Volontariato e Amministrazione di sostegno

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PRESENTAZIONE STUDI SOCIALI

Il CSV “Società Solidale” ha accolto l’idea di un gruppo di volontari Amministratori di Sostegno – AdS - o Tutori di approfondire il tema dell’Amministrazione di Sostegno, articolato, delicato e complesso, per promuovere il Volontariato proponendo forme alternative in grado di rispondere alle nuove esigenze e di stare al passo con i cambiamenti normativi. Ne sono scaturiti: un corso di formazione, presentato dall’associazione Ruota Amica di Bra, in collaborazione con il Consorzio INTESA ed alcuni volontari iscritti in altre associazioni del territorio, prima ed un convegno pubblico di divulgazione del percorso intrapreso, poi. Il convegno si è tenuto a Bra il 9 giugno 2007. Quanto emerso durante l’incontro è riportato sul terzo supplemento “Studi Sociali” per valorizzare la solidarietà e far conoscere la possibilità di offrire aiuto anche con il nuovo istituto dell’Amministrazione di Sostegno. Un servizio coadiuvato dalle Istituzioni, ma in grado di abbinare le qualità e i valori tipici del Volontariato e del rapporto tra Volontario e “utente” o “assistito”: la gratuità, la spontaneità, l’affetto. Sulle pagine di “Studi Sociali” sono riportate le relazioni discusse a Bra, nella convinzione che altri Volontari si possano interessare e avvicinare all’Amministrazione di Sostegno e che anche in altre città della provincia di Cuneo si costituiscano gruppi di Amministratori o Tutori. Auspicandoci che “Studi Sociali” sia per le Organizzazioni di Volontariato della Granda uno strumento di approfondimento e di promozione della cultura della solidarietà, auguriamo una piacevole lettura chiudendo con questa massima: “Nessuno è tanto povero da non aver nulla da dare e nessuno è tanto ricco da non aver nulla da chiedere”. Giorgio Groppo Presidente CSV Società Solidale

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VERSO UN VOLONTARIATO DEI DIRITTI Giorgio Groppo Presidente CSV Società Solidale

(Sintesi intervento) Le indagini e gli studiosi ipotizzano come prossimo stadio evolutivo del Volontariato il Volontariato a Tutela dei diritti. Gradatamente, dunque, si sta passando da un Volontariato riparatorio, di soccorso, assistenziale ad un Volontariato anticipatorio, di prevenzione e di tutela dei diritti. Una tendenza evolutiva di questo tipo implica di pari passo una crescente qualificazione e specializzazione della solidarietà. I volontari devono percorrere nuove strade di generosità per riuscire ad offrire non solo tempo prezioso, ma anche un servizio efficace. In questa via si inserisce la nuova figura dell’Amministratore di Sostegno in generale e del Volontario Amministratore di Sostegno in particolare. Una figura moderna che supera disposizioni normative talvolta eccessivamente limitanti a livello sociale, come l’istituto dell’interdizione, per conferire un valore aggiunto alla relazione di aiuto, un apporto nella sfera della tutela dei diritti e non solo del soccorso, partendo dal presupposto che i diritti debbano il più possibile rimanere di titolarità del soggetto debole. La vera ricchezza di una persona, in effetti, si misura nelle relazioni interpersonali che è in grado di costruire e di mantenere nel tempo. Privare una persona di relazioni, amicali, affettive o formali che siano, equivale a svuotare un’esistenza di senso. Ecco perché i Volontari Amministratori di Sostegno possono considerarsi pionieri di un’autentica rivoluzione nel campo dei rapporti sociali, una rivoluzione che contribuirà a raggiungere il prossimo stadio dell’evoluzione del Volontariato organizzato. In provincia di Cuneo già sono cominciati gli esperimenti in questa direzione. A Bra, in particolare, è nato un gruppo di Volontari Amministratori di Sostegno, persone già impegnate in altri ambiti della solidarietà che si sono cimentate in quest’impresa benefica. Si può considerare un segno importante, un’apripista ad altre esperienze che il Centro Servizi per il Volontariato della provincia di Cuneo “Società Solidale” non mancherà di affiancare e valorizzare. 3


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L’associazione Ruota Amica di Bra ha presentato al CSV “Società Solidale” un progetto di formazione che è stato approvato e che il CSV ha sostenuto. È emersa, infatti, l’esigenza di approfondire sia gli aspetti legali, contabili e civili della nuova normativa che le modalità di questa relazione di aiuto. Tra febbraio e maggio 2007, si è svolto a Bra il corso di formazione per Amministratori di Sostegno/Tutori volontari, articolato in 24 ore di docenza sulle varie problematiche che interessano l’Amministrazione di Sostegno. I partecipanti hanno ricevuto un kit con materiale informativo e didattico, oltre al Codice Civile aggiornato con le disposizioni della nuova normativa. Il Corso e il Convegno “Amministrazione di Sostegno. Un altro diritto per i soggetti deboli” rappresentano un primo importante passo sulla strada del Volontariato a Tutela dei Diritti, ricordando che uno dei primi diritti è proprio quello di poter sviluppare autentiche relazioni di aiuto.

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PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO “AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO. UN ALTRO DIRITTO PER I SOGGETTI DEBOLI” - BRA 9 GIUGNO 2007 Piero Degetto Presidente Consorzio INT.ES.A.

L’incontro che ci vede qui impegnati stamattina riguarda un tema delicato e complesso riferito alla tutela al sostegno di persone che, per varie motivazioni, risultano essere fragili e parzialmente incapaci, che hanno bisogno di essere guidate e supportate da qualcuno per poter continuare a vivere in modo dignitoso senza recare danno a sé ed ad altri. Sono qui in sala esperti di diversa professionalità e rappresentanti di differenti istituzioni che si trovano a collaborare insieme e a concordare programmi ed interventi a favore di questi soggetti considerati deboli e che perciò vanno seguiti e “tutelati” : seguiranno quindi interventi che ben sapranno spiegare e affrontare questo argomento. Io personalmente come rappresentante legale del Consorzio di cui sono Presidente sono molto interessato e coinvolto. Il Consorzio si occupa in prima persona di queste situazioni ed esercita la tutela di alcune di loro: oggi sono ben 43 le persone in carico, più di altre che vedono coinvolti proprio come Amministratori di Sostegno alcuni volontari che vivono ed operano sul nostro territorio. Di queste 43 situazioni: > 10 sono adulti in difficoltà e anziani non più autosufficienti > 33 sono minori che non hanno genitori presenti in Italia o i cui genitori Mi sento quindi responsabile, sebbene io abbia delegato ai tecnici, proprio per le loro competenze nel campo, la gestione concreta dei singoli progetti. L’istituto dell’Amministratore di Sostegno, nato qualche anno fa, ci ha permesso di condividere meglio con altri soggetti queste responsabilità, di discutere su queste esigenze e anche su come collaborare insieme. In questi anni è stato fatto un percorso importante ma vi spiegheranno 5


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meglio i qui presenti giudici, tecnici e volontari che vi hanno partecipato e che a seguire interverranno. Questo percorso, attraverso il progetto stilato in collaborazione con il CSV presieduto da Giorgio Groppo, ha per titolo “ LA CORDATA: la possibilità di continuare a vivere dignitosamente grazie al sostegno della comunità!” questo progetto è stato riconosciuto e premiato a Torino dalla Federsanità nel 2006, proprio per il suo carattere innovativo e per il coinvolgimento costruttivo di più soggetti del territorio. Oggi l’intenzione è di allargare ancora di più il dibattito, di permettere che questa esperienza che noi riteniamo utile e positiva possa continuare, migliorarsi e/o correggersi, se è il caso. Tutto ciò può avvenire con la partecipazione di tutti e con l’interesse diretto di più istituzioni; l’esperienza del Piano di Zona ci ha già fatto capire che quando riusciamo a costruire percorsi condivisi e a non essere da soli, non solo lavoriamo meglio, ma anche razionalizzando le risorse raggiungiamo dei risultati positivi. Buon lavoro!

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INTRODUZIONE AL CONVEGNO “AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO. UN ALTRO DIRITTO PER I SOGGETTI DEBOLI”

Dott. Fabrizio Proietti Il Direttore Generale del Comune di Bra

La finalità del Convegno, che qui oggi ci vede numerosi e di certo interessati, è quella di affrontare un argomento che, seppur forse un po’ nuovo nonostante il suo ingresso nell’ordinamento giuridico dall’inizio del 2004, coinvolge, in modo rinnovato, diverse istituzioni e settori del mondo sociale a favore dei soggetti cosiddetti “deboli”: l’Amministrazione di Sostegno rappresenta infatti, come vedremo, un’opportunità per i singoli cittadini e un servizio utile per tutta la nostra comunità. Pensiamo che questo sia da ritenersi un costruttivo momento di confronto e di approfondimento su questioni che riguardano la nostra realtà sociale ed i bisogni dei cittadini; ci permette di pensare insieme sulle modalità con cui affrontare le richieste dei bisogni e le esigenze di alcune persone che sono più fragili, che hanno necessità di supporti e per i quali è opportuno operare in sinergia. Il Convegno pertanto ha lo scopo di far conoscere l’istituto e di individuare le modalità atte a produrre percorsi integrati per conseguire risultati più funzionali per tutti: per il singolo che richiede aiuto e per la comunità che si sente più responsabile e capace e, dunque, “soddisfatta” se riesce ad accogliere e ad affrontare, magari trovando le soluzioni più adeguate, le esigenze emergenti. Introdurrei questo importante momento di riflessione proponendovi qualche primo cenno e alcune informazioni di carattere generale sul tema; lascerò quindi lo spazio agli esperti e ai relatori, affinché gli stessi possano approfondire e sviluppare, ognuno col proprio specifico, le peculiarità ed il significato che lo caratterizzano. Intanto è utile ricordare che l’Amministratore di Sostegno è una figura, istituita con la Legge del 9 gennaio 2004 n. 6, a tutela di chi, pur avendo difficoltà nel provvedere ai propri interessi, non necessita comunque di ricorrere all’interdizione o all’inabilitazione. Gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, del resto, erano stati pensati per le persone “in condizione di abituale infermità di mente” e “incapaci di provvedere ai propri interessi”, mentre nessuno strumento di tutela era previsto dal nostro ordinamento per quelle perso7


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ne non del tutto in grado di autodeterminarsi, ma solo in difficoltà nel gestire le situazioni, anche elementari, collegate alla vita quotidiana. La gravissima conseguenza era quindi che le situazioni di menomazione meno precarie dell’infermità mentale o ricadevano, con non escludibili forzature, nel regime dell’interdizione o dell’inabilitazione, o non ricevevano alcuna protezione giuridica. La legge pertanto risponde finalmente ad un grave vuoto legislativo, avvertito da tempo presso ampi settori della Società (associazioni, giuristi, medici) che esprimevano l’esigenza di una nuova normativa, rispettosa delle differenti situazioni di disabilità e che consentisse di indicare per ogni “soggetto debole” una persona che si preoccupasse della sua qualità di vita, con un mandato giuridico personalizzato. Ora si delineano brevemente i punti salienti della figura introdotta dalla legge 6 del 2004. Chi è L’Amministratore di Sostegno è dunque colui che tutela persone dichiarate non autonome, che si trovano nell’impossibilità di dover provvedere ai propri interessi. Anziani o disabili, ma anche persone con problematiche diverse, ma che compromettono la loro abilità e limitano le loro possibilità, potranno ottenere, anche in previsione della propria eventuale futura incapacità, la nomina di un Amministratore di Sostegno, che abbia cura della sua persona e del suo patrimonio. L’Amministratore di Sostegno viene nominato dal giudice tutelare e scelto, dove è possibile, nello stesso ambito familiare dell’assistito. Che cosa fa L’ufficio di Amministrazione di Sostegno non prevede l’annullamento delle capacità del beneficiario a compiere validamente atti giuridici ed in questo si differenzia dall’interdizione. E’ una figura non esclusivamente sostitutiva, ma anche protettiva, stimolatrice e che opera eliminando ogni forma di mortificante esclusione laddove questa si rilevi in concreto sproporzionata o inutile o addirittura dannosa. I poteri dell’Amministratore di Sostegno vengono annotati a margine dei registri di stato civile, al fine di consentire a terzi il controllo sul suo operato. Dura dieci anni, ma può essere rinnovato, a meno che si tratti di un parente o del coniuge o della persona stabilmente convivente, nel qual caso dura per sempre, salvo rinuncia o richiesta di revoca dello stesso interessato. Come fare Gli interessati, anche in previsione della propria eventuale incapacità, possono, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, presentare la 8


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richiesta al giudice tutelare della propria zona di residenza o anche domicilio ed entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta, il giudice tutelare provvederà alla nomina dell’amministratore. Il suo decreto è immediatamente esecutivo. Inoltre i responsabili dei servizi sanitari e sociali, se a conoscenza di fatti tali da rendere necessario il procedimento di Amministrazione di Sostegno devono fornirne notizia al pubblico ministero. Dopo questa sintetica introduzione dell’istituto preme evidenziare come questo Convegno sia da considerare un primo punto di arrivo del percorso iniziato un po’ in sordina, circa un anno fa, da un piccolo gruppo di persone che, in collaborazione con gli operatori del consorzio INT.ES.A., dell’ASL CN2, del Giudice Tutelare del Tribunale di Alba e di attenti e capaci volontari, ha cominciato a riflettere, studiare, interrogarsi, confrontarsi. E’ stato realizzato un percorso di formazione, sono emerse disponibilità personali, si sono formulati progetti concreti. Si tratta di un momento di condivisione più allargata e partecipata, che non intende fermarsi qui, ma che andrà avanti nei prossimi anni e, se saremo capaci di continuare a lavorare insieme tenendo conto delle nostre specificità, potrà rappresentare una risorsa preziosa ed un’opportunità di dialogo costruttivo per il nostro territorio e per i suoi cittadini.

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LA CENTRALITÀ DEL SOGGETTO DEBOLE NEL NUOVO DIRITTO Carlo Gnocchi Giudice Tutelare Tribunale di Alba

Le misure di protezione previste dalla Legge per le persone prive in tutto o in parte di autonomia, fino al 2004 erano solamente l’interdizione e l’inabilitazione. Erano istituti abbastanza chiari, come chiare erano le regole e i poteri del tutore e del curatore: il tutore si sostituiva in tutto alla persona tutelata ed aveva anche la possibilità di annullare gli atti compiuti dall’interdetto che potevano costituire un suo danno. L’inabilitazione non ha dato buona prova di sé, il curatore non ha tra i suoi compiti la cura della persona, la quale in sostanza può fare quello che vuole. Un esempio classico può essere quello dell’anziano che non è autosufficiente, ma vuole a tutti i costi rimanere a casa, anche se non è più in grado di gestirsi: nessuno può intervenire per obbligarlo a curarsi, a fare visite mediche o ricoveri in ospedale, o ad andare in casa di riposo.

L’inabilitazione è stata molto usata con le persone affette da prodigalità, ma anche in questo caso molto spesso non era efficace: infatti la persona inabilitata compie da sola gli atti di ordinaria amministrazione, quindi ad esempio andare in banca e prelevare tutti i giorni dei soldi; anche in questo modo una persona può sperperare il proprio patrimonio. Spesso le persone venivano inabilitate quando erano deboli e fragili e rischiavano di essere circuite. In questo caso però il curatore non può attivare delle azioni di recupero delle cifre che eventualmente la persona ha elargito perché circuita, se non con il consenso della persona interessata che quasi sempre non c’è. L’inabilitazione, pur non essendo stata cancellata dalla L. n.6/2004, di fatto sarà sempre più sostituita dall’Amministrazione di Sostegno. Impostando l’Amministrazione di Sostegno, il Legislatore pensava principalmente alle persone non totalmente incapaci, ad esempio gli anziani quando cominciano i primi segnali di confusione e di disorientamento, oppure le persone affette da tetraplegia, a volte anche giovani, impossibilitate completamente a muoversi, ma non inferme di mente. Queste persone hanno una impossibilità oggettiva di firmare, di seguire il proprio patrimonio, andare in banca, ecc. ma comprendono bene le cose e sono in grado di far capire cosa pensano e cosa vogliono. 11


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Il Legislatore ha pensato ad un istituto più “leggero” dell’interdizione, che in qualche modo stigmatizza e viene vissuto più per il marchio che evoca che per la tutela che assicura. Il concetto ed il nome di “Amministrazione di Sostegno” piace di più. Quali possono essere le differenze tra l’interdizione e l’Amministrazione di Sostegno? – c’è una differenza di costi, in quanto per l’interdizione il soggetto che presenta il ricorso deve nominare un difensore, mentre per l’Amministrazione di Sostegno la Legge prevede che i soggetti autorizzati possano presentare personalmente l’istanza; – c’è una differenza di effetti, in quanto il tutore sostituisce la persona interdetta in tutto, mentre l’Amministratore di Sostegno deve conquistare la fiducia ed il consenso del beneficiario: ad esempio se quest’ultimo vuole avere a disposizione una somma di denaro, si deve fare in modo che la possa avere, ecc. Per questo in un certo senso l’Amministrazione di Sostegno può essere più difficile da gestire che la tutela. Non è facile indicare i criteri distintivi tra interdizione ad Amministrazione di Sostegno. Secondo l’orientamento attuale della Cassazione e della Corte costituzionale l’interdizione e l’inabilitazione hanno carattere residuale e può farsi luogo all’Amministrazione di Sostegno anche in presenza di una totale incapacità di intendere e di volere, a condizione che sia la cura della persona sia l’amministrazione del suo patrimonio non presentino particolari difficoltà, dovendosi compiere un’attività semplice (pagamento rette casa di riposo, percezione della pensione, ecc.). Tale indirizzo prevedibilmente, se rimarrà fermo in futuro, porterà a un aumento delle Amministrazioni di Sostegno e a una diminuzione delle interdizioni e inabilitazioni. Nel caso di tutela, quando la gestione a casa è impossibile, il Giudice Tutelare - G.T. -, in base all’art. 371 del Codice Civile - C.C. -, può autorizzare il ricovero forzato in una struttura. Tale provvedimento, in quanto emesso da un’Autorità Giudiziaria, può consentire l’intervento dei Carabinieri, se necessario. Il limite dell’Amministrazione di Sostegno è che la legge dichiara che ci deve essere una deficienza psichica, non solo una difficoltà o un disagio; è necessario infatti che i servizi che presentano la richiesta alleghino una documentazione medica che accerti la deficienza psichica. Durante l’esame della persona per la quale è stato proposto l’Amministratore di Sostegno, il G.T. fa alcune domande: non tanto quelle classiche relative al valore del denaro, al valore dell’euro, ma ad esempio quelle che riguardano la propria pensione: le persone anziane, per poco che siano consapevoli di se stessi, sanno bene della propria pensione! A volte non è tanto facile capire bene le difficoltà delle persone; alcuni comportamenti spesso, più che indicatori di patologie, sono semplicemente dei modi di vivere, delle bizzarrie. 12


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Per le persone in coma è preferibile l’interdizione, perché così il tutore può dare lui il consenso alle prestazioni mediche. La legge che istituisce l’Amministrazione di Sostegno consente di superare eventuali contrasti tra amministratore e beneficiario facendo ricorso al giudice tutelare (art.410 cc). Può anche succedere che l’Amministrazione di Sostegno sia richiesta dai parenti per qualche fine strumentale, oppure i parenti chiedono una procura notarile e poi agiscono senza nessun controllo. Il G.T. che deve procedere alla nomina di un Amministratore di Sostegno o di un tutore, spesso si trova molto in difficoltà perché non sa nulla della persona, se non quello che è scritto nel ricorso per l’Amministrazione di Sostegno; in genere non sa nulla del patrimonio, della situazione familiare. In situazioni molto complicate, con patrimonio consistente, non viene nominato un Amministratore di Sostegno o un tutore Volontario, ma un professionista che sia capace di gestire situazioni patrimoniali ingarbugliate e difficili. Non può essere nominato Amministratore di Sostegno l’operatore dei servizi sociali: questa norma è molto opportuna, perché se le due figure si sovrapponessero, potrebbe crearsi un conflitto di interessi, come se coincidessero il controllore e il controllato. La linea di tendenza comunque è di dichiarare sempre di più Amministrazioni di Sostegno e, raramente, interdizioni. Quando c’è un tutore, ci deve essere anche un protutore, che entra in funzione quando il tutore è assente per un qualunque motivo. Per il tutore valgono gli articoli 414 e seguenti del C.C. Per quanto riguarda le necessarie autorizzazioni del G.T., vale l’art. 374 del C.C. Per gli atti di ordinaria amministrazione, cioè quelli che non incidono sul patrimonio, non occorre l’autorizzazione del G. T., perché il tutore si sostituisce alla persona. Per gestire una tutela o un’Amministrazione di Sostegno, è utile seguire alcune indicazioni concrete: – fare tutti i movimenti dal conto bancario, in modo che per rendicontare ci si può basare sugli estratti conto della banca. – eliminare libretti bancari, utilizzare i conti correnti, così non c’è il problema – di dove conservare il libretto – tenere possibilmente un unico conto corrente, in modo che tutte le operazioni appaiano dall’unico estratto conto – non usare libretti al portatore, né conti cointestati, ma preferire la forma del conto corrente intestato solo alla persona con l’annotazione che è in tutela o in Amministrazione di Sostegno. È utile tenere presente che il tutore, in quanto si sostituisce in tutto alla persona, non ha bisogno dell’autorizzazione del G.T. per compiere l’ordinaria amministrazione, anche se le banche per loro maggiore cautela esigono il provvedimento del G.T. e vogliono l’indicazione della cifra massima che il tutore può prelevare. 13


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Per l’Amministratore di Sostegno è necessario attenersi scrupolosamente al provvedimento di nomina: lì sono indicati i suoi poteri ed i suoi limiti. Per il tutore invece, i poteri sono dettati dalla legge. A volte, soltanto quando si entra in funzione, si capisce quali sono le esigenze del beneficiario, quindi le spese necessarie, correlate alle sue possibilità economiche. Allora si può fare una istanza di autorizzazione al G.T. avanzando delle proposte precise. Ogni istanza al G.T. comporta l’apposizione di una marca da bollo di euro 8,21: questa spesa non deve essere fatta dal tutore o dall’Amministratore di Sostegno, ma è giusto che vengano utilizzati per questo i soldi del beneficiario. Il G.T. ritiene che sia utile che i provvedimenti non siano tanto rigidi, perché in questo caso paralizzano, bloccano; è bene dare fiducia al tutore e all’Amministratore di Sostegno, fare in modo che sia attivo, intraprendente: l’unica cosa che non deve fare è rubare i soldi al suo tutelato o al suo beneficiario.

