale e di chi dovrebbe darle voce. Mancano larghi dibattiti, autocritiche, progetti: mancano gruppi attivi, iniziative di mobilitazione durature, leader moderni e capaci»8. Secondo altri il Sud è vivo, ma i poteri lo ignorano sicché «se il Sud protesta, fa il lacrimoso. Se il Sud ottiene qualcosa, scopre la sua cifra clientelare. Se il Sud tace, è apatico. Se il Sud parla o scrive, il Nord fa finta di non sentirlo o di non leggerlo, ma poi lo accusa ora di piagnucolismo ora di indifferentismo»9. C’è chi è convinto che per capire il Mezzogiorno, occorra liberarsi dalla «retorica meridionalistica […] e promuovere la cultura del merito, contro il mantra dei localismi e del territorio» 10. Infine c’è chi propone la creazione di un «apposito Ministero per il Mezzogiorno, con le deleghe necessarie a coordinare la programmazione strategica e il reperimento delle risorse nazionali e comunitarie»11. Come si vede il dibattito verte soprattutto sul piano economico. Poco o niente si dice sul ruolo strategico che l’Europa e, al suo interno, il Meridione d’Italia dovrebbero svolgere tenendo conto dei nuovi equilibri mondiali. Al massimo, si fa appello a un cambio della politica europea in attesa che a Bruxelles vengano prese le opportune iniziative per far fronte a questa nuova situazione geo-politica. In un simile frangente, secondo Jeffrey Sachs, l’Italia avrebbe «l’occasione di lanciare un grande piano per il Mediterraneo. Può farlo e deve farlo. Anche perché Bruxelles guarda costantemente troppo a Nord»12. Secondo Sachs, le priorità di un Piano per il Mediterraneo sarebbe tre: l'aumento della sicurezza alimentare nel Maghreb e in Africa; l’accesso all'educazione per una popolazione in 5

Ne è segno la ripubblicazione degli scritti di L. Sturzo, Svegliati Sud! (a cura di G. Giacovazzo), Palomar, Bari 2004. E. Felice, La (timida) ripartenza del Meridione, in “La stampa”, 28/06/2016, p. 29; cfr. anche M. Iondini, Il Sud torna a crescere dopo sette anni di crisi, in “Avvenire”, 28 giugno 2016, p. 18. 7 R. Mania, L'agricoltura spinge il Sud dopo sette anni torna la crescita, in “La Repubblica”, 28 giugno, 2016, p. 13. 8 E. Galli della Loggia, Il Governo e il Sud che non c’è, in “Il Corriere della Sera”, 21 dicembre 2015, p. 33. 9 G. De Tomaso, Caro professore, Il Sud è vivo, ma i poteri lo ignorano, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 22 dicembre 2015, p. 23. 10 E. Felice, Basta retorica se si vuole aiutare il Mezzogiorno, in “La Stampa”, 12 gennaio 2016, p. 27. 11 M. Loizzo, Cambiare verso è possibile partendo dal Sud, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 16 gennaio 2016, p. 16. 12 M- Dassù, Bruxelles guarda a Nord. L' Italia promuova un piano per il Mediterraneo, in “La Stampa”, 18 marzo 2016, p. 3. 6

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rapidissima crescita; la sostenibilità energetica. Purtroppo anche l’Italia, appare sempre più «una società frammentata che viene gestita senza progetti unitari e chiari. Che ha urgente bisogno di definire quali devono essere i rapporti fra il Parlamento e il governo, per ritrovare la capacità di individuare obiettivi definiti e specifici al di là delle esigenze del momento»13. La prospettiva profetica di don Tonino In questa prospettiva, torna di attualità il pensiero di don Tonino Bello, che già all’inizio dell’avventura dell’unione europea metteva in guardia da una «polarizzazione intorno ad una nazione emergente: la Germania, il Marco. In una casa comune - egli soleva dire - se dobbiamo aiutarci tutti, ognuno deve lasciare qualcosa; non possiamo andare con tutte le nostre masserizie; bisogna lasciare qualche cosa»14. A suo giudizio, il Sud Italia si presenta come un «luogo paradigmatico dove si manifestano gli stessi meccanismi perversi che, certamente in modo più articolato, attanagliano tutti i Sud della terra. Questa nuova visione planetaria, che ci fa scorgere come i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno, deve spingere il volontariato a decidersi da che parte stare se vuole che la sua azione sia demolitrice delle strutture di peccato, o rimanga invece una semplice opera di contenimento e di controllo sociale, come di utile ammortizzatore, tutto sommato funzionale al sistema che tali sperequazioni produce e coltiva»15. Al contempo, egli invitava a scorgere alcuni segnali positivi. Si avverte nel Sud «il bisogno di uscire dalle vecchie aree dell’individualismo per aprirsi a orizzonti di comunione. C’è un’istintiva disponibilità all’accoglienza del diverso. Non per nulla il Mezzogiorno è divenuto crocevia privilegiato delle culture mediterranee, vede moltiplicarsi al suo interno le esperienze di educazione alla pace, si riscopre come spazio di fermentazione per le logiche della nonviolenza attiva, avverte come contrastanti con la sua vocazione naturale i tentativi di militarizzazione del territorio e vi si oppone con forte determinazione […]. L’Europa che nasce deve fare i conti con il Sud Italia, il quale, nella sua coscienza emergente, si rifiuta di assolvere al ruolo di icona della subalternanza per tutti i Sud della terra, ma vuole sempre più decisamente presentarsi alla ribalta mondiale come icona del riscatto dalle antiche schiavitù. Ed è in forza di questo riscatto che il Sud d’Italia respinge la prospettiva di essere utilizzato come baluardo militare dell’Europa, proteso nel Mediterraneo come arco di guerra e non come arca di pace»16. In questa luce, secondo don Tonino, si deve dar credito «all’ansia profonda di solidarietà presente nel Sud istintivamente portato alla costruzione di una civiltà multirazziale, multietnica, multireligiosa […] assumendo la speranza come filo rosso che attraversa il nostro impegno e sostiene il nostro messaggio il quale, in fondo, è un messaggio di liberazione»17. Nel contesto del Meridione, alla Puglia è riservato un ruolo tutto particolare. In molti discorsi del magistero, la Puglia viene esaltata come «un ponte lanciato verso l’Oriente»18. Essa è, dunque, «come una finestra aperta, da cui osservare tutte le povertà che incombono sulla storia. E’ una terra- finestra. Una terra-simbolo. Una terra-speranza. Una terra-frontiera. Una terra finis-terrae. Da questa terrafinestra si scruta bene l’Adriatico in fiamme. Il crollo dell’Albania e il fuoco dei Balcani. Si distingue bene il Mediterraneo, nuovo invisibile muro, che curva la nostra regione come un arco di guerra puntato dal Nord verso il Sud del Mondo. Il radicalmente altro che è il musulmano, il radicalmente impoverito che è l’africano. Insomma, siete nella terra dove la speranza è sfidata ogni giorno dalla violenza»19. Per questo, la Puglia non può trasformarsi in «un ponte aereo!»20. Purtroppo, «dalla Daunia alle Murge al Salento, ancora una volta, la Puglia viene penalizzata da moduli di sviluppo che privilegiano la 13

E. De Mita, La società frammentata e l’assenza della politica, in “Il Sole 24”, 1 agosto 2016, p. 3 A. Bello, Chiesa di parte, Chiesa dei poveri, in Scritti vari, interviste aggiunte, vol. VI, p. 519. 15 Id., Il pentalogo della speranza, in Scritti vari, interviste aggiunte, vol. VI, p. 252. 16 Id., La profezia oltre la mafia, in Scritti di pace, vol. IV, p. 280. 17 Id., Il pentalogo della speranza, in Scritti vari, interviste aggiunte, vol. VI, p. 254. 18 Id., Quale olio brucerà sulla tomba di Francesco, in Scritti di pace, vol. IV, p. 94. 19 Id., La speranza a caro prezzo, in Scritti di pace, vol. IV, pp. 348 - 349. 20 Id., Quale olio brucerà sulla tomba di Francesco, in Scritti di pace, vol. IV, p. 94. 14

