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Rassegna sul Cinema Latinoamericano Contemporaneo a cura di Jos茅 Gatti e Suzy Cap贸

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Rassegna sul Cinema Latinoamericano Contemporaneo a cura di José Gatti e Suzy Capó 1 febbraio - 6 aprile 2014 SPE - Spazio Performatico ed Espositivo Tenuta Dello Scompiglio

una produzione dell’Associazione Culturale Dello Scompiglio direttrice artistica Cecilia Bertoni


Nuovissimo Una rassegna sul Cinema Latinoamericano Contemporaneo José Gatti 2014

Quali sono le novità nel panorama cinematografico latinoamericano? Oggi assistiamo ad un vero e proprio boom nella produzione di film provenienti dall’America Latina, con nuovi registi alla ribalta dei festival internazionali, film dagli enormi incassi, autori che diventano celebrità. Ma forse la cosa che sorprende ancora di più del riconoscimento internazionale è il fatto che il cinema latinoamericano stia (ri)conquistando un pubblico nazionale, che dagli anni Ottanta snobbava i film di casa. Che cosa è successo? Che cosa è cambiato nello scenario latinoamericano? Si può attribuire questo cambiamento allo sviluppo economico della regione (in parte reale, in parte esaltato), in questi ultimi dieci anni? O forse il progresso tecnologico ha reso più accessibili e meno costose le produzioni cinematografiche? O - ancora - dipende dalle nuove legislazioni, che dovrebbero tutelare le produzioni nazionali e garantirne l’accesso a un pubblico locale? Non vi è un’unica risposta, ma possiamo comunque individuare varie concause. Fatta questa premessa, mi piacerebbe andare un po’ a ritroso nel tempo, alla metà di quei simbolici anni Novanta, quando il mondo ha celebrato i cent’anni della produzione audiovisiva.

Negli anni Novanta il direttore del British Film Institute, Colin MacCabe, invitava il regista brasiliano Nelson Pereira Dos Santos a realizzare un film sulla storia del cinema latinoamericano, uno degli episodi della serie di documentari intitolata The Century of Cinema cui parteciparono altri registi di fama, presentando, ciascuno, il cinema del proprio paese d’origine: da Martin Scorsese a Mrinal Sen, da Stephen Frears a Nagisa Oshima, da Anne-Marie Miéville a Jean-Luc Godard, per citarne solo alcuni. Dos Santos fu invitato da MacCabe in quanto considerato uno dei registi più autorevoli del continente latinoamericano. Era stato lui, in fin dei conti, a reinventare il cinema brasiliano negli anni Cinquanta: il suo primo lungometraggio, Rio Quaranta Gradi, del 1956, introduceva idee e metodi del neorealismo italiano.1 Vidas secas (1963) ottenne importanti riconoscimenti internazionali, oltre ad essere selezionato, dallo stesso British Film Institute, come uno tra i migliori titoli del mondo. Dos Santos è il più anziano esponente del Cinema Novo, il movimento di cui - secondo molti - proprio Rio Quaranta Gradi segnava 1 FABRIS, Mariarosaria, Nelson Pereira dos Santos: um olhar neo-realista? [Nelson Pereira dos Santos: uno sguardo neorealista?], São Paulo: Edusp, 1992

l’inizio, e di cui fecero parte grandi nomi quali Glauber Rocha, Fernando Solanas e molti altri cineasti latinoamericani. Il movimento ridefiniva il cinema secondo principi modernisti, riallacciandosi ad una coscienza politica che nasceva da vere e proprie lotte sociali. Da questo punto di vista, il Cinema Novo introduceva nel cinema indipendente impegno politico e responsabilità, sia in termini di contenuti che di forma. Non a caso questo movimento era considerato una rottura degli schemi tradizionali e decadenti delle case cinematografiche messicane, argentine e brasiliane che, negli anni Cinquanta, producevano melodrammi e commedie, destinati a perdere terreno con l’avvento della televisione. Con il non semplice compito di raccontare la storia del cinema latinoamericano in un unico episodio della durata massima di due ore, Nelson Pereira Dos Santos riuscì a portare avanti un progetto che stupì sia MacCabe che il BFI. Invece di un documentario, Dos Santos realizzò una fiction, un melodramma intitolato Cinema di lacrime. “Pensavo che avrebbe parlato del Cinema Novo, di cui era un illustre esponente. Invece ci ha fatto conoscere il meraviglioso mondo del melodramma [latinoamericano]”, dichiarò MacCabe.


Per portare a termine l’impresa, Dos Santos coinvolse Silvia Oroz, regista e sceneggiatrice argentina residente in Brasile, autrice di una tesi pubblicata con lo stesso titolo, El Cinema de lágrimas en América Latina2. Insieme lavorarono alla trama, rifacendosi ai melodrammi che avevano alimentato l’immaginario cinematografico latinoamericano dagli anni Trenta fino ai Cinquanta (ancora oggi riconoscibili nelle popolari telenovelas). “Non sarebbe stato possibile riassumere in un documentario il cinema di un intero continente”, spiegò Dos Santos. “Quindi ho scelto un momento [della storia] di quel cinema: il melodramma degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, un periodo in cui il cinema latinoamericano contava su una struttura industriale, star internazionali come Dolores del Rio, registi come Emilio Fernandez, direttori della fotografia come Gabriel Figueroa”. Aggiungendo con una punta di nostalgia: “Aveva una diffusione che faceva concorrenza al cinema di Hollywood.” Era vero: a metà degli anni Novanta, quando Dos Santos portava a termine il progetto per il BFI, il cinema latinoamericano attraversava una delle sue peggiori crisi, con la necessità di trovare nuove forme di finanziamento e sperimentazione. Il Brasile non faceva eccezione: negli anni Settanta si producevano nel paese quasi duecento film l’anno, mentre negli anni Novanta c’era voluto tutto il decennio per raggiungere lo stesso numero. In quest’ottica, pur volgendo lo sguardo al passato, il film di Dos Santos voleva suggerire alcuni spunti per il futuro: era arrivato il momento di riconquistare il pubblico. Cinema di lacrime racconta la storia di Rodrigo, regista affermato, tormentato dal ricordo della morte della madre. Era ancora un bambino quando la mamma era uscita 2 Brasilia: Funarte, 1992

per andare al cinema e tornando a casa si era tolta la vita. Rodrigo cerca di trovare risposta a una domanda che lo tormenta: qual era stato l’ultimo film visto dalla madre? Alla cineteca di Rio un amico gli suggerisce di recarsi alla cineteca nazionale messicana. Rodrigo ingaggia allora Yves, giovane ricercatore, e insieme partono per Città del Messico per visionare decine di melodrammi raccolti nella cineteca locale. Con Yves e Rodrigo, intenti a guardare spezzoni di film, anche il pubblico assapora frammenti di classici in bianco e nero. Passando in rassegna le pellicole, i due ricercatori cercano di capire come quei drammi potessero sedurre il pubblico femminile e discutono la rappresentazione femminile sul grande schermo, offrendo così agli spettatori una panoramica sui rapporti di genere alla base delle società latinoamericane. Ogni film svela un aspetto nuovo della ricerca di Yves e Rodrigo. E in questo modo, Cinema di lacrime ci accompagna in un viaggio di melodrammi lungo trent’anni, quasi tutti realizzati in Messico e Argentina, due Paesi i cui studi cinematografici avevano conosciuto la cosiddetta età dell’oro dagli anni Trenta fino a tutti i Cinquanta. Rodrigo sembra intanto innamorarsi del suo assistente, che invece continua ad essere molto sfuggente. Verso la fine, il film sembra avere una deludente caduta: Yves scappa (forse negli Stati Uniti) e Rodrigo, il cuore a pezzi, non riuscendo ad individuare l’ultimo film visto dalla madre, torna a Rio. Dopo pochi giorni, però, l’amico della cineteca lo chiama: ha ricevuto un video e una lettera per lui. Il mittente è Yves, che si scusa per il comportamento e racconta di aver accettato l’incarico soltanto per avere la possibilità di recarsi negli Stati Uniti, nella speranza di potersi curare. Rodrigo capisce a quel punto

che il giovane è malato di AIDS3. Ma non è tutto: nella lettera lo informa anche di aver trovato il film di cui Rodrigo era alla ricerca: il drammatico film argentino Ermellino nero (Armiño Negro), diretto da Carlos Hugo Christensen nel 1953. Il film racconta la storia di una donna con una vita sentimentale dissoluta e superficiale che la porta a trascurare il figlio, portandolo al suicidio. Profondamente scosso sia dalla lettera che dal film, Rodrigo si aggira nella cineteca, finendo col ritrovarsi in una sala piena di studenti, dove è in corso la proiezione del film di Glauber Rocha Il dio nero e il diavolo biondo (1964), un classico del Cinema Novo. In lacrime, Rodrigo capisce che un filo lega i vecchi film drammatici e il modernismo del Cinema Novo. Più che un semplice omaggio all’età d’oro del melodramma, in Cinema di lacrime sono evidenti i segni dei profondi cambiamenti nella storia del cinema latinoamericano: il tentativo di costruire un cinema industriale (l’Età dell’Oro), il bisogno di sperimentazione (a livello tecnico ed estetico) ed infine la ricerca di un cinema politico che risponda a istanze sociali (Cinema Novo). E come già ricordato, nel guardare al passato per capire il presente, il film propone anche tematiche che caratterizzeranno il cinema contemporaneo, ad esempio la questione di genere e la sessualità e, non meno rilevante, la narrazione autoriflessiva, divenuta tema ricorrente dei film latinoamericani di oggi. Ma più d’ogni altra cosa, la collaborazione di Dos Santos e Oroz mette in evidenza il legame tra regia e studio del cinema, come ci mostra una rapida sequenza di Cinema di lacrime, che potrebbe passare inosservata a qualche spettatore: Rodrigo e Yves si stanno recando alla cineteca nazionale. 3 All’inizio degli anni Novanta le terapie contro l’HIV erano ancora inefficaci e non disponibili nella maggior parte dei paesi. Gli USA sembravano il luogo dove era possibile sottoporsi alle cure più nuove.


Salendo le scale, dopo aver superato un imponente murales di Diego Rivera, passano davanti a un’aula con le porte aperte tanto da permettere loro (e agli spettatori) di sentire uno spezzone della lezione di Silvia Oroz, in cui l’attrice-regista espone i principi del Cinema Novo e nell’aula gremita di studenti cita le opere di Glauber Rocha. In una manciata di secondi, il film ci propone una serie di elementi rivelatori: il murales, l’impegno politico dell’arte, la lezione stessa. Sostanzialmente, Cinema di lacrime delinea la nuova realtà del cinema latinoamericano: registi che studiano per imparare il proprio mestiere. Nel periodo dell’età dell’oro non esistevano scuole di cinematografia: i registi si formavano invariabilmente sul campo, come nella maggior parte del resto del mondo.4 Passata quell’epoca, con i film delle nuove generazioni (ad esempio del gruppo del Cinema Novo), prendeva piede una nuova mentalità. I giovani registi vedevano il cinema come un mezzo per affrontare temi socio-politici, oltre che estetici, contrariamente ai vecchi melodrammi e commedie, realizzati principalmente per divertire; il cinema veniva inoltre considerato materia di studio e si prendeva atto della necessità di istituire delle apposite scuole. Negli anni Cinquanta e Sessanta, in Argentina, Brasile e Messico, aprivano le prime pionieristiche scuole. Seguì un’espansione costante, fino ad un vero e proprio boom negli ultimi vent’anni, con scuole sorte in poco tempo in tutto il continente, sulla scia della riconosciuta Universidade de São Paulo, dell’innovativa Universidad del Cine in Argentina, del Centro de Capacitación Cinematográfica in Messico e della rinomata Escuela Internacional de Cine y TV a Cuba. Lo stesso Nelson Pereira Dos Santos era docente alla scuola di 4 Fanno eccezione le scuole italiane e sovietiche, attive fin dagli anni Trenta.

cinematografia presso la Universidade Federal Fluminense di Rio de Janeiro, divenuta modello per diverse scuole del continente. Questa fioritura di scuole può essere attribuita a vari fattori, fra cui le innovazioni tecnologiche (grazie alle quali è aumentato molto l’accesso ai media), le esigenze di un’industria in fase di crescita (che si apre a format diversi e che ha sempre maggior bisogno di mano d’opera specializzata) e la riorganizzazione del mercato. Oggi, in America Latina, ricercatori e studenti esplorano nuove tecniche audiovisive, sperimentano la videoarte e riscoprono la storia del cinema. Emerge una nuova classe di registi: persone che conoscono la storia e la teoria del cinema, che ne hanno studiato le opere più importanti e che pongono nuove istanze estetiche e tecniche. Non si trattava tuttavia di un fenomeno squisitamente latinoamericano, perché nello stesso periodo la stessa cosa avveniva in altre parti del mondo, ad esempio in Asia e in Nord America. È risaputo che anche a Hollywood ci furono grandi cambiamenti quando, a partire dagli anni Settanta, comparvero sulla scena le nuove generazioni di registi con una formazione accademica.5 In America Latina, nelle scuole di cinematografia vennero istituiti anche corsi specialistici e di ricerca. Dopo la fondazione, nel 1955, di Socine, - la società brasiliana per gli studi sul cinema e gli audiovisivi6 - nascevano istituzioni analoghe in Messico, Argentina ed altri Paesi. Per ricordarne alcune, citiamo la Sepancine Asociación Mexicana de Teoría y Análisis Cinematográfico,7 e Asaeca - Asociación