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L’IMPEGNO DEI SERVIZI SOCIALI SUL FRONTE DEI DIRITTI Luigina Bima Responsabile Area Territoriale Consorzio INT.ES.A.

Il servizio sociale sul fronte dei diritti Nonostante l’audacia del titolo, mi limiterò ad un argomento più circoscritto, inerente al tema di oggi, anche se il titolo così come è stato formulato sarebbe molto stimolante e potrebbe costituire un’interessante pista di studio e di ricerca per il servizio sociale, ma questa sede non può permettere una trattazione completa. Come premessa, vorrei fare una dedica. Pensando alle riflessioni da condividere con voi con questo mio breve e semplice intervento, mi è sembrato bello dedicare questi pensieri ad una persona per me carissima che da qualche anno è volata in paradiso. Questa persona mi ha fatto vivere un’esperienza professionale ed umana molto bella. Mi riferisco a Carla che è stata ricoverata in ospedale psichiatrico a Racconigi nel 1934 quando aveva otto anni. La sua malattia, o meglio la sua “colpa” era di avere un grande gozzo da ipertiroidismo. La sua famiglia l’aveva abbandonata e non se ne aveva più traccia. È stato il servizio sociale dell’ospedale psichiatrico che l’ha rintracciata a seguito di una ricerca anagrafica. La mamma si era costruita una nuova famiglia, a cui non aveva rivelato l’esistenza di una figlia in manicomio, tuttavia aveva aderito al nostro invito ed aveva anche accettato di ospitare Carla a casa sua per due o tre volte a Natale e Pasqua. Poi la signora è deceduta, proprio quando Carla aveva cominciato ad assaporare questo rapporto, carico per lei di tante aspettative. Alla sua morte, Carla ha riversato su di me, quale assistente sociale che si occupava di lei, l’affetto, le speranze, i sogni che con sua mamma non aveva potuto realizzare. Quando come Servizio sociale, insieme agli altri operatori sanitari, siamo riusciti a preparare e poi ad attuare la sua dimissione, abbiamo scelto una struttura di Bra, per poter dare valore al legame forte che si era instaurato con la sottoscritta. Così, nel ’96 Carla è venuta ad abitare a Bra, in una casa di riposo: era in una camera da sola, che lei viveva con un forte senso di possesso. Era la sua reggia. Raccoglieva tutto quello che le passava tra le mani e lo teneva, lo accumulava. La sua camera era stipata all’inverosimile di Madonne, di borse, di bambole, di fiocchetti, di cartoline. Carla, anche vivendo in un ambiente sereno e rispettoso, non è riuscita a superare la paura dei medici e la paura del bagno: la vita del manicomio con le sue pratiche violente l’aveva segnata per sempre. Mi aspettava sempre e quando mi vedeva già dalla finestra, si preparava a farmi festa. Carla è volata in paradiso il 30 gennaio 2000: la sua vita era stata 62 anni di segregazione in manicomio e 4 anni di serenità! Sul biglietto che la ricorda, abbiamo scritto le 15


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sue caratteristiche, cioè la sua gioia di vivere, il suo amore ai fiori, ai colori, a tutte le cose belle. Abbiamo scritto anche che nei suoi occhi azzurri c’era lo stupore e la tenerezza di chi sa voler bene e sa farsi voler bene. E poi ancora che la sua “è stata una grande storia d’amore….” La sua vicenda umana, di bambina chiusa a otto anni in un manicomio di adulti, solo perché aveva il gozzo e forse – ma di questo non sono assolutamente sicura – un po’ insufficiente mentale, e poi “liberata” a 60 anni, per vivere qualche anno ancora di serenità, mi ha segnata. Sono contenta di parlare di lei e di dire quanto è stata importante per me, quante cose ho imparato da questa esperienza. Dai diritti negati ai diritti e alla dignità restituita, riconosciuta. Vorrei che tutti sapessero quanto lavoro in questo senso hanno fatto tutti gli assistenti sociali che hanno lavorato nel nostro e nei tanti ospedali psichiatrici: quanto difficile lavoro, a volte contro tutto e contro tutti, quanta passione per dare dignità, riconoscere i diritti delle persone! Fatta questa premessa, mi sembra utile, molto semplicemente, fare un accenno al lavoro che stiamo portando avanti in questi ultimi due anni: quando da parte del nostro servizio abbiamo fatto le prime segnalazioni per proporre l’apertura dell’Amministrazione di Sostegno, ci siamo trovati di fronte ad alcune situazioni di persone molto in difficoltà, che non avevano intorno una rete parentale o amicale. Dovendo proporre, prima di tutto a loro e poi al Giudice Tutelare una figura di Amministratore di Sostegno, abbiamo pensato di chiedere la disponibilità di cittadini di buona volontà che già conoscevamo, i quali hanno accettato la nostra proposta. Da parte loro però ci è arrivata una forte sollecitazione: “cosa vuol dire Amministrazione di Sostegno? Come si fa?” Abbiamo deciso che, pur non avendo una risposta pronta ad ogni domanda, poteva essere utile trovarci tra operatori e Amministratori di Sostegno volontari per confrontarci, condividere, costruire un pensiero comune. Nel mese di febbraio 2006 abbiamo cominciato a trovarci una volta al mese, scoprendo con interesse che l’Amministrazione di Sostegno presentava molte sfaccettature e che valeva la pena approfondire. In merito a questo abbiamo avuto un incontro il 30 settembre 2006 con il Dott. Pazè, che ci ha spiegato soprattutto il senso, la portata di questa riforma introdotta con l’Amministrazione di Sostegno. Questo incontro ha stimolato ulteriormente il desiderio di conoscere meglio i vari aspetti di questa tematica e così l’associazione Ruota Amica ha proposto al Centro Servizi per il Volontariato il progetto di un corso di formazione per Amministratori di Sostegno e tutori volontari. Il corso, di circa 20 ore, si è svolto presso il Consorzio da gennaio a maggio 2007. Il convegno di oggi vuole in un certo senso chiudere la prima fase di questo nostro lavoro. Sicuramente il gruppo proseguirà il suo cammino, coinvolgerà nuove persone, attiverà nuove iniziative, approfondirà ulteriormente il senso di questo impegno. 16


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Entrando nel merito del mio tema, il mio riferimento ai diritti delle persone è molto semplice; per me assistente sociale è anche affermato con forza nel Codice deontologico che riguarda la mia professione. Vorrei semplicemente pensare ai “diritti” come a dei capisaldi, dei punti fermi, irrinunciabili, per una società ordinata e organizzata, che riconosce la dignità di ogni persona come valore fondamentale. Voglio solo ricordare l’art. 10 del Codice deontologico che dice: “l’assistente sociale deve salvaguardare gli interessi ed i diritti degli utenti in particolare di coloro che sono legalmente incapaci e deve contrastare situazioni di violenza o di sfruttamento nei confronti di minori, di adulti in situazioni di impedimento fisico o psicologico, anche quando le persone appaiono consenzienti”. Possiamo dunque dire che la salvaguardia degli interessi e dei diritti delle persone è un valore intrinseco per la professione dell’assistente sociale, valore irrinunciabile, da perseguire con ogni impegno. Il Codice deontologico non soltanto promuove la salvaguardia degli interessi e dei diritti dei singoli, ma afferma le responsabilità dell’assistente sociale nei confronti della società; dice infatti all’art. 25 che l’assistente sociale…. “deve contribuire a promuovere e sostenere processi di maturazione e responsabilizzazione sociale e civica, favorire percorsi di crescita anche collettivi, che sviluppino sinergie e aiutino singoli e gruppi in situazioni di svantaggio”. Credo che questi principi trovino una puntuale applicazione nel lavoro che il servizio sociale sta facendo, rivolto, da una parte, alla protezione delle persone fragili e, dall’altra, alla responsabilizzazione della comunità. Vorrei ancora raccontare una vicenda professionale che per me è stata molto importante, e mi ha fatto capire quanto era necessario che le leggi prevedessero la possibilità di tutelare senza stigmatizzare negativamente le persone. Durante il lavoro in ospedale psichiatrico, ho potuto vedere tante tutele a favore, o meglio a danno di molti pazienti ricoverati in manicomio. Le tutele servivano soprattutto per le pensioni, oppure nel momento in cui era necessario sottoscrivere un atto notarile di accettazione di un’eredità o di alienazione di un bene. Ricordo che quanto più acquistavo consapevolezza di quanto c’era dietro ad ogni situazione di tutela, tanto più perdevo la pace. Con i miei colleghi ci siamo impegnati molto, per garantire che la dignità di ogni singola persona fosse riconosciuta. Gli strumenti però erano ben pochi, purtroppo. Ho ben presente la situazione di un uomo ricoverato da diversi anni, ma lucido, intelligente, per il quale i fratelli avevano attivato la procedura per l’interdizione per poter poi fare l’atto di vendita della parte della casa di famiglia che era di sua proprietà. Non era più in regime di “coatto”, ma bensì di “Volontario”, per cui non era obbligatoria la tutela. Con i miei collaboratori ci eravamo indignati sul fatto che questo signore venisse dichiarato “incapace di intendere e di volere”; con l’aiuto di una avvocato particolarmente sensibile a queste problematiche, che aveva presentato opposizione, il Tribunale competente aveva 17


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ritenuto di non dover dichiarare l’interdizione. Arrivato il giorno dell’atto notarile, io l’avevo accompagnato a casa, rispiegandogli come avrebbe dovuto comportarsi per l’atto di vendita a suo fratello. Purtroppo però il mio ricoverato non ha saputo resistere alla seduzione di un pintone di vino buono ed alle dichiarazioni di affetto del fratello. “Come potevo dire di no a mio fratello?” Così si è trovato senza casa e non ha mai visto nulla della cifra che è stata dichiarata sull’atto notarile come corrispettivo della vendita effettuata. Ho dovuto pensare che forse, attivandomi per oppormi alla interdizione, non ho fatto il suo interesse, ma gli ho arrecato un danno dal punto di vista economico: salvaguardare la sua dignità di persona con capacità di agire, non si conciliava con la difesa del suo interesse economico. Il nostro ricoverato, si è ritrovato, come tanti suoi compagni ricoverati, senza beni e senza soldi. Questa vicenda, come tante altre di uomini e donne che ho conosciuto in manicomio, annientati nei loro diritti civili, nel loro esistere nella società, nelle loro famiglie mi ha fatto capire e sognare la possibilità di tutelare, proteggere, difendere senza stigmatizzare, riconoscendo anziché togliendo i diritti. Ho capito anche, per tante esperienze che ho vissuto professionalmente, che le persone in difficoltà hanno bisogno di una persona che stia al loro fianco, che cammini con loro nella quotidianità, che le aiuti, in ciò che non possono fare da sole, ma che valorizzi anche le capacità e le abilità che ancora possiedono. Dunque, è veramente importante che da qualche anno si sia fatto strada il concetto di “protezione” ed il concetto di “diritto al sostegno”. Questi termini “protezione” e “sostegno” richiamano necessariamente una relazione tra due soggetti: una persona fragile, portatrice di bisogni che da sola non riesce a soddisfare ed una persona definiamola “forte”, capace di comprendere questi bisogni, di trovare le soluzioni adeguate nel rispetto della sua dignità e delle sue capacità. Il senso pieno della “protezione” e del “sostegno” si realizza innanzitutto in questa relazione interpersonale, che è la base fondamentale perché l’ incarico da parte del Giudice Tutelare abbia un solido fondamento. Nella pratica professionale di assistente sociale, mi sono occupata tante volte di persone povere perché depauperate, anzi derubate dei loro beni: deleghe in bianco, conti cointestati troppo presto prosciugati…..In tante altre situazioni, il servizio sociale si deve occupare di persone fragili che non ce la fanno da sole a gestire le loro poche o tante sostanze ed in poco tempo scivolano nella povertà, al di sotto della soglia di sopravvivenza. In alcuni casi, avendo poche risorse, vengono scelte le spese superflue e tralasciate quelle necessarie. In altri casi, i servizi sociali si occupano di persone con disagio psichico, senza il sostegno e la guida di una famiglia, che sono facile preda di persone senza scrupoli, abili ad ingannare, sedurre, circuire…in questi casi può succedere che la persona si senta frastornata, non sappia più a chi dare 18


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retta, vada in confusione…anche in questi casi è importante pensare al “diritto al sostegno”… La riforma delle misure di protezione, introdotta con la legge 6 del 2004, ci porta a considerare, se ho capito bene, che il presupposto dell’intervento protettivo non sia solo l’infermità mentale o la menomazione di vario genere, ma gli effetti, cioè l’incapacità della persona a comprendere, a compiere delle scelte e a curare in modo adeguato i suoi interessi: questo amplia di gran lunga la fascia delle persone che possono essere segnalate per l’Amministrazione di Sostegno. Partendo di qui, bisogna pensare ad una nuova responsabilità dei servizi in quanto, come dice la legge, all’art. 406, “i responsabili dei servizi sanitari e sociali, direttamente impegnati nella cura e nell’assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura di un procedimento di Amministrazione di Sostegno, sono tenuti a proporre al Giudice Tutelare il ricorso di cui all’art. 407 o a fornirne comunque notizia al P.M.”. I compiti del servizio sociale in merito alla protezione delle persone fragili si possono così riassumere: 1. Orientamento, consulenza e supporto ai famigliari nella presentazione del ricorso per l’apertura dell’Amministrazione di Sostegno e nella gestione di questo ruolo con tutte le relative incombenze. 2. Approfondita attività istruttoria sulle situazioni da segnalare al Giudice Tutelare: infatti la segnalazione stessa deve contenere, come dice l’art. 407, “le ragioni” per cui si richiede l’apertura dell’Amministrazione di Sostegno. Il servizio sociale dunque deve individuare con chiarezza “l’area di fragilità” della persona per poter dunque circoscrivere “l’area del sostegno”. La chiarezza, la completezza di questa fase istruttoria del servizio sociale costituisce la base perché il Giudice Tutelare possa valutare, anche incontrando la persona, quale deve essere il dispositivo del provvedimento, ovvero quali azioni il beneficiario potrà compiere da solo, quali potrà compiere con l’assistenza dell’Amministratore di Sostegno, e in quali azioni dovrà essere sostituito dall’Amministratore stesso. 3. Individuazione del possibile Amministratore di Sostegno, nei casi in cui il beneficiario non individui già lui stesso una persona di sua fiducia. In tanti casi la persona “fragile” – ed è anche questo uno dei motivi della sua “fragilità” – non ha famiglia, né amici, non ha parenti validi e proprio per questo il servizio sociale si sente particolarmente impegnato e responsabile nell’individuare la persona “giusta”. In base alle caratteristiche di ogni beneficiario, il servizio si costruisce l’identikit del possibile Amministrato19


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re di Sostegno: che sia forte, capace di capire i bisogni, le aspirazioni, i desideri e gli interessi del beneficiario e che sia capace di instaurare una buona relazione interpersonale, anche se il beneficiario è una persona difficile, con disagio psichico, con handicap o con disturbi legati all’età senile… Noi riteniamo infatti che la base su cui un Amministrazione di Sostegno si fonda e può dimostrare tutta la sua validità ed efficacia è proprio la relazione di fiducia che l’amministratore sa instaurare con il beneficiario, relazione avvalorata e suggellata dal provvedimento di nomina da parte del Giudice Tutelare. Non basta il provvedimento del Giudice a rendere fruttuosa l’Amministrazione di Sostegno. 4. Collaborazione ed integrazione tra servizio sociale e Amministratori di Sostegno, in particolare quelli volontari che sono stati proposti al Giudice da parte del servizio sociale. A questo proposito il nostro servizio in questi ultimi due anni sta facendo esperienza di una modalità di lavoro assai interessante: in realtà il servizio sociale e l’Amministratore di Sostegno – insieme, pur nella diversità dei ruoli, possono veramente dare un sostegno, una protezione ai cittadini fragili, arricchendo la loro vita, spesso vuota, di una figura importante, che sta al loro fianco e che li aiuta ad affrontare tutte le incombenze quotidiane, nonostante i problemi, il disagio, l’handicap….. Ultimo punto: come devono collaborare gli operatori dei servizi con gli Amministratori di Sostegno volontari? Abbiamo fatto in questi mesi uno sforzo di pensiero per chiarire prima di tutto a noi stessi, quali possono essere i termini della collaborazione. Infatti l’Amministratore di Sostegno non è un operatore, non svolge una professione – in quanto non c’è la professione di Amministratore di Sostegno – non è in tanti casi un parente, non è un amico o almeno non solo, e nello stesso tempo ha un ruolo ufficiale previsto da una legge dello stato e nominato nientemeno che da un Magistrato. Questa figura ha un ruolo tutto da costruire, soprattutto nella collaborazione con le varie professioni dell’ambito sociale e sanitario. Il servizio sociale è stimolato a riflettere, ad elaborare i suoi progetti di aiuto non più da solo, ma con il supporto importante dell’Amministratore di Sostegno. Abbiamo chiarito che i servizi sociale e sanitario – in base alle proprie competenze – devono attuare la “presa in carico” della situazione che loro compete professionalmente. Dopo aver definito il progetto di vita della persona interessata, devono elaborare il progetto di aiuto e di intervento, nella specifica situazione. Tutto questo deve essere fatto tenendo nella debita considerazione il contributo dell’Amministratore di Sostegno, che rappresenta i desideri, le esigenze, le difficoltà del beneficiario. Allora la gestione economica, a cura dell’amministratore, viene riconosciuta nel suo pieno valore in quanto funzio20


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nale alla realizzazione del progetto. Aiutare la persona nell’uso razionale delle sue risorse rende possibile la realizzazione dei progetti e valorizza e rende efficace anche l’intervento dei servizi. In conclusione, vorrei dire che il senso di ricerca, la consapevolezza di dover tracciare un percorso nuovo, il senso di responsabilità che i servizi provano verso la comunità di cui si occupano, insieme alle risorse ed alle energie nuove che la comunità locale sa esprimere, permetterà di fare un ulteriore pezzo di strada insieme, lavorando in stretta sinergia tra servizi sociali, servizi sanitari e magistratura al fine di costruire una rete sempre più protettiva verso le persone che più faticano a vivere.