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militarizzazione del territorio, ne distorcono l’assetto paesaggistico e produttivo, o lo espongono, (come nel caso della centrale a carbone di Cerano), ad alto rischio ambientale. I segni dei tempi, ci fanno scorgere nella Puglia un promontorio di pace avanzato nel Mediterraneo, e non un avamposto di guerra che affida alle armi la sicurezza dell’Europa»21. In realtà, si vorrebbe imporre alla Puglia «un ruolo “tragico” come nei teatri greci, un tempo così numerosi nella nostra terra. Un ruolo che non ci appartiene né per vocazione di Dio, né per tradizione degli uomini […]. Un ruolo che ci fa considerare gendarmi di rincalzo nel Mediterraneo per il servizio di controllo. Se non di repressione, sulle folle disperate del terzo e del quarto mondo. A questa storia ci sentiamo estranei. E coloro che si prestano come comparse a intervenire nella trama dell’olocausto planetario sappiamo che forse stanno provando il disgusto di Dio e la rabbia dei poveri» 22. Da queste considerazioni, secondo don Tonino, dovrebbe nascere un forte richiamo a chi ha la responsabilità delle scelte politiche: «A voi, politici, di cui comprendiamo la sofferenza e intuiamo le perplessità, chiediamo di mostrare che la rete delle istituzioni non si è scollata dal sentire della gente. Che a voi preme ancora il bene comune. Che ben altri sono i progetti, in calce ai quale volete segnare i vostri nomi. Che su più gloriose pagine della nostra storia ambite figurare come protagonisti. Che l’amore per i poveri e per la loro vita è ancora il principio architettonico della vostra azione sociale» 23. L’appello di don Tonino non è un sogno utopico, nasce invece dai fatti realmente accaduti, in modo particolare dalla vicenda migratoria che, negli anni ’90, ha riguardato l’Albania alla quale egli prestò grandissima attenzione tanto che ad un anno di distanza scrisse queste parole: «Ora che il tempo è passato e che di questa gigantesca arnia attraccata al porto di Bari e brulicante di api ci è rimasto solo il riverbero nelle pupille e il tanfo nelle narici, riusciamo ad afferrare meglio l’ambivalenza di quella vicenda. Una vicenda di peccato, per un verso. O se vogliamo usare categorie più laiche, una vicenda di lesa umanità. Quindicimila esseri umani, sospinti in branco dalla fame, che rischiano di andare alla deriva avvinghiati fino all’elica di un unico bastimento. Lupi accecati dall’arsura e dalle croste di sale. Che si riversano sul molo, divenuto per centinaia di metri una protesi di carne. Che vengono braccati con inesorabile determinazione dalle forze militari, mentre più dietro si ingrossa inutilmente la cintura della pietà privata. Uno scenario da girone dantesco, la cui drammaticità non viene temperata neppure dall’espediente di dividere il fronte portandone una metà nello stadio della Vittoria» 24. Tuttavia, questa triste storia contiene anche «risvolti di grazia. Di cui non è esercitazione sprecata fare memora. Anzitutto, l’operosità solidale della gente comune che si è prodigata con tutta l’anima per alleviare la sofferenza di quegli infelici. Chi in quei giorni disperati è vissuto sul posto, ha potuto misurare l’alta quota di umanità espressa dalla popolazione: dai privati ai gruppi di volontariato, dalle associazioni laiche alle caritas parrocchiali. E’ un aspetto, questo dell’ospitalità della gente, che è stato tenuto colpevolmente in ombra per un anno intero […]. Un secondo frutto di grazia va ravvisato nel fatto che si è sviluppata in tutta la Puglia una fitta trama di gemellaggi tra le comunità ecclesiali e i vari dipartimenti albanesi. Una rete di rapporti che, mentre assicura l’aiuto concreto ai fratelli più poveri, provoca anche una intensa cultura dello scambio e scatena quella coscienza di solidarietà così indispensabile per chi voglia aprirsi a orizzonti multietnici. E ora, a un anno dalla disperata avventura albanese sulle nostre coste, siamo chiamati a cogliere un segnale per il futuro. […] Questa terra, che oggi rantola tra i bagliori della guerra vicina e le incertezze della solidarietà lontana, ci chiede soprattutto di essere riscoperta nella sua identità, rispettata nella sua autonomia, e aiutata nella sua crescita originale. Senza tentazioni di colonialismo né economico, né culturale, e tanto meno religioso»25. Da qui, un invito alla Chiesa a non tirarsi indietro. Commentando il documento della Conferenza episcopale italiana, Chiesa italiana e Mezzogiorno (18 ottobre 1989), don Tonino rilevava che la Chiesa aveva «finalmente capito di non trovarsi per metà su una barca a remi che fa acqua e per metà su di un 21

Id., Difesa sì, purché popolare e non violenta, in Scritti di pace, vol. IV, p. 159. Id., Purché non si rovesci il sogno di Isaia, in Scritti di pace, vol. IV, pp. 38- 39. 23 Ivi. 24 Id., Sbarco degli albanesi. Le cicatrici di un anno dopo, in Scritti di pace, vol. IV, p. 321. 25 Ivi, pp. 322-323. 22

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motoscafo inossidabile. Sulla barca a colabrodo ci siamo tutti, ma con una fortissima speranza di poter evitare il naufragio»26. Certo, a suo parere, in quel documento non tutto era stato detto e molto ancora bisognava fare. Soprattutto occorreva ridisegnare il ruolo che il Meridione era chiamato a svolgere con l’imminente integrazione europea, inquadrato nel contesto planetario della tensione Nord-Sud. La necessaria autocritica da parte della Chiesa nel riconosce la sua porzione di responsabilità nella denuncia dei fenomeni perversi, doveva poi risolversi nel promuovere «un protagonismo di pace che il Mezzogiorno può esprimere, in modo particolare sullo scenario mediterraneo»27. Don Tonino era consapevole che si trattava di un progetto che non poteva essere attuato con le sole forze umane. Egli sapeva che la storia è guidata dal Signore. Questa sera, mentre chiede anche noi di adoperarci per la nascita di un mondo migliore, ci invita ad elevare un’accorata e corale invocazione a Cristo, Figlio di Dio e Salvatore del mondo: «Eccoci davanti a te, Signore della storia, fratello solidale con gli uomini Dio estroverso che hai impregnato della tua presenza il tempo e lo spazio amore segreto verso cui fremono di incoercibili spasimi gli abissi del mare, i tumulti delle foreste e le traiettorie del firmamento, alfa da cui si diparte il compitare delle stagioni e omega verso cui precipita la piena dei tempi, scaturigine primordiale dei fiumi delle umane civiltà, e ultimo approdo verso cui in un interminabile conto alla rovescia, battono le sfere di tutti gli orologi terreni… Verbo incarnato, che riassumi nel tuo mistero la stabilità dell’eterno e le clessidre del mutamento noi ti contempliamo stasera come archetipo della missione che hai affidato alla tua Chiesa: quella di introdurre te nelle culture del mondo. […] Perciò ti imploriamo stasera: discendi, ancora una volta, agli inferi. No, non alludiamo a marce trionfali che ti facciano strappare al diavolo, in un quadro di potenza, le anime dei morti. Ma vogliamo riferirci a quella tua capacità di prendere su di te le disperazioni del mondo, di sedurle con le nostalgie del Sabato Santo, e di farle aprire alla tavola imbandita della Pasqua. Tu semente che si disfa, entra nelle zolle delle umane culture, e noi, non più sgomenti come dice un poeta “staremo ad ascoltare la crescita del grano”»28.

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Id., Chiesa italiana e Mezzogiorno, in Articoli, corrispondenze, lettere, notificazioni, vol. V, p. 68. Ivi. 28 Id., Preghiera a Cristo, in Scritti mariani, lettere ai catechisti, visite pastorali, preghiere, vol. III, pp. 335. 348. 27

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75° Anniversario dell’Istituto delle suore Figlie di Santa Maria di Leuca

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75° ANNIVERSARIO DELL’ISTITUTO DELLE SUORE FIGLIE DI SANTA MARIA DI LEUCA 75° Anniversario dell’approvazione di Diritto Diocesano e Professione Perpetua per l’Istituto delle Figlie di Santa Maria di Leuca. Per l’importante ricorrenza si è svolta una solenne celebrazione eucaristica nella Basilica di Leuca presieduta da Sua Ecc.za Mons. Vito Angiuli, vescovo della Diocesi di Ugento- Santa Maria di Leuca. Nel corso della cerimonia hanno fatto la loro Professione perpetua nella Congregazione 14 suore. La Congregazione religiosa nasce nel 1938 per opera di una donna pia e coraggiosa, Elisa Martinez di Galatina, che insieme a poche anime devote, ottiene dal vescovo della Diocesi di Ugento Mons. Giuseppe Ruotolo, di poter iniziare un cammino di vita religiosa nel paese di Miggiano, in provincia di Lecce. Fu lo stesso vescovo che suggerì di dare alla Congregazione nascente il titolo glorioso di “Figlie di S. Maria di Leuca” e concesse l’erezione canonica di Diritto Diocesano il 15 Agosto del 1941. E due anni dopo, si ebbe il Decreto di lode di Diritto Pontificio esattamente il 29 Maggio del 1943. La giovane Fondatrice, nacque infatti, a Galatina il 25 Marzo del 1905, dette subito un impulso evangelico alla vita religiosa e apostolica del gruppo delle anime desiderose di consacrarsi totalmente a Dio. Queste, spinte dall’azione dello Spirito, volevano vivere un’esperienza di fede intensa attraverso una vita di preghiera e di comunione tra loro con la Chiesa locale. L’obiettivo evangelico e apostolico, recepito da molte comunità ecclesiali, fu realizzato in più parti e in varie località, motivo per cui si assiste alla fondazione di varie case religiose con una presenza di vocazioni proveniente da diversi ambienti. L’ambito della presenza delle Suore, pertanto, non fu solo il territorio italiano ma ben presto si estese oltre il confine nazionale. Le prime fondazioni fuori Italia si hanno nella Svizzera, nel 1947; negli Stati Uniti, nel Canada, 1947-1951; in Francia nel 1958; in Spagna nel 1965; in Portogallo nel 1967; in India nel 1967-1968; nelle Filippine nel 19671969.