5 CARROLL, Noel, Interpreting the Moving Image

(Cambridge: Cambridge University Press, 1998). 6 www.socine.org.br. Socine è oggi la seconda società del mondo di studi cinematografici, dopo la SCMS, Society for Cinema and Media Studies, negli Stati Uniti. 7 www.sepancine.mx

Argentina de Estudios de Cine y Audiovisual.8 Anche la distribuzione, d’altronde, è cambiata in modo radicale. Fino a non molto tempo fa, il pubblico poteva accedere quasi esclusivamente a locali in mano alle grandi aziende, come sale cinematografiche e multisala. Oggi l’accessibilità ai mezzi elettronici offre al pubblico nuove possibilità. È chiaro che sono sempre più numerosi gli spettatori che usano uno o più schermi aggiuntivi per vedere film o programmi televisivi, creando un’interazione fra i vari dispositivi. In questo senso il cinema non è più quello di vent’anni fa: il pubblico non ha soltanto nuovi spazi, ma conosce anche bene la storia del cinema e gestisce autonomamente il modo di guardare un film.9 Infatti, un film o un programma possono essere proposti in più forme: miniserie, lungometraggi, blog, libri, giochi. E come nel resto del mondo, oggi anche in America Latina per la generazione dei cosiddetti nativi digitali (contrapposti a noi, immigranti digitali delle generazioni precedenti) il montaggio, la rielaborazione o il taglio di una narrazione audiovisiva non ha segreti. Cresce il numero dei registi ma anche degli spettatori, grazie all’accesso a mezzi in passato proibitivi; i luoghi in cui questi video sono resi fruibili sono inoltre sempre più numerosi (ci basti ricordare YouTube). L’appropriazione e la (ri)organizzazione di questi luoghi, può tuttavia costituire una minaccia alla nuova apparente libertà.10 Va tenuto presente che, se è pur vero 8 www.asaeca.org 9 MULVEY, Laura, Feminist film theory in times of

technological change: new forms of spectatorship [Teoria e critica cinematografica femminista in tempi di cambiamenti tecnologici: nuove forme di essere spettatori] (Discorso introduttivo alla lezione tenuta in occasione della XVI Conferenza Socine, Rio de Janeiro, 2011). 10 Per una discussione interessante (sia pure celebrativa) di queste nuove forme di distribuzione delle produzioni culturali, cfr. ANDERSON Chris, The Long Tail [La coda lunga] (New York: Hyperion, 2008).


che i nuovi media come YouTube hanno portato ad una diversificazione sia nella produzione che nella diffusione dei media stessi, è altrettanto vero che il prezzo che paghiamo è altissimo. Mentre Nelson Pereira Dos Santos portava a termine il suo film per il BFI, in America Latina nasceva una nuova generazione di registi, apprezzati in tutto il mondo. Walter Salles, Fernando Meirelles e Katia Lund (brasiliani), Alejandro GonzálezIñárritu (messicano), Lucrecia Martel, Daniel Burman, Juan José Campanella (argentini) sono diventati nomi noti ai cinefili di tutto il mondo. Film quali Come l’acqua per il cioccolato, Central do Brasil, Amores Perros, City of God e Il segreto dei suoi occhi, non solo hanno ottenuto riconoscimenti internazionali, ma hanno anche influenzato i registi dei più lontani Paesi. Un fenomeno che non si verificava dagli anni Sessanta, il decennio del Cinema Novo. I festival internazionali sono soltanto la punta dell’iceberg, in una storia che fra i propri meriti può contare il riconoscimento da parte del pubblico latinoamericano. E non è aumentata solo la produzione di film. Non molto tempo addietro, i sondaggi indicavano che la maggior parte delle persone semplicemente rifiutava di andare a vedere film prodotti nel proprio Paese; gli stessi sondaggi dimostrano oggi una totale inversione di tendenza. E anche le richieste del pubblico sono cambiate: stiamo assistendo, ad esempio, al rapido sviluppo del film documentario, che richiama migliaia di spettatori (in maggioranza giovani) a festival sparsi in tutto il continente. I film di animazione hanno trovato nuove sedi e nuove tecniche, dato che nelle scuole di cinematografia si studiano e approfondiscono strategie narrative all’insegna dell’innovazione. I film realizzati da minoranze, ad esempio indigene, interessano sempre più il pubblico e vedono nel crowdfunding una possibilità di

finanziamento.11 E benché i film tradizionali continuino ad avere la meglio, è innegabile che i cortometraggi abbiano trovato una loro nicchia di pubblico, al punto da dare vita a specifici festival (come il Kinoforum in Brasile). La produzione dei corti segue un percorso diverso, non solo nelle scuole di cinema (solo per fare un esempio, vogliamo citare la vivacità dei film realizzati dagli studenti della rete di scuole pubbliche per la formazione continua dell’EJA, in Argentina). Non si può tuttavia ignorare il ruolo della televisione: molti spettatori vanno al cinema (nelle sale tradizionali o nei multisala dei centri commerciali) per vedere i loro eroi televisivi. È il risultato degli investimenti delle potentissime Globo e Televisa (rispettivamente brasiliana e messicana) nella produzione di miniserie e film (spesso presentati al cinema, dopo essere andati in onda sul piccolo schermo).12 Ma non sono le uniche novità: le nuove normative permettono ai produttori indipendenti di presentare le loro opere sulle pay-TV. In Brasile alcune emittenti televisive hanno già venduto (ed esportato) le loro produzioni, per la maggior parte telenovelas, anche se nel 2011 una nuova legge ha fatto obbligo a tutte le pay-TV di mandare in onda film e serie brasiliane, offrendo nuove allettanti opportunità a registi e società indipendenti. Negli ultimi anni, le reti televisive brasiliane hanno trasmesso un flusso continuo di film, documentari e opere sperimentali nazionali. Allo stesso tempo, però, le produzioni audiovisive possono essere realizzate solo con investimenti privati; non deve stupire quindi che grossi gruppi 11 CORSEUIL, Anelise Reich. A América Latina no

cinema contemporâneo: outros olhares [L’America Latina nel cinema contemporaneo: uno sguardo diverso] (Florianópolis: Insular, 2012) 12 CANCLINI, Nestor García. “Geopolítica de la industria cultural e iniciativas emergentes”, in III Congreso Internacional de la Asociación Argentina de estudios de Cine y Audiovisual, 2012. www.asaeca.org/actas.php

televisivi brasiliani (come la Globo, una delle maggiori esportatrici di telenovelas) abbiano investito anche in lungometraggi, per mantenere la propria quota di mercato. La TV ha così ampliato la sua produzione, creando, oltre alle telenovelas, anche serie e miniserie di maggior qualità. Oggi la televisione messicana rivendica il suo ruolo di emittente dinamica, con grandissima diffusione. La richiesta di nuovi prodotti ha reso possibile la partecipazione di artisti del calibro di Guillermo del Toro, Luis Fernando Carvalho, Guel Arraes e Karim Aïnouz - tutti impegnati in opere innovative - che si confronteranno con il linguaggio televisivo. Gli esiti di questo nuovo scenario sono ancora tutti da valutare. Da questo punto di vista, il Brasile segue linee guida già in atto in altri Paesi. Le politiche che promuovono le produzioni locali non dovrebbero infatti considerare solo l’aspetto economico, ma anche le esigenze culturali. Produzione e distribuzione cinematografica sono quindi parte del dibattito politico finalizzato alla creazione di un immaginario collettivo. Nella Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, firmata a Parigi nel 2005 da tutti i Paesi ad eccezione di Stati Uniti ed Israele, l’Unesco afferma che la programmazione locale favorisce la diversità della telediffusione e ne riconosce la legittimità. Analoghe normative sono in fase di discussione o di approvazione anche in altri Paesi latinoamericani. In Venezuela è noto il dibattito tra governo e reti mediatiche. Mentre scrivo queste righe, l’Argentina sta mettendo in atto una nuova legislazione che cambia radicalmente la situazione: la nuova Ley de Servicios de Comunicación Audiovisual è stata approvata nel 2013, in sostituzione di una norma creata dalla dittatura militare (in vigore dal 1976 al 1983), che ha disciplinato il sistema nazionale delle


comunicazioni per oltre 25 anni. In America Latina, dove le politiche nazionali sulla comunicazione sono oggetto di un acceso dibattito, la legge argentina rappresenta un caso, per le innovazioni introdotte: obiettivo della legislazione nazionale è infatti la democratizzazione delle comunicazioni. La legge auspica una distribuzione più equa dei palinsesti, riservando un 33% alle organizzazioni senza fini di lucro, creando spazi di partecipazione comunitaria in un nuovo sistema mediatico non governativo. Ma tornando a noi, quali sono quindi le novità del cinema latinoamericano più recente? Il mercato è andato consolidandosi, assumendo nuove forme. Come abbiamo visto, il rapporto con la televisione non è più in discussione: i film vengono prodotti per e dal piccolo schermo; serie televisive possono dar vita a film o viceversa. Le perplessità dei registi del Cinema Novo rispetto al mercato (che indusse molti di loro a rifiutare di lavorare per la pubblicità) oggi sembrano superate, ed è stata proprio la pratica nella pubblicità che ha offerto a molti registi, come Fernando Meirelles o César Charlone, l’opportunità di sperimentare. Non sono mancati critici autorevoli che hanno disapprovato alcune prassi del cinema, messe in atto con l’unico intento di produrre incassi. Gonzalo Aguilar, ad esempio, ha messo in luce le difficoltà di costruire un nuovo cinema argentino che abbia un valore culturale (oltre che politico), confrontandosi al contempo con i dettami (economici ed estetici) del mercato.13 E in Brasile, in un provocatorio saggio in cui riecheggia L’estetica della fame, famoso manifesto scritto da Glauber Rocha nel 1965, la studiosa Ivana Bentes attribuisce una parte consistente della recente produzione brasiliana a una presunta cosmetica della 13 AGUILAR, Gonzalo. New Argentine Film: other worlds (New York: Palgrave, 2008).

fame.14 Le coproduzioni internazionali, in America Latina, sono ormai all’ordine del giorno. Molti produttori non latinoamericani tengono d’occhio i progetti che possano usufruire di finanziamenti pubblici, il che può portare a risultati diversi: i registi locali, dei paesi poveri, riescono a realizzare i propri film e allo stesso tempo i produttori stranieri, dei paesi ricchi, possono beneficiare di fondi provenienti da stanziamenti pubblici. È ovvio che non è la regola in tutti i paesi, ma è importante che l’argomento sia oggetto di discussione, cosa che può avvenire unicamente nei paesi con democrazie stabili. In senso più ampio, possiamo dire che è la produzione culturale latinoamericana che deve essere oggetto di dibattito pubblico. Ricordiamo altri cambiamenti ormai chiari nel cinema latinoamericano più recente: la partecipazione delle donne in tutti gli ambiti della produzione cinematografica; le nuove forme di rappresentanza politica (che hanno dato voce a minoranze escluse in passato dal grande e dal piccolo schermo); film realizzati in partnership.15 E negli ultimi anni, in Brasile, si sente parlare sempre più spesso di un cinema Nuovissimo, una cinematografia plurale, in cui convergono media diversi, alla ricerca di nuove forme di dialogo con il pubblico.

melodrammi, ma film di donne), dei bambini (alcuni dei registi scelti ripropongono il proprio vissuto in una infanzia nel periodo dei regimi dittatoriali degli anni Sessanta e Settanta), delle minoranze sessuali e, ovviamente, della classe operaia nell’ambito di un contesto post-neo-liberale.16 Ma al di là delle tematiche, i film della rassegna sono esempi del tentativo di creare le nuove strategie narrative che hanno caratterizzato il cinema latinoamericano degli ultimi dieci anni.

Alcuni dei film scelti per questa rassegna denotano con chiarezza questi cambiamenti. Alcuni sono stati realizzati da donne, altri sono co-diretti; la maggior parte affronta temi contemporanei di grande attualità, come quello delle donne (non sono film sulle donne, come nel modello patriarcale dei vecchi 14 BENTES, Ivana. “Sertões e Favelas no Cinema

Brasileiro Contemporâneo”. In: Ivana Bentes (org.). Ecos do Cinema - de Lumière ao digital (Rio de Janeiro: Editora UFRJ, 2007). 15 City of God, ad esempio, è co-diretto da Katia Lund e Fernando Meirelles; entrambi riconoscono il ruolo importante di due uruguaiani, il direttore della fotografia César Charlone e la regista Fátima Toledo, che ha diretto il cast di bambini cui va il merito del successo del film.