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UN’ALTRA SFIDA PER IL VOLONTARIATO Giancarlo Burdese Presidente di “Ruota Amica” Amministratore di Sostegno

Consentitemi di apportare una lieve modifica formale al titolo dell’argomento che mi è stato assegnato; quella di chiudere l’enunciato con un punto interrogativo: “Amministrazione di Sostegno, un’altra sfida per il Volontariato?”. Perchè quel punto interrogativo? Ma intanto perchè, concedendoci il beneficio del dubbio, ci consente, intendo dire a noi Volontari, di affrontare questo nuovo impegno, senza un’eccessiva “ansia da prestazione” e poi starebbe lì ad evidenziare i tanti interrogativi che dall’inizio di questa nuova chiamata alle armi noi Volontari ci siamo posti e tutt’ora ci poniamo. Interrogativi del tipo: l’Amministratore di Sostegno è un ruolo che noi Volontari siamo in grado di svolgere? Il Volontario può rientrare tra i soggetti ai quali il legislatore ha pensato, nel formulare la nuova norma? E se sì: che relazione c’è tra il Volontariato e la nuova norma? Quali i nostri compiti? Le nostre responsabilità? Come fare di questo nuovo istituto un servizio veramente efficace? Dal tenore delle risposte emergerà o meno la nostra legittimazione al ruolo. Cercherò di fare un percorso che ci consentirà, alla fine, di togliere di mezzo almeno una parte di questi interrogativi. Leggendo i resoconti dei lavori preparatori della riforma introdotta dalla legge 6 del 2004, già emerge che nella sua lunga gestazione, frequenti sono stati i contributi del mondo del volontariato per approfondire il tema, sino a giungere alla stesura definitiva del testo. E anche nella fase finale, il volontariato svolse un ruolo attivo per sollecitare l’approvazione della legge. Paolo Cendon, Ordinario di Diritto Privato presso l’Università di Trieste e uno dei “padri” della riforma, in suo recente intervento affermò che “........circostanze di varia natura, tra cui la fermezza di alcuni parlamentari, il prestigio dei modelli europei , la coincidenza dell’anno del disabile, le incessanti pressioni a Roma dei gruppi del volontariato, ......, sono valsi, durante l’autunno/inverno 2003, a spianare la strada del successo conclusivo”. Oggi ad approvazione avvenuta, il Volontariato, ancorchè non nominato esplicitamente dalla nuova normativa, è nuovamente coinvolto, come potenziale Amministratore di Sostegno e, dunque, in un ruolo ben più impegnativo. L’Art. 408 del C.C., con l’introduzione delle nuove norme portate dalla 23


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legge 6 individua i soggetti che possono essere incaricati a ricoprire la carica di Amministratore di Sostegno. Il richiamato articolo, recita al primo comma: “..........nella scelta (dell’Amministratore di Sostegno) il Giudice tutelare preferisce , ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio, il fratello o la sorella il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal genitore superstite............” siamo dunque sostanzialmente in ambito parentale. Poi l’articolo prosegue al 2° comma, con disposizioni relative alla revocabilità della designazione; il 3° comma con l’indicazione di categorie che non possono ricoprire la carica; solo al quarto ed ultimo comma il legislatore riprende il discorso dell’individuazione di ulteriori figure designabili: ”Il Giudice Tutelare quando ne ravvisa l’opportunità .................. può chiamare all’incarico di Amministratore di Sostegno anche altra persona idonea... ecc. ecc” Sembrerebbe che la fattispecie “altra persona idonea”, nella quale il Volontario potrebbe essere ricompreso, proprio perchè richiamata al quarto ed ultimo comma, abbia meritato da parte del legislatore minore considerazione rispetto ai soggetti indicati in precedenza. Io credo che questa non sia la chiave di lettura corretta; nè peraltro credo che il Volontario debba porsi un tale problema di interpretazione o di valutazione. Il Volontario, si sa, è per definizione, e per natura, generoso e dunque gli basta scoprire che con l’istituzione dell’Amministrazione di Sostegno, gli si apre un’ “altra” opportunità di servire ed è pronto ad accoglierla. Ma il Volontario ancorchè possa in astratto essere considerato “altra persona idonea” è poi veramente soggetto capace di svolgere correttamente il ruolo? Non basta infatti avere la vocazione; il problema che si pone è la verifica della “idoneità”; dunque il Volontario, ancorché la valutazione di merito sulla sua “idoneità” spetti comunque al Giudice, ha il dovere di capire, egli stesso, se esso sia soggetto “idoneo”, o come possa diventare capace a svolgere correttamente questo ruolo. In ogni caso dunque un preventivo esame di coscienza, in tutta onestà, sarebbe sempre meglio farselo, specie se si pensa che poi, un volta accettato, l’impegno potrebbe durare non meno di 10 anni. Io credo che i Volontari, oggi Amministratori di Sostegno, quando è stato loro chiesto di offrire la propria disponibilità, un esame approfondito di cosa volesse dire realmente l’impegno, non l’abbiano assolutamente fatto. L’abbiamo già detto, il “Volontario” è per sua indole generoso e quando qualcuno chiama di solito risponde; e i volontari hanno risposto numerosi. Poi sono incominciate le prime preoccupazioni, ma più per il timore di non essere all’altezza che non per l’impegno che via via la funzione andava a richiedere sempre più intensamente. 24


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Ci si è confrontati; ci si è riuniti in un gruppo informale di consultazione e di sostegno reciproco, coordinato dai Servizi sociali; l’unione fa la forza e la condivisione dei problemi riscontrati li ha resi più facilmente affrontabili e risolvibili, ma soprattutto ha dato la consapevolezza di operare nel migliore dei modi possibile; il che non vuol dire che sia il migliore in assoluto. Di qui l’esigenza di conoscere di più questo istituto. Ed allora ecco l’idea condivisa con INT.ES.A e sostenuta dal nostro Centro Servizi per il Volontariato di organizzare una serie degli incontri formativo/informativi; ed ora questo Convegno, a suggellare, in un momento pubblico, quanto sinora percorso di quel cammino che nel prosieguo non mancherà di porci di fronte a problemi nuovi, a difficoltà nuove che via via andremo, con responsabilità e con sempre maggior conoscenza, ad affrontare e a tentare di risolvere. Ritornando alla portata della norma, io credo in astratto, che il Legislatore nel formulare quel 4° comma abbia avuto in mente, ancorchè non esplicitamente espressa, anche la figura del Volontario, come “altra persona idonea”; ed io credo che il Volontario, possa già oggi, ma soprattutto in futuro rappresentare una risorsa “preziosa” per far sì che l’Amministrazione di Sostegno funzioni e funzioni bene nel rispetto, non solo delle disposizioni formali della norma, ma nello spirito vero che deve trasferirsi nel rapporto con l’amministrato. Quello stesso spirito, che già aveva ispirato una Legge come la 180, che vuole la persona come figura centrale della riforma, non privata della sua capacità residua, ma anzi aiutata a riacquistarla interamente questa sua capacità grazie al sostegno della di solidarietà che attorno ad essa viene a costruirsi anche tramite la nuova figura dell’Amministratore di Sostegno. Oggi, nel tempo cioè in cui le figure che, convivendo, costituivano, una volta, la famiglia di tipo tradizionale, come padre, madre, figlio, fratello, sorella, zio, nonno o nonna, nipote ecc. ecc, figure tutte richiamate preferenzialmente dal legislatore nel citato art. 408 comma 1°, sono sempre di più solo espressione lessicale del legame giuridico tra persone e sempre di meno protagoniste di concrete relazioni interpersonali vissute insieme nel gruppo famiglia, credo che sempre più il Giudice si troverà a dover ricercare le idoneità necessarie, nella figura indicata dal legislatore al comma 4°, ovvero “l’altra persona idonea” e ad essa il Volontario, in astratto, può sicuramente ricondursi. Ma qui al Volontario oltre alla solidarietà, alla gratuità del gesto, alla generosità disinteressata, alla filantropia, tutte locuzioni queste famigliari al Volontariato ed i verbi che ne rappresentano l’azione sono normalmente coniugati dal Volontario, viene chiesto anche un impegno in campi più specificatamente 25


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“amministrativo-gestionali” e non solo. E dunque il dubbio sulla capacità e sulla idoneità alla nuova missione è sempre presente. I gesti semplici propri del volontariato originario qui diventano complessi; qui ci si deve fare carico di problematiche più complicate; il già citato Paolo Cendon, scrive che l’amministratore deve essere, “disponibile (non solo) come gambe, (ma) come testa… (non solo) tuttofare casalingo, (ma) un po’ manager”. E credo che in questo senso si possa parlare di nuova sfida, che da un lato ci gratifica in quanto ci nobilita, riconoscendoci il diritto di appartenenza ad una categoria dotata di idoneità particolari, ma al tempo stesso ci preoccupa per la complessità del compito. Quell’attributo “idoneo” che non a caso il legislatore ha voluto non rimanesse sottinteso, ma esplicitamente richiamato, potrebbe diventare il nostro vero tormentone. Ma a confortarci interviene ancora il citato Prof. Cendon che ci fornisce considerazioni tranquillizzanti, quando afferma “ Pazienza se colui o colei che è stato prescelto per colmare i vuoti operativi di un disabile potrà dimostrarsi quà e là cultore non eccelso o poco professionale di cose giuridiche....; l’importante è che si tratti di un individuo equilibrato, disponibile come testa e come gambe; possibilmente una creatura generosa non troppo impaziente, con doti spiccate di buon cuore, una presenza attenta alle esigenze, al limite ai capricci, comunque alle cangianti necessità materiali e spirituali della persona amministranda”. Allora il Volontario, con umiltà, si riconosce in questa descrizione perchè sa di possederle, di norma, queste doti; ovviamente spetterà al Giudice valutarne il peso. E dunque il Volontario è pronto e disponibile al nuovo incarico, e per questo si sta anche preparando. Ne è un esempio la serie di incontri formativi informativi organizzati con i Servizi Sociali di cui la giornata di oggi costituisce il 12° appuntamento. Ma l’Amministrazione di Sostegno è un sofisticato meccanismo nel quale solo un corretto funzionamento dei vari ingranaggi che lo compongono garantisce il suo successo. Fuor di metafora il successo (o l’insuccesso) del progetto di sostegno, passa attraverso l’armonico svolgimento dei ruoli di tutti i soggetti chiamati sul palcoscenico a recitare la commedia. E i soggetti sono tanti; in primis l’amministrato, cui compete un ruolo da comprimario conservando tutte le sue specifiche residue capacità e legittime aspettative e poi l’amministratore; ma ruolo primario è ovviamente anche quello del Giudice tutelare che deve essere messo nella condizione di non dover esaurire il suo compito con la firma del Decreto di apertura della Amministrazione e di nomina dell’Amministratore e con saltuarie apparizioni al momento del rilascio di specifiche autorizzazioni, ma che dovrebbe continuare ad essere disponibile sempre, per fornire (per continuare a citare il Profes26


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sor Cendon) “le sue preziose tracce, come guida per il lavoro minuto dell’Amministratore”. Dal che deriva l’esigenza di essere sollevato dai tanti altri incarichi che invece gli vengono attribuiti E poi ci sono i Servizi socio assistenziali e sanitari, soggetti insostituibili e centrali, i quali, sollevati da compiti tecnici di “amministrare” in senso contabile/ ragioneristico, ora possono con maggiore intensità dedicarsi ai ruoli che più propriamente competono loro, così da dare al moto del meccanismo quell’armonia indispensabile quando c’è di mezzo una persona, specie se questa è debole. Abbiamo detto “l’unione fa la forza”; e qui credo che la composizione del “gruppo” sia stata ben concepita dal legislatore che ha formulato, tutto sommato, e dopo il lungo iter che è durato quasi 20 anni, una buona legge sia per contenuti sia come articolazione e nella quale il Volontario, ancorchè chiamato in causa, e non esplicitamente, solo al quarto comma, credo sia in grado di guadagnarsi sul campo il riconoscimemto di una dignità da primi piazzamenti.

Chiudo con un duplice appello

Il primo ai Volontari Noi Volontari ci siamo, ma dobbiamo impegnarci ad esserci sempre di più, perchè sempre di più saranno le esigenze; e dobbiamo esserci consapevoli del nostro ruolo, ma sempre più preparati; a fianco degli altri operatori, accettando la sfida, per fare la nostra parte, con l’umiltà e la generosità tipiche della nostra cultura; dobbiamo esserci perchè crediamo in questo istituto che impariamo a conoscere e ad apprezzare, mano a mano che ne scopriamo i vari risvolti; dobbiamo esserci perchè vogliamo che l’istituto possa trovare la più ampia applicazione possibile, per concorrere ad attuare realmente il cambiamento rilevante nel campo del sostegno alle categorie deboli, che il legislatore si è prefissato; per concorrere a ripristinare nella nostra attuale società dell’egoismo, che è ormai sentimento quasi di tutti, e del benessere, che invece sta diventando sempre di più appannaggio solo di pochi, quel valore aggiunto irrinunciabile, ma tanto trascurato, del rispetto della dignità dell’uomo e della centralità della persona, specie quando si tratta delle persone fragili o emarginate; affinchè le persone deboli possano fruire anch’esse di qualche beneficio. Ma noi sappiamo che non esistono benefici senza costi ed intendo dire costi in senso lato non solo economici; ed allora affinchè l’istituto funzioni e funzioni bene è necessario che tutti siano mobilitati per attivare risorse adeguate e non solo economiche; altrimenti si rischia di vanificare gli obiettivi della legge. 27


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Ed allora il secondo appello va rivolto alla politica; la politica intesa ovviamente come amministrazione pubblica del bene comune, la politica a tutti i livelli: centrale, regionale e locale, e quando parlo di locale non intendo solo riferirmi alla amministrazione comunale, ma a tutti i soggetti che con essa in qualche modo si relazionano perchè espressione della collettività in cui operano; il ruolo della politica intesa in tal senso è essenziale; diventa assolutamente necessario che anch’essa continui a fare la propria parte, che non si è esaurita con l’approvazione di una buona norma; perchè, a cosa serve fare una buona legge se poi attorno ad essa non si coagulano le risorse che ne possano garantire la completa attuazione, se non si creano le condizioni ambientali perchè la legge possa trovare corretta applicazione? E, ripeto, non alludo esclusivamente al momento finale della destinazione delle risorse economiche, che certo è essenziale, ma alla formazione e al consolidamento di una cultura nuova nella comunità che agevoli il percorso tracciato dalla Legge 328 la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, in tema di integrazione degli interventi. Perchè se si crea una certa cultura il resto viene da sè. Per rimanere in campo domestico, oggi l’introduzione della nuova norma e la chiamata in campo del Volontariato, così idoneo, a questo punto possiamo dirlo, a coprire il nuovo ruolo, offre un’opportunità in più, ma al tempo stesso richiede un impegno in più, per il governo locale, nel realizzare il complesso lavoro di coordinamento amministrativo sempre più indispensabile in presenza di sempre minori mezzi a disposizione. E’ necessario dunque che la politica non abdichi al suo ruolo di protagonista nel processo di integrazione introdotto dalla citata 328 in modo che i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia ed efficienza, economicità, in essi richiamati non restino sterile enunciazione. E’ necessario che la politica “non perda la consapevolezza degli stretti rapporti intercorrenti fra il piano dei diritti soggettivi individuali ed il piano delle risposte affidate in concreto all’opera dei Servizi” ed alle altre strutture della solidarietà organizzata che con essi possono e devono integrarsi. Di qui l’impegno degli assessorati e degli altri soggetti aventi vocazioni complementari a quella dell’amministrazione comunale a sostenere i Servizi e gli altri operatori in vista di una maggior efficienza e continuità, specie sul fronte dell’assistenza dove l’Amministratore di Sostegno sarà chiamato ad intervenire con sempre maggior frequenza. Sul piano più propriamente culturale è necessaria infine una politica che nell’offrire “assistenza” pensi, prima di tutto all’“esistenza”; all’esistenza di quelle persone che sovente rischiano di essere dimenticate e dunque di “non esistere” solo perchè “non appaiono”, ma che hanno anch’esse il sacrosanto diritto di vedersi rispettate e riconosciute esattamente come il resto della 28


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società più fortunata, in cui peraltro tentano di vivere e di cui fanno parte, anch’esse, a pieno titolo. E ciò, a scanso di equivoci moralistici o moraleggianti, se non altro perchè una società che non rispetta tutti i suoi cittadini, e soprattutto i più deboli, rischia di non andare da nessuna parte.

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AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO

E PROGETTO TERAPEUTICO Cecilia Dal Cielo Direttore Dipartimento Salute Mentale ASL 18 Alba-Bra

Alcuni pazienti psichiatrici nel corso della loro vita possono necessitare di provvedimenti per la tutela del patrimonio, e tra questi l’Amministrazione di Sostegno. Per descrivere brevemente i quadri di più frequente osservazione nella pratica clinica, mi servirò di una semplificazione nel raggruppamento diagnostico, che non si identifica con alcuna delle classificazioni nosografiche adottate in ambito clinico, ma che può venir utile dal punto di vista didattico: • NEVROSI • PSICOSI • DISTURBI A GENESI ORGANICA Questo raggruppamento ci riporta sostanzialmente alle cause, seppure non sempre note delle malattie psichiche, in quanto il primo raggruppamento è prevalentemente attribuibile ad un disfunzionamento legato ad esperienze ed apprendimenti, infantili o recenti; il secondo gruppo riconosce un’origine multifattoriale, di cui l’aspetto organico, forse ereditario/genetico, rappresenta solo una parte del fenomeno; un terzo raggruppamento che riconosce una causa organica certa e testimoniabile con specifici test clinici/diagnostici. Sono disturbi a genesi organica con prevalenti manifestazioni psichiche/comportamentali: • Oligofrenie • Demenze • Alcolismo • Tossicodipendenze OLIGOFRENIE • Sindromi caratterizzate da deficit dell’intelligenza, congenito od acquisito precocemente. • Il deficit colpisce non solo l’intelligenza, ma anche le altre funzioni psichiche e le condotte. • I fattori ambientali ne condizionano l’evoluzione, nel senso che un contesto sufficientemente contenitivo ma stimolante, accogliente ma anche normativo, faciliterà l’apprendimento da un lato ed un buon funzionamento adattivo. 31


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Sintomo costante è il RITARDO MENTALE che sostanzialmente si evidenzia con • Difficoltà di apprendimento • Lentezza del processo di maturazione • Intelligenza al di sotto della media • Compromissione nel funzionamento adattivo (adattamento sociale) Il ritardo mentale ha gradi diversi di espressività, ma nel caso di insufficienza di grado medio, grave o gravissimo, la compromissione del funzionamento è così evidente da non porre dubbi riguardo alla necessità di assistenza, protezione, eventuale tutela nel caso di possesso di patrimonio. Paradossalmente più problematica la gestione dell’insufficiente mentale di grado lieve, dove alcune aree sono parzialmente conservate ma disarmoniche nel funzionamento complessivo. RITARDO MENTALE LIEVE • I.M. lieve (Q.I. 50-70): le turbe intellettive riguardano essenzialmente le nuove acquisizioni, l’utilizzo delle idee astratte e la debolezza del giudizio e della critica. • La memoria può essere conservata ma mal si integra con le altre funzioni. • L’immaturità affettiva spesso comporta discontrollo degli impulsi. • La personalità è contraddistinta dalla debolezza dell’Io, con caratteri di puerilità e rigidità; l’orizzonte esistenziale è limitato, la capacità d’introspezione pressochè nulla. • Facilmente suggestionabili, incapaci di valido giudizio sull’opportunità delle proprie azioni. • Comportamento variabile: da docile e sottomesso/dipendente a collerico e impulsivo fino alle condotte antisociali. • Condizionamenti ambientali influenzano grandemente l’evoluzione. • Adattamento sociale e capacità lavorativa risultano compromesse in modo più o meno grave. DEMENZA Mentre l’oligofrenia è espressione di una patologia occorsa in età evolutiva, comunque prima dell’acquisizione completa dello sviluppo, la demenza rappresenta un processo patologico che si sviluppa in età involutiva. E’ caratterizzata da: • Decadimento acquisito, globale e progressivo delle funzioni psichiche superiori • riconducibile ad una patologia organica cerebrale. La definizione in sé evidenzia come l’espressività clinica può essere molto diversa a seconda dell’eziologia, a seconda della zona cerebrale lesionata; 32


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potranno quindi prevalere gli aspetti cognitivi (memoria, attenzione, concentrazione, orientamento temporo-spaziale), quelli emotivi (umore, ansia), quelli legati alle funzioni neurovegetative e alle prassie (ritmo sonno-veglia, alimentazione, continenza sfinterica, riconoscimento di luoghi, volti noti, coordinamento ed organizzazione negli atti vitali), con conseguenze importanti dal punto di vista comportamentale (fughe, episodi di aggressività auto o eterodiretti). L’evoluzione più o meno rapida, ma comunque inesorabile, può orientare le previsioni di un progressivo scadimento globale del funzionamento. ALCOLISMO • Abuso di sostanze contenenti alcool etilico tale da arrecare disturbi fisici e psichici al soggetto • Intossicazione acuta e cronica (disturbi somatici e alterazioni della personalità) • Complicanze psichiche dell’alcolismo (delirium tremens, delirio di gelosia, allucinosi alcolica, S. di Korsakoff, encefalopatie e demenze alcoliche). Se di per sé l’alcolismo sta ad indicare una condotta appetitiva per sostanze contenenti alcol e le conseguenze da assunzione in dosi massicce di tali sostanze, (patologie di per sé suscettibili di ritorno ad un funzionamento normale in caso di sospensione), il consumo a lungo termine comporta una serie di lesioni di organi (fegato, cervello) senza possibilità di restituito ad integrum, con deterioramento sul piano fisico, cognitivo, emotivo-affettivo e quindi funzionale. TOSSICOMANIA • Stato di intossicazione periodico o cronico, causato dal consumo ripetuto di una droga naturale o sintetica caratterizzato da: • Desiderio al consumo (craving) • Tolleranza o assuefazione • Dipendenza fisica o psichica • Effetti nocivi per l’individuo e la società NEVROSI Stati di sofferenza psichica legati a situazioni conflittuali, in cui non è mai compromessa la capacità di analisi corretta della realtà; l’alterazione psichica è solo quantitativa rispetto al funzionamento normale. Tuttavia, anche se più raramente, in casi gravi può essere utile un provvedimento di tutela del patrimonio. PSICOSI II principali quadri psicotici sono: 33


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• La schizofrenia • La paranoia • La psicosi allucinatoria cronica • La parafrenia • La psicosi maniaco-depressiva Tutti questi quadri possono essere meritevoli di Amministrazione di Sostegno, trattandosi di patologie che compromettono il funzionamento sociale (lavoro, relazioni interpersonali, nuovi apprendimenti, capacità di adattamento a nuove situazioni)

SCHIZOFRENIA Si tratta di una patologia piuttosto frequente, che colpisce circa l’1% del popolazione adulta. Malattia ad evoluzione variabile caratterizzata da dissociazione della vita psichica e da una modificazione della personalità, per cui il soggetto presenta una radicale alterazione del sentimento di se stesso e del mondo, tale da compromettere la capacità di un contatto sintono con la realtà. Sintomi: • Delirio espressione di un errore di giudizio della realtà immodificabile dalla critica e dall’esperienza • Allucinazioni percezioni senza oggetto • Eloquio disorganizzato deragliamenti incoerenza • Comportamento disorganizzato o catatonico • Sintomi negativi (appiattimento affettivo, abulia, alogia) • Disfunzione sociale/lavorativa (relazioni interpersonali, cura del sé, lavoro) • Durata: segni continuativi del disturbo per almeno 6 mesi con almeno 1 mese di sintomi attivi.

