Relazione congressuale presidente gianni bottalico

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Relazione Presidente nazionale Acli Gianni Bottalico 6 maggio


«Siamo qui ancor oggi, non per fare delle piccole cose, non per puntellare condizioni logorate, non per provvedere all’amministrazione del passato, ma, nella salvaguardia dei valori permanenti ed essenziali della nostra tradizione e della nostra civiltà, per lavorare con tutte le nostre forze per un nuovo, più giusto, più umano assetto della nostra società. Siamo qui insomma per l’avvenire». Aldo Moro (29 luglio 1963)

«Libertà, creatività, partecipazione e solidarietà. Queste caratteristiche fanno parte della storia delle Acli. Oggi più che mai siete chiamati a metterle in campo, senza risparmiarvi a servizio di una vita dignitosa per tutti». Papa Francesco (23 maggio 2015)

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1. Il Congresso, una celebrazione democratica Celebriamo in questi giorni il nostro 25° Congresso. Mi piace soffermarmi sul termine celebrare, perché evoca una ritualità. L’esercizio della democrazia non può fare a meno della forma e del rito, che indicano una ricorrenza, un ritornare a pensare. E noi, oltre che farlo, proviamo a ridare un senso. Perché questo è il momento in cui ciascun delegato e delegata è chiamato a portare un tassello della nostra rappresentanza sociale, territoriale e politica. Tanti tasselli, che insieme compongono il mosaico del futuro della nostra associazione e all'interno del nostro progetto per il Paese. Il Congresso nazionale è il punto di arrivo di un percorso lungo e partecipato che è iniziato mesi fa nei circoli e nei territori ed è proseguito sino al livello nazionale, coinvolgendo migliaia di associati. Nell'epoca della politica spettacolo, delle convention fatte per applaudire e non per dibattere, noi ne rivendichiamo la necessità. Se oggi siamo qui, con uno stile di grande sobrietà e con un’attenzione ad avere il massimo tempo possibile per il dibattito interno, è perché intendiamo rispondere ad una insostituibile esigenza democratica, che si realizza nel segno della capacità di rappresentanza. Perché siamo una realtà articolata che sente il polso del Paese nei molteplici settori in cui è impegnata. Siamo una realtà capace di dare forma e voce politica a nuove e vecchie istanze sociali che emergono dai territori. Questo Congresso, senza perdere di vista il proprio compito di verifica politica e organizzativa di quanto fatto e di analisi e di programmazione di quanto si farà, deve trovare il tempo e la capacità anche di riscoprire l’anima delle Acli, il senso profondo e più autentico del nostro stare insieme. Mi riferisco ai motivi, alle speranze, ai valori profondi, ai sentimenti, alle passioni, alle gioie e alle fatiche che, tutti insieme, ci spingono, ogni giorno, a varcare le porte dei circoli, delle società sportive, dei gruppi di lavoro o di impegno, degli uffici delle sedi dei nostri servizi e delle nostre imprese. Crisi economica, terrorismo, guerre, razzismo, violenza, sfruttamento, miseria, corruzione, mettono a rischio l’anima della nostra stessa società. Spingono alla disgregazione sociale, all’individualismo, alla rassegnazione e all’indifferenza. Senza troppa retorica e senza voler essere troppo autoreferenziali, lavorare sul senso del fare le Acli significa, oggi più che mai, lavorare per ridare speranza e senso alla nostra società. Ma significa farlo anche per noi stessi: anche noi dobbiamo riscoprire una speranza di futuro e un senso di appartenenza, perché da troppi anni stiamo vivendo una transizione che non può essere ancora troppo lunga. E la nostra anima sta dove sono i più poveri, ultimi o penultimi: i più bisognosi. Nel corso delle diverse stagioni della nostra storia sono cambiate le forme dei bisogni sociali, ma è rimasta costante la nostra attenzione ai più deboli, ai poveri, alla dignità del lavoro e ai diritti dei lavoratori, alla riduzione delle disuguaglianze, allo sviluppo sociale e civile del Paese, alla costruzione di un welfare adeguato. Sono rimaste identiche le nostre fedeltà: ai lavoratori, alla democrazia, alla Chiesa. Si tratta di fedeltà che, nel contesto attuale, segnato da un vasto e preoccupante impoverimento dei ceti lavoratori, si riassumono in una nuova e sempre attuale fedeltà: la fedeltà ai poveri. Questo è il compito che Papa Francesco ci ha assegnato nel corso dell'incontro del 23 maggio dell'anno scorso e che rimarrà nella storia di questa associazione: “Proporre alternative eque e solidali che siano realmente praticabili di fronte all’ampiezza e alla velocità di riproduzione delle disuguaglianze è un compito molto impegnativo, ma allo stesso tempo appassionante”. L’ispirazione cristiana e la dimensione popolare sono gli elementi costitutivi delle Acli; elementi che determinano il nostro modo d’intendere le sfide attuali e di operare per affrontarle. In questa lunga crisi, di etica innanzitutto, ma anche di carenza di governo dell'economia, che si trascina ormai da un decennio, il posto delle Acli si colloca senza dubbio tra le vittime. La nostra base associativa, i milioni di persone e di famiglie con cui interagiamo con i nostri progetti e servizi, sono a vario titolo fra i danneggiati dalla crisi. La crisi non la studiamo solamente: la viviamo sulla nostra pelle. E nonostante questo siamo determinati a respingere ogni paura e a lottare per il cambiamento, ad affermare la certezza che esistono delle risposte fattibili per trovare una via d'uscita dalla crisi, per