16 BRANDÃO, Alessandra et all. (org.), Políticas

dos cinemas Latino-Americanos contemporâneos (Palhoça, SC: Unisul, 2012).


Anni di sogni e di sangue* Mariarosaria Fabris Università di San Paolo, Brasile 2014

* Alla memoria di Hilda Machado e a Nanù per le vicissitudini condivise.

Il titolo di questo testo è stato tolto dal ritornello di una canzone brasiliana del 1976, A palo seco del cantautore Belchior, che diceva quanto segue: “Ho venticinque anni di sogni e di sangue / e di Sudamerica / In forza di questo destino / il tango argentino mi va di più di un blues”. Nel 1976, di anni io ne avevo ventisei, di cui quindici vissuti in Brasile, e apprezzavo sia il tango argentino (quello di Astor Piazzolla), sia i blues, specialmente Saint James infirmary nella voce raschiata di Joe Cocker. Degli anni brasiliani, quasi tredici erano stati vissuti sotto la dittatura del regime militare che, iniziata ufficialmente il 31 marzo 1964, con la deposizione del presidente João Goulart (alias Jango), sarebbe finita solo nel 1985. La dittatura in realtà è incominciata il giorno seguente, ma i militari hanno anticipato la data temendone l’associazione con il pesce d’aprile; sfortunatamente non si è trattato di una burla, anche se essa ha mostrato tutta la sua ferocia a partire dal 13 dicembre 1968, con la promulgazione dell’AI-5 (Ato Institucional n. 5), cioè della norma istituzionale numero cinque, che per dieci anni ha permesso ai governanti di sospendere una serie di diritti civili e di adottare misure straordinarie di ordine pubblico, tra cui una persecuzione sistematica dei cosiddetti nemici del regime.

Una delle vittime di questo rincrudimento delle misure repressive è stato il giornalista Vladimir Herzog, ucciso dalle autorità militari il 25 ottobre 1975, dopo appena un giorno di fermo, la cui morte è diventata un simbolo contro le arbitrarietà commesse in quel periodo1. L’accusa era quella di parteggiare per il comunismo come è accaduto anche alla troupe di Cabra marcado para morrer (1985) di Eduardo Coutinho, la quale nel 1964 filmava una fiction sull’assassinio del leader di una lega contadina nel Nord-Est del Paese, avvenuto due anni prima. Interrotte dalle forze dell’ordine, le riprese sono ricominciate diciassette anni dopo e la fiction è divenuta un documentario sulla diaspora della famiglia del leader contadino e un atto di resistenza culturale di un film altrimenti mutilato e condannato all’oblio. Secondo Alceu Amoroso Lima l’oligarchia militare, nel perseguire il suo obiettivo di fare la rivoluzione di cui il Brasile aveva bisogno, vi aveva introdotto una fiumana di decreti 1 Sfidando il divieto dei militari, l’arcivescovo di San

Paolo, don Paulo Evaristo Arns, e il rabbino Henry Sobel hanno celebrato un culto religioso ecumenico in memoria di Herzog (che era ebreo), presenziato da un’enorme folla.

legge e “il terrore come elemento capitale della nostra evoluzione politica! Il terrore e la tortura! Piena barbarie!”2. Il pensatore cattolico era amico di un altro cattolico convinto, Heráclito Fontoura Sobral Pinto, avvocato di difesa di molti prigionieri politici sia durante la presidenza autoritaria di Getúlio Vargas (1930-1945), sia durante la dittatura civil-militare, quando è stato arrestato il giorno dopo la promulgazione dell’AI-5. La parabola di questo sostenitore dei diritti umani è stata ricordata da Paula Fiuza in Sobral - o homem que não tinha preço (2012). Il giurista e criminalista, nonostante l’età avanzata ha partecipato attivamente alla campagna per l’elezione diretta del presidente della repubblica (1984), episodio ricordato da Cláudio Marques e Marília Hughes in Depois da chuva (2013). La dittatura brasiliana non è stata un fatto isolato, poiché in quel periodo diversi paesi sudamericani sono stati sottomessi, quasi sempre con la forza militare, a regimi politici prevalentemente di destra - come 2 LIMA , Alceu Amoroso. Diário de um ano de trevas

- cartas de Alceu de Amoroso Lima para sua filha madre Maria Teresa: janeiro de 1969-fevereiro de 1970. San Paolo: Instituto Moreira Salles, 2013, pp. 17, 240.


il Paraguay di Stroessner, la Bolivia del generale Barrientos (durante il cui governo è stato catturato ed esecutato Ernesto Che Guevara il 9 ottobre 1967) e del colonnello Bánzer, il Cile di Pinochet, l’Argentina delle giunte militari, l’Uruguay, la Colombia, il Perù, l’Ecuador -, cui spesso i militanti di sinistra e dell’estrema sinistra hanno risposto con le armi, e così tupamaros, FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia Ejército del Pueblo), montoneros, Sendero Luminoso ed altri gruppi sono rimbalzati sulla scena internazionale. Avvenimenti rievocati in Lamarca (1994) di Sérgio Rezende e Marighella (2012) di Isa Grinspum Ferraz, film su due leader guerriglieri, il capitano Carlos Lamarca e il nemico numero uno del regime militare, Carlos Marighella; e inoltre in O que é isso companheiro? (1997) di Bruno Barreto e Araguaya - a conspiração do silêncio (2004) di Ronaldo Duque. Il primo, tratto dal libro omonimo (1979) in cui Fernando Gabeira rievocava i suoi anni di lotta armata e di militanza in un’organizzazione clandestina, ne faceva una lettura ideologica in segno contrario, diventando un’apologia della destra. Il secondo era un discorso altisonante sul cruento scontro sulle sponde del fiume Araguaia fra militari agguerriti e militanti mandati allo sbaraglio dal Partito Comunista del Brasile, uno degli episodi più drammatici della lotta armata in quegli anni, al quale il documentario Camponeses do Araguaia - a guerrilha vista por dentro (2010) di Vandré Fernandes ha cercato di rendere giustizia. Parlare della guerriglia dell’Araguaia vuol dire parlare di uno dei temi più spinosi di quel periodo, quello del tradimento vero o presunto di militanti che sottoposti a torture avrebbero denunciato i loro compagni, affrontato in Ação entre amigos (1998) di Beto Brant, Cabra cega (2005) di Toni Venturi e Hoje (2011) di Tata Amaral.

Anche nella pièce Pedro y el capitán (1979) di Mario Benedetti un militare cercava di strappare, senza riuscirci, informazioni da un oppositore del governo uruguayano, facendolo torturare però da altri. Davanti alla brutalità delle sevizie, la vittima s’interrogava sul carattere dei carnefici: “Voglio sviscerare il mistero di come possa un uomo, che non sia un pazzo, che non sia una bestia, convertirsi in torturatore”3. Pier Paolo Pasolini aveva visitato rapidamente il Brasile nel marzo del 1970, dunque nel periodo più feroce della dittatura militare, dedicandogli delle poesie pubblicate in Trasumanar e organizzar (1971), fra cui Gerarchia e Il piagnisteo di cui parlava Marx4. In quella, nel rammentare i giorni trascorsi a Rio de Janeiro si riferiva ad uno scambio di confidenze fra di lui e un tutore dell’ordine pubblico, con il quale avrebbe stretto amicizia:

è impossibile non riandare con il pensiero a quelli dei tredici performer del gruppo Dzi Croquette, con il loro look androgino e psichedelico, o del cantante Ney Matogrosso - che, fin dall’epoca del complesso Secos & Molhados, è stato stravagante nell’abbigliamento, nel trucco, nel timbro di voce, nel comportamento -, i quali, all’inizio degli anni ‘70, quando la controcultura incominciava a diffondersi, scuotevano la scena brasiliana, sfidando la repressione sessuale di destra e l’intransigenza puritana di sinistra. Nel secondo componimento in versi Pasolini scriveva che durante “un atterraggio di fortuna” a Recife, mentre osservava un manifesto con le fotografie dei ricercati dalle autorità militari, era stato preso dall’emozione di saperli già condannati a morte, ripercorrendo con la memoria un’altra lotta fratricida, quella del 1944:

“(egli sulla spiaggia chiedendomi la sigaretta come un prostituto) Non sapevamo che a poco a poco ci saremmo rivelati, prudentemente, una parola dopo l’altra detta quasi distrattamente: io sono comunista, e: io sono sovversivo; faccio il soldato in un reparto appositamente addestrato per lottare contro i sovversivi e torturarli”

“Scrivo per comunicare che sulla parete dell’aereoporto di Recife i miei occhi bagnati di lacrime ritornate da quando il mondo non era che all’anno 1944 e doveva ancora rinascere; i martiri erano sconosciuti non se ne conosceva né il nome né il numero Qui a Recife essi sono allineati, infatti, se le lacrime non mi fanno qualche brutto scherzo, venute come mi sono agli occhi prima che potessi pensarlo Essi sono in fila, uno di fianco all’altro, i padri maturi e i figli quasi bambini; e qualche madre e sorella; operai, intellettuali e contadini Le fotografie sono quelle delle tombe ripescate in qualche portafoglio Essi guardano gli innocenti che gli passano davanti. Essi sanno ciò che nessuno qui sa. (...) Dove si muovono, eroi cittadini o contadini, che potevano tranquillamente essere fascisti (...) Essi agiscono, questo manifesto che li accusa e dà il prezzo della taglia finge la loro immobilità, perché chissà dove, essi invece sono là che agiscono pochi e odiati dal popolo che amano”

(vv. 57-63).

Anche se improbabile, l’incontro fra il marxista italiano e il militare brasiliano metteva in forse una delle colonne della dittatura, quella della virilità, come è accaduto in Tatuagem (2013) di Hilton Lacerda, nel quale un giovane soldato si è invaghito di un attore di una compagnia teatrale, i cui sketch erano incentrati sullo sfottò e sulla licenziosità, mentre in caserma gli inculcavano idee nazionaliste e antiterroristiche. Nel vedere gli spettacoli della troupe di Recife nel 1978 3 BENEDETTI, Mario. Pedro y el capitán. Azcapotzalco: Nueva Imagen, 1994, p. 63. 4 PASOLINI, Pier Paolo. Trasumanar e organizzar. Milano: Garzanti, 1971, pp. 186, 83-84

(vv. 4-18, 24-25, 30-34).


A chi l’ha vissuto è rimasta l’impressione che quello era un periodo angoscioso, buio: “Sono tempi di guerra/ sono tempi senza sole”, si cantava in Brasile insieme agli interpreti dello spettacolo teatrale Arena conta Zumbi (1965) di Augusto Boal, mentre in Argentina il cantautore di origine italiana, Piero, in Coplas de mi pais (1972), piangeva per il suo paese dove il sole era stato trafitto da un pugnale. Anche il poeta spagnolo Rafael Alberti nella poesia Al popolo brasiliano (1977)5 parlerà di quell’oscurità morale delle dittature di cui lui, antifranchista, sapeva dirne qualcosa: “Io conosco, ho sopportato tanto terrore, e la guerra, l’esilio del dimenticato. Tremendi tempi mortali, anni di notti profonde, di tenebre dittatoriali” (vv. 1-6).