PSICOSI MANIACO-DEPRESSIVA È una psicosi episodica, fasica. Caratterizzata da primarie turbe dell’umore e secondari sintomi ideativi e della condotta. Nell’arco della vita si presentano con frequenza variabile, talvolta con lunghi periodi di remissione anche di molti anni, fasi depressive e maniacali. Alcune varietà di malattia presentano solo fasi depressive per tutta la vita, altre presentano alternanza di fasi maniacali e depressive. Generalmente l’evoluzione comporta una riduzione degli intervalli liberi, un ravvicinamento delle fasi di malattia che compromettono il funzionamento sociale dell’individuo (sia nelle fasi depressive che maniacali risultano ampiamente compromessi l’efficienza lavorativa, le relazioni interpersonali, e di conseguenza l’immagine di sé). 34


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Mania: • Stato caratterizzato da esaltazione del tono dell’umore, immotivato, persistente (almeno una settimana) • Accelerazione del pensiero (fino alla fuga delle idee) e idee megalomaniche • Loquacità o logorrea • Iperattività e condotte potenzialmente dannose. Depressione: • Umore depresso per almeno due settimane • Perdita di interesse e piacere per le normali attività • Perdita di peso • Insonnia • Faticabilità e/o energia • Sentimenti di autosvalutazione o colpa eccessivi o inappropriati • Ridotta capacità di pensare o concentrarsi • Pensieri di morte o ideazione suicidaria Quali quadri psichiatrici richiedono una protezione del patrimonio? Tutte le psicosi, così come gli stati difettuali (oligofrenie e demenze) e alcune patologie alcoolcorrelate possono comportare un consistente deterioramento cognitivo e del funzionamento sociale, tale per cui un provvedimento di tutela patrimoniale può essere altamente indicato. In appendice a questa sintetica esposizione dei quadri clinici, ci sembra utile fare qualche riflessione su semplici strategie che il futuro “Amministratore di Sostegno” può adottare nell’approccio al proprio “amministrato”. Strategie comuni • Chiarire il proprio ruolo: esplicitare in modo chiaro all’amministrato le funzioni per le quali dal tribunale si è statidelegati al sostegno dell’individuo. • Individuare con il paziente (eventualmente in prima battuta con altre figure significative) le aree di lavoro e le competenze. • Attenersi al mandato esplicitato (non aver paura di ripetere anche in modo ridondante i concetti in modo semplice e accessibile); anche quando il paziente richiede aiuto in aree che non sono state definite nell’Amministrazione di Sostegno è buona norma astenersi, dando reali, concrete spiegazioni della propria condotta, piuttosto rinviando le questioni agli enti preposti. • Coordinare con un case manager la gestione economica 1. Preparando il bilancio preventivo 2. Rispettando il bilancio preventivo 3. Assegnazione giornaliera di somme concordate 35


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• Strategie specifiche per la schizofrenia • Allucinazioni: non negarle né condividerle, ma solidarizzare con la sofferenza secondaria. • Deliri: non tentare di “smontare il delirio”, non aderirvi; mantenere la propria autonomia critica. Gli operatori devono rappresentare il sano principio di realtà. • Apatia/abulia: non forzare, non eccedere nella stimolazione • Disorganizzazione/deficit cognitivi: le comunicazioni devono essere semplificate. • Sequenze dei compiti semplificate. Strategie specifiche nelle oligofrenie Buona conoscenza della storia personale Più colloqui brevi piuttosto che uno lungo (deficit dell’attenzione) Adattare il linguaggio alle capacità verbali del paziente Fare attenzione alla comunicazione non verbale. Adesione all’esame di realtà: non falsificare la realtà per edulcorare certi avvenimenti e certe difficoltà. I concetti sopra esposti devono servire da traccia, da guida, ma naturalmente non rappresentano una ricetta preconfezionata valida per ogni soggetto: di volta in volta i bisogni andranno decodificati, interpretati, rielaborati e verificati, così come le soluzioni da adottarsi andranno personalizzate e tagliate su misura per ciascuno.

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UN MODO DIVERSO DI PROMUOVERE LE POLITICHE SOCIALI Anna Abburrà Direttore del Consorzio INT.ES.A.

Vorrei dire intanto che mi fa molto piacere, anche se è sabato e sicuramente è un impegno in più per tutti, essere qui con voi a ragionare insieme su questa tematica. Mi sembra molto importante discuterne con altri soggetti – esperti che lavorano in ambiti diversi, ma tutti allo stesso modo coinvolti nell’affrontare situazioni molto delicate che riguardano la vita e la dignità delle persone, rispetto alle quali ci sentiamo sicuramente responsabili. A volte abbiamo davvero anche un po’ di timore … perché le nostre scelte, gli interventi che poniamo in essere, il modo con cui li gestiamo ……. possono sicuramente condizionare i percorsi di vita delle persone con cui entriamo in relazione. Ho sentito con interesse tutti gli altri interventi…. In queste occasioni mi sembra sempre di imparare molto perché ho modo di fermarmi un attimo, di pensare a quello che quotidianamente facciamo, di sentire altri punti di vista e pareri, di essere quindi critica con me stessa e allo stesso tempo curiosa e critica su ciò che anche gli altri pensano…. A volte questi momenti mi servono per rileggere delle considerazioni e delle modalità operative anche interne all’Ente in cui io opero, quasi come se riuscissi, proprio grazie al contributo di più teste e più persone, a leggerle in modo diverso, più completo. Prima quando parlava la Dott.ssa Luigina Bima che sicuramente è quella con cui io collaboro di più e quotidianamente…. Mi veniva in mente questo. È vero pensavo…. Il Servizio sociale è da sempre molto impegnato e coinvolto sul fronte dei diritti delle persone; infatti quella che riteniamo essere la nostra “mission” è proprio il permettere la maggiore dignità possibile delle persone, la valorizzazione delle loro, anche se residue, possibilità, la loro tutela, la loro integrazione sociale… penso a tanti sforzi… tanti successi…. tante difficoltà incontrate! L’opinione pubblica è sempre - e a volte in modo improprio - informata sul “caso” che fa “scoop”, ma quasi mai sulle tante situazioni che migliorano e riescono a tener sotto controllo le loro condizioni a volte molto critiche. Esempi al riguardo ce ne sarebbero veramente tanti, ma in genere ne parliamo poco e ci soffermiamo di più su ciò che preoccupa ed è più difficile da risolvere e da affrontare. Quanti passi sono stati fatti….. “dall’istituzionalizzazione totale che riduce37


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va le persone a numeri e ad identità indifferenziate…. A percorsi individualizzati all’interno di una comunità sociale più capace di accogliere!” E allora vorrei partire da qui, da questo che, permettetemi di considerarlo almeno ancora un po’ uno slogan, per riflettere brevemente su come sarebbe opportuno migliorare e proseguire questo importante percorso che il servizio sociale porta avanti da sempre. L’istituto dell’Amministratore di Sostegno ci offre questa possibilità, perché da tutto ciò che abbiamo sentito, credo che abbiamo chiaro tutti, che si tratta di una risorsa che ci permette di rispondere in modo più coordinato e sensato ad un’esigenza – aiutare ma non privare la persona della propria dignità - e che ci permette di realizzare davvero quello che la teoria afferma da anni, ma che non è sempre facile concretizzare.

Alcuni spunti di riflessione: • Se è vero che il servizio sociale è da sempre impegnato sul fronte dei diritti (tutela delle persone fragili, incapaci e più a rischio) è altrettanto vero che il rischio che il servizio sociale corre spesso è quello di essere troppo gravato e di non riuscire, da solo, a gestire questo carico (“presa in carico” come “peso” e non come sostegno) • Di qui l’idea da parte dei più, ancora oggi, che al Servizio sociale accedono i “disgraziati”, gli ultimi, quelli che davvero non hanno più scampo……. Quasi come se le istituzioni totali di un tempo fossero state sostituite dai servizi territoriali….. che accolgono le “diversità” al proprio interno: assistono, proteggono, difendono o contengono quelli che fuoriescono da un ambito cosiddetto di normalità di cui è sempre più complicato definirne i confini…. Erogano assistenza economica….. Pongono in essere interventi che si è soliti definire “tampone” • Allora, succede a volte, che le situazioni si cronicizzino, diventino dipendenti, che le incapacità si acuiscano e che, invece di limitare i loro danni per valorizzare le abilità, ognuno di noi e, per prime le persone interessate, rimangano bloccate su ciò che non funziona…. E quasi si specializzino in merito…..(un esempio concreto: un ragazzino conosciuto dai servizi per il quale emergeva che l’unica cosa in cui veniva considerato e si considerava lui stesso “bravo” era “delinquere” e così faceva, con risultati ovviamente sempre più negativi innanzitutto per la sua vita e la sua evoluzione all’interno della comunità!) • Poi ci sono questioni che riguardano l’integrazione con altri, l’esigenza di 38


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lavorare in sinergia con più soggetti competenti. A volte succede che, soprattutto quando le situazioni sono complesse, invece di coordinarci bene da subito (unica possibilità per poter produrre percorsi utili e sensati!), utilizziamo un po’ del nostro prezioso e sempre poco tempo a disposizione per cercare di delegarci reciprocamente responsabilità che ci accomunano. Non so come mai continuiamo in questa modalità: invece di lavorare insieme, diciamo di volerlo fare, ma in realtà non sempre ci proviamo…e preferiamo credere, o meglio sperare, che l’altro possa affrontare e risolvere “perché più competente” ciò che per noi è impossibile…. Si produce così un circolo vizioso in cui tutti si sentono gravati, soli, impotenti, insoddisfatti e quasi si defilano o, peggio ancora, si arrabbiano reciprocamente. • ….. però siamo da tempo consapevoli di alcune cose: – dobbiamo lavorare in rete – dobbiamo promuovere il lavoro di comunità – è opportuno favorire l’ “empowerment” – è importante prevenire…….. – …………………………………….. Non voglio dilungarmi oltre, voglio semplicemente essere propositiva, utilizzando l’esperienza dell’Amministratore di Sostegno per dire che è possibile davvero pensare a politiche sociali in modo diverso e un importante percorso in questo senso lo stiamo facendo anche con il piano di zona. La nostra comunità sociale ha dimostrato di essere capace ed interessata ad un discorso di accoglienza e di reciprocità: si consideri l’impegno dei volontari che “sono anche andati a scuola” insieme a tutti noi, perché c’è davvero sempre da imparare! Ma questa scuola l’hanno costruita insieme ed arricchita propria attraverso la loro personale esperienza sul campo e/o il confronto con chi più direttamente coinvolto. I Servizi pubblici sociali e sanitari hanno costruttivamente collaborato con il Terzo settore: la loro competenza ha permesso di definire i confini, di capire i contenuti, di operare scelte condivise anche dialetticamente. L’Autorità Giudiziaria ha avuto un ruolo molto importante: più vicina, più direttamente coinvolta, capace di cogliere i pensieri di quello che consideriamo il “front office”. Ma non vuole essere un discorso di vicinanza inteso come “confusione” o sovrapposizione di responsabilità, anzi, questo ha permesso chiarezza di ruoli e di competenze, ha facilitato discussioni anche su questioni molto complesse, gestite anche attraverso punti di vista non sempre omogenei. Concludo, lascio spazio a - per me caro amico e maestro - Piercarlo Pazè, con queste considerazioni che possono sicuramente essere ritenute un po’ 39


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idealiste - chi mi conosce sa che preferisco essere ottimista piuttosto che pessimista -. Ritengo di poter dire infatti che questo territorio, nonostante le questioni critiche che ben conosciamo – mi riferisco alla carenza di risorse economiche, di personale, … - ha davvero saputo e sa esprimere al proprio interno delle risorse importanti di cui dobbiamo fare tesoro, che dobbiamo saper valorizzare ed utilizzare al meglio, senza sciuparle, né travisarne il senso e/o le possibilità. Mi sento di riconoscere e ribadire pubblicamente a questa comunità il fatto che sa essere accogliente (qualcuno di più, qualcuno di meno, ma non importa…), che sa “sfruttare” le opportunità nuove (quella dell’Amministratore di Sostegno è una…) e che è attenta a sperimentazioni che costringono anche ad affrontare rischi, ad assumersi responsabilità. Penso quindi che la strada da fare sia ancora molta e sicuramente in salita, ma che i presupposti evidenziati e non solo dal mio contributo questa mattina, rappresentino uno stimolo per continuare, pur nelle difficoltà e per riuscire veramente a costruire, passo dopo passo, questo sistema più integrato di servizi di cui tanto le leggi parlano e i libri teorizzano…. Esperienza che noi, grazie a tutti voi, stiamo veramente già praticando e di cui cominciamo a trarre i primi frutti rispetto ai quali possiamo dire di doverci ritenere veramente soddisfatti!

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IL PERCHÈ DI UNA RIFORMA Pier Carlo Pazè Direttore della rivista “Minori e Giustizia” già Procuratore Capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Torino

La protezione delle persone non autonome La misura dell’Amministrazione di Sostegno, introdotta dal Codice Civile con la Legge 9 gennaio 2004 n. 6, è rivolta a fornire una più completa tutela giuridica e sociale delle persone deboli assicurando ad una persona priva di autonomia che un’altra persona la sostituisca o la assista nel compimento degli atti che non altrimenti non sarebbe capace di compiere L’interdizione e l’inabilitazione, finalizzate a limitare la capacità di agire delle persone definite inferme di mente assicurando ai beneficiari una rappresentanza o un’assistenza, non apparivano più adeguate ad assicurare questo scopo di protezione e, sostanzialmente, non lo sono neppure oggi, per tre principali motivi. a. Il primo è che costituiscono delle gabbie rigide che non si adattano ai diversi livelli di infermità ed alle esigenze delle specifiche persone: Questa rigidità poteva andar bene in una società che divideva in matti e sani, i primi rinchiusi in istituzioni manicomiali e gli altri fuori; ma è intollerabile in un contesto in cui: si avverte di più la diversità dei bisogni di aiuto di ogni persona; gli interventi terapeutici consentono di alleviare il livello di sofferenza delle persone malate; ci sono nuove forme curative trattamentali che puntano a recuperare e potenziare le capacità residue dell’infermo di mente b. Il secondo motivo è che l’interdizione e inabilitazione sono rivolte a privare la persona interessata di diritti piuttosto che aiutarla. In particolare l’interdizione con la pressochè generale privazione della capacità di agire, anche rispetto a quelle attività che la persona può continuare a svolgere, è addirittura di ostacolo a percorsi curativi che si attuano attraverso la promozione di maggiori abilità c. Infine queste misure venivano avvertite – e sono ancora vissute – come dolorose e addirittura rifiutate per l’etichetta che attribuiscono agli interessati e che, in qualche modo, ricade anche sulle loro famiglie. 41


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Con la nuova legge alcuni di questi vizi di origine della interdizione e della inabilitazione sono stati ridotti, ma solo con l’Amministrazione di Sostegno si passa ad una nuova filosofia dell’aiuto alle persone deboli e, per questo, prive in tutto o in parte di autonomia. Nell’Amministrazione di Sostegno, infatti, la persona menomata o inferma conserva la capacità di agire per tutti gli atti, ad eccezione di quelli in cui viene sostituita o assistita da un Amministratore (art. 405 comma 5 cod.civ.). Nell’interdizione la persona abitualmente inferma di mente diventa invece incapace al compimento di tutti gli atti che la concernono, per i quali è sostituita da un tutore, ad eccezione degli atti di ordinaria amministrazione che sia stata autorizzata a compiere senza l’intervento o l’assistenza del tutore (art. 427 comma 1 C.C.). Nell’inabilitazione la persona soggetta può compiere gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione solo con l’assistenza di un curatore, ma può essere autorizzata a compiere alcuni atti senza tale assistenza (art.427 comma 1 C.C.) Pertanto il beneficiario nell’Amministrazione di Sostegno conserva una generale capacità di agire, meno per gli atti per i quali un giudice ha deciso che debbano essere compiuti con la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’Amministratore, mentre il beneficiario della interdizione o dell’inabilitazione ha in generale una capacità di agire annullata (nell’interdizione) o ridotta (nell’inabilitazione), salvo per gli atti permessi dal giudice. L’Amministrazione di Sostegno è meno mortificante delle capacità di agire di una persona rispetto all’interdizione e può determinare una riduzione delle capacità di agire più lieve dell’inabilitazione, per esempio quando l’amministratore è nominato per il compimento di un singolo atto di ordinaria o straordinaria amministrazione. I principi che ispirano la nuova disciplina Le linee della nuova disciplina rispondono, in modo più pieno per l’Amministrazione di Sostegno, alle moderne concezioni di trattamento delle persone disabili. Dall’obiettivo della privazione di diritti, che riduce l’interdetto a una “non persona”, si passa con l’Amministrazione di Sostegno ad assicurare alla persona un sostegno alle sue disabilità e a riconoscere le sue capacità residue Tutte le misure di protezione hanno contenuti duttili, adattati nel momento iniziale ed in ogni momento successivo alle disabilità diverse e variabili e ai conseguenti bisogni di protezione di ciascuna persona, con la rinuncia a tracciare istituti giuridici uguali per tutti e stabili nel tempo. L’Amministrazione di Sostegno ha la maggior flessibilità poichè consente di ritagliare un vestito disegnato secondo le esigenze della singola persona, offrendole delle aree e dei momenti di protezione come e quando si rivela necessario, 42


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senza arrivare mai ad una totale esclusione della sua capacità di agire. Si allarga l’area dei beneficiari potenziali delle misure di protezione: essi sono non solo le persone in condizioni di abituale infermità di mente, ma anche tutti coloro che per effetto di una infermità ovvero una menomazione fisica o psichica sono privi in tutto o in parte di autonomia nello svolgimento delle funzioni della vita quotidiana (art. 1 della Legge 6/2004) trovandosi per questo motivo nell’impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi. In questo modo le misure diventano strumenti delle politiche sanitarie e assistenziali di uno Stato sociale verso i soggetti deboli. Nella scelta delle misure e nella determinazione dei loro contenuti ci si deve prefiggere “la minore limitazione possibile della capacità di agire” assicurando una invasività limitata alle reali necessità della persona. Esse si attivano quando sono necessarie per assicurare ad una persona disabile una protezione di fronte ad un danno attuale o temuto e va preferita la misura più leggera sufficiente ad assicurare tale protezione. Perciò non si deve sottoporre ad una misura di protezione chi, affetto da una menomazione o da una infermità che gli impedisce in qualche modi di provvedere a sè stesso, è già protetto perchè è seguito e curato dai suoi famigliari e non è necessario che a suo vantaggio sia attivata una rappresentanza sostitutiva per qualche attività specifica o in via generale. Ciò perfino nei casi più gravi di decadimento progressivo delle facoltà mentali, connotati da perdita della memoria o della capacità critica, indifferenza affettiva, tendenza alla perdita di ogni interesse e riduzione della attività motoria fino al totale immobilismo, in persone anziane o in persone colpite dal morbo di Alzheimer. In questo senso devono essere lette le disposizioni che la persona può essere assistita da un Amministratore di Sostegno e che le persone possono essere interdette o inabilitate. Significativa in particolare è la modifica relativa all’interdizione apportata nell’art 414 del C.C.: in precedenza le persone in condizione di abituale infermità di mente che le rende incapaci di provvedere ai propri interessi dovevano essere interdette; oggi esse ”possono essere interdette” “quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”. Si vuole evitare, anche con una nuova terminologia, che la soggezione alle misure sia avvertita come un marchio negativo che produce sofferenza nei beneficiari e nei loro famigliari. La rubrica del titolo XII del libro primo del codice civile, che contiene la materia, parla di “misure di protezione” destinate “alle persone prive in tutto o in parte di autonomia”; i nomi “amministratore” e “amministrazione” hanno un significato neutro che non definisce negativamente il beneficiario mentre il “sostegno” evidenzia la finalità positiva di aiuto alla persona. Purtroppo sono rimasti i vocaboli “interdizione” e “inabilitazione” che mantengono un senso comune di annullamento o limitazione della capacità di agire. 43