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costruire un futuro di fraternità e di pace oltre le minacce che incombono sulla nostra epoca. È dunque con questo spirito che ci accingiamo a vivere questa assise congressuale, consapevoli della grande responsabilità che tutti noi avvertiamo di rendere le Acli preparate all'appuntamento con le sfide abbiamo davanti. Già il fatto di cambiare noi stessi, le Acli, è già un modo per affrontare le sfide che cogliamo nella società. Il nostro primo impegno è dunque riformare noi stessi. 2. Riformare le Acli: responsabili e sostenibili per affrontare il cambiamento Le cose accadono. Sì, di “cose” in questi anni ne sono accadute tante. E non sempre per colpa del destino, ma nemmeno sempre per colpa nostra. Le cose accadono e non si può più aprire il valzer infinito su quali siano le cause e le responsabilità, per poi dire “è andata così, amen”. A noi sta oggi un grande compito: scrutare il futuro, impegnarci ad interpretarlo, individuare la migliore rotta, tenere saldamente il timone. Pur nelle difficoltà di una crisi che ancora attanaglia il Paese, e quindi anche le Acli che in questo Paese vivono ed operano, oggi sappiamo che è necessario un cambiamento piuttosto radicale. Più di una volta mi sono scoperto a dire che dobbiamo “rovesciare il calzino”. Questi tre anni di Presidenza sono stati impegnativi e faticosi. Non abbiamo avuto risorse per fare le cose che avremmo voluto perché abbiamo impegnato ogni centesimo per risanare i nostri conti. E questa cosa è stata possibile, non mi stancherò mai di dirlo, grazie ad un impegno corale dell’associazione tutta. I bilanci, oggi finalmente comprensibili e trasparenti, anche per i non addetti ai lavori, ci dicono che siamo riusciti nel nostro intento. Ma è ora il tempo di pensare anche a come riformare la nostra organizzazione, davvero rovesciandola come un calzino. L'Assemblea straordinaria dell’associazione, delle associazioni specifiche professionali e dei servizi, svoltasi lo scorso giugno, ha forse prodotto effetti limitati per una questione di metodo e di contesto temporale, ma ha portato sotto i riflettori una gran quantità di problematiche su cui occorre intervenire. A cominciare proprio dal “calzino rivoltato”: non i territori che servono alla sede nazionale ma una sede nazionale che serve ai territori. Regioni, province, circoli oggi soffrono per la mancanza di strumenti, di supporti, di sostegni, di collaborazioni. In questi anni ho visto Presidenti provinciali venire in sede nazionale e fare il giro delle cinque chiese: Patronato, Caf, Fap, 5x1000, tesseramento. Poi li ho visti soli a progettare interventi specifici per i loro contesti, soli a pensare iniziative utili per le loro comunità, soli a definire modelli di integrazione e di governo del sistema, soli a ricercare buone prassi da cui prendere spunto, soli a dare un mestiere ai loro circoli, soli anche a cercare un relatore o a fare un manifesto. Allora “rovesciamo il calzino”: pensiamo ad una sede nazionale, agile e disponibile, che guarda costantemente al territorio e che si pone l’obiettivo di non lasciare soli i Presidenti regionali, provinciali e di circolo. Occorre una sede nazionale che aiuta a progettare, a pensare, a comunicare, a formare, ad integrare e così via: una struttura nazionale che, prima ancora che servire alla sua Presidenza, serva ai Presidenti. Occorre – voglio dirlo chiaramente perché questa deve essere una scelta di comportamento – una sede nazionale che prima di tutto risponde, risponde sempre. Perché le risposte che la sede nazionale saprà dare alle proprie sedi territoriali sono una parte delle risposte che le Acli sapranno dare ai cittadini che ci chiedono sostegno, aiuto, comprensione, accompagnamento. E quanto più la sede nazionale saprà tempestivamente dare risposte competenti, tanto più le Acli nel loro complesso sapranno darle in ogni angolo di questo Paese ed anche all’estero. Proprio per questo, una volta concluso il Congresso Nazionale, sarà necessario impegnarsi fin da subito a ripensare il ruolo e la struttura delle Acli Nazionali, ridefinendone il progetto e le priorità, rivedendone il modello organizzativo, a partire da alcune delle proposte emerse proprio dell’Assemblea Straordinaria e individuando un gruppo dirigente che garantisca il giusto equilibrio fra continuità e rinnovamento, nel rispetto delle diverse rappresentanze regionali e della collegialità delle responsabilità attraverso l’attribuzione di deleghe politiche specifiche negli Organi Nazionali.

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Certo, occorrerà farlo guardando in faccia la realtà. La realtà viene prima dell'idea. E lo abbiamo capito proprio a partire dal Patronato. Negli ultimi mesi la situazione del Patronato ha determinato la necessità di operare interventi che garantissero la tenuta dell'intero nostro sistema e che ponessero le basi per la soluzione dell’emergenza finanziaria di questo fondamentale servizio. Persiste ancora oggi una pesante crisi economica e finanziaria che ha alla radice un’ormai chiara insostenibilità strutturale del sistema per come lo abbiamo conosciuto in tutti questi anni. È necessario rivederne la missione e il modello organizzativo. Occorre avere il coraggio di cambiare nella consapevolezza che, se si vuole salvaguardare un servizio di utilità sociale per i cittadini e tutelare al meglio le persone che vi lavorano, le scelte saranno pesanti, ma inevitabili. Bisognerà essere chiari anche con la Pubblica Amministrazione. Perché da un lato siamo stati, e vogliamo continuare ad essere, estremamente schietti: i progetti di riforma in atto nella Pubblica Amministrazione, il processo di digitalizzazione del rapporto tra Stato e cittadino non troveranno in noi un ostacolo. Ci siamo sin da subito candidati a collaborare all'attuazione delle riforme che riteniamo rispondenti al bene comune, offrendo il valore aggiunto delle nostre reti, delle nostre conoscenze, del rapporto consolidato e di fiducia con una quota importante di cittadini. Vogliamo riformare i nostri servizi in base alle nuove necessità del rapporto con la Pubblica Amministrazione, salvaguardando la nostra autonomia - qui intesa come assenza di conflitto di interessi - a tutela dei cittadini che si rivolgono ai nostri sportelli ed in modo compatibile con le nuove modalità di copertura dei costi dei servizi erogati. Ma nel contempo, però, chiediamo al Governo di impostare in modo chiaro ed organico il rapporto con i Patronati e i Caf, per consentire dei margini di programmazione delle attività. Non si può ogni anno rischiare di rimettere tutto in discussione con dei tagli che vanno a colpire proprio quei servizi di consulenza che la Pubblica Amministrazione non è in grado di erogare e che, per giunta, vengono svolti dal Terzo settore a costi inferiori di quelli pubblici. In gioco ci sono prima di tutto i diritti dei cittadini, specie delle fasce più deboli e bisognose, che rischiano di non essere più riconosciuti. E poi c'è il futuro lavorativo di migliaia di operatori che svolgono una funzione essenziale ed irrinunciabile per la coesione sociale, da salvaguardare con grande impegno. Basterebbe entrare in una qualunque nostra sede di Patronato o Caf per capirlo: quotidianamente, sono piene di persone, spesso molto fragili anche da un punto di vista economico, che chiedono la tutela dei loro diritti. I bisogni si sono moltiplicati, così come le persone che manifestano tali bisogni, ma ci troviamo sempre più con le armi spuntate. Ci troviamo di fronte ad una situazione ormai insostenibile, che va denunciata a tutti i livelli e per la quale chiediamo un’attenzione costante alle donne e agli uomini impegnati nelle istituzioni e nei contesti deputati a questi temi. Non possiamo non dirci preoccupati di una politica dei tagli, che rischiano di apparire come una forma di sfiducia nei confronti dei corpi intermedi, visti come entità che frenano lo sviluppo del Paese. Non v’è dubbio che esistano - anche a casa nostra - delle contraddizioni che necessitano di una profonda autocritica e di una spinta autoriformatrice, ma possiamo assicurare che le Acli si metteranno in gioco a tutti livelli e non si sottrarranno dal dare il proprio contributo. Lo ripeto: il cambiamento riguarda anche noi, la nostra capacità di riformare il sistema, che richiede strategie e progetti innovativi per individuare nuovi servizi e nuove modalità per finanziarli. A tutti i livelli del sistema deve passare il concetto che nella nostra dimensione organizzativa e gestionale non ci sono più rotte prestabilite e garantite: bisogna imparare a navigare nel mare aperto dei nuovi bisogni sociali emergenti, delle nuove opportunità; bisogna entrare nella logica di progetti che vanno calati nelle specificità dei territori, e di finanziamenti che vanno ricercati con prontezza e inventiva. Per queste ragioni abbiamo assunto delle decisioni coerenti con queste priorità, con le quali abbiamo inteso affermare che compete al livello politico il governo dei processi del sistema. Abbiamo operato per riconnettere strettamente associazione e servizi. Patronato e Caf già hanno iniziato a lavorare insieme sul territorio nazionale, e occorrerà proseguire questa interazione di sistema nel segno della massima coesione e condivisione tra tutti i nostri servizi e tra questi e l'associazione. Ogni nostra componente deve sentirsi una "porta sociale" di accesso e di accoglienza verso l’intero sistema delle Acli con al centro i bisogni delle persone che si rivolgono a noi, i loro diritti in quanto cittadini.