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La Vergine di Leuca, immagine e modello della Congregazione “Figlie di S. Maria di Leuca”

Eminenza Reverendissima, Card. Gilberto Agustoni,

Rev. da Madre Generale, suor Ilaria Nicolardi, e voi care suore, per la vostra Congregazione, l’odierna festa dell’Assunzione di Maria Vergine al cielo è una ricorrenza tutta particolare. Sono molti i motivi di gioia. In questa liturgia, infatti, fate memoria del 75° dell’Approvazione di Diritto Diocesano, 14 suore emetteranno la professione perpetua e un’altra consorella, suor Josepha Paradela, festeggerà il 25° anniversario di consacrazione. Tutto questo avviene in un luogo a voi particolarmente caro: la Basilica di Leuca, la casa e il santuario della Vergine de finibus terrae. A questo luogo santo si ispirano le vostre costituzioni e la vostra regola di vita. In questo santuario prestate il vostro servizio. Soprattutto portate il nome della Vergine di Leuca. Vi chiamate, infatti, “Figlie di S. Maria di Leuca”. Questa denominazione indica la vostra comunità e specifica l’identità del vostro carisma. Tutto in voi deve trovare in Maria il suo ideale e il suo punto di riferimento spirituale. La Vergine di Luca deve essere per voi il sigillo, l’impronta, il segno, la traccia, la caratteristica, il tratto peculiare, il carattere distintivo della vostra via alla santità. Per voi, valgono in modo particolare le parole dell’Apocalisse: «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle» (Ap 12,1). L’immagine ha una grande forza evocativa: il segno grandioso è la donna-comunità vestita di sole, la luna sotto i suoi piedi e una corona di stelle intorno al suo capo. Dio avvolge la donna di luce sfolgorante. Amata e ricolma dei suoi doni migliori, la donna sente di poter realizzare il progetto e il compito che Dio le ha assegnato. Ella è al di sopra di ogni realtà negativa, domina pienamente le vicissitudini del tempo ed è già rapita nell’eternità. La vittoria finale è già raggiunta e posseduta ed è assicurata la pienezza della vita escatologica. Rispecchiandovi in Maria, imparerete a scoprite la vostra identità e la vostra missione che è quella di generare e portare Cristo in fines terrae come la Vergine di Leuca che è posta sul promontorio de finibus terrae. A tal proposito, valgono per la nostra Chiesa particolare e per voi le parole che Benedetto XVI pronunciò nell’omelia tenuta durante la Messa celebrata sul piazzale di questa Basilica (14 giugno 2008). «De finibus terrae: il nome di questo luogo santo è molto bello e suggestivo, perché riecheggia una delle ultime parole di Gesù ai suoi discepoli. Proteso tra l’Europa e il Mediterraneo, tra l’Occidente e l’Oriente, esso ci ricorda che la Chiesa non ha confini, è universale. I confini geografici, culturali, etnici, addirittura i confini religiosi sono per la Chiesa un invito all’evangelizzazione nella prospettiva della “comunione delle diversità”»29. A questo pensava, la Serva di Dio, Madre Elisa Martinez (25 marzo 1905 - 8 febbraio 1991), quando, mossa dall’ideale di consacrazione, il 19 marzo 1938 diede inizio alla Pia Unione delle Suore dell’Immacolata, ispirandosi alla carità di Maria e all’insegnamento evangelico di Gesù, Buon Pastore. Sul modello della Vergine Maria, Madre Elisa visse una duplice forma di carità: il servizio agli emarginati, ai carcerati, alle madri nubili e all’infanzia abbandonata, e l’azione educativa e catechetica in modo particolare verso la prima infanzia. Ella vi ha 

Omelia nella Solennità dell’Assunzione della Vergine Maria, Basilica di Leuca, Leuca 15 agosto 2016. Benedetto XVI, Omelia nella Messa celebrata sul Piazzale del Santuario di Santa Maria de finibus terrae, Basilica di Leuca, 14 giugno 2008, in “Bollettino Diocesano”, 71, 2008, n. 1, p. 22. 29

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sempre inculcato la devozione alla Vergine di Leuca. «Ricordate – soleva dire – che sia nella più piccola, come nella più grande casa in cui vi trovate, all’estero o in Italia, una sola e unica scritta sta sulla porta: “Figlie di S. Maria di Leuca”». A questo pensava anche il mio venerato predecessore, mons. Giuseppe Ruotolo, quando, il 15 agosto 1941, appunto 75 anni fa, eresse la Pia Unione in Istituto di Diritto Diocesano, cambiandone il nome in suore “Figlie di S. Maria di Leuca”, in onore al maggior santuario mariano del Salento. Nel frattempo, l’Istituto si è diffuso in più parti di Italia e del mondo, tanto da ottenere, nel 1943, il Decreto di erezione di Diritto Pontificio. Madre Elisa spese la sua vita per la maggior gloria di Dio, a onore della Vergine Maria e per il bene dei fratelli più bisognosi; una vita, provata come oro nel crogiolo da grandi sofferenze e incomprensioni. Anche lei, come la donna dell’Apocalisse, fuggì misticamente nel deserto, luogo della prova, della verifica, della maturazione nel rapporto con Dio, ma anche luogo del primo amore: l’amore della giovinezza. La donna è nel travaglio del parto, minacciato dall’incombere del grande drago, «il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e satana» (Ap 12,9) che agisce nella storia umana e nelle vicende degli uomini e, con la sua mostruosità demoniaca, si oppone al parto della donna cercando di distruggerne il frutto. Ma la donna vestita di sole riporta sempre la vittoria. Così anche Madre Elisa, figlia diletta della Vergine di Leuca, ricca di meriti, andò incontro allo Sposo Divino, lasciando una grande eredità: 55 comunità religiose, distribuite in otto paesi, con 600 sue amate figlie che hanno diffuso il suo carisma nel mondo con immutata fedeltà. Oggi, la sua fama di santità va sempre più crescendo e la sua tomba è meta di continui pellegrinaggi da parte di chi invoca la sua intercessione presso Dio. Consapevole di questa fama di santità, la Congregazione per le cause dei santi, lo scorso 29 luglio 2016, ha dato il suo Nulla osta all’introduzione della Causa di beatificazione e di canonizzazione della Serva di Dio, Madre Elisa Martinez. Noi, Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, e voi, Congregazione “Figlie di S. Maria di Leuca”, accogliamo con vivissima gioia questa notizia. Per questo, ho emanato un editto, che porta la data di questo giorno, nel quale ho fissato per il 17 novembre 2016 la data di apertura dell’Inchiesta Diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità della Serva di Dio. Ho altresì nominato postulatore della causa Mons. Sabino Amedeo Lattanzio. Ha inizio così un nuovo percorso che si prospetta ricco di grazia e di frutti spirituali. Care sorelle, il traguardo raggiunto è per tutte voi un nuovo punto di partenza. Lo è oggi, in modo particolare, per voi che emettere la professione solenne e per te, cara suor Josepha, che celebri il tuo venticinquesimo di consacrazione. A voi, la liturgia addita la Vergine Maria come il modello insuperabile di santità e di grazia. Sia lei «primizia e immagine» del vostro cammino e risplenda su di voi come «segno di consolazione e di sicura speranza» (Prefazio). Seguendo il carisma di Madre Elisa, voi siete chiamate a vivere una spiritualità mariana, nella contemplazione, nella lode, nell’accoglienza, nel servizio e nel sacrificio. Siate, pertanto, donne contemplative sull’esempio della Vergine Maria che la Chiesa indica come «summa contemplatrix»30. Nella Lettera apostolica Vultum Dei quaerere, Papa Francesco ha scritto che «sull’esempio della Vergine Madre, il contemplativo è la persona centrata in Dio, è colui per il quale Dio è l’unum necessarium (cfr. Lc 10,42), di fronte a cui tutto si ridimensiona, perché guardato con occhi nuovi […]. Chi si immerge nel mistero della contemplazione vede con occhi spirituali: questo gli permette di contemplare il mondo e le persone con lo sguardo di Dio, là dove invece gli altri “hanno occhi e non vedono” (Sal 115,5; 135,16; cfr. Ger 5,21), perché guardano con gli occhi della carne»31. Siate anche donne che sanno intonare con la vita il canto di lode: il Magnificat, la preghiera più sublime di Maria che svela la profondità della sua anima. Quanta bellezza in quelle parole! Esse aprono la porta del mistero e fanno partecipi dell’infinita sensibilità e spiritualità della Vergine Maria. Il Signore ama le anime che si innalzano a lui, lo glorificano, lo magnificano perché l’amore è il canale principale di dialogo con Dio. Maria ha amato Il Signore con tutta se stessa. La sua vita terrena è stata una continua ascesi verso il perfetto amore. Non ha mai smesso di amare, neanche sotto la croce del Figlio.

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Cfr. Dionigi il Certosino, Enarrationes in cap. 3 Can. Cant. XI, 6, in Doctoris Ecstatici D. Dionysii Cartusiani, Opera Omnia, VII, Typis Cartusiae, Monstrolii 1898, 361. 31 Papa Francesco, Vultum Dei quaerere, 10.