Si bramava la luce, quella della rivoluzione, come intonavano la cabarettista argentina Nacha Guevara in Mister Winter, go home (1973), in attesa che l’inverno se ne andasse all’annuncio della primavera che avrebbe inondato le case di luce e di speranza - una primavera che si sarebbe fatta aspettare a lungo - e il cantautore cileno Victor Jara (poi brutalmente torturato ed ucciso dall’esercito del suo paese) in Camilo Torres (1971), nel rendere omaggio al prete guerrigliero colombiano caduto in combattimento il 15 febbraio 1965: “Dove cadde Camilo nacque una croce / non di quelle di legno bensì di luce”. Non a caso Patricio Guzmán, dopo aver registrato nel documentario La batalla de Chile (1975) la lotta susseguente al golpe nel suo paese, ha intitolato Nostalgia de la luz (2010) un altro documentario, questa volta girato nel deserto 5 Scritta per raccogliere fondi per la resistenza contro

la dittatura brasiliana, la poesia di Alberti è stata tradotta in italiano dal drammaturgo Ruggero Jacobbi, vissuto a lungo in Brasile. Cfr. MAGALHÃES, Fabio (a cura di). Resistir é preciso... San Paolo: Instituto Vladimir Herzog, 2013, p. 135 [catalogo della mostra omonima].

di Aconcagua - sede di un osservatorio astronomico ma anche di un antico campo di prigionieri politici ormai distrutto –, in cui ha offerto al pubblico una riflessione metaforica e metafisica sull’esistenza umana, partendo dal parallelo fra le indagini degli astronomi e l’ostinata ricerca di tracce del passaggio di desaparecidos in quel luogo, portata avanti dai loro parenti. Polvere di stelle e granelli di sabbia si uguagliano nel loro ruolo di custodi della memoria, memoria dell’universo e memoria di un paese. Malinconia di sole, giorni grigi, anni in cui le persone ricercate come banditi partivano “sulla scia di un razzo”, come diceva la canzone O bêbado e a equilibrista (1979) di João Bosco e Aldir Blanc, oppure scomparivano, ingrossando l’elenco dei desaparecidos (parola comune al portoghese e allo spagnolo), senza che fosse possibile rintracciarli, come nella disperata ricerca del figlio che una stilista brasiliana conduce fino alla morte, rievocata da Sérgio Rezende in Zuzu Angel (2006), così simile a quella intrapresa dal padre e dalla moglie di un giornalista americano scomparso in Cile dopo il golpe dell’11 settembre 1973 che aveva deposto il presidente Salvador Allende nel mondialmente famoso Missing (1982) di Constantin Costa-Gravas, fiction che non nascondevano che c’era lo zampino degli Stati Uniti nella lotta anticomunista in Sudamerica. Una partecipazione evidenziata a caratteri cubitali da Camilo Tavares in O dia que durou 21 anos (2012), documentario in cui, alla stregua di Jango (1984) di Sílvio Tendler e di Dossiê Jango (2013) di Paulo Henrique, metteva in rilievo il periodo della presidenza di João Goulart e i fatti che avevano motivato l’intervento manu militari nel paese. Come ha scritto un giornalista brasiliano, “João Goulart è stato parte attiva di un periodo difficilissimo del Brasile, a causa dell’agitazione politica e sociale, dell’azione di interessi stranieri, dell’esacerbazione delle ambizioni di potere, della conturbata scoperta di se stessa

dell’intera America Latina, tutto ciò nel quadro asfissiante della guerra fredda”6. Periodo di assenze, Ausencias, Ausências, come il titolo delle mostre che Gustavo Germano ha dedicato alle vittime della repressione militare in Argentina (2001-2006) e in Brasile (2013). Le pose di una serie di fotografie familiari scattate negli anni della dittatura militare vengono ripetute dai membri superstiti di ogni famiglia, lasciando vuoto lo spazio prima occupato dai cari estinti. In alcuni casi non c’è altro che lo spazio vuoto e non solo quando di tratta di foto individuali. Come ha sottolineato Annateresa Fabris nel riferirsi alla prima mostra: “Con i dittici ottenuti dal confronto tra passato e presente Germano intende mostrare il vuoto creato nelle fotografie del 2006 dall’assenza del desaparecido. Apparentemente semplice, il progetto ha una densità concettuale che sarà compresa appieno se si analizzano le due strategie coinvolte nell’operazione: l’uso di un documento, di una testimonianza e la ricreazione visuale di un’immagine impossibile da replicarsi, in virtù della frattura generata dalla sparizione di uno o più elementi del referente anteriore. Alla ricerca di una memoria viva, il fotografo fa dell’immagine una forma di negazione dell’oblio, benché consapevole che la realtà degli anni ’60 e ‘70 non può più essere recuperata”7. Anche Marcelo Brodsky in Buena memoria (1996) si era proposto di recuperare un’epoca tramite immagini fotografiche. Partendo dal ritratto della sua classe nel Collegio Nazionale di Buenos Aires e desideroso di sapere che cosa ne era stato di quegli adolescenti, Brodsky aveva scattato una foto di chi aveva risposto al suo invito, completandola con informazioni sulla vita attuale d’ogni superstite. I compagni 6 DE FREITAS, Janio. “Jango em Brasília”. Folha de S. Paulo, San Paolo, 14 nov. 2013. 7 FABRIS, Annateresa. “Due visioni simboliche del lutto” (2012). In: Psychomedia - telematic review. Accesso: 20 nov. 2013. I dati sulla mostra di Brodsky e sui voli della morte sono stati tolti da questo stesso articolo.


morti o scomparsi non erano stati dimenticati: oltre ad essere messi in evidenza con dei cerchi nel ritratto colletivo ingrandito, Brodsky li aveva evocati in foto che li presentavano in situazioni quotidiane, cercando di colmare la lacuna creata da quelle assenze. Visi giovani che spesso ci sorridono e che oggi sono nel vento, poiché la vita di tanti dissidenti del regime militare argentino (1976-1983) si è conclusa con un salto nel vuoto. Nei cosiddetti voli della morte, uno dei tanti modi di farli scomparire, i prigionieri venivano lanciati in mare dagli aerei della 1a Brigata Aerea; inoltre anche i corpi dei torturati a morte erano buttati nel Río de la Plata da navi dell’Armata argentina.

dei crimini commessi durante le cosiddette operazioni Bandeirantes e Condor. Nel documentario Cidadão Boilensen (2009) Felipe Tostes ha portato sullo schermo la storia dell’operazione Bandeirantes, centro d’informazioni e d’indagini dell’esercito, creato nel 1969 a San Paolo con il supporto di capitalisti. L’operazione Condor, invece, era un’alleanza politico-militare per neutralizzare i gruppi di sinistra negli anni ’70 e ’80, che ha coinvolto Cile, Brasile, Argentina, Uruguay, Bolivia e Paraguay, ricordata nei documentari Condor: les axes du mal (2003) dell’argentino Rodrigo Vázquez e Condor (2007) del brasiliano Roberto Mader, ma già riferita da Costa-Gravas in État de siège (1972).

Nell’ossario del cimitero dell’Araçá, a San Paolo, vi sono i resti mortali di 1.046 vittime della dittatura brasiliana. Celso Sim e Anna Ferrari, in omaggio ai caduti, vi avevano montato un’installazione artistica intitolata Penetrável Genet8, inaugurata il 3 novembre 2013 e quasi distrutta subito dopo da persone interessate a non riesumare il cadavere della dittatura. Sfortunatamente parlare della dittatura per molti brasiliani è un tabù, specialmente perché con la promulgazione della legge sull’amnistia nel 1979, dunque ancora durante il regime militare, sono stati condonati vittime e carnefici. Anche se la Corte interamericana dei diritti umani ne ha determinato la revisione, la validità della legge è stata riaffermata dalla corte costituzionale brasiliana nel 2010; di conseguenza la Commissione della verità, instaurata nel 2012, non può adottare provvedimenti giudiziari contro i militari e gli agenti di stato implicati nella repressione. Dunque ancor oggi sono rimasti impuniti molti

Generación desaparecida (2003) era il titolo di un altro documentario argentino, diretto da Jan Thielen, e infatti un’intera generazione è stata sacrificata non solo perché molti militanti sono morti in battaglia, ma anche perché molte persone compromesse oppure no nella guerra contro lo stato venivano uccise dopo essere state sottoposte a torture e a sevizie giacché gli aguzzini non volevano che testimoniassero delle loro attività, come raccontano Pra frente Brasil (1982) di Roberto Farias e Garage Olimpo (1999) di Marco Bechis. Il titolo del film di Farias rimandava a quello dell’inno ufficiale del Brasile nel Mundial del 1970 che invitava il cuore di tutti i tifosi a battere all’unisono per spingere la nazionale di calcio alla conquista di una nuova coppa, come di fatto è avvenuto. Il proposito “di governare novanta milioni di brasiliani come si governa una caserma”9 era un modo di far dimenticare ciò che accadeva nel Paese dal punto di vista politico e per opporsi a questo tentativo di persuasione molti intellettuali hanno fatto il tifo per altre squadre, ma è stato invano. Uno degli slogan del governo in quegli anni era “Brasile, amalo o lascialo”,

8 Riferimento ai penetrabili, installazioni dell’artista

brasiliano Hélio Oiticica (seconda metà degli anni Sessanta) e allo scrittore francese Jean Genet, il quale istigava a occupare i cimiteri come azione teatrale.

9 LIMA , cit., p. 99.

motto trionfalistico di un’ideologia intenta a diffondere l’immagine di una nazione pacifica in cui le differenze di opinione si risolvevano rapidamente. La giunta militare argentina ha impiegato la stessa strategia brasiliana nel Mundial del 1978; come ricordava l’ex prigioniero politico Juan Gasparin: “in quel clima di conquista, nessuno ascoltava le urla dei torturati nei centri di detenzione. Erano tutti sordi”10. Anche le commemorazioni dei centocinquanta anni d’indipendenza del Brasile sono state un momento di ufanismo, occasione in cui il ministro della pubblica istruzione ha invitato i registi a fare dei film sul tema. Joaquim Pedro de Andrade ha risposto ironicamente a quest’invito con Os inconfidentes (1972), film prodotto dalla RAI, in cui raccontava l’insurrezione del 1789 contro la corona portoghese. Rievocare il passato era un modo di parlare dell’oggi e quello che interessava al cineasta non era fare un film storico ma interrogarsi “sulle azioni e sulle esitazioni degli intellettuali in tempi di trasformazione politica”11, riflessioni già presenti in O desafio (1965) di Paulo César Saraceni e in Terra em transe (1967) di Glauber Rocha. In Memórias do cárcere (1984) invece Nelson Pereira dos Santos cambiava un po’ la cronologia dei fatti descritti nell’opera omonima di Graciliano Ramos (pubblicata postuma nel 1953), prigioniero politico durante il cosiddetto Stato nuovo (1937-1945), per esaltare la figura dell’intellettuale che con le sue idee combatteva un regime dittatoriale. Non era stato diverso nella produzione messicana Actas de Marusia (1975) in cui il regista cileno Miguel Littín aveva fatto retrocedere al 1907 10 In: CHADE, Jamil. “ONU revela detalhes de abusos

na copa de 78”. O Estado de S. Paulo, San Paolo, 17 nov. 2013. 11 COUTO, José Geraldo. “Cineasta revisita Inconfidência com ironia”. Folha de S. Paulo, San Paolo, 7 set. 2008.


il massacro di minatori avvenuto nel 1925, in modo da potervi inserire la partecipazione del partito comunista del suo paese e mettere in rapporto quell’eccidio perpetrato dall’esercito al golpe del 1973. Un’altra realizzazione brasiliana che si spacciava per film d’epoca quando invece era una metafora politica del presente è stata O caso dos irmãos Naves (1967), di Luís Sérgio Person, che portava sullo schermo uno dei più clamorosi errori giudiziari avvenuto durante la presidenza di Vargas, affrontando coraggiosamente per primo il tema della tortura in quegli anni. Come ricorda Jean-Claude Bernardet, autore del soggetto e della sceneggiatura insieme al regista, nelle scene di tortura, ambidue hanno fatto di tutto affinché “fossero sempre percepibili le responsabiltà della polizia e il significato politico di tali procedimenti. (...) Non è stata fatta nessuna concessione, tutto quello che ci sembrava dovesse essere mostrato e detto è stato inserito nel film. Nei tempi in cui vivevamo, ciò rappresentava un rischio. In nessun momento Person ha ceduto o esitato: realizzare Naves è stato davvero un atto di coraggio”12. Non tutti sono riusciti a riprendersi da questa dura prova cui sono stati sottoposti, come Tito de Alencar Lima, uno di quei frati domenicani che a San Paolo avevano appoggiato l’azione guerrigliera comandata da Marighella, episodio ritrattato da Helvécio Ratton in Batismo de sangue (2006). Anche se non condivideva le idee di questi ed altri religiosi rivoluzionari, Alceu de Amoroso Lima ne capiva le intenzioni e li ha difesi pubblicamente: “preti incarcerati, sottoposti a calunnie e a torture, forse perché sono voluti andare troppo in fretta... Ma personalmente 12 BERNARDET, Jean-Claude. “Caso Naves”. In: BERNARDET, Jean-Claude; PERSON, Luís Sérgio. O

caso dos irmãos Naves (chifre em cabeça de cavalo). San Paolo: Imprensa Oficial do Estado de São Paulo; Cultura-Fundação Padre Anchieta, 2004, pp. 11-12.

molto più legati al Cristo in croce di quelli lì nella celebrazione pacifica del Mistero, e ripudiati da molti di quei presenti lì come se fossero contraddittori, eretici, sovversivi o nientemeno assassini. E comunque personalmente molto più vicini alla croce del Salvatore che la sua commemorazione incruenta”13. Fra Tito è morto suicida in Francia, nel 1974, sotto il peso dei ricordi che lo tormentavano e sentendosi abbandonato da tutti, come aveva annotato pochi giorni prima della fine: “Sono notti di silenzio / voci che invocano in uno spazio infinito / silenzio dell’uomo e silenzio di Dio”14. Al contrario del monaco domenicano, il cantautore Ivan Lins in Cartomante (1978) non disperava in Dio, un Dio coinvolto fino al collo con chi si opponeva al regime e incitava a resistere, a sopravvivere, ad avere pazienza. In quello stesso anno Milton Nascimento intonava Cálice di Chico Buarque de Hollanda e Gilberto Gil, vietata da cinque anni. La canzone paragonava il sacrificio di Cristo a quello dei perseguitati politici - “Padre allontana da me questo calice di vino rosso di sangue” - e siccome in portoghese la pronuncia di “cálice” e “cale-se” è uguale, di conseguenza faceva riferimento sia alla tortura sia alla censura, poiché “cale-se” significa “sta’ zitto”. La metafora del sacrificio di sangue era la stessa di Matou a famíla e foi ao cinema (1969) di Julio Bressane in cui fra i vari plot che lo componevano si insinuava la sequenza del prigioniero politico che giaceva esangue dopo aver subito torture. La regista Lúcia Murat ha trasformato in arte la triste esperienza personale di carcerata e torturata in una serie di film: Que bom te ver viva (1989), Quase dois irmãos (2004) e A memória que me contam (2013). Quase 13 LIMA , cit., p. 244. 14 In: pt.wikipedia.org/wiki/Tito_de_Alencar_Lima. Accesso: 12 nov. 2013.