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In particolare i circoli, che sono il centro della vita delle Acli, vanno aiutati ad essere sempre più luoghi di progettualità, di nuovo welfare, di mutuo aiuto tra cittadini e famiglie, di aggregazione sociale, anche attraverso nuove modalità rivolte appositamente ai giovani. In proposito, di cruciale rilevanza per il futuro, sono le numerose attività messe in campo dalle nostre associazioni specifiche – l’US Acli, il Cta, Acli Arte e Spettacolo, Fap, Ipsia - per rilanciare l’azione delle Acli nei territori e per veicolare messaggi aggregativi che possano interessare i più giovani, spingendoli a partecipare al nostro movimento. Una rinnovata attenzione alla crescita e alla formazione dei nostri gruppi dirigenti rappresenta un vero investimento per il futuro. Le associazioni specifiche sono una straordinaria ricchezza! 3. Acli capaci (anzitutto) di pensare il cambiamento Il cammino delle Acli che il congresso si appresta a definire per il prossimo futuro, è anche il cammino di laici che vivono la loro appartenenza ecclesiale nell'impegno sociale e civile. “L'ispirazione cristiana - come ci ha ricordato Papa Francesco - costituisce il principio ed il collante del nostro impegno. Essa rimanda alla costante fedeltà a Gesù Cristo e alla Parola di Dio, a studiare e applicare la Dottrina sociale della Chiesa nel confronto con le nuove sfide del mondo contemporaneo”. La vita cristiana è centrale nella nostra esperienza associativa, come momento che integra e arricchisce la spiritualità personale e il cammino di fede nella comunità cristiana. Essa ci spinge costantemente alla conversione da una logica mondana alla logica del Regno di Dio, che ci rende capaci di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società, anziché ambire al possesso di spazi di potere e di autoaffermazione (Cfr. Evangelii Gaudium § 222 -225). Gli incontri annuali di spiritualità a Camaldoli ci aiutano ad approfondire alla luce della Parola di Dio il senso del nostro impegno per la dignità del lavoro, per la giustizia, per la riduzione delle disuguaglianze, per la lotta alla povertà, con cui intendiamo portare il nostro contributo al nuovo umanesimo in Gesù Cristo, sul quale la Chiesa italiana ha incentrato la riflessione all'ultimo convegno nazionale di Firenze. In ultima analisi la libertà dei figli di Dio, che ci dona l'esperienza di fede, sta a fondamento dell'autonomia della nostra associazione. In altre epoche la questione dell'autonomia si poneva soprattutto sotto il profilo organizzativo e politico rispetto a forze ed ideologie naturalmente tendenti all'egemonia. Ai nostri giorni essa ha assunto sempre più un significato spirituale, perché investe in primo luogo l'affrancamento dal potere del denaro che, anziché servire, governa il mondo. Essere un’associazione capace di autonomia significa rinunciare nel concreto alle mille forme di idolatria del denaro di cui è intrisa la società attuale e contribuire a creare una cultura incentrata sulla fraternità e sull'inclusione sociale come vere ricchezze per tutti. Un’autonomia che si gioca sul piano culturale, come già si è visto nei nostri incontri di Studi nazionali svoltisi a Cortona e ad Arezzo, proposti secondo un percorso organico di approfondimento, e che permette di fare della formazione dei nostri gruppi dirigenti, prima di tutto, uno sforzo di formazione delle coscienze. La formazione – infatti - riflette e sviluppa l'identità e l'azione sociale delle Acli, costituisce il nostro primo ed insostituibile compito. Dobbiamo, dunque, orientarla ai nostri grandi obiettivi: costruire legami sociali, operare per uno sviluppo sostenibile e un nuovo modello di economia, educare a stili di vita più responsabili. Si tratta di formare mentalità nuove, coscienze critiche e capaci di discernimento, offrire delle categorie di pensiero non appiattite sulla cultura e sull'informazione dominanti e allo stesso tempo propositive. Il sale della nostra esperienza associativa è appunto questo: leggere la realtà e organizzare delle risposte politiche da un punto di vista popolare. E questo possiamo realizzarlo assieme alla voce della Chiesa nel nostro tempo, che è una delle poche che si levano sui temi della povertà, delle ingiustizie e delle disuguaglianze sociali, della guerra, sui temi etici che investono la sacralità della persona umana in rapporto alle dinamiche economiche e alle possibilità dischiuse dalla scienza. Un messaggio che il Pontefice rafforza perseguendo la costruzione