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Siate donne accoglienti. Sì, Maria era già perfetta, ma la sua prova è stata quella di accrescere durante la vita terrena la sua perfezione, per divenire un modello universale da imitare. Diceva sant’Agostino: «Colui che ha creato te senza di te, non può salvare te senza di te!». Occorre la libera adesione della volontà al piano misterioso della grazia. Aspirare alla perfezione e rimanere perfetti è sempre un dono di Dio, ma è anche un atto della volontà umana. Perciò anche voi siate sempre disponibili a dire il vostro “sì” e il vostro “fiat” e a ripetere come Maria: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Da quell’istante e per l’eternità, la sua strada e quella di Gesù si sono congiunte per sempre e intimamente. Nella preghiera, composta per la causa di beatificazione e canonizzazione della Serva di Dio, siamo inviatati a pregare con queste parole: «O Dio, ti ringraziamo per aver suscitato nella tua Chiesa Madre Elisa Martinez, che seguendo le orme dell’Immacolata Vergine Maria, ha pronunciato il suo “sì” generoso, facendo della sua esistenza un’offerta totale a te gradita». Tutta la vostra vita sia un “sì” generoso, fedele e totale. Siate donne disponibili al servizio. Maria si autodefinisce la “serva del Signore”, ancilla Domini. La preghiera sopra richiamata attesta che Madre Elisa si mise «con bontà materna, a servizio dei piccoli, degli ultimi e dei sofferenti». Ella teneva bene a mente le parole di Gesù: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » (Mt 25,40). Infine, siate donne amanti della croce. Percorrete il vostro cammino di ascesi accettando anche le incomprensioni, le offese, le sofferenze. Stando sotto la croce, Maria rimase fedele a suo Figlio (fideliter sustinuit), partecipò intensamente al suo dolore (vehementer condoluit), non si stancò di ripetere con amore il suo “sì” (amanter consentiens). La croce purifica l’anima distaccandola dalle scorie e dalle impurità che intralciano il cammino di perfezione e la forgia in un crogiolo alchemico come avviene per un metallo impuro. Se farete questo, diventerete veramente “Figlie di S. Maria di Leuca” e, come la Vergine de finibus terrae, farete risplendere la luce della vostra santità fino ai confini della terra. + Vito Angiuli

O Dio, ti ringraziamo per aver suscitato nella tua Chiesa Madre Elisa Martinez, che seguendo le orme dell’ Immacolata Vergine Maria, ha pronunciato il suo “si” generoso facendo della sua esistenza un’offerta totale a te gradita, mettendosi, con bontà materna, a servizio dei piccoli, degli ultimi e dei sofferenti. Degnati di glorificarla e, per sua intercessione, secondo la tua santa volontà concedi le grazie che ardentemente ti chiediamo. Amen + Vito Angiuli

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“Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare a una parrocchia” (Curato d’Ars)

Carissimo don Mario, a te, oggi, vanno il nostro pensiero e la nostra preghiera, con un profondo senso di gratitudine, per quello che sin d’ora tu rappresenti per l’intera Comunità parrocchiale che ti accoglie: ti auguriamo di essere per ciascuno di noi il prete ed il confessore ma anche l’amico ed il padre di cui ciascuno tanto bisogno. L’avvicendarsi dei parroci è prova concreta che Dio continua a prendersi cura del suo gregge attraverso una persona, un volto, una voce, un cuore ben precisi; è riconoscere che il Signore non smette mai di essere presente e di farsi vicino nel cammino della vita di ognuno, dall'inizio alla fine, nelle gioie e nelle sofferenze. Desideriamo fortemente la tua presenza amica fra di noi, con la certezza che porterai comunque in te l’amabilità e la generosa dedizione del Padre che si prende sempre cura dei suoi figli, anche quando non lo vediamo, anche quando non lo sappiamo. Tutto può essere racchiuso in una sola parola: GRAZIE! Grazie perché vieni fra noi! Grazie perché con noi inizi una nuova storia, in un Paese che ben conosci ma che probabilmente non è più come tu l’hai lasciato. Nei suoi oltre trent’anni di vita, la nostra parrocchia ha prestato particolare attenzione, tramite l’azione di gruppi specifici, alla carità, alla catechesi dei fanciulli, dei giovani e degli adulti. Ci siamo spesso contraddistinti per l’azione missionaria, caritativa, culturale e ricreativa. Oltre a questi ambiti, in parrocchia, troverai diversi altri gruppi attivi: i ministranti, gli animatori della liturgia, i catechisti ed i lettori, i volontari che seguono la pulizia degli ambienti e l’ordine degli arredi sacri. Aiutare tutti i membri dei gruppi della nostra parrocchia a proseguire con entusiasmo è la nostra prima esigenza. E per questo ti diciamo “Benvenuto nella nostra grande famiglia che è la parrocchia!”. Caro don Mario, ti assicuriamo la nostra preghiera, il nostro affetto e il nostro aiuto concreto. La tua Comunità Parrocchiale Maria SS. Ausiliatrice

Carissimi fratelli ed amici, cari fratelli nel sacerdozio, mi sorprende sempre di più e diventa oggetto di mia personale riflessione quel che dice Gesù nel vangelo: chi si esalta sarà umiliato, chi si umilia sarà esaltato. Diventare piccolo davanti al Signore è sempre stato il mio sogno, facendo diventare l’umiltà un vero stile di vita, vivere il ministero sacerdotale senza grandi pretese, (don Tonino diceva che la parola ministero proveniva da “minus stare”) cioè sentirsi ben poca cosa davanti a Dio e davanti al gregge , con la consapevolezza che se Maria è 29


donna eccelsa lo è perché lei si è sentita sempre l’umile ancella del Signore. In queste circostanze giustamente ci si chiede: che farà il nuovo parroco ? Come si muoverà nei vari settori della pastorale? Quali saranno le novità? Domande e curiosità legittime, alle quali poi non è così difficile rispondere: l’unica novità è una persona e si chiama Gesù Cristo, e l’unico programma pastorale sarà la gioia del Vangelo che poi è vangelo di speranza, di amore , di pace, di operosa carità. Spero di non deludervi, vuol dire che con la preghiera imploreremo fortemente Maria e lei, in qualità di Ausiliatrice, ci aiuterà a lavorare con impegno nella vigna del Signore a favore delle nostre famiglie, soprattutto le più deboli e le più bisognose, a favore dei giovani che soffrono la piaga della disoccupazione a favore dei ragazzi, dei fanciulli, dei bambini, degli ammalati e dei sofferenti, di coloro che vivono la stagione della prova, toccati dallo scoramento e dallo scoraggiamento. So per certo che Voi laici e voi operatori pastorali siete una buona speranza per la vita della comunità, non vi appiattite, perché conoscendo il mio carattere e i miei limiti io sono portato ad appiattirmi prima di voi. Mettendo insieme le mie poche capacità e le vostre grandi intuizioni e strategie pastorali, raggiungeremo buoni risultati per l’edificazione del Regno di Dio. Grazie, allora eccellenza, amato apostolo di questa nostra piccola, ma vivace Chiesa Locale di Ugento-Santa Maria di Leuca. Grazie per aver riposto ancora una volta fiducia in me, nonostante i miei limiti e i miei numerosi difetti. Grazie che dopo quasi 35 anni di ministero svolto nelle varie realtà parrocchiali della nostra diocesi, oggi sono qua, nel paese natio, a Taurisano dove è nata e sbocciata la mia vocazione sacerdotale. Un grazie particolare a Don Leonardo al Quale chiedo la carità di una speciale ave Maria al giorno per me e per tutti i sacerdoti. E un grazie particolare a Te, cara comunità di Maria SS.ma ausiliatrice, che volentieri vengo a servire con gioia ed amore. Una curiosità: Mons. Miglietta, dopo sette anni di vicerettore nel seminario Vescovile, mi mandò come viceparroco nella parrocchia S. Giovanni Bosco, a Ugento, ad aiutare l’indimenticabile don Leopoldo, da allora, l’amore al santo dei giovani, don Bosco mi è rimasto sempre nel cuore ed oggi la provvidenza dove mi ha mandato? All’Ausiliatrice, nulla è a caso nei disegni di Dio! Grazie!

Caro don Gino, in questa calda domenica di agosto mai avremmo immaginato di vivere una celebrazione di questo tipo, al massimo potevamo pensarla per un futuro alquanto lontano… Questa incredulità è dovuta soprattutto all'affetto che ci lega a te dopo questi otto anni di lavoro pastorale in cui abbiamo imparato a conoscerci, stimarci, rispettarci e a lavorare insieme, avendo sempre da te il massimo della fiducia. 30