dois irmãos raccontava il convivio fra prigionieri e detenuti per reati politici nelle carceri di Ilha Grande, isola della costiera carioca, trattati allo stesso modo dalla legge di sicurezza nazionale negli anni ‘70 e ’80. Nonostante gli scontri, la solidarietà fra i sovversivi e la loro organizzazione nel rivendicare diritti avevano finito con il contagiare gli altri prigionieri, i quali, imparate le tattiche, daranno origine all’organizzazione criminale Commando rosso, che ancor oggi domina le attività malavitose in Brasile. Se la fiction della Murat era una riflessione sulla società odierna in cui la vittimizzazione del bandito non convinceva più, 400 contra um (2010) di Caco Souza seguiva la linea di alcune opere di arti visive, come Homenagem a Cara de Cavalo e Seja marginal, seja herói prodotte nel 1966, omaggio di Hélio Oiticica alla rivolta individuale contro ogni tipo di condizionamento sociale e risposta allo slogan del governo “Il miglior bandito è quello morto”15, e cinematografiche come Lúcio Flávio, o passageiro da agonia (1977) di Hector Babenco, che nel denunciare i rapporti fra establishment e criminalità offriva una visione romantica del banditismo dell’epoca, cui rispondeva Antônio Calmon con Eu matei Lúcio Flávio (1979), film fascistoide nella sua esaltazione del cosiddetto terrorismo di Stato. In A memória que me contam (2013) la Murat sembrava prendere le distanze da quel periodo nel presentare cosa erano diventati molti di quei giovani idealisti, così come il sempre polemico Sérgio Bianchi che in Jogo das decapitações (2012) aveva attaccato ex vittime della dittatura che nel Brasile odierno si erano arrese al gioco del potere, mostrando come l’essere di sinistra fosse ormai uno sport della borghesia. Lita Stantic invece in Un muro de silencio 15 FABRIS, Annateresa. “Da Tropicalia a Happyland”. Ágalma, Roma, n. 10, set. 205, pp. 67-68.


(1992), specie di biografia collettiva dei sessantottini argentini, intrecciava dolorosamente passato e presente, intreccio che però è risultato ambiguo in Cordero de Diós (2008) di Lucía Cedrón. Di tutti i film di Lúcia Murat sul periodo, il più significativo è il documentario Que bom te ver viva, doloroso racconto corale di donne sopravvissute alle sevizie e alle torture nei sotterranei della repressione. Anche Repare bem (2012) dell’attrice e regista portoghese Maria de Medeiros (che fa parte del progetto Tracce della memoria del Ministero di Grazia e Giustizia) ha presentato la dittatura dal punto di vista femminile. La Murat però ha saputo capire anche chi, al contrario di lei, ha seguito altri sogni, quelli dei paradisi artificiali, come suo fratello, la cui storia è stata messa a fuoco in Uma longa viagem (2011), tirando così le somme di una generazione che ha immolato la propria vita per le ideologie o per le droghe, due trip utopistici dai quali non per tutti ci sarebbe stato un ritorno. Questo vuoto generazionale ha visto scendere in piazza i parenti dei desaparecidos che reclamavano notizie o almeno i corpi dei loro cari; in Argentina le madri di Plaza de Mayo sono poi diventate le nonne che denunciavano la scomparsa dei loro nipotini e che esigevano che i bambini sequestrati fossero restituiti alle famiglie d’origine. Una situazione luttuosa aggravatasi con la disastrosa Guerra de las Malvinas o Falklands War - tema principale di Iluminados por el fuego (2005) di Tristán Bauer, ricordata anche in Un cuento chino (2010) di Sebastián Borensztein –, che nel 1982 ha fatto ripiombare il paese in uno stato d’angoscia e di dolore con ben altri 649 morti. Bambini e adolescenti hanno pagato un alto prezzo per le scelte ideologiche dei loro genitori o perché ne sono stati allontanati, oppure perché spesso hanno assistito alle violenze o le hanno subite o ne hanno avuto

notizia. “Perdono per tanti pericoli / perdono per la mancanza di un rifugio / perdono per la mancanza di amici / quei giorni erano cosi”, cantava Ivan Lins in Aos nossos filhos (1978), ma non bastava chiedere perdono per far superare il trauma subito. Film come il cileno Machuca (2004) di Andrés Wood, gli argentini Kamchatka (2002) di Marcelo Piñeyro e Infancia clandestina (2012) di Benjamín Ávila oppure il brasiliano O ano em que meus pais saíram de férias (2006) di Cao Hamburger ci raccontano queste storie di un’infanzia rubata, mentre Nunca fomos tão felizes (1984) di Murilo Salles e A cor de seu destino (1986) di Jorge Durán, mettono a fuoco rispettivamente un giovane prima confinato in un collegio e poi in un appartamento in virtù della militanza del padre, e un adolescente cileno, il quale, costretto da bambino ad abbandonare il suo paese dopo il golpe e tormentato dai fantasmi del passato, si coinvolge in un presunto attentato contro il consolato del Cile a Rio de Janeiro. O ano em que meus pais saíram de férias era la storia di Mauro, un piccolo fanatico di calcio, che a dodici anni era lasciato dai genitori, militanti politici, con il nonno paterno proprio nel giorno in cui questi moriva. Costretto a vivere con un vecchio vicino del nonno, Mauro passava le giornate in attesa di una telefonata dei genitori, fra la tristezza dell’abbandono e l’euforia del Mundial del 1970. Alla fine, quando la madre è ritornata da sola a prenderlo, il bambino esprimeva così il dispiacere per la perdita del padre: “E anche senza volerlo, né capirlo bene, sono diventato una cosa chiamata esiliato. Penso che esiliato voglia dire chi ha un padre che è talmente in ritardo, ma talmente in ritardo da non ritornare mai più a casa”16. Anche Kamchatka e Infancia clandestina 16 GALPERIN, Cláudio et alii. O ano em que meus

pais saíram de férias. San Paolo: Imprensa Oficial do Estado de São Paulo; Cultura-Fundação Padre Anchieta, 2008, p. 201.

parlavano di bambini coinvolti in un dramma che non potevano ancora capire appieno ma che li ha segnati per sempre: quello di nascondersi a causa dell’ideologia dei genitori. Il film di Ávila era più incisivo soprattutto perché si trattava di una storia quasi autobiografica: Juan, un bambino di undici anni, figlio e nipote di militanti montoneros ritornati dalla clandestinità nel 1979 per continuare a lottare contro la dittatura argentina, è stato costretto a vivere una storia familiare inventata e un pericoloso gioco di cambiamenti d’identità. Scoperto il rifugio dei genitori, lui e la sorellina sono stati sequestrati ma solo Juan sarà liberato e lasciato davanti alla casa di sua nonna. Infancia clandestina era un’amara riflessione che metteva in forse la validità di una lotta intestina che ha rasentato la follia, in tutti i paesi e da tutti e due i lati, come hanno dimostrato anche documenti e foto recentemente scoperti nell’Archivio nazionale a Rio de Janeiro che mostrano come gli organi di sicurezza hanno trattato i figli di militanti di sinistra. In Brasile la dittatura non li ha fatti adottare da altre famiglie, ma li ha spediti prima in Algeria e poi a Cuba (dove sono cresciuti), dopo averli schedati come sovversivi. Fra questi bambini vi erano i figli di prigionieri politici mandati in Cile in cambio della liberazione dell’ambasciatore svizzero Giovanni Enrico Bucher, episodio registrato nel film nordamericano Brazil - a report on torture (1971), di Haskel Wexler e Saul Landau, il primo a documentare la pratica di torture nel paese, tramite la deposizione di molti dei settanta esiliati che facevano parte del cosiddetto volo della libertà, ricordato quarant’anni dopo dagli stessi protagonisti nel documentario Setenta (2013)


di Emília Silveira17. Quelle dei bambini sono state esperienze traumatiche che hanno raccontato anche quei film in cui, divenuti adulti, questi ragazzi cercavano di capire la loro storia oppure in cui alcuni genitori incominciavano ad interrogarsi sulle origini dei loro figli adottivi, come nelle fiction argentine Vidas privadas (2001) di Fito Páez e La historia oficial (1985) di Luis Puenzo, ma specialmente in documentari, come alcuni realizzati in Argentina e in Brasile: Papá Iván (2000) di María Inés Roqué, Los rubios (2003) di Albertina Carri, El tiempo y la sangre (2004) di Alejandra Almirón, Encontrando a Víctor (2004) di Natalia Bruschstein, M (2007) di Nicolás Prividera e l’animazione macabra La matanza (2005) di María Giuffra che opponevano la memoria dello sterminio e della sparizione all’amnesia imposta dal terrorismo di Stato; Diário de uma busca (2010), indagine sulla vita e sulla morte misteriosa del padre, compiuta da Flávia Castro, e Os dias com ele (2013) di Maria Clara Escobar, tuffo nel passato quasi sconosciuto di suo padre, che si è sempre rifiutato di parlarne. Le narrative dei registi della una nuova generazione, dunque anteriori alla loro nascita, nelle quali talvolta la causa rivoluzionaria dei genitori si è scontrata con la necessità d’affetto dei figli, sono spesso storie collettive e familiari al contempo, poiché raccontate da parenti, come Benjamín Ávila, figlio di una militante del gruppo montoneros e fratello di un bambino sequestrato e ritrovato solo nel 1984; Natalia Bruschstein, figlia del desaparecido Víctor Bruschstein Bonaparte e nipote di Laura Bonaparte, fondatrice del gruppo Madres 17 CFR. FRAGA , Plínio. “Infância banida”. Zum - revista

de fotografia, San Paolo, n. 3, ott. 2012, pp. 64-73. La rete televisiva Record ha recentemente trasmesso As crianças e a tortura, a cura del giornalista Luiz Carlos Azenha, serie di cinque reportage su quest’argomento.

de la Plaza de Mayo; Albertina Carri, figlia dei montoneros Roberto Carri e Ana María Caruso, sequestrati nel 1977; Flávia Castro, figlia del giornalista Celso Afonso Gay Castro; Lucía Cedrón, figlia del regista Jorge Cedrón, esiliatosi in Francia con la famiglia e morto in circostanze misteriose; Maria Clara Escobar, figlia del drammaturgo e professore Carlos Henrique Escobar; Isa Grinspum Ferraz, nipote di Clara Charf, compagna di Marighella; Paula Fiuza, nipote di Sobral Pinto; María Giuffra, figlia di un desaparecido; Cao Hamburger, nipote dello scenografo e costumista Flávio Império, rinchiuso in carcere durante la dittatura, e figlio dei professori Ernest Hamburger e Amélia Império Hamburger, detenuti per un breve periodo nel 1970, quando il futuro regista e i quattro fratelli sono andati a vivere dalle nonne; Nicolás Prividera, figlio di Marta Serra, sequestrata e scomparsa; María Inés Roqué, figlia del montonero Juan Julio Roqué (alias Iván Lino), ucciso nel 1977; Camilo Tavares, nato in Messico durante l’esilio del padre, il giornalista e scrittore Flavio Tavares. Come ha osservato Ana Amado, si è verificato un passaggio dalla memoria dei protagonisti di quegli anni a una specie di “post memoria” dei loro discendenti, i quali, schiacciati dal peso della Storia o dalle rivelazioni sulla loro storia, hanno reagito riverentemente o ribellandosi ai loro antecessori18; di conseguenza, anche quando ne hanno raccolti gli ideali, non sempre li hanno seguiti pedissequamente. Riflessioni di una nuova generazione sugli anni di piombo sono anche quelle di Pablo Larraín che ha preso le distanze sia dalle idee di suo padre, il senatore di tendenza conservatrice Hernán Larraín Hernández, sia da quelle della vecchia sinistra nella trilogia 18 AMADO, Ana. “Subjetividad, memoria y política en el nuevo documental”. In: MACHADO, Rubens Jr. et alii. VII estudos de cinema e audiovisual Socine. San Paolo: Socine, 2012, p. 14.

dedicata ai diciassette anni della dittatura in Cile. Iniziata con Tony Manero (2008) e portata avanti in Post mortem (2010), è culminata con No (2012), film sulla campagna referendaria del 1988. Il rifiuto alle pretese del generale Augusto Pinochet di continuare al potere risultava vincitore appunto perché, grazie ad un giovane pubblicitario, ai logori slogan della propaganda di sinistra era subentrata una campagna di persuasione imperniata sulla logica della pubblicità capitalistica. È giunta l’ora di andare avanti sembrano dirci questi giovani, ma andare avanti significa seppellire i morti, scacciare i fantasmi, superare i traumi, punire i colpevoli ma anche fare un mea culpa, cioè non rinchiudersi in un passato stagnante, scuotersi dall’inerzia provocata da dogmi ideologici per costruire su nuove basi una società più giusta e egualitaria. Questo testo è più che altro una testimonianza, poiché invece di fare una ricerca sistematica sulla cinematografia latinoamericana di quel periodo mi sono avvalsa della mia memoria di spettatrice di film e degli avvenimenti storici. Spero, nonostante le lacune, di aver aiutato il pubblico della mia prima patria a capire un po’ meglio il Sudamerica, specialmente il Brasile che sembrava dovesse essere per me una terra straniera e invece è stato il mio paese di destino.