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di ponti e criticando la costruzione di muri, e dando nuovo impulso al dialogo interreligioso e al cammino ecumenico in tutte le direzioni, con una predilezione - unita ad una forte preoccupazione per le sorti della presenza cristiana nei luoghi di più antica evangelizzazione nel Vicino Oriente; una presenza che è sottoposta a cruente persecuzioni e che tinge del colore del sangue di questi martiri contemporanei il ritrovato spirito ecumenico. Il tema del cambiamento è prima di tutto una questione culturale. Occorre capire cosa sta cambiando. Spesso il nostro fare pensato si è ridotto al fare: ma la dimensione culturale definisce il senso delle cose, dà forma a quello spirito del tempo che, se non se ne tiene conto, rischia di rendere incongrua e inutile ogni nostra azione. Dobbiamo anzitutto capire: leggere, studiare, approfondire, cogliere. In questo senso ci pare decisivo riprendere anche a fare ricerca. Il nostro ente di ricerca, l'Iref è e sarà ancor di più uno strumento importante per aiutarci a capire. Capire e agire non sono azioni separate o sequenziali: ma entrambe vanno perseguite con efficacia. 4. Un nuovo modello di sviluppo, un nuovo modello di welfare Alla base dell'azione sociale e civile delle Acli vi è la convinzione che lavoro, diritti sociali e democrazia abbiano un legame inscindibile. La realtà sociale allarmante che emerge nei nostri territori, sino ai grandi squilibri dell'attuale sistema economico, la crisi dilagante che appare ancora priva di soluzioni strutturali, sono elementi che ci dicono che dobbiamo rimettere la persona umana al centro dei processi economici. E che dobbiamo riconoscere la necessità di un cambio di rotta in direzione di uno sviluppo sostenibile, perché l’attuale modello di sviluppo, fondato sulla supremazia della dimensione finanziaria, risulta insostenibile sul piano ambientale, economico e sociale. In questa prospettiva, il dibattito sul modello di welfare appare strategico. Dopo anni di riforme, in parte giustificate ed in parte troppo condizionate dall'elemento della sola sostenibilità economica, è venuto il tempo in cui occorre guardare alle riforme anche dal versante della loro sostenibilità sociale; in cui occorre considerare il welfare non solo come un costo ma prima di tutto come una infrastruttura per lo sviluppo. Bisogna riscoprire l'importanza dei legami sociali e definire un nuovo welfare comunitario capace di mobilitare tutte le risorse disponibili nei territori, nelle istituzioni, nella società civile con lo scopo di non lasciare sole le persone che sono in difficoltà. La coesione sociale è un grande bene per tutta la società, ed ha anche un valore economico. Troppi attori sociali, privati e pubblici, si sono ridotti a ragionare solo in un'ottica di mercato: facciamo quadrare i bilanci, rispettiamo i parametri, aumentiamo i profitti. Bisogna superare questa mentalità. Ognuno deve fare la propria parte, nessuno, nel proprio ambito, si può tirar fuori dal farsi carico dell'obiettivo della sostenibilità del vivere per tutti. Le Acli si mettono in gioco per questo scopo. Da questa preoccupazione deriva il progetto strategico sul contrasto alla povertà di cui in questi tre anni siamo stati promotori, insieme a decine di altri organismi di vario orientamento culturale. Per la prima volta in Italia un complesso così vasto di soggetti si è mobilitato sul tema della lotta alla povertà, sul quale il nostro Paese sconta un forte ritardo rispetto alle altre nazioni europee. Desidero, dunque, rivolgere un sincero ringraziamento a tutte le organizzazioni che compongono l'Alleanza contro la povertà per il loro contributo a questa causa. Insieme siamo riusciti a porre il problema della povertà tra le priorità dell'agenda politica. Insieme abbiamo messo a punto la proposta del Reddito di inclusione sociale quale misura universale per il contrasto alla povertà. Insieme stiamo costituendo i tavoli regionali e locali. Insieme abbiamo avviato un’interlocuzione con il Governo, in particolare con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, che per la prima volta nell'ultima legge di stabilità ha accolto la richiesta da noi avanzata di un Piano nazionale per la lotta alla povertà. É ancora molto lungo il percorso da compiere, insufficienti le risorse stanziate, seppur in aumento. E però intanto si procede. Ci aspettiamo e chiediamo che la delega sulla povertà definisca le condizioni atte a far partire in Italia, sin dal prossimo anno, una

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misura strutturale di lotta alla povertà.

5. Per un nuovo mutualismo popolare L'insicurezza sociale riguarda ormai l'intera classe media. In questi ultimi dieci anni, la crisi ha causato una modifica strutturale della società italiana. Siamo velocemente passati da una società in cui una larga maggioranza della popolazione poteva considerarsi al riparo dai rischi di esclusione sociale, ad un tipo di società composto da una minoranza di benestanti e di ricchi e da una larga maggioranza di ceti intermedi e lavoratori che impoveriscono, che temono di impoverire e che si auto-organizzano, perché intanto il welfare si indebolisce anch'esso. Come ben hanno documentato le Acli Colf, che da anni – oltre ad operare per difendere e sostenere proprio una parte di questo ceto popolare - monitorano aspetti importanti del cosiddetto “welfare fai da te”, la famiglia ha esercitato un ruolo improprio di ammortizzatore sociale che ha attutito gli effetti sociali della crisi. Ma questa funzione di supplenza si sta rapidamente riducendo per l'esaurimento delle risorse. In un numero crescente di famiglie, ci avverte il nostro Caf, si ereditano debiti anziché patrimoni. I bassi salari, la scarsità e precarietà del lavoro, i tagli alle prestazioni sociali, l'altissima pressione fiscale prospettano per il futuro un forte aumento della fragilità delle famiglie, che occorre sin d'ora attrezzarsi a contrastare. Una fragilità che appare tanto più grave in un contesto nel quale la questione demografica si pone con urgenza: vanno rimossi quegli ostacoli e quelle lacune del welfare che ritardano o precludono per tante coppie la decisione di avere dei figli; e così pure vanno ricercate forme efficaci di conciliazione dei tempi di lavoro, di pari opportunità e di naturale reciprocità tra le donne e gli uomini. Penso in particolare alle battaglie portate avanti dal Coordinamento Donne Acli che, nel suo lungo e faticoso cammino d’impegno e di partecipazione, ha contribuito alla crescita del Paese e della nostra associazione, denunciando i deficit di presenza femminile nei luoghi della vita lavorativa, sociale e politica della nazione. Di fronte alle nuove emergenze sociali è fondamentale il ruolo del Terzo settore: con la riforma in via di definitiva approvazione, otterrà un riconoscimento importante che tiene conto anche delle dimensioni assunte dall'imprenditorialità sociale dal punto di vista occupazionale. Un aspetto di questa riforma che sta molto a cuore alle Acli è relativo al Servizio Civile, collocato nel quadro di una Difesa civile e non armata della Patria, con la possibilità di accesso anche per i giovani stranieri residenti in Italia. Grazie al Servizio Civile Volontario ogni anno le Acli avviano centinaia di giovani ad una straordinaria opportunità formativa, educativa, di cittadinanza attiva, di protagonismo e di costruzione di un nuovo welfare. Il Servizio Civile rappresenta un’importante occasione di rigenerazione, di formazione e di selezione di una nuova classe dirigente per il Paese e per le stesse Acli, che possono trarre da queste esperienze nuova linfa per rigenerarsi. In raccordo con le istituzioni e con altre realtà del Terzo settore, responsabilità di sviluppare una progettualità sociale per questo costruzione di un nuovo mutualismo popolare in campo familiare, assistenziale, abitativo, formativo. Ogni nostro servizio, in modo diventa così uno strumento importante, non solo per rispondere orientare le persone che incrociamo.

le Acli sentono il dovere e la tempo di crisi, sostenendo la previdenziale, sanitario, sociocoordinato con l'associazione, ad un bisogno ma anche per