C redevamo davvero che saresti rimasto qui per decenni e quindi per noi è stata come un fulmine a ciel sereno la decisione del vescovo, vista la tua disponibilità, di destinarti ad un'altra parrocchia. Come hai potuto vedere, abbiamo avuto tutti una reazione differente a questa notizia, chi sgomenta, chi scomposta, chi delusa, chi apparentemente impassibile, ma fidati che tutta la comunità è rimasta incredula e questo tempo che è trascorso dall'annuncio del tuo trasferimento non è certo bastato a farci riprendere da questa notizia inaspettata e siamo arrivati così presto a questa messa di saluto che però in realtà è stata una messa di ringraziamento. Il nostro saluto allora si traduce nel dire al Signore e a te ancora il nostro “GRAZIE”! Grazie al Signore per la scelta fatta dal vescovo nel 2008 di mandarti qui in mezzo a noi. Grazie per quello che hai fatto in questi otto anni per la nostra comunità, per la catechesi, per i giovani, per le coppie e per le relazioni che hai creato. Grazie per tutte le novità che hai introdotte a favore della comunione tra i vari Gruppi e Associazioni ecclesiali. Grazie perché, soprattutto con l'adorazione settimanale, ci hai fatto gustare la bellezza della preghiera personale e comunitaria. Grazie per la sapienza che ci hai donato nei vari incontri e attraverso le Omelie preparate con cura e offerte a noi sempre con dolcezza ma anche con tanta fermezza. Grazie per aver portato a termine l’Oratorio…con tutte le difficoltà che ha comportato. Grazie per aver reso più accogliente la Sagrestia e più efficiente l’Ufficio Parrocchiale. Grazie per aver resa più bella e decorosa la nostra chiesa parrocchiale anche e soprattutto con il completamento dei nuovi banchi…Grazie per averci fatti “affezionare” di più al nostro Patrono San Michele Arcangelo con la recita della preghiera quotidiana e il restauro dell’antica statua in pietra. Grazie per aver comunicato mensilmente, attraverso il foglio Mikael, con tutti i parrocchiani e con tutti i Castrignanesi e non sparsi per l'Italia e anche fuori di essa. Grazie per la pazienza che hai dimostrato nell'avere a che fare con noi, che spesso non ti abbiamo capito e ti abbiamo fatto particolarmente soffrire. Grazie infine per la tua umiltà, per il tuo distacco dai beni materiali, per la tua serietà ma anche per le tue “battutte” dette sempre al momento giusto…Ci fermiamo qui perché l’elenco sarebbe veramente troppo lungo... E con questo stesso grazie ti assicuriamo che accoglieremo il nuovo parroco don Fabrizio, scelto dal vescovo per noi, e con questo stesso grazie ti accompagneremo alla tua nuova sede parrocchiale a Torrepaduli e con questo stesso grazie non smetteremo di essere uniti con te, con la preghiera, con l'affetto e con l'amicizia. Te lo dico io, ma attraverso di me te lo dice la tua comunità parrocchiale; grazie e arrivederci don Gino, nostro piccolo e grande Sacerdote di Dio…

La Comunità di Castrignano del Capo

Castrignano del Capo, 21 agosto 2016

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Saluto di don Gino Morciano per l’ingresso in Torrepaduli Ecc.za Rev.ma, è innanzitutto a lei che rivolgo il mio cordiale saluto. Con semplice gioia e filiale devozione desidero esprimerle il mio ringraziamento per la stima e la fiducia che mi ha dimostrato. Oggi le sono grato in particolar modo per avermi voluto Parroco di “Maria SS. Immacolata” e Rettore del Santuario di S. Rocco, qui in Torrepaduli. Grazie, Ecc.za per la fiducia accordatami. Saluto i confratelli sacerdoti presenti nella persona del Vicario Foraneo don Mario Politi, saluto le suore e quanti da lontano son qui presenti con la preghiera. Saluto e ringrazio, nella persona del Sindaco, le Autorità Civili e Militari per avermi voluto onorare della loro presenza. Saluto con affetto i miei familiari (con mio fratello d. Antonio), tutti gli amici ed ex parrocchiani di varie provenienze. Esprimo poi la mia riconoscenza con uno speciale saluto ai Castrignanesi, che sono stati miei parrocchiani fino a ieri. Vi ricorderò nella mia preghiera e farò tesoro di quanto con voi ho vissuto, coinvolgendomi per otto intensi anni di vita sacerdotale al vostro servizio. Il mio rispettoso saluto va ora a tutti voi parrocchiani di Torrepaduli che mi accogliete, dopo avermi regalato - pur non conoscendomi di persona - parole di stima ed apprezzamento non appena avete avuto notizia della mia nomina. Grazie anche a voi per la fiducia. E proprio a voi, miei nuovi parrocchiani, da oggi a me affidati per benevolenza del Signore e per il Ministero del Vescovo, che dedico quanto in questi giorni ho sentito e raccolto nel mio cuore attraverso la preghiera e la riflessione. Cari fedeli, il Signore è dalla nostra parte e nulla e nessuno abbiamo da temere se ci atteniamo alla sua volontà di perseguire con perseveranza e fermezza l’unità tra di noi e dopo aver attinto innanzitutto alla adorazione amabile e dolce di Gesù Eucaristia. Per tutto ciò vorrei sempre tenere di conto ed attraversare la “porta degli umili”, definizione dello Spirito Santo – che a me piace tanto – usata da Leon Bloys, noto scrittore, saggista e poeta francese del ‘900. Vengo a voi, miei cari ”Torresi”, con la convinta intenzione di voler passare continuamente dalla “porta degli umili” affinché tutto venga santificato ed offerto al Padre in Cristo Gesù per il bene e la salvezza di tutti.

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Lo Spirito Santo, che invoco anche in questo momento, desidero sia per questo mio nuovo incarico un compagno di viaggio ed un amico speciale per arrivare al cuore di tutti e far conoscere Gesù, Volto della Misericordia del Padre. Sono dalla nostra parte anche la Vergine Immacolata, nel suo Cuore oggi ho messo ed affidato la nostra comunità, e sono ancora dalla nostra parte i nostri Santi protettori Teodoro e Rocco. Termino chiedendovi umilmente di dire ogni giorno, o quando vi ricordate, almeno un’Ave Maria per me, affinché lo Spirito Santo mi accordi un carisma speciale allo scopo di potervi mostrare con la mia vita il Signore Gesù Buon pastore, Lui il Volto Misericordioso, che nessuno vuol perdere di quanti il Padre gli ha affidati. Saluto e ringrazio ancora Sua Ecc.za il Vescovo e voi tutti per la presenza, l’accoglienza e l’ascolto che mi avete accordati. Grazie.

Eccellenza Reverendissima, Reverendi Sacerdoti, Autorità tutte, familiari di Don Fabrizio, e tutti i presenti, a nome della Comunità Parrocchiale di S. Michele Arcangelo il saluto ed il grazie per aver condiviso con tutti noi questo particolare momento che ha segnato l’inizio del ministero pastorale di Don Fabrizio, nostro nuovo parroco. Non le nascondiamo, Eccellenza, che non ci aspettavamo il trasferimento di Don Gino, che abbiamo avuto come Parroco per otto anni durante i quali abbiamo imparato a conoscerci, stimarci,

rispettarci

e

soprattutto

a

lavorare

insieme,

apprezzando la sua umiltà, il suo essere uomo di preghiera e di profonda umanità. Domenica scorsa abbiamo reso grazie al Signore per il ministero di Don Gino e pregato per la sua nuova Missione e stasera abbiamo innalzato la nostra comune preghiera di ringraziamento per il dono del nuovo Pastore, che la Provvidenza, attraverso il suo discernimento di Padre, ci ha donato. Ed ora permetta che mi rivolga direttamente a Don Fabrizio. Caro Don Fabrizio, con gioia ed emozione abbiamo accolto stasera il dono della tua giovane presenza in mezzo a noi. Ancora non ci conosciamo bene, però sappiamo che proprio due giorni fa hai celebrato il sesto anniversario di Sacerdozio; sappiamo quanto tu sia sensibile ai temi dell'ecumenismo e dell'immigrazione e come per questo il Vescovo ti ha nominato Direttore dell'Ufficio per l’Ecumenismo e Direttore dell'Ufficio Migrantes, nonché

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collaboratore dell'Ufficio Liturgico; inoltre sappiamo anche quanto bene tu hai seminato in questi anni in cui sei stato vicario parrocchiale a Taurisano e Miggiano. Desideriamo farti sapere che ti abbiamo già accolto nei nostri cuori e nelle nostre preghiere, appena abbiamo avuto notizia della tua nomina, mentre oggi concretamente ti accogliamo come comunità, con le sue luci e le sue ombre, pronta comunque a riprendere il cammino con un nuovo compagno di viaggio, con una nuova guida che ci porterà soprattutto a seguire Gesù. Nonostante la tua giovane età, sarai per noi Padre e Maestro, ma anche Fratello, e con Te vogliamo condividere i tuoi sforzi e le tue iniziative per edificare sempre più la Chiesa e annunciare insieme il Regno di Dio. Con Te pregheremo e per Te pregheremo perché Tu possa essere sempre in mezzo a noi il “prete del grembiule”, come diceva il nostro caro don Tonino, e segno e fermento di unità e di comunione. Caro Don Fabrizio la tua nuova comunità ti augura di esercitare il tuo ministero con gioia ed essere per noi testimone di gratuità e di donazione, soprattutto a servizio dei giovani e dei più bisognosi della nostra parrocchia. Sento di poter assicurare a te, nostro nuovo Pastore, la piena e consapevole collaborazione di tutti quanti noi e delle varie associazioni ecclesiali e realtà presenti nel nostro territorio. A San Michele Arcangelo nostro Patrono, affidiamo le nostre speranze ed i nostri sentimenti. Ancora grazie a Lei Eccellenza e benvenuto in mezzo a noi Don Fabrizio, con devozione e stima.

