Gian Paolo Guerini - Traduzioni da Hölderlin e altre scritture

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colli alzati, dei loro folti capelli, dei serpenti rigidi e orizzontali che covano e lanciano (sputi di veleni), hanno scorso veloce fuori nel disordine, sibilanti questurini della legge. Pare proprio che la magistratura gestisca una merdosa casa di protuberanza intollerante alle corride. Penuria di tori? Il rigurgito è il salasso di “quel” gonfiore, una dissolvenza sui piatti piatti, senza insegne, delle bilance. L’alito fetido della risacca intestinale del condannato! Il color ermellino partorisce remando nel fango d’una iarda spaziosa: mare di sangue. In un’altra recinzione, s’è levato in piedi il toro, voluminoso come una locomotiva. Era un toro molto calmo, quel giudice, ma la sua faccia (implacabile come la consegna per la condanna) aveva sempre un’espressione di stupidità malinconica. Ha guardato coi suoi occhi (volpe, leone) brunorossastro i suoi clienti, ha masticato meditatamente le memorie definite d’un pasto servitogli in anticipo, ha rigurgitato, masticato ancora. La sua coda frustava l’aria da lato a lato; sembrava non aver niente a che fare con il suo impassibile corpo: mani e piedi troppo grandi, piedi così lunghi, un toro che condanna e i toreri che lo vogliono morto. Ha occhi troppo prominenti che portano un’espressione lontana nascosta tra lacrime e pupilla, come se fossero riversi solitamente verso l’interno e soltanto occasionalmente nell’osservare il mondo esterno. La sua espressione di disgusto sempre tra le labbra, come se stesse progettando a se stesso di non sorridere ma di continuare a dimenticarsi d’esserci fin che non fossero stipate negli archivi segreti in qualche misero angolo sotto i baffi. Giorno? Verde? Anca? Da quando è entrato nel mondo, H è stato perseguitato, avendo sempre atti pronti per tutto. Ha avuto la sola filosofia di trascinarla sempre, l’anca, ogni giorno, sulla verde erba del suo giardino, provando semplicemente a non trasformare la vita ma di adattarla a quello zoppicare. Nella sua fumosa taverna lo consideravano di rado: uno dovrebbe vivere in primo luogo nel luogo in cui vive, ma la vita così è orribilmente complicata; le idee livellano la quotidianità più difficile, ingannevolmente semplice il mondo delle idee sembra chiaro nella vita tutta oscura, coinvolta nella complicità a non aver idee. Stava pensando quanto fosse misero, non tanto esistere, quanto pensare? Quando A entrò e si fermò davanti al banco, nel preciso istante in cui si faceva questa domanda, stava allungando verso di lei l’esterno delle sue braccia e non aveva mai capito se lei potesse corrispondere a quell’istante come se fosse un atteggiamento, poniamo, come quello della crocifissione, quindi le lasciò cadere ancora ai suoi lati, e con loro i bicchieri del vassoio. Quale stupore, H ne fu felice; felice anche per quanto lo guardò tra i bicchieri infranti e A era lì davanti lui. Si sbaglia chi crede che si abbiano pochi divertimenti, perché non si hanno feste nazionali e gli uomini e i ragazzi non giocano tanti giochi come fanno altrove; 25


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