In questa prospettiva si collocano anche le iniziative che abbiamo assunto sul tema della previdenza attraverso il Patronato, la Fap e i Giovani delle Acli. Abbiamo lanciato l'allarme sul contributivo, tanto sulle prestazioni già in essere maturate interamente col sistema di calcolo introdotto dalla riforma Dini, che sulle erogazioni future. La proposta di legge della Federazione Anziani e Pensionati Acli volta ad introdurre l’integrazione al minimo vitale per le nuove pensioni contributive è importante: non solo intende rispondere ad una forte inadeguatezza dei trattamenti già in atto, ma sollecita ad affrontare sin d'ora il rischio di una diffusione di massa della povertà tra la popolazione

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anziana. Un rischio di cui i lavoratori e le lavoratrici inizieranno a prendere coscienza man mano che riceveranno le buste arancioni dell'Inps. E come non si può pensare di costruire il sistema previdenziale delle nuove generazioni su basi puramente contabili e statistiche, così non è tollerabile che intere fasce di lavoratori, lontani dai requisiti per andare in pensione, vengano lasciati senza alcun sostegno dopo l’espulsione dal mondo del lavoro. Auspichiamo che quanto indicato dal Governo su tale problema si trasformi in proposte concrete e in una disponibilità al confronto. 6. Al lavoro per un nuovo piano industriale Insieme al nuovo modello di welfare, l'altra priorità per il Paese è il lavoro. L'affermazione della dignità del lavoro, il lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, è la via per fermare la crisi e le crescenti disuguaglianze. Il legame inscindibile tra lavoro e diritti, da cui, in ultima analisi, dipende il futuro della democrazia, va difeso, esteso e in parte ricostruito in rapporto ai cambiamenti. Dobbiamo contrastare la grande ingiustizia di questo tempo: il lavoro che diventa povero per la stragrande maggioranza delle persone mentre, nel contempo, dei profitti iniqui si concentrano nelle tasche di una esigua minoranza. Serve un patto per il lavoro nei territori che veda istituzioni, imprenditori, sindacati, Terzo settore, famiglie fare fronte comune. Il ruolo del sindacato risulta importante anche per migliorare l'impatto concreto dei nuovi provvedimenti sul lavoro in sede di contrattazione. La presenza del sindacato è una garanzia: lo ribadiamo con forza anche noi che dell'unità sindacale abbiamo sempre fatto un tema importante. Il sindacato è ancora oggi uno strumento essenziale di democrazia economica. Le misure introdotte col Jobs Act - alcune molto opportune, qualcuna più discutibile - paiono aver agito soprattutto sul piano delle regole e in alcuni casi rappresentano un passo avanti verso quel nuovo statuto dei lavori che riteniamo necessario per assicurare a tutti un adeguato sistema di protezione sociale, per dare riconoscimento universale a diritti come maternità, ferie, malattia, per tutte le tipologie di lavoratori. Certamente i fatti ci dimostrano che non sono sufficienti le regole per creare nuove opportunità di lavoro e che sono necessarie misure permanenti al posto degli incentivi a scadenza, per ridurre la pressione fiscale sul lavoro e per liberare risorse volte a creare nuova occupazione. Al lavoro che scarseggia occorre rispondere con politiche espansive capaci di sconfiggere la deflazione, di rianimare la domanda interna, di ricreare un clima di fiducia, di reperire le risorse per la creazione di nuovo lavoro nel campo delle opere pubbliche (non solo quelle grandi ma anche la manutenzione ordinaria di quelle esistenti), nel campo della prevenzione dei rischi ambientali, della valorizzazione del patrimonio artistico, del turismo, delle eccellenze agroalimentari, anche raccogliendo l'eredità sociale e culturale dell'Expo, espressa nella Carta di Milano. E proprio sul versante agroalimentare, un comparto produttivo fondamentale e in continua trasformazione nonostante la crisi, si aprono importanti opportunità per AcliTerra, che da anni rappresenta i bisogni e tutela i diritti del mondo agricolo per la crescita della famiglia agricola sia sotto l’aspetto sociale sia culturale, in sinergia con i servizi forniti attraverso il nostro CAA, di grande utilità in molti territori. Insomma, nel Paese si sta prendendo sempre più coscienza del fatto che va definito un nuovo piano per la reindustrializzazione, in modo selettivo e coerente con i nostri distretti produttivi e per recuperare il terreno perduto sull'innovazione tecnologica. In Italia, infatti, per ogni euro di aumento della produzione manifatturiera, si ha un ritorno in termini di ricchezza prodotta di quasi il doppio. Il tema annoso e irrisolto del crescente divario fra territori, ed in particolare quello di alcune zone del Mezzogiorno dal resto del Paese, costituisce un grande problema nazionale. Per contrastare la crisi non si può disgiungere il destino delle diverse aree del Paese, così come non si può disgiungere quello dei diversi ceti sociali, né quello di ciascun Paese europeo: dobbiamo capire che il nostro contesto non è solo l'Italia, è l'Europa. È in quest'ottica che ribadiamo il ruolo della formazione professionale volta a preparare i lavoratori

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alle professioni che possano trovare un mercato o possano effettivamente. L’EnAIP, il nostro ente di formazione professionale, oggi riscopre ancor di più una vocazione di utilità per le comunità in cui opera. Le nuove e vecchie sfide cui l’EnAIP è chiamato a rispondere riguardano i giovani, gli adulti e le fasce deboli del mercato del lavoro: persone diversamente abili, soggette a restrizione della libertà, immigrati, soggetti a dipendenze e tutte le nuove forme di povertà. Concretamente parliamo di interventi a contrasto della disoccupazione e della creazione di un sistema di servizi per il lavoro e di politiche attive che si affiancano e completano gli interventi erogati dai Centri per l’impiego pubblici. 7. L'Europa, compito e destino Certamente va affermato un nuovo paradigma, diverso da quello tecnocratico che oggi governa questa Europa e che l'ha lentamente discostata dal progetto originario, quello che ha alimentato il sogno e le speranze di intere generazioni di europei. L'Europa è un progetto che va rilanciato, sviluppando le grandi intuizioni di europeisti come Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli - di cui ricorrono i trent'anni dalla scomparsa - e contrastando l'attuale supremazia dei poteri economici e finanziari, che costituisce uno dei principali fattori di disgregazione dell'Europa, in favore invece di un'Europa dei cittadini e della solidarietà. Le rigide politiche di austerità stanno soffocando l'economia europea ed impoverendo i ceti lavoratori e continuano ad ostacolare l'azione dei governi contro la crisi. Un ennesimo esempio di questo “effetto europeo” è costituito dal Documento di economia e finanza (def), costretto a misurarsi con prospettive di crescita assai contenute e lontano dal prevedere un intervento adeguato alla gravità della crisi, perché i parametri europei lo impediscono. Il superamento dell'austerità costituisce dunque il presupposto non più rinviabile per poter attuare una politica credibile di contrasto alla crisi ed alla disoccupazione e per arginare uno scontento sociale sempre più diffuso tra i ceti popolari e i lavoratori. Il pericolo costituito dal persistere della deflazione in Europa esige che si tentino soluzioni coraggiose ed efficaci come quella, invocata anche negli ambienti finanziari più responsabili, di trasferire direttamente all'economia reale (agli Stati, alle imprese, alle famiglie) almeno una parte della liquidità straordinaria creata dalla Banca Centrale Europea. Dopotutto, si tratta di risorse che appartengono ai popoli della zona Euro e non ai banchieri e che, con pieno diritto, devono essere utilizzate nell'interesse comune. L'Europa esiste se è capace di autonomia, se si candida a costituire uno dei poli che concorrono alla gestione dell'agenda politica globale. Se invece l'Europa accetta l'omologazione ad un unilateralismo di mercato, che ne cancella l'identità e l'anima sociale e solidale, ha già rinunciato ad avere un futuro. 8. Un altro mondo è possibile: ecologia integrale e sviluppo sostenibile Non è tanto il prossimo referendum nel Regno Unito, che auspichiamo possa risultare favorevole alla permanenza di questo grande Paese nell'Unione Europea, a far vacillare il progetto europeo, quanto piuttosto la possibilità che si arrivi alla stipula del Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip), con una formula che preveda la possibilità per i grandi gruppi economici e finanziari di scavalcare la legislazione europea e nazionale ed il nostro avanzato sistema di tutele della salute, dei diritti dei lavoratori e dei consumatori, dell'ambiente. Per queste ragioni abbiamo aderito alla manifestazione che si svolgerà domani, a Roma, contro il Ttip. Non sono in discussione gli scambi commerciali con gli Stati Uniti che tuttora hanno già barriere doganali minime e che è interesse di tutti agevolare ulteriormente ed intensificare, bensì il rispetto del nostro ordinamento giuridico. Vista la posta in gioco così alta, riteniamo che risponda ad una elementare esigenza di democrazia che i termini di questo trattato siano ufficialmente resi pubblici prima del voto per la sua ratifica. Rivolgiamo un appello al Governo, al Parlamento, ai parlamentari