Castrignano, 28 agosto 2016

“Quis ut Deus” Discorso di saluto per l’ingresso nella parrocchia “S. Michele Arcangelo” Castrignano del Capo 28-08-2016

Carissimi amici, è con immensa gioia che in questo momento di grazia mi appresto a rivolgere a voi il mio saluto dopo aver celebrato il rendimento di grazie al Padre per il dono del Figlio nella grazia dello Spirito Santo. Saluto e ringrazio il nostro vescovo Vito per la fiducia e la stima accreditata alla mia persona affidandomi questo nuovo incarico. Saluto tutti i sacerdoti presenti ringraziandoli per il loro fraterno sostegno. Saluto le autorità civili e militari in particolare il signor sindaco di Castrignano del Capo, dott. Santo Papa che mi onora della sua gradita presenza, il sindaco

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di Miggiano e il vice sindaco di Ugento con i loro collaboratori. Saluto tutti i fedeli provenienti da Miggiano, Taurisano e da altri paesi e infine saluto con grandissimo affetto tutti voi cari fedeli di Castrignano miei nuovi compagni di viaggio.Non nascondo la mia trepidazione, ma ciò che maggiormente sento in questo momento è una profonda fiducia nei confronti di colui che mi ha chiamato a questo ministero e che certamente mi assisterà con la sua grazia venendo a supplire alla mia indegnità e alla mia povertà. Non posso fare a meno, rivolgendovi il saluto, di fare riferimento al grande Principe San Michele di cui questa nobile comunità si gloria di portare il nome, e lo faccio anche perché da sempre, sin da bambino sono stato catturato dal fascino spirituale di questa celeste figura, attraverso cui riuscirò a scorgere le caratteristiche che, come pastore di questa comunità sarò chiamato ad incarnare. Innanzitutto, a parlarmi è il suo nome: MI-KA-EL, che significa, chi è come Dio? Questa domanda alla quale segue una implicita risposta, si ripresenta oggi con maggiore forza alle orecchie del mio cuore. Chi è come Dio? Nessuno è come Lui, maestoso in santità e giustizia, grande nell’amore e ricco di misericordia. Egli è l’unico e non ve né altri all’infuori di Lui. Dio è tutto e la sua signoria sul mondo e sulle persone è l’unica possibile perché è l’unica signoria che non impone un dominio di schiavitù bensì manifesta un amore liberante. Per questo credo che una, anzi la prima caratteristica del pastore debba essere questa: vivere in mezzo al gregge testimoniando l’assoluta signoria di Dio. Questo vuol dire che come parroco sarò chiamato ad indicare a tutti sempre e solo Lui, non la mia persona ma Lui. Dovrò fare sempre di tutto perché l’attenzione non si concentri su di me, che il popolo non debba essere costretto ad andare dietro alle mie fantasie o alle mie convinzione, che nessuno, nessuno mai si senta portato verso un’idea o un’altra, che vengano da uomini, se pur buone e belle, ma solo a Dio ci si legni con la fede e con l’amore. Nessuno è come Lui, Lui solo deve essere onorato e glorificato. Dire che nessuno è come Dio significa anche che il pastore oltre ad indicare Lui dovrà impegnarsi per la difesa dei poveri e degli emarginati, ai quali evidentemente è stata imposta altra signoria, spezzando le catene di tutti coloro che si sentono schiavi, e di tutti coloro che sono costretti a sottomettere la propria dignità di persone e di figli di Dio asservendosi a qualsivoglia dominio umano. Solo a Dio compete di disporre delle nostre vite, ed Egli lo fa sempre conducendo i suoi figli nella via del bene, per questo il pastore è chiamato a liberare gli oppressi portando tutti a Dio e alla sua amorevole maestà. Ma se Michele è il nome proprio, Arcangelo è la sua qualifica. La parola Angelo vuol dire messaggero, quindi, Arcangelo significa grande messaggero; colui che porta un messaggio decisivo per la salvezza del mondo. Anche questo credo che sia un aspetto molto bello che deve caratterizzare il ministero del parroco, il quale è chiamato ad essere il messaggero di una notizia meravigliosa e realmente decisiva per chi la accoglie: Il Vangelo di Cristo. Sarò chiamato a farmi mezzo di comunicazione di questo solo messaggio, mezzo che non si frappone mai con la propria personalità o con la propria arroganza tra il messaggio e i destinatari dello stesso, anche perché il primo destinatario del messaggio evangelico di gioia e salvezza sono io e, solo nella misura in cui sarò capace di lasciarmi coinvolgere da questo messaggio, facendolo diventare vita nella mia vita, potrò trasmetterlo a voi con onestà di intenti e di sentimenti, con chiarezza e soprattutto con la testimonianza concreta e coerente di una vita che parla di Vangelo. Pregate perché questo possa avvenire in me, sarà un vantaggio per tutti voi. Il messaggio di Dio, dunque… Ancora una volta non io, non il mio modo di pensare, non le mie idee, ma l’unico e verace messaggio di Cristo del quale io sarò solo un umile messaggero. 35


L’esperienza spirituale, poi, è una vera e propria battaglia contro le forze del male, lotta pacifica che tutti i cristiani sono chiamati a vivere quotidianamente. In questa battaglia si vince se si combatte insieme, sotto la guida di un unico generale e dotati di un buon corredo di armi e di difese. La battaglia infuria sempre, forse oggi in modo particolare perché le forze di Satana tentano di distruggere i valori fondamentali delle nostre società, quali la fede, la famiglia, la dignità della persona umana. Siamo chiamati oggi più che mai a scendere in battaglia con coraggio contro queste forze avverse e lo potremo fare solo se combatteremo uniti. Credo che un'altra caratteristica del parroco sia questa: conservare l’unità del popolo di Dio. Pregate perché la mia persona non sia mai motivo di divisione ma anzi chiedete a Dio che mi assista affinché possa essere sempre strumento dello Spirito di unità promuovendo fra tutti la comunione, la fraternità, il lavoro insieme per un unico fine: la gloria di Dio e la liberazione dei suoi figli da ogni schiavitù. Le armi ce le fornisce il capitano, San Michele, l’elmo della fede, la corazza della carità, La fede. Il parroco è uomo di fede. Vi per questo, affinché per voi io sia un uomo di fede. Non un uomo un amministratore o chissà quale un uomo di fede. Uomo, sue fragilità, ma di fede, fiducia nell’opera e nella

ed esse sono, parafrasando il grande Apostolo, la spada della Parola di Dio. chiedo di pregare per me soprattutto sempre di più un testimone di fede, indaffarato in tante cose, neanche altra buona e bella qualifica, ma ricordiamolo, uomo con tutte le esempio di incondizionata volontà di Dio.

La carità poi, sarà la corazza. Il pastore è chiamato a rivestirsi dell’abito nuziale poiché è immagine dello Sposo, ma questo abito è anche una corazza e rappresenta come dice l’Apocalisse, le opere di giustizia e di amore che sono come un baluardo potente di difesa poiché rappresentano i poveri che avrò servito in mezzo a voi e che un giorno, stringendosi tutti intorno a me, mi difenderanno dal male e mi scorteranno alla casa del Regno. Pregate perché questo avvenga, che Dio mi faccia la grazia di essere in mezzo a voi un testimone di carità sincera e concreta a favore dei piccoli, pregate perché non cerchi difesa e protezione nei potenti ma mi faccia forte della debolezza e ricco della povertà avendo come alleati e difensori i poveri e gli indifesi dei quali voglio farmi fratello. L’ultima arma a nostra disposizione è la più potente: la spada della Parola di Dio. Lo abbiamo detto prima, il parroco è il messaggero, l’angelo che annuncia il messaggio di Dio che è il Vangelo di Cristo, ma questo messaggio, che è la Parola di Dio, pur essendo dolce resta tuttavia sempre un messaggio tagliente. La Parola è, come dice l’Apostolo, una spada affilata che penetra fin nel midollo, un dardo d’amore e di passione da cui il pastore dovrà lasciarsi ferire continuamente anche a costo di soffrire giacché essa mette a nudo davanti alla coscienza le proprie debolezze e imperfezioni, ma non per atterrire con uno spietato giudizio, bensì per guarire e curare come fa un bisturi nelle mani dell’abile chirurgo. Vi chiedo di pregare per me affinché non tema di lasciarmi ferire ogni giorno dalla spada della Parola di Dio, lasciandomi curare da essa, per essere sempre più araldo in mezzo a voi di questa unica Parola che salva, Parola dolce e amara, capace di consolare e accarezzare i cuori se pur con la forza di una lama affilata.