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L’Amministratore di Sostegno come misura ordinaria Divenute tre le caselle delle misure di protezione per le persone totalmente o parzialmente prive di autonomia, occorre determinare quale scegliere per ogni situazione. La questione è importante perchè l’Amministrazione di Sostegno, l’interdizione e l’inabilitazione sono disegnate come alternative: si è sottoposti ad Amministrazione di Sostegno, ovvero interdetti, ovvero inabilitati. Se una persona è già interdetta o inabilitata, perchè possa applicarsi l’Amministrazione di Sostegno deve revocarsi l’interdizione o inabilitazione e viceversa si chiude l’Amministrazione se, a seguito di interdizione o inabilitazione, si afrriva alla nomina di un tutore o di un curatore. Inoltre se è vero che il legislatore ha previsto degli “scambi” di binari a procedure iniziate, è sempre meglio partire subito verso la destinazione che più risponde ai bisogni della persona interessata. In linea generale l’Amministrazione di Sostegno va considerata la misura di protezione ordinaria. Essa è la più appropriata perchè puo essere costruita come risposta ai bisogni più diversi di ogni persona privata o limitata nell’autonomia e perchè costituisce la misura di protezione esclusiva per la maggior parte delle situazioni. Non casualmente il legislatore ha collocato la sua disciplina nel codice civile al primo posto precedendo l’interdizione e l’inabilitazione e ha obbligato i responsabili dei servizi sanitari e sociali quando ne ricorrono le condizioni a proporre ricorso o segnalazione per promuoverla, mentre non li ha legittimati al ricorso per l’interdizione o l’inabilitazione La persona soggetto L’Amministrazione di Sostegno è destinata alla persona che per effetto di una infermità o una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi. I suoi presupposti sono perciò due: la malattia o la menomazione e l’impossibilità conseguenti a tale stato di provvedere ai propri interessi. Ciascuno dei presupposti, da solo, non è sufficiente ed il primo deve essere causa del secondo. L’infermità consiste in una compromissione del normale stato funzionale dell’organismo avente la più varia natura (vi rientrano i disturbi della personalità e i disturbi psicotici) e dovuta ai più diversi fattori casuali (origine genetica, congenita, da agenti esterni, da malnutrizione o mancanza di cure, psicogena o legata alla senescenza ecc.) mentre la menomazione comprende mutilazioni, lesioni, condizioni di handicap fisico o psichico. E’ essenziale che l’infermità o la menomazione siano di natura e portata tale da compromettere, temporaneamente o definitivamente, parzialmente o totalmente, l’autonomia della persona nel provvedere ai propri bisogni. 44


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L’impossibilità di provvedere può riferirsi sia agli interessi di cura della persona, sia a quelli di conservazione ed amministrazione del suo patrimonio, sia agli interessi della persona e del patrimonio congiuntamente, come il legislatore espressamente ricorda per i provvedimenti urgenti (art 405 comma 4 C.C.). Infatti anche le attività relative al patrimonio devono essere risolte ad assicurare la migliore qualità della vita della persona, ovvero, con felice espressione usata dal legislatore (art 1 della legge 6/2004) a tutelarla nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana. I nuovi bisogni coperti dall’Amministrazione di Sostegno Un primo pregio dell’Amministrazione di Sostegno è che ampia la fascia dei soggetti destinatari di una protezione giudiziaria. Essa infatti occupa spazi che non venivano coperti, e tuttora non possono esserlo, dalle misure di interdizione ed inabilitazione, destinate solo alle persone in condizioni di abituale infermità di mente. Perciò l’Amministrazione di Sostegno si applica anzitutto alle persone che sono affette da una infermità o menomazione fisica che non le rende in grado in tutto o in parte o anche temporaneamente di esercitare i propri diritti o di soddisfare i propri bisogni vitali, rischiando per questo di recare danno a se stesse o di essere danneggiate da terzi. Vi rientra, inoltre, un’utenza di persone che non si possono definire come abitualmente inferme di mente, secondo i criteri usuali di valutazione, ma sono affette da una menomazione o infermità psichica che si rivela sul versante psichiatrico o sono deboli nella mente per l’età o la malattia o hanno la coscienza di sè indebolita dalla dipendenza dell’uso di sostanze stupefacenti o di alcolici, come danno per la loro salute e/o i loro interessi. Alcuni esempi possono indicare la potenzialità della misura, che può essere utilizzata per casi abbastanza comuni: – persone molto semplici che non sanno spendere bene le loro risorse e vengono raggirate; – persone che vivono in condizioni di isolamento sociale e di deterioramento abitativo che bisogna rimuovere, destinando in modo specifico delle loro risorse alle esigenze di cura; – persone deboli che sono incapaci di far valere dei propri diritti (ottenimento di pensioni o indennità di accompagnamento, riscossione di affitti, accettazioni delle eredità o ricerca di beni ereditari presso le banche per evitare che i relativi diritti siano lasciati prescrivere ecc.) – persone deboli mentali o fragili psicologicamente che hanno bisogno che qualcuno stia loro accanto con funzioni terapeutiche e di aiuto a fare e a gestirsi; 45


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– sofferenti psichici che hanno bisogno di una organizzazione delle cure alla persona attraverso una presenza integratrice che spesso è sufficiente per evitare l’istituzionalizzazione; – persone con disturbi della personalità e con comportamenti disordinati; – persone in condizioni di salute precarie per le quali appare necessario attribuire responsabilità di cura ai parenti, per esempio ad uno dei figli; – alcoldipendenti che indirizzano in prevalenza al bere le risorse, non sono capaci di gestirsi e conducono una vita disordinata; – tossicodipendenti; – e perchè no, i barboni, persone che per la sua vita quotidiana quasi mai sono interdette ed alle quali nessuno pensa. L’età avanzata di per sé non è una menomazione, ma può comportare menomazioni psichiche e fisiche che incidono sulla autonomia, per cui l’anziano talvolta non è più in condizione di provvedere a sè stesso ed ai propri interessi. L’Amministrazione di Sostegno può essere dunque una misura di protezione efficace per la persona anziana che non pensa a curarsi o si lascia andare con pericolo per la sua vita quotidiana (non ritira la pensione o gli affitti, non si compra il necessario per mangiare, non pulisce la casa, non paga il canone di locazione o le utenze o le tasse con la conseguenza di sfratto per morosità o di interruzione delle utenze o di procedimenti esecutivi, non compra vestiti e non si scalda, rischia di fare saltare in aria l’alloggio perchè dimentica il gas aperto, ecc.) o che ha bisogno di assistenza nella gestione del patrimonio per non diventare vittima di raggiri. I confini con l’interdizione nel caso di abituale infermità di mente Qualche volta il soggetto che deve fruire di una misura di protezione versa in una condizione di abituale infermità di mente tale da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi. In questo caso fino alla riforma portata dalla legge 6/2004 egli doveva essere interdetto. Oggi invece si deve scegliere tra l’interdizione (che può applicarsi alla persona abitualmente inferma di mente) e l’Amministrazione di Sostegno (che riguarda chiunque si trova in uno stato di infermità o di menomazione psichica, anche nello stato di infermità o menomazione psichica assoluta e più grave) le cui aree risultano sovrapponibili. La legge indica come criterio dirimente che l’interdizione deve essere limitata ai casi in cui essa sia effettivamente indispensabile perchè l’Amministrazione di Sostegno non appare idonea a realizzare la piena tutela dell’interessato. Infatti secondo la definizione dell’art 414 del C.C. le persone che si trovano in condizione di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi “possono” (non devono) essere interdette solo “quando ciò sia necessario pder assicurare loro adeguata protezione”. Pertanto 46


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si deve chiudere un’Amministrazione di Sostegno, promuovendo in sua sostituzione l’interdizione, allorchè l’Amministrazione di Sostegno “si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela dell’interessato” Dunque due sono le valutazioni prognostiche che possono indirizzare verso l’interdizione: in negativo l’inidoneità in concreto dell’Amministrazione di Sostegno; in positivo la necessità, nel senso di indispensabilità, di arrivare alla misura più compressiva dell’interdizione per assicurare la protezione richiesta. Si deve pertanto promuovere l’interdizione quando per la protezione della persona inferma di mente e priva di ogni autonomia è necessaria una sua sostituzione tendenzialmente generale e permanente con un tutore. Vi rientra anche l’ipotesi in cui il beneficiario infermo di mente non possa “in ogni caso” compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana, perchè nell’Amministrazione di Sostegno deve rimanere comunque tale spazio di libertà per l’amministrato (art. 409 comma 2 C.C.) Ricadono pertanto nell’interdizione le situazioni più sfort, di particolare gravità e di sicura irrecuperabilità, anche in questo caso valutando la possibilità che ilgiudice secondo le condizioni diverse di infermità di mente stabilisca che l’interdetto eserciti personalmente un qualche residuo diritto compatibile con il suo stato. L’interdizione va però lasciata in un angolino ristretto. Al di fuori dei casi in cui, per proteggere una persona, occorre veramente una compressione tendenzialmente totale della sua capacità di agire, in tutti gli altri casi la finalità di tutelare la persona priva di autonomia con la minore limitazione possibile della capacità di agire (affermata dall’art. 1 della legge 6/2004) fa pendere l’ago della bilancia per l’Amministrazione di Sostegno. Perciò appare preferibile l’Amministrazione di Sostegno ogni volta che una persona deve essere sostituita in pochi e determinati atti o si devono compiere a suo favore atti o procedure burocratiche, mentre altri atti non sono necessari in quanto la stessa disabilità funziona da autotutela. In questi casi non c’è ragione per vietare ad una persona atti che comunque non compirebbe (impedire il matrimonio a chi è in coma irreversibile o al demente senile in fase avanzatissima) o per designarle nel tutore un rappresentante per tutti gli affari quando in realtà le attività specifiche necessarie sono ridotte. Seguendo questo criterio l’Amministrazione di Sostegno è largamente idonea e sufficiente quando in soccorso dell’infermo di mente occorre provvedere alle seguenti attività: – la riscossione della pensione o di assegni o il prelievo dai risparmi per il pagamento della retta dell’ospizio dell’anziano demente; – lo svolgimento per le pratiche per pensioni o assegni di accompagnamento (per ottenere un qualsiasi beneficio previdenziale, assicurativo o sociale, 47


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bisogna fare domande e sapere mettere delle firme); – la stipula di divisioni ereditarie o vendite (il notaio si rifiuta di redigere un atto perchè la persona non gli appare capace di esprimere una valida volontà); – l’accettazione di eredità: – la richiesta in giudizio degli alimenti ai parenti. L’Amministrazione di Sostegno inoltre appare misura idonea e sufficiente nei casi di incapacità assoluta permanente nello stadio terminale della vita (il moribondo per cancro o ictus cerebrale cui altri devono provvedere per tutto) di incapacità assoluta temporanea (la persona in coma profondo per cui occorrono contratti di cura, pagamenti delle prestazioni sanitarie, riscossioni di stipendi) e di mancanze parziali di autonomia (come i soggetti down). All’Amministratore di Sostegno può essere attribuita la rappresentanza della persona priva di autonomia nel compimento di ogni atto che potrebbe compiere un tutore (come si ricava inequivocabilmente dall’art. 411 comma 4 C.C.) Perciò non ricorre più la necessità di procedere alle cosiddette interdizioni sanitarie pronunciate affinchè un tutore dia il consenso informato al compimento di atti medici rifiutati dall’interessato o alle cosiddette interdizioni assistenziali, rivolte ad obbligare una persona non autonoma ad una dimora coatta in ospizi di assistenza. Poichè la residua capacità della persona deve in qualche modo essere presa in considerazione in scelte personalissime relative alla salute e alla domiciliarità, la misura più opportuna e rispettosa per questi casi, che di frequente si ripropongono nella loro drammaticità, non è l’interdizione, ma la nomina di un Amministratore di Sostegno che informi il beneficiario circa gli atti da compiere, lo senta e tenga conto dei suoi bisogni, aspirazioni e richieste, con possibilità per il beneficiario di ricorso al Giudice Tutelare. Peraltro per queste decisioni dovrebbe essere valorizzata fin che si può la capacità di fatto dell’interessato, a prescindere dalla definizione legale del suo status. Che un tutore e soprattutto un tutore burocratico, quale l’assessore ai servizi sociali di una grande città, o un Amministratore di Sostegno possano sostituire la propria volontà a quella di un cittadino che non voglia curarsi o rifiuti di essere posto in un istituto, attuando una forma di trattamento coatto, era ed è discutibile e appare addirittura ripugnante nei casi in cui una interdizione venga pronunciata strumentalmente a tali fini. Quando poi un soggetto si trovi nell’impossibilità assoluta di manifestare qualsiasi volontà e si sia al di fuori dell’ipotesi dello stato di necessità che impone un intervento sanitario o di soccorso, è meglio riconoscere un potere di sostituzione ai parenti tenuti ad un compito di assistenza e protezione.

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I confini dell’Amministrazione di Sostegno con l’inabilitazione L’Amministrazione di Sostegno è diventata lo strumento di protezione più idoneo anche per le persone in stato di infermità di mente meno grave che finora venivano inabilitate. Il regresso dell’inabilitazione non merita rimpianti. Nella pratica c’era una disaffezione rispetto a questa misura, ormai caduta in desuetudine per i sordomuti o i ciechi dalla nascita o dalla prima infanzia che non abbiano ricevuto un’educazione sufficiente e considerata inutile per le persone in stato di infermità di mente lieve. Essa serve praticamente solo per scoraggiare i terzi dal compiere con l’inabilitato degli atti di disposizione immobiliare, che sarebbero annullabili se compiuti senza l’assistenza del curatore e l’autorizzazione del tribunale. Lo stato di inabilitazione non impedisce però che l’interessato sperperi il suo denaro con tanti singoli atti di liberalità o con spese voluttuarie ripetute rientranti nell’ordinaria amministrazione. Soprattutto, l’assistenza del curatore non costituisce un accompagnamento alla persona e non assicura il compimento in suo favore di atti che questi non voglia o possa effettuare. Un disabile si danneggia più spesso perchè non esercita dei diritti o non adempie dei doveri (non paga le tasse o l’affitto o le bollette, non riscuote la pensione ecc.) che per il fatto di compiere degli atti patrimoniali dannosi. A tutti questi scopi appare più idonea la protezione assicurata da una Amministrazione di Sostegno. Se l’inabilitazione in generale serve a poco, si può ancora continuare ad applicarla a chi, per prodigalità, espone sè e la propria famiglia a gravi pregiudizi economici. Il prodigo che non sia affetto da infermità o menomazione fisica o psichica non può avere un Amministratore di Sostegno, ma se ha dei patrimoni importanti l’inabilitazione può costituire una remora al perfezionamento di atti di disposizione patrimoniale dannosi con i terzi.

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APPENDICE L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E LA VITA DI TUTTI I GIORNI

Paolo Cendon Docente di Diritto Privato presso la Facoltà di Economia di Trieste

SOMMARIO 1. Contributi della scuola genovese alla protezione degli infermi di mente - 1.1. Il convegno di Trieste del 1986 - 2. Paternità dell’Amministrazione di Sostegno - 3. Tappe del cammino - 3.1. Lieto fine - 4. Passaggi essenziali - 5. Incontri, seminari - 6. La parte alta delle locandine - 7. Notai e avvocati - 8. Voci dal territorio - 9. I giudici tutelari - 10. Operatori, volontariato 11. Riforme mancate - 11.1. Testamento e donazioni - 12. Amministrazione di Sostegno e approccio esistenzialista - 12.1. Quotidianità e responsabilità - 13. Nuovo linguaggio, angeli custodi - 13.1. Tentazioni neo-manicomiali - 14. Il fondale delle grandi riforme - 15. Nozione di “persone deboli” - 15.1. Carenze dei Servizi sociosanitari - 16. Dall’alto, dal basso - 16.1. Mancata segnalazione al giudice e responsabilità civile - 17. L’idea di “salute” nelle impostazioni dell’O.M.S. - 18. Paese che vai Tribunale che trovi - 19. Mai interdire, possibilmente - 19.1. Eccezioni - 19.2. Perché la mancata abolizione - 19.3. Addolcimenti trascurabili - 19.4. Empirismo, duttilità, - 20. Riluttanze dei Servizi: il problema della pubblicità nei registri – 21. Un tavolo di lavoro istituzionale 22. Sostenere senza (necessariamente) incapacitare - 22.1. Tante “procure vigilate” - 23. L’immagine trainante

1. Contributi della scuola genovese alla protezione degli infermi di mente Vorrei sottolineare, in apertura, l’importanza del ruolo svolto da Giovanna Visintini, fin dagli anni ’80, per l’affermarsi di una nuova sensibilità quanto ai rapporti tra infermità psichica e diritto privato, in Italia. Non sono pochi in verità i riconoscimenti da tributare, su questi argomenti, agli studiosi - anche cioè ai penalisti, ai medici legali, agli studiosi di antropologia criminale (oltre che ai civilisti) - di Genova nel suo insieme. E’ nella città della lanterna che sono stati messi a punto, in passato, alcuni fra i più significativi contributi circa i diritti soggettivi dei disabili psichici “deistituzionalizzati”. Una dimostrazione di civiltà e di maturità che è iniziata, ricordiamo, già a ridosso dell’approvazione della l. 180. Basterebbe menzionare, nell’ambito 51


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del diritto civile, alcuni scritti di Guido Alpa e di Massimo Dogliotti, all’incirca vent’anni fa; oppure certe prese di posizione di Tullio Bandini (da sempre favorevole a una modifica, attenta e sostanziosa, per gli istituti tradizionali di “protezione stabilizzata”). L’abolizione ufficiale dei manicomi era ancora cosa recentissima. L’apporto scientifico di Giovanna Visintini è stato prezioso, in particolare, per il diffondersi di nuove linee di lettura in merito a un settore centrale della materia, quello della nozione di capacità/incapacità d’agire, e dei suoi rapporti generali con l’infermità di mente. Sin dai primi anni Ottanta - tempi in cui io, personalmente, non avevo ancora riflettuto seriamente sui risvolti inerenti al c.d. “lato attivo” dell’infermo di mente (mi occupavo allora del “prezzo della follia”: l’essere umano come bersaglio di aggressioni ingiuste, dolose o colpose, non necessariamente dirette contro l’integrità fisica della vittima, e destinate prima o poi a produrre, come risultato, l’insorgere nel destinatario di malesseri più o meno gravi di carattere psichico) - sin da allora fu Giovanna a rimarcare con energia, nell’ambiente italiano, la necessità che venissero messe in seria discussione le impostazioni risalenti, in punto di nessi e corrispondenze tra “disturbi psichici” e “incapacità legale”. Si organizzarono a tal fine - talvolta con la partecipazione del suo illustre padre (il prof. Fabio Visintini) - vari seminari interdisciplinari di studio. Fra le riunioni più riuscite, ne ricordo alcune tenute nell’accogliente e ombreggiato giardino di casa Visintini, a Tuscolano sul lago di Garda. 1.1. Il convegno di Trieste del 1986 Fu ben presto palese, in quelle occasioni, il grado di sintonia emotivo/culturale – per un verso preesistente, e collaudata, per l’altro sempre più viva nel corso delle discussioni - fra il gruppo degli psichiatri e quello dei giuristi. Per meglio dire: intese e consonanze fra una serie di terapeuti dei centri italiani di igiene mentale, non soltanto di Trieste, e taluni fra i nostri studiosi di diritto privato. In special modo, affinità fra il linguaggio parlato dagli “eredi” di Franco Basaglia (A.Pirella, F.Rotelli, P.Dell’Acqua, tanti altri) e gli orizzonti che erano propri di alcuni civilisti italiani (già in passato A. Falzea, poi P.Rescigno e P.Perlingieri, più tardi scrittori come L.Bruscuglia e R.Pescara). È questo - aggiungerei – l’humus in cui verranno delineandosi le premesse di un evento che sarebbe stato, altrimenti, difficile da realizzare; e mi riferisco al (progetto di) Convegno triestino sull’infermità psichica che si terrà poi, nel 1986, “Un altro diritto per il malato di mente. Esperienze e soggetti della tra52