Un racconto di formazione Suzy Capó 2014

È veramente una grande sfida essere curatrice di una rassegna di film realizzati in America Latina, dato che la definizione stessa del progetto suggerisce un’omogeneità che non riflette la diversità dei film latinoamericani e di conseguenza delle diverse culture da cui scaturiscono. Inoltre, il periodo dell’ultimo decennio, scelto all’inizio con il co-curatore della rassegna José Gatti, ha confuso la nostra percezione di quanto stia succedendo attualmente in quella parte del mondo. Approfondendo le ricerche per realizzare questo progetto, ci siamo resi conto che, in realtà, sembra passato già molto tempo da quando registi come Alfonson Cuarón, Walter Salles, Alejandro González Iñárritu, Fernando Meirelles e Juan José Campanella hanno riportato il cinema latinoamericano (e la sua industria) sotto i riflettori internazionali. Ora grazie alle nuove generazioni di registi di talento e di produttori animati da maggior spirito imprenditoriale si è chiaramente delineata la scena cinematografica più vivace degli ultimi quarant’anni. Se Messico, Argentina e Brasile restano di fatto i maggiori centri di produzione dell’America Latina, non si possono ignorare le nuove e appassionanti prospettive emerse in Venezuela, Perù, Colombia e perfino in Paraguay, dove l’industria cinematografica è

praticamente inesistente. Così la decisione di inserire nella rassegna film provenienti dal maggior numero possibile di paesi non è dovuta alla volontà di rappresentarli tutti, ma è stato un criterio inevitabile per riuscire a cogliere questo momento straordinario della cinematografia nelle diverse nazioni latinoamericane. Tenendo conto di questo e di altri aspetti pratici, abbiamo scelto sedici film a soggetto in rappresentanza di dieci Paesi dell’America Latina: Messico, Brasile, Venezuela, Cile, Argentina, Colombia, Paraguay, Perù, Cuba e Guatemala. La maggior parte delle produzioni è frutto di collaborazioni fra compagnie televisive, fondi per il cinema, enti nazionali e grandi aziende private di vari Paesi, sicuramente un segno dei tempi.

Spike Lee, Alejandro González Iñárritu e Fernando Meirelles, Quemada-Díez ritrae l’arduo viaggio arricchendolo di forti elementi documentaristici e di squarci di poesia visiva. Dopo aver intervistato oltre seicento migranti o futuri tali, ha costruito ogni aspetto del film sui loro racconti. Ai protagonisti, tutti e tre per la prima volta sul grande schermo, le scene venivano descritte cinque minuti prima della ripresa, per garantire la massima spontaneità. La jaula de oro è soltanto uno dei sette film della rassegna incentrato sulle tematiche dell’infanzia e della gioventù. Infatti una delle più importanti tendenze della filmografia latinoamericana contemporanea consiste nel ritrarre ragazzi irrequieti e delusi, come avviene anche in Una Noche, Lake Tahoe e 7 Cajas.

La jaula de oro, coproduzione spagnola, messicana e guatemalteca, è un film on the road sulla difficile avventura di tre ragazzi guatemaltechi che vogliono oltrepassare la frontiera del Messico per raggiungere gli Stati Uniti. Il regista spagnolo Diego QuemadaDíez, che vive a Città del Messico, tratta con uno sguardo nuovo un tema tradizionale in America Centrale: l’emigrazione per motivi economici. Formatosi alla macchina da presa come assistente di Ken Loach,

Come nel film di Quemada-Díez, anche i protagonisti di Una Noche sognano di fuggire negli Stati Uniti, attraversando le novanta miglia di mare che separano L’Avana da Miami. Il film, concepito per la tesi di laurea da Lucy Mulloy - studentessa della New York University, che aveva vissuto alcuni anni a Cuba - è stato finanziato con il contributo degli Stati Uniti e della Gran Bretagna ed è interamente girato sull’isola, con cast e troupe del posto.


Come accade nei casi in cui la vita si ispira all’arte, due degli attori non professionisti, Javier Nunez Florian e Anailin de la Rua de la Torre (scelti dalla regista Mulloy dopo aver visionato provini su oltre duemila adolescenti cubani), in viaggio verso il Tribeca Film Festival di New York sono scomparsi dall’aeroporto di Miami dove avevano fatto scalo, e successivamente hanno chiesto asilo politico negli Stati Uniti, aggiungendo al film un ulteriore tocco di realismo. Lake Tahoe è il secondo lungometraggio di Fernando Eimbcke, recentemente insignito della Conchiglia d’Argento per la miglior regia al Festival Internazionale del Cinema di San Sebastian, a cui ha partecipato con il suo terzo lungometraggio, Club Sandwich. Ispirato a vicende personali del regista e della co-sceneggiatrice Paula Markovitch, il film risente dell’influenza di Jim Jarmusch, ed in particolare del suo Stranger than Paradise. Il protagonista Juan vorrebbe fuggire sul lago Tahoe, ma non arriverà da nessuna parte: il film comincia con la scena di una macchina contro un palo e continua con i tentativi del protagonista per farla ripartire. Poco a poco si capisce che Juan sta cercando di sfuggire alla realtà della morte del padre. Lento ed etereo, Lake Tahoe ricorre ad espedienti cinematografici, quali frequenti inquadrature in nero, che trasmettono il senso di perdita vissuto dal personaggio. Il diciassettenne protagonista della produzione paraguaiana 7 Cajas, che sogna di diventare famoso, intraprende un viaggio all’interno del Mercato 4, ad Asunción, dove si porta dietro sette casse dal misterioso contenuto per guadagnarsi qualche soldo. Girato sul posto con un budget di soli 650.000 dollari, questo thriller d’azione dal ritmo teso è diventato un successo prima ai festival, per poi scalare le classifiche del Paraguay, dove ha conseguito incassi

addirittura superiori a quelli di Titanic. Opera prima dei registi Juan Carlos Maneglia e Tana Schembori, il film è dichiaratamente di intrattenimento e si ispira allo stile narrativo e alle tecniche hollywoodiane rivolti al grande pubblico. L’identità paraguense viene comunque garantita dall’ambientazione e dal cast (a parte gli interpreti principali, tutti gli attori e le comparse lavorano o vivono nel mercato), dalla lingua (il dialetto jopara, in cui si mescolano spagnolo e guaranì) e dalla colonna sonora (che unisce la musica elettronica a quella tradizionale). Pur con un approccio cinematografico completamente diverso, anche El chico que miente promuove la riconciliazione, in questo caso fra il pubblico venezuelano e il cinema nazionale. Tuttavia, in questo film di formazione on the road l’appeal emotivo del tema prevale sulla forma narrativa non lineare scelta dalla regista e co-sceneggiatrice peruviana Marité Ugas per raccontare la storia di un ragazzino alla ricerca della madre scomparsa nell’alluvione del 1999 a Vargas sotto la marea di fango, una catastrofe naturale che fece oltre diecimila vittime. La Ugas ha scritto la sceneggiatura in collaborazione con la produttrice venezuelana Mariana Rondón. Le due hanno frequentato insieme la Scuola Internazionale di Cinema e Televisione di San Antonio de los Baños, a Cuba, e da allora hanno sempre collaborato. Nel loro ultimo film, il pluripremiato Pelo Malo, si sono invertite le parti di regista e produttrice, continuando a lavorare sul tema dell’infanzia. Il bambino come fulcro della memoria o della storia nazionale è una tendenza del cinema latinoamericano sin dagli anni Novanta e dagli albori del nuovo secolo e, pur suscitando molte questioni rappresentative ed etiche, il motivo per cui sia comparso sul grande schermo alcuni decenni dopo il ripristino

della democrazia nei Paesi del Sud America è piuttosto ovvio. O ano em que meus pais saíram de férias e Infancia clandestina si basano su eventi realmente accaduti da bambini ai due registi Cao Hamburger e Benjamín Ávila, vissuti sotto il regime militare rispettivamente di Brasile e Argentina. E mentre si parte da presupposti narrativi comuni, la differenza delle esperienze dei due registi è ben evidente nel modo in cui sviluppano le storie personali e sociopolitiche. Ambientato a San Paolo nel contesto esplosivo dei campionati mondiali di calcio del 1970 e della dittatura militare, il secondo lungometraggio di Hamburger, O ano em que meus pais saíram de férias, rappresenta un velato melodramma politico con toni da commedia, che nascono principalmente dall’inattesa situazione in cui si troverà il protagonista, catapultato in un quartiere popolare di San Paolo, all’epoca abitato prevalentemente da ebrei. Il delicato ritratto di un bambino di dieci anni tenuto all’oscuro da due genitori attivisti, si rifà sicuramente all’esperienza personale del regista, di madre cattolica e padre ebreo: spesso infatti, quando lui era bambino, i genitori nascondevano in casa dissidenti di sinistra. E il modo appassionato nel quale Hamburger tratta un tema così duro può essere anche dovuto all’esperienza professionale del regista che ha lavorato per il piccolo schermo, prevalentemente in serie e programmi televisivi per bambini. Anche Infancia clandestina è un film di formazione, che racconta l’esperienza autobiografica di Benjamín Ávila da bambino, alla fine degli anni Settanta in Argentina. Ma se il protagonista brasiliano del film di Cao Hamburger è lontano dalla brutalità della dittatura militare, a malapena considerata in un paese concentrato sui mondiali di


calcio, il dodicenne Juan - conosciuto a scuola con il nome di copertura Ernesto - è costantemente riportato ad essa per le attività politiche e i solidi convincimenti ideologici dei genitori. Ma Juan/Ernesto si innamora della sorella di un compagno; e Ávila, al suo primo lungometraggio, sa trattare perfettamente l’esperienza piena di contraddizioni di un ragazzo alle soglie della pubertà in queste circostanze. Quando le cose si fanno troppo violente, il sapiente uso del disegno animato ricorda agli spettatori che gli eventi sono visti attraverso gli occhi di un bambino. Si fa riferimento alla dittatura militare nell’emisfero meridionale anche nei due film cileni scelti per questa rassegna, ma la ricerca cinematografica su questo tema nel Paese governato dal generale Pinochet per diciassette anni sembra aver raggiunto un punto di svolta, almeno nella prospettiva dei registi Andrés Wood e Pablo Larraín. Violeta se fué a los cielos racconta la storia della cantautrice e poetessa cilena Violeta Parra, suicidatasi nel 1967, tre anni prima dell’elezione del presidente socialista Salvador Allende. Diretto da Andrés Wood, dopo il riconoscimento internazionale di Machuca, dove si narra l’amicizia fra due ragazzi negli ultimi giorni prima del colpo di stato militare del 1973, Violeta non è assolutamente un film sulla dittatura cilena, alla quale tuttavia allude nel tracciare il ritratto di questa influente artista, la cui voce venne messa a tacere in quegli anni per poi cadere praticamente nell’oblio. Il film di Wood si concentra sulla musica e sulla vita della cantante, spostandosi avanti e indietro nel tempo, in un’alternanza fra le tecniche narrative tipiche della biografia e le sperimentazioni visive. Se molti sanno come il generale Pinochet si appropriò del potere, forse non tutti ricordano come lo perse. È con questa originale

prospettiva che Pablo Larraín ha dato vita a No, terza parte della sua involontaria trilogia sul regime del generale Pinochet. Adattato dalla pièce teatrale mai rappresentata dello scrittore cileno Antonio Skármeta (l’autore del romanzo dal quale è stato tratto Il Postino), e interpretato dall’attore messicano Gael García Bernal e da Alfredo Castro, da tempo collaboratore del regista, il film differisce dai precedenti melodrammi dark dedicati da Larraín allo stesso tema, Tony Manero e PostMortem. Rappresentando la (reale) campagna pubblicitaria che nel 1988 mise fine con un referendum al governo Pinochet, Larraín restituisce ai suoi personaggi la loro umanità, con un film appassionato che combina dramma politico e satira mediatica. Il regista cileno inoltre introduce un’estetica innovativa girando con macchine da presa dell’epoca, così da rendere impercettibile il passaggio fra i materiali di repertorio sul referendum e la ricostruzione cinematografica. Edificio Royal di Iván Wild, definito commedia nera, è una produzione colombiana in collaborazione con Germania e Venezuela. Fra gli attori, il regista e attore cubano Jorge Perugorría, conosciuto per Fragola e cioccolato. In realtà il film non è esattamente divertente. Ambientato e girato interamente in un decadente condominio di Barranquilla, un tempo status symbol, Edificio Royal fa ridere gli spettatori più per le circostanze assurde in cui si trovano i personaggi che per le sue scene comiche. Al suo debutto come regista, dopo aver lavorato al montaggio dei film del suo connazionale Ciro Guerra, Wild predilige una narrativa circolare rispetto ad una lineare per amplificare il suo modo di ritrarre la vita reale, suggerendo in questo modo che i cineasti colombiani abbiano recuperato interesse per dei temi più personali e al tempo stesso universali, dopo essere stati a lungo confinati nelle questioni di genere e di identità nazionale.