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europei eletti in Italia di non avallare alcuna soluzione che contempli il prevalere degli arbitrati commerciali internazionali sulla legislazione comunitaria e nazionale. Il tema non è solo il commercio, il tema è il mondo, il mondo intero. Dobbiamo globalmente rinnovare gli stili di vita a partire dai processi educativi e formativi, per sostenere e implementare quel concetto di ecologia integrale, indicato nella Laudato Si', che tiene insieme la dimensione umana e sociale. Ecologia integrale e sviluppo sostenibile costituiscono un impegno ed una responsabilità a cui le Acli attribuiscono un'importanza strategica. Dio ci ha chiamati a un compito di custodia del creato che dovremmo esercitare sempre con umiltà e pazienza, per un bene comune che è di tutti, e in qualunque parte del pianeta. Siamo convinti che pace, giustizia e salvaguardia del creato siano temi strettamente interconnessi. Papa Francesco durante il suo pontificato ha richiamato più volte l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale sulla Terza Guerra Mondiale che è in corso, seppure a pezzi. Una realtà durissima testimoniata in questi anni da milioni di vittime e di profughi di guerra, da distruzioni immani di interi Stati, dalla dispersione nell'ambiente di grandi quantità di sostanze nocive contenute nelle bombe, dalla concentrazione senza precedenti di truppe e di armamenti dentro i confini orientali dell'Europa, dall'apparire del sedicente Stato Islamico dei terroristi dell'Isis, dalla strategia della tensione cui è sottoposta l'Europa, soprattutto in seguito agli attentati di Parigi e di Bruxelles. La tragedia della Siria è in qualche modo l'emblema del prevalere del confronto bellico sulle vie della diplomazia e del reciproco riconoscimento fra i vari protagonisti della politica globale. È l'emblema degli errori che non si devono più commettere e delle responsabilità che vanno assunte anche da parte di quanti hanno deliberatamente contribuito, per calcolo geopolitico, ad aumentare l'instabilità del Medio Oriente e dell'Europa orientale. È un’illusione credere di poter ricostruire una qualche forma di statualità nei Paesi in cui essa è stata distrutta dalla guerra attraverso nuove guerre. Come nel caso della Libia: vogliamo ribadire il sostegno all'azione diplomatica del nostro Paese di supporto alla creazione di un governo unitario e la nostra netta contrarietà a qualunque ipotesi di intervento militare diretto. Occorre inoltre mantenere alta la vigilanza sul commercio delle armi, vietarne la vendita a quei Paesi come l'Arabia Saudita che, tra le altre cose, sono responsabili di cruenti conflitti come quello in corso in Yemen. Rinnoviamo l'invito al Governo a riconsiderare l'acquisto dei cacciabombardieri F35 e a destinare le somme risparmiate a piani di riconversione dell'industria bellica e di cooperazione internazionale. Come ci insegna l'esperienza dell'Ipsia, l'ong delle Acli, occorre puntare sui progetti che generano sviluppo e legami di solidarietà fra i popoli. Di fronte ai migranti che bussano alle porte dell'Europa occorre rispondere con il soccorso, l’accoglienza, la possibilità concreta di integrazione, l’aiuto e ilsostegno per il reinsediamento di quanti intendano tornare ai loro Paesi. Quella indicata da Papa Francesco, e ribadita nella recente visita sull'isola greca di Lesbo, è l'unica strada percorribile: costruire ponti di fraternità e di pace, non innalzare muri di paura e di fuga dalle responsabilità. Per quanti invece risiedono stabilmente nel nostro Paese e per le seconde generazioni d’immigrati va resa più accessibile l'acquisizione della cittadinanza italiana. Come promotori della Campagna “L’Italia sono anch’io”, che ha raccolto duecentomila firme, chiediamo di procedere ad una rapida approvazione della nuova legge sulla cittadinanza. 9. L'Italia, tra crisi della rappresentanza e riforme istituzionali I grandi processi che caratterizzano il nostro tempo e che hanno determinato quella che i Vescovi italiani hanno definito la deriva del lavoro, la riduzione dei diritti sociali e l'aumento delle disuguaglianze, si riflettono anche sulla qualità della democrazia e sono all'origine della crisi della