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sformazione” (v. anche infra, § 3 e § 19). Incontro cui ebbe a partecipare, come molti ricorderanno, il fior fiore della civilistica italiana di quegli anni, insieme a politici, medici, giornalisti, importanti maitres à penser, esperti e docenti di vari comparti. In tal senso, non posso dire di considerarmi addirittura il “padre”, come ogni tanto qualcuno sostiene, della legge sulla Amministrazione di Sostegno. Il mio ruolo è stato, più che altro, quello di un assemblatore di idee e di testi, italiani ed europei (infra, § 19.2.), una sorta di paziente scrivano/collettore quello cui toccava (anche per ripagare il fervore che tanti illustri maestri avevano dimostrato venendo a Trieste, a discutere di temi tutto sommato inconsueti e non proprio facilissimi) di verbalizzare le suggestioni emerse, via via, nei dibattiti e negli scritti precedenti. 2. Paternità dell’Amministrazione di Sostegno D’altra parte, sarebbe impossibile concepirsi come genitore - nientemeno della legge sull’A.d.S., nel momento in cui si interviene (in cui si è consapevoli di aver preso parte fin dall’inizio) a tantissimi incontri di tipo interdisciplinare. Più ampiamente, a innumerevoli appuntamenti e scambi d’opinione, per vent’anni di fila, con le famiglie dei malati di mente, con psichiatri e infermieri dei Servizi sociosanitari, con gli amministratori pubblici, con i disabili in prima persona, col mondo del volontariato, con le cooperative di solidarietà. Occasioni che sono state, ripeto, assai copiose nel corso di questi ultimi decenni, infittendosi sempre più dopo la fine degli anni ’80. Viene da richiamare - anche se il gioco delle parti non è ovviamente paragonabile - quello che, secondo una diffusa “leggenda metropolitana”, avrebbe affermato Pablo Picasso dopo avere dipinto il quadro Guernica (la cittadina basca bombardata dagli aerei nazisti durante la guerra spagnola degli anni ’30). Nello studio del pittore spagnolo, a Parigi, era entrato a un certo punto un ufficiale nazista, il quale scorgendo il grande e rivoluzionario dipinto, da poco ultimato, aveva/avrebbe chiesto minacciosamente a Picasso: “Siete voi che avete fatto questo?” e quest’ultimo: “No, siete voi che avete fatto questo!”. Lo stesso potremmo forse ripetere - fatte le debite proporzioni (e al di là, beninteso, di qualsiasi minacciosità di tono) - con riguardo al caso oggi in esame. Anche a me cioè – allorché, durante gli incontri con gli psicoterapeuti, con i Servizi sociali, con le associazioni, capita che qualcuno degli astanti sollevi l’interrogativo: “Siete stati voi (del Dipartimento giuridico di Trieste) a redigere il testo di questa legge?” - viene spontaneo rispondere: “Non noi; siete voi piuttosto che avete fatto questo”. E così direi che è andata, in effetti. Sono 53


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gli uomini della 180, se vogliamo usare questa espressione, i quali hanno aperto, non solo sul terreno della medicina sociale, la strada contro le rigidità omologanti e custodialistiche del passato. È il gruppo di quegli anni che ha dissodato il terreno, per tutti quanti gli interpreti, di ogni disciplina, pronunciato dal fondo del palcoscenico i “no” e i “sì” più importanti, anche rispetto ai menu al civilista. Orientando dall’alto l’impianto e l’atmosfera complessiva della riforma di cui ora discorriamo. Nei suoi passaggi così duttili, aperti alla varietà dei possibili impacci, non solo biologici, per l’essere umano; nel continuo riferimento a (tipologie di) misure di salvaguardia ben lontane dalle compiaciute, spesso miopi geometrie del Codice Civile del ’42. Nell’attenzione per i mutevoli risvolti e le infinite sfumature delle soluzioni cui far capo, operativamente; nello scandire ad ogni riga uno stile (paradigmatico) circa il modo di impostare, in generale, pacchetti di riforma e interventi di settore riguardo alle persone sfortunate. In tutto ciò, il provvedimento legislativo di oggi tradisce nient’altro che i passaggi del confronto (ininterrotto) svoltosi durante la discussione precedente, i bagni innumerevoli nel “sociale”. L’avvento della piccola/grande novella del 2004 si deve anzitutto alla ricchezza degli incontri - contagiosi, illuminanti - con i malati di mente e con le loro famiglie, con i Servizi socio-sanitari, all’interno e all’esterno dei Centri di salute mentale. 3. Tappe del cammino Certo il percorso è stato lungo. Che il nostro Parlamento riuscisse a completare l’iter legislativo - il voto favorevole della Camera si è avuto il 15 ottobre 2003, quello del Senato il 22 dicembre dello stesso anno; la pubblicazione sulla G.U. è avvenuta il 9 gennaio 2004 - era apparso in verità sempre meno probabile, via via che il tempo passava, durante i primi dieci mesi del 2003. Tutto anche stavolta, dopo un esordio promettente (di due anni prima il rilancio solenne del progetto, con un recupero al Senato del testo già accolto nella precedente legislazione), sembrava destinato a sfumare nel nulla; il solito copione di speranze e delusioni alternate, tante volte sperimentato negli ultimi lustri. In particolare. ( ) Ad ogni debutto di legislatura - subito dopo le elezioni politiche - l’avvio di congrue iniziative di riforma, in materia di salvaguardia civilistica degli infermi psichici. Proposte avanzate da singoli parlamentari oppure da gruppi interi, alla Camera o al Senato; testi vecchi, nuovi o rifatti, più o meno complessi e tra54


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sversali come provenienza partitica. Disegni promossi, talora, pure a livello di Governo, già alle riunioni d’esordio del Consiglio dei Ministri; qualche volta, l’approvazione ufficiale ad opera di un ramo del Parlamento. ( ) Come riflesso di ciò, nel tessuto diffuso della “società civile” - soprattutto presso le famiglie dei disabili, tra le associazioni di settore, nei giri del volontariato; un po’ anche fra gli operatori socio-sanitari, presso i giudici addetti ai lavori, tra gli studiosi di “debolologia” (ambito nel quale il cammino di riforma era iniziato; la redazione della bozza originaria, come s’è detto, aveva avuto luogo a Trieste, durante l’estate/autunno del 1986, al termine di un convegno di tre giorni, largamente interdisciplinare, incentrato sui rapporti fra psichiatria e diritto privato: retro, § 1.1) - un crescente dispiegarsi di appelli e sollecitazioni, nei confronti del Parlamento o del Governo. Raccolte di firme, delegazioni di utenti alle volte della capitale. Mozioni congressuali fatte girare in ogni sede, udienze conoscitive a Roma, fax e messaggi di posta elettronica a raffica. ( ) Da un certo momento in poi (contro ogni aspettativa, senza troppe spiegazioni) un calo visibile di atmosfera e di fervore - a livello politico, comunicativo, sul terreno ufficiale delle istituzioni. Impegni rallentati all’improvviso in Parlamento, disinteresse progressivo nel governo: rinvii continui del dibattito, ordini del giorno rovesciati all’ultimo momento, sedute a vuoto o inconcludenti. Emendamenti presentati non si sa se per migliorare il testo o per seppellirlo, vanità di parlamentari/giudici non adeguatamente rintuzzate dalle presidenze. Relatori della legge reticenti o introvabili, stagnazioni nelle varie commissioni, black-out generale. Lieto fine Stavolta è andata in maniera diversa - il “bene” è riuscito, un po’ miracolosamente, a prevalere. Il ruolino di marcia di un fronte (culturale e parlamentare) da tempo bipartisan e ormai concorde circa i vari aspetti del provvedimento, subirà intoppi bensì nel corso del 2003, ma per non più di qualche mese. Sventato in particolare il pericolo - che si era annunciato a un certo punto, una volta emersa la scarsa plausibilità di una riforma a costo zero - di una rimessione dell’intero pacchetto in aula, alla Camera: con correlative possibilità di stravolgimenti nel testo, e con rischi di progressivo oblio e impaludamento. Circostanze di varia natura, tra cui la fermezza di alcuni parlamentari, il prestigio dei modelli europei all’intorno, la coincidenza dell’anno del disabile, le incessanti pressioni a Roma dei gruppi del volontariato, un paio di colpi di fortuna nel calendario dei lavori, sono valsi durante l’autunno/inverno del 2003 a spianare (accanto ad altri fattori propizi) la strada del successo conclusivo. 55


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Passaggi essenziali Chi dubiti che l’Amministrazione di Sostegno sia divenuta, oggigiorno, legge ufficiale dello Stato (e un pizzico d’incredulità non sarebbe fuori luogo, dopo tante incertezze e dilazioni) non avrà che da aprire il testo del Codice Civile - poco importa sotto quale veste grafica; purché si tratti dell’ultima edizione, quale apparsa in libreria nel 2004 (e annate successive). Non è più come nell’anno precedente - qualcosa è cambiato davvero nel corpo del 1° libro del C.C.. All’art. 404 e ss. non corrisponde più una serie di recipienti numerici vuoti, privi di sostanza normativa: siamo dinanzi, ormai, a un susseguirsi di rubriche e di prescrizioni di legge in senso proprio - disposizioni brevi, medie e lunghe; di tenore più generale o più specifico; precettivamente autosufficienti o con rinvii ad altre norme del C.C. - ciascuna rivolta all’illustrazione dei momenti disciplinari del neo-istituto. In particolare. All’art. 404 vengono enunciati i principi cardine della riforma: dinanzi a una “infermità” o ad “una menomazione fisica o psichica” - che sia tale da causare l’ “impossibilità, anche parziale e temporanea, di provvedere ai propri interessi” la persona sofferente potrà “essere assistita da un Amministratore di Sostegno”. L’art. 405 si sofferma su alcuni aspetti di natura procedimentale. Il Giudice Tutelare deve provvedere entro sessanta giorni dalla data del ricorso, e la decisione avverrà con “decreto motivato immediatamente esecutivo”: potranno adottarsi anche d’ufficio provvedimenti urgenti, di natura personale o patrimoniale; sarà possibile far luogo alla nomina di un amministratore provvisorio. Infine, l’indicazione di ciò che il decreto di nomina dell’Amministratore deve, di regola, contenere - con precisazioni varie circa i profili pubblicitari dell’atto. Nell’art. 406 viene indicato quali siano i soggetti abilitati a proporre il ricorso: l’interessato stesso, le varie figure di cui all’art. 417 c.c., più i responsabili dei servizi sociosanitari. L’art. 407 indugia, subito dopo, su taluni passaggi di natura procedurale e istruttoria: contenuto necessario del ricorso, colloquio diretto fra Giudice e persona interessata, eventuali attività volte ad assumere informazioni, decisioni che possono assumersi anche d’ufficio dal G.T., partecipazione del Pubblico Ministero. La norma successiva fissa i criteri da seguire per la scelta dell’Amministratore: possibilità di designazione (formalizzata) - anche in via preventiva - ad opera del soggetto bisognoso; conferibilità dell’incarico da parte del G.T. ai familiari più stretti, compresi quelli di fatto, oppure a colui che sia stato indicato dal genitore superstite; eventualmente ad altri soggetti (non però agli operatori sociali che siano coinvolti direttamente nella cura dell’interessato), magari a una persona giuridica. 56


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Segue l’ art. 409 - intitolato agli effetti dell’Amministrazione di Sostegno – ove si precisa che il beneficiario conserverà in linea di principio la capacità d’agire, specificando come ciò sia destinato a valere, senza eccezioni, per quanto concerne gli atti della vita quotidiana. L’art. 410 tratta dei doveri gravanti sull’Amministratore. Necessità che costui tenga, in particolare, conto dei “bisogni” e delle “aspirazioni” dell’interessato; obblighi di informazione circa gli atti da compiere, e ciò tanto nei confronti del beneficiario, quanto (in ipotesi di dissenso) verso il giudice tutelare. La norma stabilisce che sarà quest’ultimo - nell’eventualità di dissidi, errori, inerzie dannose, etc. - ad adottare gli opportuni provvedimenti. L’art. 411 elenca poi quali regole, fra quelle dettate in tema di tutela dei minori, siano applicabili all’Amministrazione di Sostegno; e altri rimandi hanno per oggetto, subito dopo, disposizioni varie in tema di testamento o di donazione. Segue una clausola di vasto respiro, nell’ultimo comma, che riserva al G.T. il potere di estendere al caso considerato – ogniqualvolta ciò appaia opportuno - taluni “effetti, limitazioni o decadenze” di cui alla normativa sull’interdizione e inabilitazione. Ecco ancora l’art. 412, con le disposizioni inerenti alla patologia negoziale: annullabilità, in particolare, degli atti che siano stati compiuti - dall’amministratore - in violazione di legge, o in eccesso rispetto ai poteri conferiti dal giudice; soluzione non diversa relativamente agli atti che vengano posti in essere - dal beneficiario - in contrasto con quanto stabilito nel decreto del g.t. Termine per l’azione: cinque anni, in ambedue le ipotesi, con decorrenza dal momento in cui il regime di Amministrazione di Sostegno sarà cessato. Infine l’art. 413, che fissa la disciplina concernente la revoca dell’Amministrazione di Sostegno, nonché le regole in tema di sostituzione dell’amministratore: possibilità rimesse entrambe - dietro istanza del beneficiario o di altri soggetti, e dopo le correlative istruttorie - alle valutazioni del G.T., il quale potrà provvedere anche d’ufficio. 5. Incontri, seminari Una trama di disposizioni assai ricca, come si vede, punteggiata di motivi ambiziosi, fortemente innovativa rispetto all’impianto ereditato dal 1942. Né - occorre dire - è soltanto un fatto di evidenza letterale, sul terreno positivo o cartaceo. Anche a tener conto delle impressioni che il provvedimento è venuto suscitando, presso la “pubblica opinione”, a partire dal momento dell’approvazione, il consuntivo appare incoraggiante. Un primo segnale, in proposito, di natura organizzativo/culturale: il bilancio 57


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dei convegni e seminari che sono stati promossi in Italia, dall’inizio del 2004, a scopo di presa di confidenza e ricognizione/esegesi orientativa circa il neoistituto. È sintomatico in effetti il confronto tra (a) l’accoglienza - viva, interessata – che risulta tributata all’Amministrazione di Sostegno, in molte fra le zone geografiche del paese e (b) le reazioni che solleva d’abitudine, presso i cittadini, l’apparire di una nuova legge (la collettività ben poco se ne accorge, alle tavole rotonde i relatori sono spesso più del pubblico). Né è appena questione di conteggi quantitativi, di raffronti tra sedie vuote e piene in sala. Il punto, ben più significativamente, sono le caratteristiche strutturali/qualitative degli incontri di studio che si sono tenuti, fin qui, intorno alla neo-figura codicistica. Vale a dire: tanti qua e là gli appuntamenti, folto (o straboccante) il pubblico, numerose di regola le autorità presenti; e soprattutto però: (i) assai composito, nella maggioranza dei casi, il ventaglio degli enti e dei soggetti che volta per volta - in riunioni di studio indette separatamente, nella stessa città; oppure, attraverso incontri promossi una tantum da un insieme congiunto di presenze - figurano avere assunto la veste di organizzatori; (ii) non meno vario, abitualmente, il quadro delle relazioni previste nelle locandine, ossia la rosa degli uffici, delle discipline e delle competenze che – specialmente nella seconda ipotesi (più iniziative in una medesima città, durante la stessa stagione); spesso però anche nel primo caso (un unico evento convegnistico nella zona, tutti quanti insieme allora) – appaiono chiamati a intervenire sul tema. 6. La parte alta delle locandine Accenti di vario genere, che si susseguono via via alla tribuna. (I) Parlamentari, anzitutto. Ossia senatori e deputati prodigatisi, secondo i casi, a seguire i lavori preparatori fin dall’inizio; a sottoscrivere personalmente le proposte, ad assumere talvolta le funzioni di relatori in commissione. E che illustrano man mano, a chi ascolta, quali fossero i materiali di partenza, che tipo di orientamenti abbia guidato la rifinitura dei testi; ripercorrendo minutamente l’alternarsi delle strategie in sede politica, l’apporto degli alleati aggiuntisi durante il tragitto, il perché delle legislature giunte al termine senza un nulla di fatto - e poi la natura degli scogli più insidiosi, affiorati lungo il percorso, gli emendamenti cui ci si è dovuti rassegnare, i ritocchi invece più opportuni e indovinati, che cosa si è perduto e che cosa guadagnato nell’insieme. E così avanti. (II) Professori di diritto, in secondo luogo - civile e processuale soprattutto. I quali non mancano (neanche gli autori più inclini a scorgere nel neo-istituto 58


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qualcosa di “politico”; un prodotto calato un po’ dall’alto, frutto di compromessi vari, con qualche pecca sul terreno dogmatico) di esprimere apprezzamenti intorno a molte fra le scelte compiute dal legislatore. Il tenore della dichiarazione generale d’intenti, ad esempio (“…tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire…”): la decisione di esplicitarla a chiare lettere, in un passaggio all’inizio dell’articolato; la modifica adottata per la rubrica del titolo XII del primo libro, più ampiamente il sistema delle legittimazioni e dei poteri attribuiti al beneficiario. O, ancora, l’addolcimento delle regole in materia d’interdizione (infra, § 19.3), la sottolineatura circa gli scambi di binari tra le varie alternative, l’insistenza su alcuni doveri di fondo dell’Amministratore, la duttilità complessiva dell’impianto apprestato. Si potrebbe continuare a lungo. (III) Docenti di altre discipline, inoltre, dentro e fuori il settore giuridico. Psichiatri e medici legali, in primo luogo. I quali si prodigano nel rimarcare la vetustà/inadeguatezza delle impostazioni in tema di infermità mentale, dominanti presso il Legislatore del ’42; così come attestate dalle risposte stesse del Codice. In particolare, la visione di un’umanità spezzata in due tronconi netti - i capaci da una parte e gli incapaci dall’altra, i sani di mente di qua e i “matti” di là. Relazioni che non mancano, subito dopo, di evidenziare (non senza compiacimento) la ben maggiore sintonia ravvisabile fra le linee del neo-modello codicistico e, dall’altro canto, la sistematica del linguaggio istituzionale e degli approcci - tanto più articolati nella nomenclatura, fluidi tra casella e casella, amanti dei larghi orizzonti, curiosi di ogni distinzione, alieni da ogni forma di manicheismo – che si ritrovano nelle scienze mediche e naturali interessate, oggigiorno, ai problemi del disagio psichico. (IV) Luminari di neurologia, di geriatria, di traumatologia, di immunologia, di medicina generale, ancora. Studiosi i quali non esitano a proclamarsi, anzitutto, sorpresi (felicemente) dalle caratteristiche di apertura ricognitiva, di morbidezza, di sapienza metodologica proprie della riforma del 2003; pronti a enfatizzare, per parte loro, i risvolti empatico/grammaticali di tutto ciò rispetto ai settori specifici di competenza. Scienziati il cui contributo alla discussione culmina proprio, non di rado, nella fornitura di un inventario a tutto campo, in merito alle forme vecchie e nuove di fragilità umana - ad es., sofferenti del morbo di Alzheimer, sclerotici, dementi senili, traumatizzati vari, leucemici, grandi invalidi, spastici, epilettici, persone con tic significativi, anoressici, bulimici gravi, malati terminali, autistici leggeri, oligofrenici, vittime di ictus grandi e piccoli, parkinsoniani, dializzati, portatori di handicap sensoriali, grandi incidentati, e così via (v. anche infra, § 17) - che non avrebbero in linea di principio, poiché non tali da attingere soglie di infermità mentale abbastanza estreme, potuto ambire a nessun tipo di difesa stabilizzata, sotto il vecchio regime (pur essendo le vittime 59


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dei correlativi disturbi impossibilitate, via via, a fronteggiare adeguatamente tutta una serie di emergenze). (V) Ancora: sociologi, antropologi, esperti della devianza, fenomenologi, psicologi. In genere cultori delle scienze umane e sociali: un universo disciplinare dove a spingere chi parla verso conclusioni non dissimili (nel raffronto tra vecchie e nuove risposte del c.c.) mostra di essere piuttosto, ai convegni, la fedeltà verso i motivi classici del “realismo debolo-logico” - dunque il conforto per la ben maggiore centralità che risulta accordata, nella disciplina sull’Amministrazione di Sostegno, a stilemi come quelli della “quotidianità” e dell’”effettività”. Con l’ammonimento rituale - rivolto agli operatori chiamati a far camminare la legge, e non meno però ai giuristi legati all’accademia e alla tradizione a cimentarsi sempre più in futuro (piuttosto che negli interrogativi circa l’esatta natura delle sindromi incontrate) nel censimento delle modalità lungo cui l’agenda dell’interessato si svolge/vorrebbe svolgersi, giorno per giorno, lungo i diversi frangenti dell’esistenza. Ciò che la persona “fa” e “non fa”, in particolare, a paragone di ciò che vorrebbe o che potrebbe - anche sotto il profilo giuridico (v. anche infra, § 12 e § 19). Gli studi intrapresi e interrotti, allora, le persone care e che le rendono visita, le assemblee di condominio, i ratei d’imposta, le riparazioni indispensabili dell’appartamento; e poi le bollette in scadenza, i rapporti di vicinato, l’abbonamento alla pay tv, le transazioni troppo a lungo rinviate, il cagnolino smarrito da cercare; oppure gli hobby messi da parte sfiduciatamente, le smobilizzazioni finanziarie, i conti in rosso, i sogni perduti, i lavoretti in nero da riprendere. 7. Notai e avvocati Il mondo del notariato, ancora: la sottolineatura (e l’encomio) per le regole, dettate in materia di Amministrazione di Sostegno; da cui emergono - riguardo allo svolgimento della professione in futuro, entro l’area delle umane debolezze – fondali non più dominati dalla vischiosità, dall’imbarazzo. La presa d’atto, liberatoria, della fine di un certo passato, di scenari e di contrasti domestici: non si sa se più ingrati tecnicamente o più delicati per la coscienza della categoria. Mai più - in avvenire - uffici professionali da prestare, senza vie d’uscita appropriate, in contesti di clienti sospesi a mezz’aria fra lucidità e disagio mentale; sullo sfondo di operazioni giuridiche urgenti, nella cerchia di familiari magari voraci o indigenti. Con sottoscrizioni e rogiti tanto essenziali ai fini pratici, quanto formalmente arrischiati, impresentabili. Mai più, per il notaio, occhi da tenere mezzi aperti e mezzi chiusi - fra pro60