El abrazo partido è un dramma familiare, scritto e diretto dal regista argentino Daniel Burman, che per il suo umorismo viene spesso paragonato a Woody Allen. Burman, di famiglia ebreo-polacca e cresciuto in Argentina, ci tiene però a sottolineare che i suoi personaggi non vivono in appartamenti da due milioni di dollari, con frigoriferi sempre traboccanti. Produzione a budget ridotto, in cui l’instabilità della macchina da presa a mano e la narrazione con voce fuoricampo assicurano uno stile documentaristico, El abrazo partido, è la seconda parte di una trilogia autobiografica (di cui fanno parte Aspettando il Messia e Diritto di famiglia) in cui il protagonista è interpretato dall’attore uruguaiano Daniel Hendler, nel ruolo di un giovane ebreo nevrotico che vive a Buenos Aires. Dato che nei film i personaggi di Burman si chiamano tutti Ariel e che alcuni personaggi di un film compaiono anche in un altro, si ritiene che la trilogia si svolga nella stessa comunità. Estômago, diretto da Marcos Jorge, è una commedia noire che affronta due temi universali: il cibo e il potere, ossia il cibo come modo per ottenere il potere. Qualsiasi somiglianza fra il tono dominante del film, sostenuto soprattutto dalla colonna sonora, e le commedie italiane degli anni Sessanta e Settanta non è affatto casuale. Infatti il regista e co-autore Marcos Jorge ha studiato cinema in Italia, dove ha vissuto per tutti gli anni Novanta. Inoltre il film è la prima co-produzione italo-brasiliana dai primi anni Settanta. Basato su un racconto di Lusa Silvestre, che ha collaborato anche alla sceneggiatura, Estômago è interpretato da João Miguel, attore emblematico del cinema brasiliano emergente all’inizio di questo secolo, quando la produzione cinematografica di centri urbani diversi da Rio de Janeiro e San Paolo ha catturato l’attenzione di spettatori e critica.


Lo stesso João Miguel è nato a Recife, la più grande città del Nord-Est del Brasile, e Estômago, sebbene in parte ambientato e girato a San Paolo, è stato prodotto a Curitiba, città del Sud dove è nato e lavora Marcos Jorge. Come suggerisce il titolo, gli elementi acustici hanno un ruolo molto importante in O som ao redor, così come la location. Il regista e autore della sceneggiatura, Kleber Mendonça Filho, ambienta le diverse trame del suo primo film a soggetto in un quartiere popolato dalla classe media di Recife, in cui le villette monofamiliari sono state sostituite da alti condomini ed il calore umano dalla paranoia per la sicurezza. Mentre l’ambientazione rappresenta la base della critica sociale di Mendonça Filho, il suono esprime gli stati d’animo, portando i personaggi e gli spettatori ad uno stato di panico crescente, fino all’enigmatica conclusione. Lodato dalla critica, il film ha anche preso di sorpresa l’ambiente cinematografico brasiliano, per il successo all’uscita estiva e per la permanenza nelle sale per diversi mesi. Già critico cinematografico, Mendonça Filho viene annoverato fra i più promettenti registi e autori di nuova generazione del Nord-Est del Brasile, come Karim Aïnouz, Marcelo Gomes, Sergio Machado, Claudio Assis e Hilton Lacerda. Originario della regione più meridionale del Brasile, Jorge Furtado non è nuovo sulla scena. Il suo falso documentario Ilhas das Flores del 1989 è uno dei cortometraggi brasiliani di maggior impatto di tutti tempi. Prima di Saneamento Básico, o Filme, presente in questa rassegna, il regista aveva già diretto tre lungometraggi, delle commedie. Ma Furtado non ha mai abbandonato la sua città natale, Porto Alegre. La sua casa produttrice, Casa de Cinema, di Porto Alegre, ha prodotto decine di film, serie e programmi

televisivi da quando è stata fondata nel 1997 da un gruppo di registi, a dimostrazione del fatto che esistono opere creative di professionisti anche al di fuori dell’asse San Paolo-Rio de Janeiro. Ambientato in un piccolo villaggio sull’altopiano del sud del Brasile, abitato da una comunità di origine italiana, Saneamento Básico, o Filme, è una commedia incentrata sulla bravura degli attori, che catturano il pubblico con la loro capacità di improvvisare. Seppure gradevole, il film di Furtado pone degli interrogativi amari sulle politiche brasiliane di finanziamento della cultura e sul ruolo dell’arte e dell’intrattenimento in luoghi in cui ci sono ancora persone, quartieri e città che non hanno accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici di base. Pur essendo ambientato in un piccolo villaggio peruviano di pescatori, Contracorriente non propone alcun interrogativo né fa alcun riferimento ai problemi socio-economici del paese. Il regista e sceneggiatore Javier Fuentes-Léon, che vive a Los Angeles, ritorna alle proprie radici, inserendo le tematiche della sessualità in una storia d’amore magica con un tocco di realismo. Tuttavia gli elementi soprannaturali del film non vengono usati per separare il desiderio omosessuale dalla realtà. Nell’attingere alle tradizioni narrative latinoamericane e a diversi riferimenti interculturali come quelli delle telenovelas, Fuentes-Léon fonda il suo lavoro su personaggi costruiti minuziosamente (compresi quelli secondari) e su una sceneggiatura ben articolata, che va ben oltre l’ovvio confronto con Dona Flor e i suoi due mariti (a cui sicuramente in parte si è ispirato), commedia diretta da Bruno Barreto nel 1976 e basata sul romanzo dello scrittore brasiliano Jorge Amado. Contracorriente non è né un film di fantasmi né di outing, bensì un film sull’acquisizione della consapevolezza, sull’umanità e l’universalità di questo percorso.

Attore iconico del cinema argentino, Ricardo Darín, interprete anche di El secreto de sus ojos (Oscar per il miglior film straniero), spicca in una favola dei nostri giorni, Un Cuento Chino. Scritto e diretto da Sebastián Borensztein, conosciuto nel suo paese per la produzione televisiva, il film ha ottenuto i maggiori incassi in Argentina fra i film non americani nel 2011. Non è un successo da poco, dato che la distribuzione nazionale (in questo come in tutti gli altri paesi dell’America Latina) resta ancora un’enorme sfida, nonostante la solida posizione del paese fra le tre prime potenze cinematografiche della regione. Questo risultato potrebbe essere attribuito al grande seguito di Darín o all’interesse del tema universale e interculturale scelto. Il film inoltre affronta alcune delle questioni più scottanti della storia argentina recente, come la dittatura militare e la sfortunata campagna nelle isole Falkland contro il Regno Unito. Ma principalmente Un Cuento Chino è una commedia impegnata e divertente che fa riflettere.



César Meneghetti Videoakt Angie Bonino Asociación Cultural LiminalB Bruno Antonio Menei Hurtado Lakino Patricia Bentancur InMediterraneum Concept in progress Jesus Garces Lambert Festival Videobabel Perù

O som ao redor 7 Cajas Estômago La jaula de oro No O ano em que meus pais saíram de férias Una Noche El chico que miente Saneamento Básico, o Filme Edificio Royal Lake Tahoe Violeta se fué a los cielos El abrazo partido Contracorriente Un Cuento Chino Infancia clandestina


1-2 febbraio 2014

O som ao redor Drammatico/Thriller, Kleber Mendonça Filho Brasile 2012, 131’

La vita in un quartiere borghese di Recife, in Brasile, prende una inaspettata svolta dopo l’arrivo di una società per la sicurezza privata. La presenza dei guardiani sotto certi aspetti rassicura, ma al tempo stesso insinua molta ansia e una cultura dominata dalla paura. Nel frattempo, Bia, moglie e madre di due figli, deve trovare il modo di sopportare il costante abbaiare del cane del vicino. Cast Maeve Jinkings, Irandhir Santos, Caio Almeida, Ana Rita Gurgel

Premi

Sao Paulo Film Festival: Miglior film Ministero degli Affari Esteri del Brasile: Miglior film Rio de Janeiro Film Festival: Miglior film Rotterdam Film Festival: Premio FIPRESCI Polonia Film Festival: Miglior film Kopenhagen Film Festival: Miglior film CPH Pix Serbia Film Festival: Miglior film


7 Cajas Azione, Juan Carlos Maneglia e Tana Schémbori Paraguay 2012, 100’

Victor, diciassette anni, vive facendo il fattorino con una vecchia carriola nel mercato della città e sogna di diventare famoso, incantato davanti alle immagini di un televisore nella vetrina di un negozio di elettrodomestici del famigerato Mercato n° 4 di Asunción. Quando riceve l’insolita proposta di trasportare sette scatole dal contenuto sconosciuto in cambio di 100 dollari americani, Victor, non avendo mai visto tanti soldi tutti insieme e senza avere la più pallida idea del loro valore in moneta locale, accetta. Le cose si complicano e il protagonista, insieme ai suoi inseguitori, si trovano coinvolti in un crimine di cui non sanno nulla. Cast Celso Franco, Victor Sosa, Lali Gonzalez

Premi

San Sebastian Film Festival: Premio Cine, Premio Euskaltel de la Juventud Festival Internazionale Film di Mar del Plata: Premio Roberto “Tato” Miller Cine Orquídea Film Festival, Ecuador: Premio opera prima Cockatoo Island Film Festival, Australia: Miglior film drammatico Fantastic Film Festival Internazionale Porto Alegre: Migliori registi International Film Festival Unasur, Argentina: Miglior sound design, Miglior montaggio International Film Festival Fenavid, Bolivia: Miglior immagine (dal pubblico), Miglior film (giuria) Biarritz Festival del cinema, Francia: Miglior immagine (dal pubblico) Festival Lakino, Germania: Miglior immagine (dal pubblico), Miglior sceneggiatura


8-9 febbraio 2014

Estômago

[Estomago - Una storia gastronomica] Commedia, Marcos Jorge Brasile/Italia 2007, 100’

Il grande ristorante della vita si divide in coloro che mangiano e coloro che sono mangiati. Raimundo Nonato trova un’alternativa tutta sua: cucina per sopravvivere e trovare un posto nella società. Arrivato in città senza un soldo, inizia a lavorare come aiuto in un bar malfamato, dove impara a friggere meglio del proprietario, Zulmiro. Nonato è ignorante, ma ha talento. Scopre di essere nato per cucinare e anche chi gli sta intorno lo capisce. La prima ad accorgersi di lui è Iria, una prostituta che non ne sa nulla di cucina, ma ama i suoi piatti, tanto da intrecciare con lui una relazione d’amore. Il proprietario di un ristorante italiano del quartiere, Giovanni, offre a Nonato un lavoro da cuoco. Poi per una serie di eventi il protagonista finisce in prigione, dove si rende conto che le sue doti culinarie gli possono garantire una posizione dominante all’interno della gerarchia del carcere. Cast João Miguel, Fabiula Nascimento Carlo Briani, Babu Santana, Paulo Miklos

Premi

Rio Film Festival: Miglior film (dal pubblico), Miglior regista, Miglior attore (João Miguel), Premio speciale della giuria per Babu Santana Rotterdam Film Festival: Premio del Leone Punta del Este Film Festival: Miglior film, Miglior attore (João Miguel)


La jaula de oro [La gabbia dorata]

Drammatico, Diego Quemada-Diez Guatemala/Spagna/Messico 2013, 102’

Tre adolescenti, Juan, Sara e Samuel, fuggono dal Guatemala per cercare di raggiungere gli Stati Uniti. Attraversando il Messico, incontrano Chauk, un indio del Chiapas senza documenti, che non parla spagnolo. I ragazzi aspirano a una vita migliore, al di là della frontiera, ma presto si trovano ad affrontare una realtà dura, completamente diversa da quella immaginata, in uno scenario di violenza, dominato da droga e trafficanti clandestini. Cast Brandon López, Rodolfo Dominguez, Karen Martínez, Carlos Chajon

Premi

Sao Paulo Film Festival: Premio della critica, Menzione speciale della giuria Cannes 2013: Premio Gillo Pontecorvo, Un certain regard Festival de Morelia, Messico: Premio del pubblico, Miglior film opera prima Mar del Plata, 2013: Miglior film


15-16 febbraio 2014

No

[No - I giorni dell’arcobaleno] Drammatico, Pablo Larraín Cile/Messico 2012, 118’