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rappresentanza che riguarda non solo i partiti ma anche i corpi sociali intermedi. Una crisi di numeri, ma prima di tutto di credibilità, come abbiamo scritto nel volume «Corpi intermedi. Una scommessa democratica», presentato recentemente a Milano. La crisi dei corpi intermedi procede dal venir meno della propria autonomia culturale, dall'inadeguatezza nel rappresentare le istanze popolari degli associati per assumere invece le categorie che sono espressione del punto di vista degli interessi dominanti. Una defezione che si è consumata inseguendo una concezione illusoria di modernità che invece finisce per diventare appiattimento di visione culturale e anestetico alla partecipazione. Per questo molti soggetti sono rimasti impreparati a capire per tempo gli effetti sociali che la crisi stava producendo. Ma forse le cose stanno cambiando. La credibilità dei grandi poteri economici e finanziari, dei loro imponenti apparati culturali e mediatici, risulta in caduta agli occhi della gente. È dunque il momento di osare, di riprendere coraggio nel mettere in discussione quel dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi e nuovi conflitti e di rilanciare un nuovo protagonismo dei cittadini, di cui i corpi intermedi sono strumento. Lo stesso Capo dello Stato Sergio Mattarella, che con il messaggio inviatoci ieri ci ha confermato la stessa attenzione e lo stesso affetto che ci aveva già dimostrato in occasione dell’incontro con la Presidenza nazionale del dicembre scorso, ha tenuto a sottolineare l’importanza di questo tema, rimarcando che: “Nel risveglio di una coscienza civile, che torna a progettare un futuro migliore per la società e agire per esso, è fondamentale il contributo delle autonomie sociali. Da queste possono scaturire anche energie nuove per il rinnovamento della politica e dell’economia”. Su queste basi si può cominciare a ricostruire la fiducia nei corpi sociali intermedi e a rivitalizzare la democrazia. La concezione della democrazia di cui è portatrice l'esperienza storica delle Acli, si basa sull'idea del pluralismo, della sussidiarietà, della partecipazione popolare. Per questo consideriamo importante il tema della riforma dei partiti ed in particolare della loro democrazia interna. Anche in Italia, come in altre democrazie europee, l'aggravamento della crisi economica ha condotto al superamento del bipolarismo. Una parte consistente dell'elettorato non ha reputato i poli esistenti capaci di rappresentare le loro istanze, rendendo in tal modo il sistema tripolare. A questo va aggiunto un fenomeno di dimensioni ancora maggiori costituito dall'aumento dell'astensionismo, che riguarda ormai quasi un elettore su due. Le riforme costituzionali, sulle quali sarà indetto nel prossimo autunno il referendum confermativo, hanno iniziato ad essere oggetto di una prima valutazione nelle Acli ed in particolare nella Direzione e nel Consiglio Nazionale. Tuttavia, il tema sarà sottoposto ad una più approfondita valutazione dopo il congresso. Per il momento, esprimiamo un giudizio nel complesso positivo per riforme attese da molto tempo, come quella che riguarda il superamento del bicameralismo perfetto. Ma allo stesso tempo rileviamo che permangono problemi di bilanciamento dei poteri, dovuti non alla riforma in quanto tale, bensì alla compresenza di una sola Camera, che esprime la fiducia al Governo, con una legge elettorale fortemente maggioritaria come l'Italicum. Sono aspetti che andranno ulteriormente approfonditi in prospettiva del referendum confermativo. Ce ne occuperemo nel prossimo Incontro nazionale di studi. 10. La politica italiana ha l'occasione di cambiare L'attuale legislatura ha conosciuto un cammino tutt'altro che lineare. All'origine vi è il risultato elettorale del 2013, che ha sancito l'esistenza di tre poli costituiti dal centrosinistra, dal centrodestra e dal Movimento 5 Stelle. Le complesse vicende, che hanno portato prima alla costituzione del governo Letta e poi del Governo Renzi, hanno evitato il ricorso anticipato alle urne e consentito l'avvio di una fase di riforme su vasta scala. In generale, tale progetto riformatore ha avuto il merito di suscitare grandi speranze di cambiamento e di indicare nella politica lo strumento con cui realizzarlo: una politica capace di accelerare, di farsi

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capire e di interpretare le attese ed i problemi della nazione. Il Presidente del Consiglio e Segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi si sta cimentando nella difficile sfida di imprimere un nuovo slancio al Paese attraverso un piano articolato di grandi riforme che abbracciano le politiche del lavoro, la Pubblica Amministrazione, la scuola, le istituzioni, cui noi guardiamo con vigile attenzione, pronti a dare il nostro contributo nella prospettiva del bene comune. L'Italia deve tornare a recitare il ruolo che le spetta sul piano economico e su quello politico, in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo. Le aspettative sono alte. Conterà anche il metodo con il quale certe questioni si risolvono. Si tratta di obiettivi ambiziosi che saranno i fatti a giudicare, tenendo conto però che molti dei fattori che contribuiscono al persistere della crisi economica sono di carattere sovranazionale e che il contesto internazionale attorno al Paese appare quanto mai carico di tensioni. Tali elementi costituiscono una sfida per la politica italiana. Infatti, solo un Paese in cui maggioranza e opposizioni siano consapevoli dell'estrema delicatezza del momento storico in cui ci troviamo, potrà fare dei passi importanti per risollevare la nostra economia. Ma la credibilità della politica e la forza della democrazia necessitano non solo dell'efficacia e della concretezza nel risolvere i problemi e nell'indicare una via di sviluppo, ma ancor prima di una solida dimensione morale. È pur vero che nel mondo attuale la Babilonia della corruzione trova il suo centro nel potere del denaro: un potere che si infiltra nelle istituzioni, che si insinua in modo subdolo nella cultura, nell'informazione e che crea degli stati d'animo collettivi capaci di influenzare radicalmente il modo di pensare. Occorre compiere una profonda riflessione sulla corruzione e sulle infiltrazioni mafiose, ormai in tutte le regioni. Ma occorre anche riflettere su come essa è contrastata e punita: è un compito anzitutto della politica, non della morale. Questi temi saranno decisivi per il futuro del Governo e del Paese, ma lo saranno allo stesso tempo anche per le opposizioni. Il Movimento 5 Stelle raccoglie consensi che lo pongono di fronte ad una prova di maturità con cui definire i suoi progetti di Governo. Il centrodestra dovrà indicare agli elettori quale sia la sua vera natura: quella moderata e liberaldemocratica oppure quella populista alla Le Pen. Sono tutte sfide per una democrazia che sta cambiando, magari non per il verso da noi auspicato. Ma è la democrazia che c'è: possiamo contribuire a migliorarla. 11. Le Acli hanno l'occasione di cambiare Ricordo una favola che mi raccontava mia nonna: la notte in cui tutti i gatti sono bigi. L’ho ritrovata da studente in Hegel: la “notte in cui tutte le vacche sono nere”. La negazione delle differenze non fa bene alle Acli. Ci sono stati e ci sono approcci e stili differenti, idee differenti, forse anche differenti visioni su quale sia il ruolo delle Acli negli anni a venire. Non dico che alcuni siano migliori e alcuni peggiori: ma possono essere differenti. Domani sarete chiamati a scegliere il Presidente che, con la sua squadra, guiderà le Acli per il prossimo quadriennio. Anche questo è un bell’esercizio per un’associazione con la fedeltà alla democrazia. Sappiamo che questa situazione ha provocato qualche confronto serrato ed anche qualche lacerazione. Ma vi invito ad essere sereni: comunque sceglierete, liberamente, sarà per il bene delle Acli e il Presidente eletto saprà ricucire sul territorio ciò che si è strappato. In questi tre anni da Presidente ho capito perfettamente, anzi direi che ho sperimentato, la metafora citata da Livio Labor, la storia delle Acli come il volo del calabrone. In ogni stagione questa associazione è chiamata a ripensare il proprio mestiere e la propria funzione nella società. È chiamata a ridefinire un punto di vista con il quale progettare il proprio futuro, senza dimenticare le radici e la propria storia, senza buttar via il patrimonio custodito in valigia, cercando di trasformare la necessità del cambiamento, e il rischio che questo sempre contiene, in una sfida e in una opportunità. Oggi è necessario interrogarsi, pur nella estrema attualità di quella metafora e nella continua incertezza dei tempi, sulla possibilità che il calabrone, il più grande e pesante insetto della sua specie (Labor diceva: “Tu lo guardi e dici: no, questo non vola. E invece vola”), non possa invece diventare un’ape. Non a caso Giovanni Paolo II nell’aprile 2002 volle invitarci ad essere “api operaie”. Le api