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tocolli, capezzali, omertà, ufficiali giudiziari, estreme unzioni, verbali di pignoramento, ipocrisie e stanze d’ospedale - accanto a psichiatri riluttanti o ammiccanti; con invalidità negoziali spesso in agguato, responsabilità disciplinari e civili dietro l’angolo, lacerazioni fra buon cuore e prudenza di mestiere. Il punto di vista degli avvocati, infine. La rassegna (esperienza professionale alla mano) delle situazioni umane connotate da spiccata complessità - personale, patrimoniale, familiare - nell’universo degli svantaggiati. La tendenziale impossibilità, per il giudice come per gli assistenti sociali, di spingersi in sede di istruttoria oltre certi livelli di minuziosità tecnica, di ponderazione e/o diplomazia. L’opportunità, per converso, di far rifluire quanto più possibile - del quadro economico, affettivo e sofferenziale dell’interessato - entro il decreto istitutivo dell’amministrazione, come pure nei provvedimenti successivi: evitando a chi li emana il disagio di interventi monchi, soprattutto valutazioni approssimative, destinate spesso a rivelarsi più dannose che utili. La necessità in definitiva - nonché il suggello cui pervenire in via di massima, al di là di certe evasività della legge - del possibile ricorso a un’assistenza legale (pur non obbligatoria, beninteso!), rispetto a individui del genere. La disponibilità degli avvocati a fornire i correlativi patrocinî, non importa verso che tipologie di interessati, dinanzi a quali grovigli casalinghi. L’orgoglio di categoria per l’importanza/nobiltà delle funzioni assolte così, in veste di difensori, lungo un’inedita frontiera del diritto privato - tesa a reagire contro vissuti di ostracismo e di degrado. Voci dal territorio Notazioni più auliche, abbiamo detto. Poi per l’appunto (accanto alle sintesi di maggior respiro, svolte comunque in chiave di principio) gli interventi operativi/territoriali nei convegni. Cronache attente al versante gestionale, rendiconti legati ai percorsi caratteristici del circondario; quelli dell’area in cui si svolge l’incontro, in parte i luoghi e le pratiche di ogni città e campagna possibile - ovunque esistano individui da sottrarre all’emarginazione. Discorsi che si ascoltano, d’abitudine, nella seconda parte degli incontri di studio; personaggi con il nome nella parte bassa dei cartelloni, rappresentanti di sigle o di acronimi talvolta oscuri, paesani. Grana oratoria diversa, allora, storie di vita vissuta. Esemplificazioni, note autobiografiche magari, cenni a metodologie di lavoro - buone o cattive - sperimentate durante gli ultimi anni (un po’ con tutti i referenti sul campo). Titoli 61


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di studio e valenze professionali d’altro genere; minor familiarità con il microfono (ma non è detto!), accenti improntati a un senso di forte immediatezza, preoccupazioni circa i risvolti funzionali e finanziari della riforma. 9. I Giudici Tutelari L’immagine del presente e del futuro che si fronteggiano, allora; la consapevolezza del “già fatto” e del “da farsi” giorno per giorno, come tramiti inscindibili fra loro. L’angolo visuale dei Giudici Tutelari, per cominciare - con osservazioni attente quasi sempre sia ai profili di carattere “generale” (quelli della procedura soprattutto) sia alle vicende e agli interscambi “locali”. Dichiarazioni di sollievo in primo luogo: elogi per l’ostracismo decretato nel 2003 rispetto a (ogni futura necessità di) forzatura applicativa, in merito all’interdizione e dell’inabilitazione. Mai più, nella prassi degli uffici, sottrazioni di diritti soggettivi come pedaggio per l’attribuzione a qualcuno di una pensione d’invalidità, o quale prezzo per il riconoscimento di benefici sul terreno sanitario – entro la fascia delle persone non prive di ombre, sul terreno psichico, ma in condizioni tutto sommato accettabili. Le leggi di settore da riformare o reinterpretare anch’esse, una per una. Gli apprezzamenti sul terreno processuale, ancora. Bene l’aver puntato - da parte del legislatore, rispetto al nuovo istituto - sul giudice tutelare quale figura chiave per la conduzione di ogni fase del rito (unica linea rispettosa della vastità della casistica umana, in materia; coerente, d’altronde, con la relativa semplicità amministrativa di tante vicende personali e con la frequente necessità di scelte rapide, poco costose, deformalizzate: v. anche infra, ). Bene l’esplicitazione entro il C.C. di una serie di decisioni, attinenti al beneficiario, quali passaggi suscettibili di compiersi pure in via d’ufficio, ad opera del magistrato - scongiurandosi altri pericoli di negligenze e ritardi. Bene il non essere più costretti a ricorrere, così, all’una o all’altra delle scappatoie che mostrano di esser state coltivate - negli ultimi decenni, dai giudici di varie sedi italiane (sempre con una certa precarietà) - al fine di “proteggere senza interdire” questo o quel disabile. Ad es., la via di cui all’art. 3, 6° comma, della Legge 180, rifluito poi nel 6° comma dell’art. 35 della Legge 833/78: possibilità per il G.T., in caso di necessità, di adottare i provvedimenti urgenti indispensabili per la conservazione e l’amministrazione del patrimonio dell’infermo di mente sottoposto a trattamento obbligatorio. Oppure le strade poggianti sul richiamo agli artt. 361 (emissione, da parte del G.T., dei “provvedimenti urgenti che possono occor62


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rere per la cura del minore per conservare e amministrare il patrimonio”), 419 (nomina di un tutore provvisorio all’interdicendo o di un curatore provvisorio all’inabilitando) e 424 C.C. (applicabilità all’interdicendo e all’inabilitando delle norme stabilite in materia di tutela dei minori). Bene poi - quanto al secondo profilo, in ambito locale - i consuntivi circa le pratiche di intesa/collaborazione avviate al di fuori del palazzo di giustizia, sin dai tempi della legge 180, con le risorse pubbliche e private del circondario: centri di salute mentale, SERT, residenze protette, volontariato, cooperative sociali, etc. Linee di dialogo e confronto da riprendere oggigiorno, si rileva, pur al di là dei contesti di legge sopra menzionati; e da approfondire anzi lungo moduli inediti di consultazione e di scambio (infra, § 21), fra tutti quanti gli attori del procedimento - secondo gli espliciti richiami della neo-disciplina del c.c. Operatori, Volontariato Il comparto sociale ancora, le esperienze e i promemoria dei vari protagonisti, individuali e collettivi. (x) I servizi psichiatrici delle Aziende Sanitarie Locali anzitutto. Con due motivi intrecciati strettamente fra di loro. Sotto il profilo disciplinare: la percezione delle concordanze fra il verso lungo cui muove il lavoro degli operatori, nei centri di salute mentale, e il linguaggio che pervade complessivamente l’Amministrazione di Sostegno. I “no” pronunciati o avvertibili - su ambedue i crinali - rispetto alla rigidità delle caselle diagnostiche, nei confronti delle logiche meramente assistenzialistiche. I “sì” alla valorizzazione del dialogo, del feed-back, la scommessa sulle risorse del self help. In chiave di politica del diritto, poi: i motivi della contrattualità recuperata, della “libertà come terapia”; la bandiera dell’empowerment per ogni singola persona, l’accentuata considerazione per le ricadute di ogni assetto civilistico sul terreno della legislazione psichiatrica (infra, § 13.1). (y) Le associazioni dei familiari, i gruppi di volontariato. Due, fra i motivi in gioco, quelli che più spesso affiorano. Esultanze, in primo luogo, per l’avvenuto ridimensionamento dell’interdizione/inabilitazione - come uniche vie d’uscita possibili a favore dei non autosufficienti. Sentimenti, per un verso, alimentati dalla memoria delle tante situazioni di spaccatura fra coscienza di dover fare qualcosa di utile, a beneficio di un parente in difficoltà ormai maggiorenne, e paura di una cattiva pubblicità nei registri, di velenosi contraccolpi d’immagine (infra, § 19). Per l’altro verso, poggianti sul riscontro dei margini di stigmatizzazione infinitamente minori che appaiono legati, sulla carta, alle nuove risposte (infra, § 23). 63


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Disponibilità dichiarata in secondo luogo, sul piano personale, quanto alla futura copertura del ruolo di Amministratori di Sostegno; orgogliosa consapevolezza, sul terreno “autobiografico”, di una pratica/maturità ben collaudata in tal senso - unitamente alla coscienza circa la necessità di scongiurare il rischio di vuoti, nell’intermedio, al desiderio di riversare sull’istituto un’esperienza talvolta già ricca. (z) I servizi assistenziali del Comune, ancora. La presa d’atto allora, a livello di “ente pubblico”, dell’ingresso dell’Amministrazione di Sostegno entro l’ordinamento italiano; l’istituzione municipale, sin dalle prime battute, non all’oscuro del valore politico della posta in gioco – per i cittadini svantaggiati, per i loro parenti, più ampiamente per l’intera comunità. La consapevolezza degli stretti rapporti intercorrenti fra piano dei “diritti soggettivi individuali” e piano delle risposte affidate, in concreto, all’opera dei “servizi sociosanitari”. L’impegno degli assessorati a riorganizzare questi ultimi in vista di una maggior efficienza e continuità, specie sul fronte dell’assistenza domiciliare. L’accettazione (dichiarata) della “ sfida” a fare del governo cittadino il polo trainante, qui come altrove, di un complesso lavoro di coordinamento amministrativo - anche nella prospettiva di un riassetto fra i pubblici settori di assistenza, così come sollecitati dall’avvento della Legge 328. Le reazioni di tipo “individuale” in secondo luogo - le modalità con cui i singoli addetti ai servizi vivono il superamento dell’interdizione, dal proprio punto di vista. Sentimenti di vario tipo allora; soddisfazione per un mansionario che viene (di fatto) ad alleggerirsi da ogni gravosità e insidiosità burocratica, grazie all’avvento del nuovo istituto. Compiacimento per la cessazione o il rarefarsi dei presupposti della negotiorum gestio, nelle agende di lavoro: consolazione per un certo limbo del “non diritto” che esce di scena, definitivamente. Mai più Assistenti sociali spinti, dalla necessità e dalla misericordia, a custodire periodicamente denaro altrui con dubbie autorizzazioni; a fare acquisti e pagamenti con procure fantasma, etc. Dileguati finalmente gli spettri di responsabilità civile rispetto a possibili imputazioni di abuso, nella cura di tanti microcosmi - dinanzi a eccessi di zelo o a errori di condotta sempre incombenti. 11. Riforme mancate Detto ciò, non va dimenticato - nel bilancio dei rapporti fra problematiche dell’infermità di mente e disciplina privatistica - il vasto capitolo delle perdute 64


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occasioni di riforma: delle materie che non sono state cioè, un po’ improvvidamente, oggetto di alcun ritocco ad opera del legislatore del 2003. (a) Non erano mancati suggerimenti, in particolare, riguardo alle modifiche da attuare sul terreno dell’art. 428 C.C. Ecco invece un settore che è rimasto, alla fine, esattamente come prima, ossia uguale rispetto alla versione del 1942. Con al centro della fattispecie per dirla in breve - non già, come sarebbe opportuno che fosse, il momento oggettivo della “svantaggiosità” o meno del contratto per l’incapace; bensì il requisito - doppiamente fuorviante su un terreno di politica del diritto (troppo protettivo da un lato: con rischi di ostracismo e “ingessamento” preventivo per il disabile; troppo disinvolto da un altro lato: con aree di pericolosa scopertura, ad esempio in ordine alla stipulazione dei contratti a distanza) - della buona o mala fede della controparte. (b) Restano altre questioni statutarie, malaccortamente inevase nel 2003, di cui non c’è ora il tempo di parlare approfonditamente - ma che andranno un giorno pur riprese (v. anche infra, § 19.2). Per esempio, il punto della (necessità di) modifica dell’art. 2046 C.C., in merito ai fatti illeciti posti in essere da un incapace naturale. Come suole giustamente ripetersi: un vaso da fiori lasciato cadere sulla testa di un passante, da un condomino il quale abbia compiuto un gesto irriflessivo sul davanzale, al quinto piano del palazzo, non farà più o meno danni, a pianoterra, secondo che vi fosse lassù una persona nel pieno possesso, oppure no, delle sue facoltà mentali. Stesse considerazioni per quanto concerna (responsabilità soggettiva) le corse e gli investimenti di un coinquilino, lungo le scale di casa; oppure gli urti e gli spintoni a un passante su e giù per i ponti di Venezia; o, piuttosto, il rubinetto della vasca da bagno lasciato aperto per ore, al piano disopra. O ancora il lancio a casaccio di un sasso al giardino pubblico, oltre la siepe; magari una sigaretta dimenticata accesa in un bosco (e destinata a non spegnersi da sola, anzi!). Ed è alla vittima che occorre guardare soprattutto, nel campo dell’illecito extracontrattuale. Detto altrimenti. Preoccuparsi delle difficoltà psichiche del convenuto può, in linea di principio, andare bene; non, tuttavia, al punto da escludere ogni possibile responsabilità aquiliana. Al massimo, delle compromissioni mentali che il danneggiante accusasse al momento del fatto, si potrà tener conto sul terreno del quantum respondeatur - in vista di un’attenuazione della somma da risarcire; secondo una valutazione svolta dal giudice in via equitativa, variabile caso per caso. Senza togliere però al disabile (ecco il punto) la “proprietà” e “responsabilità” di quel gesto - ciò che sarebbe non di rado controproducente, si è osser65


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vato, pure dal punto di vista terapeutico, ammonitore. (c) Ancora, restando in ambito di danni, il nodo della responsabilità contrattuale del malato di mente. Dopo l’acuta relazione a Trieste di Giovanni Cattaneo, nel 1986, direi che non è stato più scritto/prospettato granché di importante in proposito; e si tratta, invece, di un segmento rilevante della materia - a parte le spinte a domandarsi, quando si accenna a siffatti capitoli, come mai non esista pressoché giurisprudenza in argomento. Vorrà dire che i sofferenti psichici sono tutti quanti adempienti, puntuali quali debitori contrattuali? Che fanno, non fanno, firmano, consegnano tutto ciò che dovrebbero? Improbabile. Oppure che i portatori di disturbi del genere non esistono più in Italia o che non stipulano mai contratti significativi? Risposte insoddisfacenti anche queste. O non, piuttosto, che tanti creditori esitano a citarli in giudizio? E in tal caso perché? E dovremo, comunque, considerare rassegnazioni del genere come un bene o come un male?

11.1. Testamento e donazioni Altro nodo non secondario, sotto l’angolatura dello ius condendum: quello dell’opportunità di abbassare, riguardo ad alcuni frangenti negoziali, il tasso di solitudine e “scopertura” giuridica nella realtà quotidiana delle persone (i) afflitte magari da turbe di tipo mentale, e (ii) non abbastanza malestanti da vedere incrinata (più di tanto) la propria capacità naturale - l’equilibrio della ragione e dei sentimenti. Oggi, malgrado la nuova legge sull’Amministrazione di Sostegno, sono molti i disabili i quali, beneficiarî o meno che siano di qualche “protezione organizzata”, figurano lasciati al proprio destino, quando ambirebbero (x) a fare testamento, oppure (y) a compiere una donazione - e possono fin dall’inizio supporre che l’atto da essi posto in essere sarà/sarebbe impugnato, con l’80% di probabilità, da qualche parente tanto avido di denaro quanto poco rispettoso, comprensivo. Occorreva in proposito immaginare (e nella bozza triestina dell’86 si era tentato di farlo) il meccanismo di un soccorso protocollare, ad testandum, prestato da qualche “microgruppo istituzionale” - formato, diciamo, da uno psichiatra, da uno psicologo, da un notaio (o figure analoghe). Un’entità o un “commando” di consulenza/supporto, nominato in sede giudiziale, e capace di aiutare la persona in difficoltà a redigere una specie di 66


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testamento pubblico; ultime volontà che da quel momento - stante il vaglio e l’imprimatur fornito dagli esperti, circa la sussistenza, nell’autore, di un minimum di consapevolezza e lucidità - non sarebbero state più annullabili per ragioni di (in)capacità. Questo spunto innovativo non è stato coltivato dal legislatore del 2003; è un suggerimento rimasto per intero sulla carta. E il risultato è che oggigiorno, a prescindere dal regime civilistico di salvaguardia in corso, chiunque – ritenga di avere (non a torto) pochi anni o pochi mesi da vivere; – sia intenzionato a fare testamento; – non ignori di avere intorno a sé, o da qualche parte nel mondo, dei “parentiserpenti”; – si renda conto di essere vagamente appesantito, annebbiato nella mente; sa che quasi certamente: (i) o si deciderà a non fare nessun testamento, oppure redigerà un atto esattamente come lo vogliono i suoi eredi legittimi, i quali sono lì pronti a gettarsi sui beni in questione; (ii) o sceglierà invece di fare un negozio di ultime volontà così come aggrada a lui, e allora (può ben prevedere che) quell’atto verrà quanto prima impugnato e finirà per essere verosimilmente invalidato, stante la pressione giudiziale dei rapaci congiunti – il tutto senza possibilità di “antidoti” istituzionali. 12. Amministrazione di Sostegno e approccio esistenzialista Una fra le chiavi di volta della neodisciplina, è stato sottolineato, appare quella inerente al taglio prettamente esistenziale - accolto/da accogliersi, oggigiorno, nelle materie del diritto civile. L’approdo a prospettive tese a mettere, cioè, in primo piano gli spazi della quotidianità, le diverse scansioni dell’agenda giornaliera. In particolare, il sistema dei rapporti familiari, affettivi, sociali, di scuola e cultura; le relazioni di svago, di vacanza, di sport, di partecipazione politica e sociale, di espressione artistica e letteraria (v. anche retro, § 6; infra, § 23). La realtà spicciola di tutti i giorni insomma; il fare/essere della normalità, della routine fisiologica, delle banalità ricorrenti di ogni tipo (miserie e splendori inclusi). Ecco ciò che richiede di essere assunto sempre più, dall’interprete, nella trama corrente del diritto privato - qui come riferimento a una serie di “faville” individuali da rinvigorire, a rigogli partecipativi da ordinare/ripristinare, presso chi beneficia dell’Amministrazione di Sostegno. Si tratta di un punto di vista non poco innovativo, tra l’altro, rispetto alle secche della vecchia cultura giuridico/psichiatrica - abbarbicata, di solito, ai fantasmi di ciò che sta dentro e intorno al diritto penale, ai fatti di sangue che sono stati o potrebbero venir commessi da chi stia male psichicamente. Assorta comunque, pur storcendo il naso, nella contemplazione perenne delle cate67


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ne, delle inferriate, delle (sopravvissute) contraddizioni dell’ospedale psichiatrico giudiziario. La legge n. 180 prima, poi il provvedimento di cui oggi parliamo, appaiono destinati a – dovevano/dovrebbero - cambiare notevolmente il panorama: obbligando lo studioso “psi” ad accorgersi che così non è, non dovrebbe essere, per la grandissima parte dei sofferenti mentali. Ai medici e agli infermieri viene oggi ricordata l’esistenza di un versante che essi ben conoscono, in teoria, ma che sovente finisce - grazie a una curiosa schizofrenia archivistica (da cui pochi guariscono: si continua a dire che i “matti” non uccidono, che non fanno male a una mosca; e si parla però in continuazione di processo penale, di contenzione, di porte sbarrate) - per restare in un angolino separato. La verità è che anche rispetto agli infermi di mente (questo il dato di novità) il sistema-base dei comandi giuridici è ormai diventato, sul terreno della quotidianità, quello del diritto civile. Il diritto penale è abbastanza eccezionale: farà notizia, talvolta commuove, suscita magari discussioni, procura audience in TV; ma di rado entra in gioco nella cronaca reale delle persone. A contare davvero, come s’è rilevato all’inizio, sono invece - per tutti - le questioni che attengano ai segmenti privatistici: quelle della famiglia, dei rapporti associativi, del lavoro, delle successioni a causa di morte; oppure i problemi della banca, dei rapporti di vicinato, delle vacanze, della cooperativa, delle cambiali, delle scommesse, delle assicurazioni, del condominio (v. anche retro, § 6). La vita di tutti i giorni, uguale – almeno in parte – per tutte quante le persone, bene o male che esse stiano psichicamente. 12.1. Quotidianità e responsabilità Si tratta - complessivamente - di un universo che esce oggi “allo scoperto” (attraverso la nuova legge del 2004) come un quid assai meno insolito che nel passato, rispetto all’esistenza delle creature in affanno. Soprattutto assai meno tecnico, astruso e lontano. E la psichiatria più recente sta anch’essa accorgendosene - sia pur nel modo distratto e intermittente di cui sopra. L’Amministrazione di Sostegno non parla, in effetti, un gergo granché diverso da quello del danno esistenziale. C’è poca differenza, a ben guardare, fra il verso e il fondale di questi due settori, del 1° e del 4° libro del C.C. - anche se va detto come Genova, riguardo alla neo-voce del danno non patrimoniale, non ci stia dando propriamente un aiuto. Mette anzi qualche volta i bastoni tra le ruote. 68