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Che io non vada alla ricerca di altre armi. Mi bastino queste, ma non per combattere da solo o per salvarmi la pelle, bensì per essere il vostro primo in battaglia capace di prendere su di me i colpi e le ferite che diversamente cadrebbero su di voi. Ultimo riferimento a San Michele sono le ali, e in questo momento non può non venirmi in mente la celebre poesia del servo di Dio don Tonino Bello in cui chiede di avere un’ala di riserva. Anche io oggi chiedo al Signore, intanto di aiutarmi a saper spiegare le ali del mio apostolato e del mio impegno in mezzo a voi, senza timidezze o resistenze egoistiche, ma sempre più generosamente e coraggiosamente, ma poi chiedo anche io di avere l’ala di riserva per sostenere il volo di tutti voi se mai qualcuno avesse bisogno di un ricambio d’ala, dopo aver fatto esperienza di sofferenza e di dolore. Pregate perché il parroco sia per tutti un rifugio sicuro, anche se questa è una caratteristica di Dio, è Lui che ci accoglie al riparo delle sue ali e all’ombra della sua protezione ci difende, ma il pastore è chiamato a farsi immagine vivente di questo Dio che sotto le sue ali accoglie con misericordia infinita tutti i suoi figli soprattutto chi sentendosi peccatore ritorna alla casa del Padre. Affido questo mio nuovo ministero all’intercessione potente e materna di Maria, madre di Dio e madre nostra, chiedendole di accompagnarmi amorevolmente con la sua dolce e costante presenza accanto a me, mentre rinnovo il mio personale atto di consacrazione a lei e al suo Cuore immacolato. A Maria chiedo inoltre di aiutarmi ad essere vostro indegno servo, a farmi amico e compagno di viaggio di tutti, povero con i poveri, sollievo per i malati e i sofferenti, padre e fratello per i bambini e i giovani, figlio per gli anziani e amico per le famiglie e le giovani coppie di sposi. In una parola: tutto a tutti nella carità di Cristo dalla quale mi sento sospinto. Chiudendo questo mio discorso, vi lascio con le parole di sant’Agostino pronunciate in una sua omelia per l’anniversario della sua ordinazione: “Se mi spaventa ciò che sono per voi, mi conforta ciò che sono con voi. Per voi infatti sono vescovo ma con voi sono cristiano”. Io sono spaventato per la responsabilità che da oggi assumo nei vostri confronti ma la paura è mitigata dalla consapevolezza di non essere solo. Voi siete con me mi incoraggerete, mi compatirete, mi sosterrete perche insieme siamo cristiani, e non ci vogliamo gloriare di nessun altro titolo se no di questo. Insieme, tutti, uniti, discepoli dell’unico Maestro e Signore. Grazie, pregate per me.

Don Fabrizio Castrignano 28/08/2016

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MONS. AGOSTINO BAGNATO PARROCO A TORRE SAN GIOVANNI

SALUTO ALLA COMUNITA’ PARROCCHIALE “MADONNA DELL’AIUTO” “Pascete il gregge di Dio che vi è stato affidato, sorvegliando non perché costretti, ma volentieri come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (Pt 5,2-3) Con queste parole, voglio iniziare la mia nuova esperienza di Parroco in mezzo a voi, in questa parrocchia col desiderio e l’impegno di cercare tutti insieme il Signore. Il mio primo pensiero di affetto filiale e di stima immensa, va al nostro Vescovo, Mons. Vito Angiuli, grazie di vero cuore nell’avermi scelto e chiamato a cooperare al suo progetto di santificazione del popolo della Diocesi, vedo veramente il dispiegarsi del progetto di Dio per gli uomini che non è altro un progetto d’amore. Grazie, Eccellenza! Sentimenti di affetto e di gratitudine vanno a tutti i sacerdoti che in questa comunità hanno offerto il loro servizio generosi. In questo momento colmo di gioia e di gratitudine per quanto il Signore mi ha dato, il mio ricordo va alle comunità parrocchiali in cui ho svolto finora il mio servizio sacerdotale: Acquarica del Capo, Presicce. Ruggiano, Patù e la mia natia Ugento. Carissimi con trepidazione mi appresto a condividere con voi un tratto importante del mio cammino sacerdotale. Con Gioia ho accettato la proposta di essere vostro parroco e con la preghiera mi sto preparando ad assumere questa missione. Io vengo tra voi con molta semplicità, con la volontà di continuare le iniziative pastorali avviate da coloro che mi hanno preceduto e rispondere positivamente alle nuove esigenze pastorali che potranno emergere, sempre in comunione che la chiesa diocesana. A voi miei Parrocchiani, dico da subito, occorre passare da una postorale di tutti insieme. Non c’è ricerca del Signore senza la comunione con il fratello, sia esso il più lontano. Tutti insieme dobbiamo cercare il Signore sapendo che questa ricerca ci fa diventare santi e ci fa partecipare all’amore che promana da Dio. Tra di noi si dovrà instaurare il clima di famiglia, che tale è e rimane malgrado le frizioni che si generano e come unica famiglia dovremo impegnarci a far esperienza di figli di Dio per aderire sempre di più a Gesù ed al suo Vangelo.

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Inizio il mio ministero tra voi nell’Anno Santo della Misericordia che Papa Francesco ha voluto ed ha affidato alla Chiesa come tempo di grazia per assaporare fino in fondo la bontà, l’amore e la salvezza di Dio. Un compito questo che la Chiesa non può mai considerare esaurito, una missione che non vede mai il traguardo finale perché nel mondo e nella storia ci sarà sempre chi, pere i più svariati motivi, non trova la gioia autentica per la sua vita. Una missione che tocca tutta la Chiesa, chiamata a rendere testimonianza di quello che ascolta, vive e gusta nel Signore. E con questi pensieri che mi rivolgo con affetto a tutti voi: agli anziani e ai malati; ai bambini e ai ragazzi delle scuole e a tutti i giovani che rendono fresco e pieno di speranza il nostro paese. Alle famiglie (vero cuore pulsante di ogni Parrocchia). Al Sig. Sindaco e alle autorità civili e militari e a tutti quelli che si mettono al servizio del bene comune e del sostegno civile. Ai miei confratelli sacerdoti; alle suore Vincenziane con le quali ho condiviso per quattro anni la loro vita di consacrate: al Club della Gioia, con il quale si sono realizzate tante iniziative, alla confraternita dei SS. Medici dove ogni domenica ho celebrato il Mistero Pasquale, alla Associazione Combattenti Sez. di Ugento e a tutti quelli che il Signore mi ha fatto incontrare nel cammino. Un saluto particolare a tutti i pescatori, un tempo colleghi del mio amato papà (in ricordo in questo momento, di mio nonno Agostino, primo fanalista),e di tutti i miei parenti, nonché alla sezione navale di Torre San Giovanni e alla Capitaneria di Porto. Senz’altro dal cielo in questo momento, i miei genitori esultano di vera gioia nel vedermi, questa sera, non più assiduo ministrante di questa Chiesa che ho visto costruire e che mio padre ha lavorato alla realizzazione di essa, ma come Parroco e guida di questa marina, di cui i miei antenati sono stati i primi ad abitarla.. Un saluto fraterno ai miei familiari e parenti qui convenuti per questa celebrazione. A tutti voi davvero a tutti arrivi il mio saluto. Il Signore Gesù per intercessione della Madonna dell’Aiuto e San Giovanni Evangelista benedica il nostro cammino e ci conceda di essergli testimoni gioiosi nel mondo!

Un abbraccio: don Agostino Lunedì, 29 agosto 2016

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La statua lignea dell’Assunta e un restauro del 1933* di Ercole Morciano È il 9 maggio 1933 e don Attilio Presicce, parroco di Tiggiano dal 1915 – lo sarà fino al 1953, anno della sua morte – così scrive al vescovo di Ugento, Antonio Lippolis: «Ecc.mo Rev.mo, sento la necessità di dover fare ristrutturare la statua della B.V. dell’Assunta in legno, perché molto sciupata ed anche un po’ tarlata. Il pittore dovrebbe essere il Signor Del Giudice Antonio da me conosciuto capace, avendo eseguito qui altri lavori. Spero che V.E. Ill.ma dia il nulla osta e non trovi difficoltà…». I lavori sono autorizzati il giorno seguente dal vicario generale, a condizione che «ad opera completata si avvisi la Curia per far verificare i lavori dalla Commissione per l’Arte Sacra». La richiesta del parroco di Tiggiano è una delle prime a giungere in curia per essere sottoposta all’approvazione dell’importante organismo istituito dal vescovo Lippolis con decreto del 14 febbraio 1933. La Commissione diocesana nasce a Ugento «in ottemperanza a disposizioni superiori […] per vigilare sulla stretta osservanza delle norme liturgiche, della tradizione ecclesiastica e delle leggi dell’arte sacra imposte dai canoni del Diritto Canonico». La tempestiva circolare, mandata una settimana dopo dal vescovo ugentino a tutti i parroci, indicava «norme particolari e suggerimenti pratici dettati dalla Pontificia Commissione Centrale per l’Arte sacra». Il restauro della statua lignea della Madonna Assunta, eseguito artigianalmente nel 1933, rimanda alla devozione mariana dei Tiggianesi che si è manifestata nel tempo con opere d’arte di pregio non trascurabile. In particolare la Vergine Maria assunta in cielo è stata venerata in Tiggiano, come in moltissime altre parti dell’orbe cattolico, molto prima che il papa Pio XII ne proclamasse il dogma il 1° novembre 1950 e ne confermasse la festa al 15 agosto: una solenne ratifica di quanto già la fede della Chiesa universale aveva creduto nel tempo, a partire dal IV secolo. Non poteva subire la corruzione il corpo di Colei che aveva generato il Redentore e pertanto «l'immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo» [Costituzione Apostolica Munificentissimus Deus, AAS 42(1950), pp. 753-771, trad. it.]. La statua lignea dell’Assunta risale al ‘700 e nello stesso secolo i Tiggianesi vollero edificare la cappella omonima ingentilita dal portale barocco, sul quale campeggia l’immagine in rilievo della Madonna che sale in cielo tra un tripudio di angeli. Anche la pala del maggior altare della medesima cappella, di autore ignoto del ‘600, ripropone l’assunzione gloriosa di Maria nella classica posizione ascendente della Vergine sovrastante lo spicchio di luna. La cappella, di recente restaurata, viene curata dalla confraternita che vi ha sede, sulla quale Rocco Margiotta ha scritto esaurientemente. Nell’antica chiesa di s. Ippazio, per tanti secoli matrice, alla quale sono legati tanti ricordi dei Tiggianesi, è custodita la statua della Madonna Assunta.