Nel 1988 il dittatore militare cileno Augusto Pinochet, a causa della pressione internazionale, è costretto a indire un referendum allo scopo di rimanere alla guida del paese. Il popolo dovrà decidere se far restare Pinochet al potere per altri otto anni. I leader dell’opposizione convincono un giovane pubblicitario, di nome René Saavedra, a condurre la campagna per il NO. Con pochi mezzi a disposizione e sotto il controllo costante del dittatore, Saavedra e il suo team concepiranno un ambizioso progetto per vincere le elezioni e liberare il paese dall’oppressione. Cast Gael García Bernal, Alfredo Castro, Antonia Zegers, Luis Gnecco

Premi

Cannes 2012: Art Cinema Award Abu Dhabi Film Festival: Miglior attore


O ano em que meus pais saíram de férias [L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza] Drammatico, Cao Hamburger Brasile, 2006, 110’

Anni ‘70: Mauro, un ragazzino di dodici anni, vive in Brasile. Improvvisamente i genitori sono costretti a fuggire a causa delle loro idee politiche e lo lasciano dal nonno. In una memorabile estate, Mauro incontra personaggi indimenticabili che lo portano a diventare protagonista di piccoli e grandi eventi della storia del proprio paese. Cast Michel Joelsas, Daniela Piepszyk, Germano Haiut, Simone Spoladore, Caio Blat

Premi

Rio de Janeiro Film Festival: Premio del pubblico Sao Paulo International Film Festival: Miglior film, Premio speciale della giuria Lima International Film Festival: Premio del pubblico ABC, brasiliano Society of Cinematographers: Miglior fotografia, Miglior scenografia, Miglior montaggio, Miglior sound design Premio Giovani Artisti: Miglior attore Sao Paulo Art Critics Association: Miglior sceneggiatura


1-2 marzo 2014

Una Noche [Una Noche]

Drammatico, Lucy Mulloy Cuba/USA/Gran Bretagna 2012, 90’

Accusato di aggressione e sentendosi prigioniero all’Avana, Raul è costretto a fuggire. Egli implora il suo migliore amico, Elio, di abbandonare tutto e di aiutarlo a raggiungere la terra proibita, 90 miglia oltre l’oceano. Elio viene messo a dura prova nel portare avanti un impegno che lo lacera: aiutare la fuga di Raul e proteggere la sua gemella, Lila. Cast Anailín la Rua de la Torre, Dariel Arrechaga, Javier Nuñez Florian

Premi

Tribeca Film Festival: Miglior attore, Migliore nuovo direttore, Migliore fotografia


El chico que miente Drammatico, Marité Ugas Venezuela 2010, 100’

Un tredicenne intraprende un viaggio lungo la costa venezuelana, raccontando alla gente storie affascinanti sull’enorme marea di fango che dieci anni prima si era abbattuta sulla sua comunità. Secondo i fatti da lui narrati, la madre potrebbe averlo salvato o il padre potrebbe essere morto. Ma le contraddizioni delle storie svelano pian piano una parte della verità e chiariscono il passato. Cast Iker Fernández, Francisco Denis, María Fernanda Ferro

Premi

Festival Latino de Flandres: Miglior film


8-9 marzo 2014

Saneamento Básico, o Filme Commedia, Jorge Furtado Brasile 2007, 112’

Una piccola comunità italo-brasiliana dello stato di Rio Grande do Sul cerca di risolvere i problemi legati al servizio sanitario di base del paese. Si scopre che il Comune non dispone di fondi per realizzare le fognature, ma solo per il cinema. Pur non essendosi mai cimentati in un film, gli abitanti decidono di fare un horror su un mostro emerso dalle acque inquinate, sperando di guadagnarci e di poter realizzare le opere fognarie. Una commedia apparentemente ingenua, che si rivela in realtà un racconto poetico, ricco di trovate. Cast Paulo José, Tonico Pereira, Fernanda Torres, Wagner Moura, Lázaro Ramos, Camila Pitanga


Edificio Royal Commedia, Iván Wild Colombia/Venezuela 2012, 90’

Nell’Edificio Royal, prestigioso palazzo dell’umida città colombiana di Barranquilla, dove gli antichi splendori sono soltanto un vago ricordo, tutto è ormai fuori da ogni controllo. Zolia, proprietaria di mezza età, e gli altri inquilini pendono dalle labbra di un psicologo della TV. Julio, impresario di pompe funebri, ha litigato con un cliente e deve tenere un cadavere in salotto, gettando la moglie in preda allo sgomento. Nel frattempo l’anziana Graciela, per cercare in tutti i modi di preservare le illusioni del marito, tiene in casa un ritratto di Tom Cruise, convincendolo che è del figlio, pilota dell’aviazione militare. Tutto può succedere in un palazzo decadente come questo, dove la vita quotidiana è semplicemente assurda. Cast Jorge Perugorría, Beatriz Camargo, Fabio Restrepo


22-23 marzo 2014

Lake Tahoe [Sul lago Tahoe]

Drammatico, Fernando Eimbcke Messico 2008, 89’

Un adolescente va a sbattere contro un palo con la macchina dei genitori e cerca di trovare i pezzi di ricambio per farla ripartire. Allo stesso tempo, piange la recente scomparsa del padre. Il titolo deriva da un adesivo del Lago Tahoe attaccato sul paraurti della macchina. Cast Diego CataĂąo, Hector Herrera, Daniela Valentine

Premi

Festival Internacional de Cine de Cartagena: Miglior immagine


Violeta se fué a los cielos [Violeta Parra Went to Heaven]

Drammatico, Andrés Wood Cile/Argentina/Brasile 2011, 110’

Una biografia della cantante folk, poetessa e pittrice Violeta Parra, piena della sua musica, dei suoi amori, delle sue speranze. In sottofondo anche la canzone, “El gavilán”, lo sparviero, composta a Parigi nel 1959, metafora dell’amore traditore e omicida. L’attrice Francisca Gavilán (l’omonimia è del tutto casuale) riesce a dare una straordinaria interpretazione delle composizioni più famose di Violeta Parra. Cast Francisca Gavilán, Thomas Durand, Stephania Barbagelata, Patricio Ossa

Premi

Premios Pedro Sienna, Cile: Miglior film, Miglior direzione artistica, Miglior attrice femminile, Migliori costumi Sundance 2012: Vincitore World Cinema Dramatic Competition Festival del Cine Iberoamericano de Huelva: Miglior regia, Miglior attrice Círculo de Criticos de Arte de Chile: Miglior film Premios Altazor, Cile: Miglior regista, Migliore sceneggiatura, Migliore attrice Festival Unasur Cine: Miglior attrice, Miglior trucco Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano de La Habana, Cuba: Premio Glauber Rocha


29-30 marzo 2014

El abrazo partido [L’abbraccio perduto]

Commedia, Daniel Burman Argentina 2004, 99’

La vita di Ariel si svolge quasi esclusivamente all’interno di un centro commerciale nel centro di Buenos Aires, dove la madre gestisce un negozio di biancheria femminile. La sua famiglia è di origine ebreo/polacca e i nonni sono arrivati in Argentina per scampare all’Olocausto. A differenza dei suoi coetanei, Ariel non è alla ricerca delle proprie origini per ottenere un passaporto e andare a far fortuna in un altro paese. È spinto dalla voglia di conoscere qualcosa sul passato della sua famiglia, di capire i motivi che hanno spinto il padre a lasciare il Sud America poco dopo la sua nascita per andare a combattere in Israele, senza più ritornare. Ma vuole capire anche come mai questo ha lasciato indifferenti la madre e i fratelli. Tutte queste domande troveranno risposta, alla fine, con il ritorno del padre. Finalmente Ariel potrà conoscere la verità... Cast Daniel Hendler, Rosita Londner, Jorge D’Elía, Adriana Aizemberg

Premi

Bangkok World Film Festival: Miglior film Berlin International Film Festival: Orso d’Argento, Miglior attore per Daniel Hendler, Gran Premio della giuria, Miglior regia Lleida Latin American Film Festival: Miglior regia, Miglior film, Premio ICCI sceneggiatura Clarín Awards: Miglior film, Miglior sceneggiatura, Migliore attrice non protagonista per Adriana Aizemberg Argentine Film Critics Association: Argento Condor, Migliore attrice non protagonista per Adriana Aizemberg


Contracorriente Drammatico, Javier Fuentes-León Perù 2009, 100’

Un’insolita storia di fantasmi sulle rive della costa peruviana. Miguel - bello, giovane e amato - fa il pescatore in un piccolo villaggio, con tradizioni religiose profondamente radicate. Nasconde la sua omosessualità dietro il paravento di un matrimonio felice con la moglie Mariela, che lo ama e aspetta da lui un figlio. Nel frattempo, Miguel porta avanti in segreto un’intensa storia d’amore con Santiago, un pittore della capitale. Dopo l’accidentale morte per annegamento di Santiago, gli si presenta il suo fantasma, chiedendo a Miguel di cercare il corpo e seppellirlo secondo le tradizioni locali, perché la sua anima possa riposare in pace. Il protagonista si trova allora a scegliere tra la condanna di Santiago al tormento eterno o la confessione del suo amore a Mariela e a tutto il villaggio. Dovrà affrontare le conseguenze del suo agire e riconoscere chi è davvero, anche se, così facendo, rischia di perdere le persone che ama di più. Cast Cristian Mercado, Manolo Cardona, Tatiana Astengo

Premi

Miglior immagine per il Consejo Nacional de Cinematografia, Perù


5-6 aprile 2014

Un Cuento Chino [Cosa piove dal cielo?]

Commedia, Sebastián Borensztein Argentina 2011, 93’

Roberto è il burbero proprietario di un negozio di ferramenta a Buenos Aires. Vive da vent’anni senza avere quasi alcun contatto col mondo, dopo un evento che l’ha profondamente e drammaticamente segnato. Il caso porta sulla sua strada Jun, un cinese appena arrivato in Argentina senza conoscere una parola di spagnolo, in cerca di uno zio, l’unico parente che gli resta. Incapace di abbandonarlo, Roberto lo accoglie in casa: attraverso una singolare convivenza, troverà il modo di risolvere la sua grande solitudine, non senza aver svelato all’impassibile, eppure tenerissimo Jun, che le strade del destino hanno tali e tanti incroci in grado di svelare anche la surreale sequenza d’apertura: la mucca pezzata che piomba dal cielo. Cast Ricardo Darín, Ignacio Huang, Muriel Santa Ana

Premi

Roma Film Festival: Miglior film, Premio del pubblico Premios Goya: Miglior film ispano-americano


Infancia clandestina Drammatico, Benjamín Ávila Argentina/Brasile 2011, 112’

Argentina, 1979. Juan è un ragazzo costretto a vivere in esilio, sotto falso nome, insieme ai genitori e allo zio, attivisti contro la dittatura militare. Si innamora della sua compagna di classe Maria. Quando gli viene comunicato che la famiglia deve immediatamente spostarsi di nuovo, la pericolosa sfida della sua falsa identità lo porterà a fare i conti con la possibilità di rinunciare agli amici e all’amore. Cast Cesar Troncoso, Natalia Oreiro, Ernesto Alterio, Teo Gutierrez Moreno, Violeta Palukas

Premi

Festival Internacional Unasur: Miglior film di finzione Argentina Film Critics Association: Argento Condor per il Miglior film, Miglior regista, Miglior attrice per Natalia Oreiro, Migliore attrice non protagonista per Cristina Banegas, Migliore sceneggiatura di Benjamin Avila e Marcelo Muller Academia de las Artes y Ciencias Cinematográficas de la Argentina: Premio Sur per Miglior film, Miglior regista, Miglior attore per Ernesto Alterio, Migliore attrice per Natalia Oreiro, Miglior attore non protagonista per Cesar Troncoso, Migliore attrice non protagonista per Cristina Banegas, Migliore sceneggiatura originale, Miglior montaggio, Migliori costumi


Associazione Culturale Dello Scompiglio via di Vorno 67 55012 Vorno, Capannori (LU) info.ac@delloscompiglio.org www.delloscompiglio.org Soci fondatori

Cecilia Bertoni direttrice artistica Marialucia Carones Michela Giovannelli organizzazione generale Co-direttore per le arti visive

Angel Moya Garcia Segreteria organizzativa

Salvina Rosso, Elisa Di Meo Addetto stampa

Angelica D’Agliano Progettazione grafica

Alessandra Mezzetti Direzione tecnica

Paolo Morelli

Responsabile allestimenti

Cipriano Menchini Biglietteria

Maria Ilaria Panuccio

Nuovissimo

Rassegna sul Cinema Latinoamericano Contemporaneo a cura di José Gatti e Suzy Capó 1 febbraio - 6 aprile 2014 SPE - Spazio Performatico ed Espositivo Tenuta Dello Scompiglio Testi

José Gatti, Suzy Capó, Mariarosaria Fabris Traduzioni

Maria Ilaria Panuccio Consulenza Ufficio Stampa

Giovanna Mazzarella

Si ringraziano tutti i collaboratori del Progetto Dello Scompiglio che hanno, nelle forme più varie, contribuito alla realizzazione della rassegna




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