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svolgono un ruolo insostituibile, l’impollinazione, trasferendo il polline da un fiore all'altro. In più, le api sono agili e volano dritto verso il loro obiettivo. Abbiamo bisogno di essere così: leggeri, agili, determinati. E abbiamo bisogno di fare “quella cosa”: contaminarci vicendevolmente per conoscerci meglio ma soprattutto per sostenerci adottando le buone prassi che qualcuno accanto a noi ha già sperimentato o che insieme possiamo costruire. Le leggi di natura fanno sì che, per sopravvivere, le api debbano cooperare. Siamo utili nella società se partiamo dal punto di forza di essere davvero un’unica associazione interconnessa e solida, da Lampedusa a Predoi, da Otranto a Bardonecchia, senza dimenticare le importanti esperienze che abbiamo all’estero. Gli amici dell’estero, che saluto caramente, rappresentano per le Acli un notevole valore aggiunto. Laddove raccontiamo le Acli, i nostri interlocutori rimangono sempre colpiti quando parliamo delle nostre presenze fuori dai confini nazionali. In questi anni per loro non è stato facile “fare le Acli” e spesso ci hanno incalzato per sostenerli in progetti di sviluppo e rilancio. Hanno ragione. Ma vale anche per loro quanto abbiamo già detto sulla scarsità di risorse, con l’aggravante dei problemi del Patronato. Credo che sull’estero sia necessario fare un forte investimento, cercando da un lato di sviluppare una progettualità originale e, per quanto ci riguarda, inedita e, dall’altro, puntando decisamente sui giovani. Queste due leve, mosse congiuntamente, possono davvero ridare forza ai nostri gruppi dirigenti nazionali e aprire piste di lavoro di grande interesse, sia come Federazione Acli Internazionali sia negli specifici contesti territoriali. Le Acli hanno un grande compito, sì, ma ancora oggi sono esse stesse un grande compito che sta a cuore a molti: alle persone e ai lavoratori, alla politica e alle istituzioni, alle nostre parrocchie e perfino al Papa! E cito proprio il Papa - permettetemi questa piccola digressione prima di concludere – per rivolgervi quel grande grazie che non ho ancora avuto modo di esprimere, a nome del gruppo dirigente nazionale, a tutte le Province, per lo straordinario incontro del 23 maggio dello scorso anno. Lo dico ora anche per confessarvi che quel giorno, sul palco, accanto al Santo Padre, ho davvero vissuto l’emozione di essere il Presidente di una straordinaria organizzazione. Davanti a me c’erano quasi 8000 persone cariche di entusiasmo e di senso di appartenenza, ansiose di un incontro che resterà nella storia delle Acli, gioiose e festanti. Avevo tante volte guardato le straordinarie immagini del 1 maggio 1955, il decennale delle Acli, dell’incontro in piazza San Pietro con Pio XII, e sempre mi ero chiesto cosa avesse potuto provare Dino Penazzato in quei momenti di grande emozione. Ecco, io l’ho capito il 23 maggio 2015 perché è il sentimento che ho provato io: orgoglio misto a gratitudine per delle Acli bellissime da settanta anni, Acli che oggi siamo noi e, soprattutto, siete voi. Approfitto per salutare i miei predecessori che continuano a seguirci con passione ed affetto. Ieri, con l’apertura dedicata al ricordo del caro Camillo Monti, abbiamo già salutato Giovanni Bianchi e Franco Passuello, che sono anche oggi con noi. Salutiamo anche Emilio Gabaglio, che per fortuna non ci nega mai la sua competenza ed il suo consiglio. Un saluto anche ad Andrea Olivero, oggi impegnato in un ruolo istituzionale di grande prestigio ma che non ha mai riposto nell’armadio la giacca delle Acli. Domani sarà con noi Gigi Bobba, anche lui “prestato” alle istituzioni. Un saluto particolare ed affettuoso va a Domenico Rosati, che purtroppo non può raggiungerci ma che ci dimostra continuamente una vicinanza ed un interesse preziosi. Le Acli sono questi momenti, queste persone, questi sentimenti, questi fatti, queste storie che ci portiamo dentro e che raccontiamo fuori. Siamo noi! Sono lo strumento che rende tanti cittadini protagonisti di questo cambiamento. A ciascuno di noi è affidato il loro futuro per generare una speranza per tutta la società. Le Acli sono lo strumento che rende tanti cittadini protagonisti di un cambiamento. Cari amici, non si cambia tanto per cambiare. Perché quando è così, allora è un finto cambiamento, un'illusione, un'evasione. Si cambia quando un futuro, un seme di ciò che sarà, entra nel nostro pensiero, nella nostra vita e lì si innesta, feconda, germoglia, pone una questione che è già un destino, una possibilità, una promessa di avvenire. Non si cambia senza motivo: c'è cambiamento

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solo se il futuro entra in noi e si manifesta come generatività e come speranza. Ed è proprio la speranza ciò che abbiamo voluto evocare scegliendo questo titolo, che ci dice della nostra umanità e della nostra volontà di resistere e di contribuire insieme a creare un mondo più giusto. Nonostante tutto. Non per una testardaggine legata a qualche astratto principio e neppure per un istinto riflesso. Ma perché vogliamo ancora essere fedeli a noi stessi, perché vogliamo continuare a partecipare, vogliamo ancora dire una parola e portare una qualche utilità a questa vita comune, anche se a volte tutto si fa più oscuro. Ma noi, con gli occhi della fede, sappiamo ancora vedere qualche luce, qualche forma di coraggio e di carità: qualche speranza. Speranza e paura si richiamano sempre, come due aspetti di una stessa medaglia. Magari con un calcolo diseguale di probabilità, ma comunque non impossibile o irragionevole. Perché la speranza, come scriveva Chesterton, è anche irragionevole. Sì, forse è irragionevole: ma comunque e sempre sarà indispensabile!

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