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L’opera è scolpita in legno di tiglio: un’essenza leggera, chiara di colore, dalle foglie a forma di cuore e profumata nei fiori. Di finezza non comune, la scultura pare sia coeva alla statua lignea policroma del protettore s. Ippazio, custodita nella medesima chiesa. La Vergine, con tunica rosacea e manto azzurro dalle pieghe movimentate, è raffigurata in gloria, col capo aureolato rivolto in alto, le braccia aperte, il ginocchio sinistro lievemente flesso in avanti, in atteggiamento di abbandono alla divina volontà, mentre cherubini e serafini la accompagnano nel suo trionfo che è un’anticipazione di quanto – lo crediamo per fede come i nostri antenati – speriamo possa accadere anche a noi. *Pubblicato su “39° Parallelo”, a. 16, n.4, Tiggiano, agosto 2016.

Sulle orme dei santi. San Pio da Pietrelcina

«Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» di Marilena De Pietro

L’intento di questa rubrica è innanzitutto risvegliare in ciascuno di noi il desiderio di santificarci, a partire dall’esempio di testimoni che chiamiamo “santi” perché dichiarati tali dalla Congregazione Vaticana ma soprattutto perché consacrati a Dio dal battesimo e da una condotta di vita evangelica. «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» raccomanda san Paolo ai suoi seguaci in 1 Cor 11,1. Questo egli raccomanda ancora oggi attraverso la Chiesa che ha sempre apprezzato e celebrato l’ammirazione nei confronti dei Santi, per la loro fedeltà nella sequela di Cristo. Oggi mi è stato chiesto di presentare la figura di san Pio da Pietrelcina, la cui festa ricorre il 23 settembre. Da dove partire? (Mi sono chiesta). Curiosa coincidenza, dal momento che per motivi personali mi lega alla figura di Padre Pio un sentimento di “avversione e simpatia” contemporaneamente. Ero presso un ufficio di Polizia stradale della città di Milano, in attesa che mi fossero restituiti gli effetti personali di mio marito, morto a causa di un incidente stradale: passarono delle ore, non ricordo precisamente quante, quando un agente molto cordiale (per quanto le circostanze potessero consentire) mi restituì degli oggetti in un sacchetto trasparente. Fra tutti, oltre alla fede nuziale, un paio di occhiali da sole, un marsupio ed il portafoglio, spuntò pure un’immaginetta plastificata dell’allora Beato Padre Pio, con su scritto “Proteggimi ovunque”. Non entro nella descrizione dettagliata dei miei sentimenti di quel giorno perché non è questa la sede. Tuttavia, a voi oggi posso dire che mi ci è voluto del tempo per fare pace con lui. Inoltre, io credo di poter essere la prova vivente non di chi crede ai Santi solo perché fanno miracoli. Io credo in Dio che rende sante le persone, che diventano stelle risplendenti per illuminare il cammino dell’uomo. Comunque, resto sorpresa per questa ennesima coincidenza nella mia vita, in cui il Santo mi chiede di diventare amici. Oltretutto, sono stata consacrata nell’Ordo Viduarum proprio il 20 settembre, giorno in cui ricorre la data del dono delle stigmate al Santo. Il profilo bibliografico da cui mi piace partire è quello che lo vede erede spirituale di San Francesco d'Assisi e primo sacerdote a portare impressi sul suo corpo i segni della crocifissione. Ricevuti in dono dal Signore particolari carismi, san Pio si adopera con tutte le sue forze, e per tutta la durata

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della sua vita, in favore della salvezza delle anime. Innumerevoli le testimonianze accompagnate da profondi sentimenti di gratitudine nei suoi confronti per le intercessioni provvidenziali presso Dio -sia per guarigioni nel corpo che per motivi di rinascita nello Spirito - . Nato a Pietrelcina il 25 maggio 1887 da Grazio e Maria Giuseppa Forgione, sin da bambino egli non nasconde il desiderio di consacrarsi totalmente a Dio. Racconta mamma Peppa – “non commetteva nessuna mancanza, non faceva capricci, ubbidiva sempre a me e a suo padre, ogni mattina ed ogni sera si recava in chiesa a visitare Gesù e la Madonna”. Intorno a circa cinque anni, vive già le sue prime esperienze carismatiche: estasi ed apparizioni cominciano ad essere così frequenti che egli stesso le ritiene “normali”. A sedici anni, entra nell'Ordine dei Cappuccini e viene ordinato sacerdote nel Duomo di Benevento, il 10 agosto 1910. Così, ha inizio la sua vita sacerdotale in diversi conventi del beneventano, fino al trasferimento definitivo nel convento di San Giovanni Rotondo, sul Gargano, dove muore il 23 settembre 1968. Per gran parte della vita, Padre Pio inizia le sue giornate prima dell'alba, con la preghiera di preparazione alla Santa Messa. Successivamente, segue la celebrazione dell'Eucarestia della quale fa parte un lungo ringraziamento davanti al SS. Sacramento. Lunghissimi anche i tempi destinati ai fedeli per le confessioni. La Confessione impegna, infatti, Padre Pio per molte ore della sua giornata. Egli la esercita con visione introspettiva e, spesso, di fronte ai fedeli più emozionati, è egli stesso ad elencare i peccati commessi dal penitente. Invita alla Confessione, chiedendo di farvi ricorso, al più tardi, una volta alla settimana. Egli ripete spesso : “Una stanza, per quanto possa essere rimasta chiusa, necessita di una spolverata, almeno una volta alla settimana”. Molti biografi sottolineano come il Santo tratti con “apparente durezza” quanti gli si accostino, ma è da sottolineare quanto quel “rimprovero" si trasformi periodicamente in una inenarrabile forza interiore. L’evento centrale nella vita del Santo accade il 20 settembre 1918, quando P. Pio, pregando davanti al Crocifisso, riceve il dono delle stimmate, visibili, aperte e sanguinanti, per circa cinquant’anni. Queste le parole dello stesso san Pio in una lettera indirizzata a Padre Benedetto, il 22 ottobre 1918 : “...cosa dirvi di ciò che mi dimandate del come si è avvenuta la mia crocifissione? Mio Dio che confusione e che umiliazione io provo nel dover manifestare ciò che Tu hai operato in questa tua meschina creatura! Era la mattina del 20 dello scorso mese (settembre) in coro, dopo la celebrazione della Santa Messa, allorché venni sorpreso dal riposo, simile ad un dolce sonno. Tutti i sensi interni ed esterni, non che le stesse facoltà dell'anima si trovarono in una quiete indescrivibile. In tutto questo vi fu totale silenzio intorno a me e dentro di me; vi subentrò subito una gran pace ed abbandono alla completa privazione del tutto e una posa nella stessa rovina, tutto questo avvenne in un baleno. E mentre tutto questo si andava operando; mi vidi dinanzi un misterioso personaggio; simile a quello visto la sera del 5 agosto, che differenziava in questo solamente che aveva le mani ed i piedi ed il costato che grondava sangue. La sua vista mi atterrisce; ciò che sentivo in quell'istante in me non saprei dirvelo. Mi sentivo morire e sarei morto se il Signore non fosse intervenuto a sostenere il cuore, il quale me lo sentivo sbalzare dal petto. La vista del personaggio si ritira ed io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue. Immaginate lo strazio che sperimentai allora e che vado esperimentando continuamente quasi tutti i giorni. La ferita del cuore gitta assiduamente del sangue, specie dal giovedì a sera sino al sabato. Padre mio, io muoio di dolore per lo strazio e per la confusione susseguente che io provo nell'intimo dell'anima. Temo di morire dissanguato, se il Signore non ascolta i gemiti del mio povero cuore e col ritirare da me questa operazione....”. Cinquant'anni vissuti nella preghiera, nell'umiltà, nella sofferenza e nel sacrificio. È questa l’eredità che san Pio ci consegna! Due le iniziative di maggior rilievo: la costituzione dei “Gruppi di preghiera” e la realizzazione dell’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”. (Per saperne di più http://www.padrepio.catholicwebservices.com/ )

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Diocesi Ugento - S. Maria di Leuca AGENDA del VESCOVO

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Ore 19,00

23 venerdì

Ore 10,00

24 sabato

16,00 19.00 Ore 11,00 Ore 19,00

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Roma – Commissione Episcopale per il laicato

Auditorium Benedetto XVI – Assemblea diocesana – Presentazione programma pastorale 2016-2017 Forania di Taurisano (solo sacerdoti) Parr. S. Maria Goretti – S. Giovanni Battista Leuca – Convegno Missionario Convegno – Custodia del Creato Gagliano del Capo – S. Rocco – S. Messa – Custodia del Creato Leuca - Cristo Re - S. Messa – 60° ann. dedicazione della Chiesa Roma – Consiglio Episcopale permanente Roma – Consiglio Episcopale permanente Roma – Consiglio Episcopale permanente Roma - Comitato Direttivo CNAL Roma – Seminario CNAL Bari

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