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Non tutta la città magari, diciamo una parte della Genova accademica; dotata tuttora di peso e di influenza però. Mi sarei aspettato in Liguria un sostegno maggiore rispetto alle nuove linee di lettura, nel campo del danno alla persona: questo appare, a ben vedere, lo stesso soffio antropologico e costituzionale che ha ispirato - torno a dirlo - le leggi degli ultimi decenni sulla follia (retro, § 1; infra §§ 14 e 19.2). Speravamo di più. Invece, l’impressione è che chi ha contribuito a inventare il danno biologico, trent’anni fa, risulti oggi infastidito da un riflettore che ha l’effetto di spostare altrove, culturalmente e strategicamente, l’attenzione principale del giudice, del lettore, dell’avvocato - che lascia in ombra coloro i quali si erano abituati a stare al centro della scena (e pensavano, magari, che così sarebbe durata per sempre). 13. Nuovo linguaggio, angeli custodi Nella riforma che oggi celebriamo, la qualità del “soffio antropologico” – occorre aggiungere - appare suggellata/esaltata anche sotto il profilo linguistico. Si tratta anzi di uno dei passaggi che, a prima vista, colpiscono maggiormente l’interprete. (a) Dentro ai nuovi articoli sull’Amministrazione di Sostegno incontriamo, in effetti, verbi e sostantivi in larga parte estranei al testo primigenio del codice civile. Per certi versi formule bizzarre - termini alquanto sociologizzanti, più o meno avvolgenti ed eretici. Espressioni come: “richieste”, “interessi ed esigenze di protezione della persona”, “aspirazioni”, “con la minore limitazione possibile”, “espletamento delle funzioni della vita quotidiana”. Oppure: “bisogni”, “interventi di sostegno temporaneo o permanente”, “responsabili dei servizi sanitari e sociali”, “necessario per assicurare la loro adeguata protezione. E ancora: “condizioni di vita personale e sociale”, “atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”, “autonomia”, “interessi morali e patrimoniali del minore o del beneficiario” (v. anche retro, § 4). E il combinarsi di tutto ciò, l’intreccio complessivo delle frasi - il modo stesso di presentare le regole, da parte del legislatore: tutto ciò si dipana ancor più nel segno della morbidezza prescrittiva, dell’autentico “diritto mite”. (b) È questo un tratto da rimarcare con forza, e che apre subito la strada, va rilevato, alla riflessione su altri aspetti-chiave della neo-disciplina. In sintesi. L’Amministratore di Sostegno è una presenza da concepire, sulla carta, come qualcosa di non molto distante da una sorta di fratello maggiore (un po’ manager e un po’ tuttofare casalingo). Secondo qualche autore, da avvicinare alla figura infantil-natalizia dell’”angelo custode” (certo in salsa 69


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laica/territoriale; non a caso si è evocato il personaggio quasi-alato del film “La vita è meravigliosa” di F. Capra). Pazienza, si prosegue, se colei o colui che è stato prescelto per colmare i vuoti operativi - pensionistici, condominiali, fiscali, alimentari, cerimoniosi, sanitari, colloquiali - di un disabile potrà dimostrarsi, qua e là, cultore non eccelso o poco professionale di cose giuridiche; e se ciò poteva mettersi, anzi, in conto fin dalla nomina. L’importante è che si tratti di un individuo equilibrato, disponibile “come testa e come gambe”. Possibilmente una creatura generosa, non troppo impaziente, con doti spiccate di buon cuore - una presenza attenta alle esigenze, al limite ai capricci, comunque alle (cangianti) necessità materiali e spirituali della persona “amministranda”. (c) Allorché le questioni di stretto diritto da risolvere, nella vita di quest’ultima, si annuncino come particolarmente intricate, sofisticate: bene, potremo pensare sia miglior partito puntare - per la copertura di quel ruolo - su qualcuno di sagace tecnicamente, versato a sufficienza nelle pandette. Altrimenti no, non è detto. Tenendo presente che potrebbero ben esservi, di regola, come guida per il lavoro minuto dell’amministratore, le tracce offerte via via dal giudice tutelare (certo, una volta che gli organici del tribunale fossero adeguatamente rinforzati); oppure che potrebbe essere attiva, nelle città più sensibili e organizzate, la risorsa consulenziale di qualche servizio o “tavolo inter-istituzionale” (cfr. infra, § 21). L’importante è che ad orientare ogni fase del tragitto (nella individuazione a monte del designando, come in ordine ai comportamenti da suggerire all’amministratore) siano ragioni di affettuosità, di premura. Capacità d’immedesimazione, garbo comunicazionale, mancanza di pigrizia nella conduzione degli affari - queste le qualità da incoraggiare, in tutti i momenti inerenti alla neo-figura.

13.1. Tentazioni neo-manicomiali Un vicario/assistente, s’è detto, pronto a prendersi cura delle istanze della persona, globalmente intese, oltre che delle necessità obiettive del patrimonio. E che possa all’occorrenza diventare, con riguardo precipuo ai sofferenti mentali, un diffuso baluardo contro ogni ipotesi di restaurazione gius-psichiatrica – in merito a questo o quel versante disciplinare della legge 180. Più precisamente: uno strumento attraverso cui argomentare il “no” tendenziale a proposito dei vari progetti e sub-progetti, oggi pendenti al parlamento, circa l’introduzione in futuro dei c.d. manicomietti - delle residenze sanitarie 70


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cioè di medio calibro, concentrate in qualche luogo del territorio, infarcite di posti letto. Da tutti gli operatori “illuminati” del paese, le proposte avanzate negli ultimi tempi da alcuni deputati della maggioranza sono state valutate, sotto questo punto di vista, come non poco temerarie: una prospettiva scopertamente nostalgica, panmedicalistica della sofferenza mentale - non di rado favorevole anche alle letture mono-biologiche, con forti aperture di credito nelle virtù degli psicofarmaci, nelle terapie del sonno, nella felicità e autosufficienza dei reparti, nelle porte senza maniglie, nella contenzione notturna. C’è al fondo di quei disegni una più o meno sotterranea ideologia anti-180, prebasagliana; con i trattamenti sanitari obbligatori (TSO) molto allungati, diminuite garanzie per la persona. Tutte indicazioni con sapori di oggettivo ripristino, per l’appunto, di ottiche filo-segregative, inframurarie - a parte il sospetto di un favore concesso, puramente e semplicemente, alla lobby dei gestori di case di cura private. Per la verità, anche il Governo e i gruppi della maggioranza sembrano essersene accorti: la cosa è stata per il momento bloccata. Non si sa tuttavia come potrebbe finire la prossima volta: e occorre invece “vigilare” contro ipotesi del genere, che appaiono quanto mai subdole. In effetti: quasi ogni giorno i quotidiani o la TV segnalano la scoperta da parte della polizia o dei carabinieri, in questa o in quella città, di qualche ospizio o clinica lager - in cui i degenti vengono trovati legati, malnutriti; in condizioni di igiene precarie, spiritualmente regrediti, incupiti, dimenticati da Dio e dagli uomini. Ogni ipotesi legislativa di tipo neo-istituzionalistico, tenuto conto anche della difficoltà dei controlli amministrativi e di pubblica sicurezza, ha l’effetto di favorire il moltiplicarsi di scenari del genere. Ma l’elenco dei rischi è ben più folto. Ecco allora - proprio su un terreno di politica del diritto e della medicina l’utilità di una nuova figura difensiva per il disabile, di un baluardo sbocciato sul terreno del diritto civile. Un punto-luce vicariale (sottolineano per primi i terapeuti dei Centri di salute mentale), solerte quanto occorre come contabile, ragioniere; formica o cicala secondo le necessità e i desideri: in grado di capire al meglio i bisogni che si affacciano, di ritrovare i bandoli più fruttuosi presso l’interessato, sul terreno biografico - di indovinarne anche le attese, e le fantasie, meno esplicite. Tutto ciò renderà ancor più chiari l’anacronismo e l’incongruenza di qualsiasi linea di intervento drastico - maschio, normalizzatore - da parte del legi71


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slatore psichiatrico del prossimo futuro. L’Amministrazione di Sostegno è anche in funzione (si rimarca) di simili paletti “contro-istituzionalizzanti”. 14. Il fondale delle grandi riforme Altro passaggio, quello del richiamo (da tanti interpreti compiuto, sin dalle prime discussioni su diritto e psichiatria) ad approfondire i collegamenti tra, da un lato, la filosofia generale dell’Amministrazione di Sostegno e, dall’altro lato, il sistema delle “grandi leggi” di riforma dei diritti della persona - quelle che sono valse, negli ultimi trent’anni, a liberare la comunità da secolari disuguaglianze e soprusi. L’invito è, in particolare, a prendere le mosse dall’elenco delle fondamentali modifiche degli anni Sessanta e Settanta (come non ricordare le più importanti?): il provvedimento sul licenziamento per giusta causa, l’adozione c.d. speciale, lo statuto dei lavoratori, il divorzio, la legge sulla maggiore età a 18 anni, la riforma del diritto di famiglia, il testo sull’interruzione di gravidanza si potrebbe continuare a lungo. Ancor più (parlando di nuove protezioni soffici, interdisciplinari) le leggi rivolte specificatamente ai “soggetti deboli”: la 180, la 104, le normative sui ciechi, su certe altre disabilità; il collocamento obbligatorio, i provvedimenti sul volontariato, sulle cooperative di solidarietà, i provvedimenti regionali sull’handicap; per tanti versi la stessa L. 328, che ha di recente riformato la trama dei servizi socio-sanitari. Vi è in questa successione di novità e trasformazioni, per chi sappia coglierlo, un disegno ben preciso di affrancamento dell’uomo (un “metodo” direbbe quel personaggio dell’Amleto): l’obiettivo della restituzione/implementazione, soprattutto al cittadino in affanno, delle sue prerogative fondamentali, l’ideale della costituzionalizzazione piena del diritto privato. Dare a ciascuno congrui margini di espansione del suo essere – il tutto in chiave quanto più possibile espansiva, promozionale. 15. Nozione di “persone deboli” Ecco così gli spunti ricompositivi portati avanti in letteratura, durante questi anni, sul terreno dei c.d. soggetti deboli. Persone non già “intrinsecamente fragili”, si è sottolineato, quanto piuttosto “disilluse” dall’esterno - frustrate dalla mancanza di qualcosa che dovrebbe esserci, all’intorno, e che non c’è mai stato invece. O che esiste magari, nei meandri della città o del territorio, ma non abbastanza corposamente, rigogliosamente. 72


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(i) La verità è che ogni essere umano è portatore - si ricorda - di un proprio “progetto di vita”: più o meno limpido o ambizioso. Chiunque si alzi la mattina e inizi una nuova giornata (anche chi non può fisicamente mettersi diritto) vuol dare alla propria esistenza un qualche significato, grande o piccolo che sia. Durante il corso degli eventi, di giorno o di notte, ciascun individuo continua a tessere piani, a disegnare l’immediato; magari a correggere qualche errore degli ultimi mesi: “affitterò una casa, farò l’università, troverò un lavoro, tenterò quel certo concorso, rimetterò quei debiti, mi abbonerò alla stagione teatrale, cercherò altri spazi, mi riconcilierò, proverò ad adottare un bambino, rifarò l’operazione agli occhi, andrò in vacanza”. E poi, chissà: lo sport, i libri, i saldi, il pensiero degli amici vecchi e nuovi da incontrare (donne, uomini, bambini); e ancora i fumetti, la sala corse, un ciclo di conferenze, le collezioni, la borsa, i fondi pensione, gli annunci sul giornale, la musica - magari niente; comunque un “niente” non imposto al 100% dalle circostanze, dalla disgrazia: non un ozio purchessia, una qualsiasi partitura di vita. (ii) Ecco allora la “combinazione esistenziale” (questa una delle locuzioni impiegate talora in dottrina). Il tratteggio che ciascuno effettua cioè, più o meno confessatamente, degli obiettivi avvertiti come propri. La presa d’atto di alcune pulsioni e ambizioni di fondo, dei respiri emersi con lo scorrere del tempo - l’insieme dei gesti che si vorrebbero, da quel momento, al centro dell’agenda. Uno slancio a fare, forse a cambiare, magari a riprendere qualcosa; anzi, di solito, a fare e insieme ad essere (se stessi) - questi i verbi che si intrecciano fra loro, in misura costante, pure nei discorsi relativi al danno esistenziale. Il soggetto svantaggiato è pure lui così, si sente come gli altri, come tutti quanti; il suo ronzio non è diverso, né speciale: le differenze a quel livello non contano, neppur sussistono anzi. Aspira anch’egli, essenzialmente, a “realizzare” se stesso – dentro e fuori. Però, ecco il punto, non ci riesce completamente, non da solo. Un qualche impedimento di base (di carattere fisico, psichico, sensoriale, istituzionale, anagrafico, logistico, etc.) glielo vieta parzialmente o contingentemente. In qualche modo lo attanaglia, lo trattiene altrove contro la sua volontà. Non farcela è il verbo chiave della nuova legge. (iii) Quest’ultima dunque. Si tratta di un articolato da scorrere (è stato detto) in chiave prettamente antropologica, “demedicalizzata”. Non di sola salute vive l’uomo - e non sono 73


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unicamente i guasti all’integrità psicofisica che valgono a pregiudicare l’ indipendenza delle persone. Esiste, bisogna ammetterlo, qualche passaggio della novella che pecca, sotto questo punto di vista, di eccessi di patologizzazione - che tradisce risonanze positivistiche, per certi versi “lombrosiane”. Forse l’art. 404 C.C. non è stato abbastanza coraggioso, al riguardo, c’è qua e là troppa accentuazione (semplificatoria) rispetto ai momenti dell’infermità, della menomazione. Sorge più di un sospetto di inconciliabilità descrittiva rispetto ad altri passaggi della riforma (ad esempio per quanto concerne il primo articolo, o la nuova rubrica del titolo XII del libro primo: retro, §§ 4 e 6). (iiii) Il cuore del provvedimento del 2004 allora – le indicazioni da tenere presenti sopra tutte le altre. Si tratta delle voci intonantisi, ripetiamo, all’idea del non riuscire, del non farcela da soli. Uno scacco che appare spesso, però, a “macchia di leopardo”: questo contratto no e questo sì, quell’altro negozio un po’ meno. Quell’altra tipologia solamente nei giorni dispari; queste determinazioni invece mai, sin dai vent’anni - quegli atti magari sì con l’aiuto di qualcuno. E non è questa la sede per domandarsi fino a che punto la nuova nozione di “fragilità negoziale” - introdotta a quella stregua entro il C.C. (tanto più frastagliata rispetto alle vecchie accezioni di incapacità, legale e naturale; tanto meno incentrata rispetto ad esse su momenti di ordine clinico, e assai più invece su versanti di tipo schiettamente gestionale/esistenziale) - sia destinata a interferire col significato dei vari riferimenti all’incapacità. Ad esempio, su terreni come quelli dell’annullamento contrattuale, dell’estinzione della proposta contrattuale, dello scioglimento dell’affitto o del mandato, in materia di circolazione dei titoli di credito, con riguardo all’esercizio dell’impresa commerciale, in campo aquiliano, e così via. 15.1. Carenze dei Servizi sociosanitari Per quanto qui interessa, allora. Chiunque non sappia (per effetto di qualche deficit) in che modo condurre in porto le operazioni messe in cantiere, o comunque immaginate. Qualunque essere non riesca - poiché trattenuto da qualcosa di più forte - a portare avanti questa o quella fra le sue iniziative, che pure dovrebbero stargli a cuore. Ebbene, costui potrà aspirare ad essere coperto attraverso l’intervento dell’amministratore. (a) “Inadeguatezza gestionale” - si è detto - spaesamento/riluttanza sul terreno burocratico; passività indotte dalla sfortuna, scarsa tempestività nel reagire, diffidenza cronica verso le istituzioni. 74


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Sfiducia nelle proprie risorse di scaltrezza, incrostazioni da ricondurre alla solitudine, alle delusioni della civiltà. Lasciare che tutto continui come prima, non guardare abbastanza in faccia la propria realtà affettiva, locomotoria, contabile. Buttare via fatture e bollette senza aprirle, stancamente, non dire mai né di sì né di no, infischiarsene se il terrazzino crolla. Diffidare di chiunque suoni il campanello o, per converso, aprire la porta a tutti i finti esattori e benefattori, a chiunque si presenti in divisa oltre lo spioncino. Non rispondere al telefono se non di notte, passare tutti i pomeriggi in chiesa, o al parco con qualsiasi tempo, riempire la casa di gatti, fare nient’altro che solitari con le carte, non aggiustare da mesi la stufa elettrica. Aver smesso di mangiare e di bere, saltare gli appuntamenti col dentista, ordinare ventisei vestaglie di raso azzurro, sentire sempre più delle voci. Evitare di lavarsi, dimenticare il proprio nome, vedere nemici dappertutto, continuare a rimirare per ore il punto in cui la parte si congiunge col soffitto (v. anche retro, § 5). (b)Si è concluso allora in dottrina: vi sono al mondo - tutt’intorno - non già soggetti deboli, bensì persone indebolite, mantenute sottotono dalla mancanza (dalla poca efficienza) dei servizi socio-sanitari che potrebbero armare o rinfrancare quei progetti, quei lieviti. Questa la chiave di volta. I diritti “sociali” dell’individuo - la cura, l’assistenza, il trasporto, la scuola, la formazione professionale, l’abitazione, la rieducazione, la salubrità ambientale, etc. -: voci del genere hanno, soprattutto per chi è in affanno, bisogno di qualcosa che le faccia camminare col ritmo giusto, che puntelli ogni passaggio a livello pratico. Agli sportelli, firmando i moduli, chiedendo il servoscala, coi bollettini giusti. Facendo un piano di giornata, decidendo le priorità: in giro per le stanze, lungo il circondario, sottoscrivendo i ricorsi, incassando, protestando, presso gli uffici competenti. E qualora tutto ciò manchi, la “combinazione esistenziale” del disabile (di cui sopra) diventa presto irrealizzabile - minaccia di restare sulla carta. (c) Basta chiedere a un soggetto c.d. “fragile”, di qualsiasi tipo, se si viva davvero come tale; risponderà quasi sempre di no, che non è vero. Non ha quelle caratteristiche lui; altri sì forse, ma non lui. Comunque un tempo (precisa) non era così, e se le cose sono cambiate non è colpa sua; basterebbe poco comunque per tornare come prima. Dicono gli operatori: è stupefacente la distanza fra il “poco” che servirebbe dal lato delle istituzioni, e il “tanto” di energie personali che verrebbero rimesse in circolo. 75


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Quanto all’interessato: se dicesse di sì, se piangesse o maledicesse, quello sarebbe un sintomo che tanto in balia delle cose il nostro uomo, forse, non è. (d) Come è stato detto allora. Esistono nella gran parte dei casi persone (non già deboli, bensì) indebolite dall’assenza dei necessari supporti d’ordine sociosanitario - pubblico o privato. Dalla neghittosità, secondo i casi, degli assessorati regionali, dalla confusione amministrativa, dall’inflazione dei sentimenti, dal clientelismo nell’assunzione del personale. Dalla scarsa organizzazione del volontariato, dalla cecità del governo centrale, dalla disinformazione sullo stato delle cose, dalla corruzione di qualcuno. Dal finto pathos delle trasmissioni televisive, dalla mediocrità dei corsi di formazione, dalla riduzione degli orari nei consultori, dalle scelte della comunità locale di investire altrimenti le proprie risorse. E qualora accada invece - per tornare al piano delle vicende singole - che quel presidio difensivo non manchi, che venga di fatto ripristinato; nel momento in cui i corrimano che occorrono alla persona verranno installati e funzioneranno davvero: allora le conclusioni circa la (pseudo)fragilità dell’interessato potranno magari rettificarsi. 16. Dall’alto, dal basso Una concezione promozionale, insomma, un lessico “da floricoltore”. Che guarda ai c.d. soggetti deboli come ad esseri intenzionati e spesso decisi (non diversamente da quanto tutti vorrebbero) a realizzare se stessi: diventando ognuno, il più possibile, ciò che era stato architettato all’origine. E un tipo di legge - sotto l’aspetto politico/grammaticale - assai nuova, differente; in cui figurano ripresi i motivi di altri provvedimenti normativi, simili a questo. Rilanciandosi a 360° uno stile privo di rigidità, ricco di principi, consapevole dell’irripetibilità di ogni storia umana; senza nulla di scontato e ossificato. Un taglio laboratoriale destinato a espandersi, con tutta probabilità, pur al di là dell’occasione di oggi. (I) Più precisamente: si è parlato di un diritto costruito “dal basso” invece che “dall’alto”; di un’offerta di risposte mobili entro il sistema, in cui il ruolo giocato dal formante giurisprudenziale appare – volta a volta - decisivo. Il contrario dell’ interdizione, sotto vari aspetti. Non cioè un pacchetto monolitico, distillato presso qualche ufficio legislativo al vertice, concepito una volta per sempre. Non una gabbia fatta per applicarsi a tutti i cittadini nello stesso modo, insuscettibile di variazioni, col medesimo labirinto statutario. 76


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Piuttosto un diritto stabilito dal basso; un decreto personalizzato, fatto per riguardare soltanto la creatura oggetto di ascolto - che le scolpisce intorno un “vestito su misura”. Singolare e plurale: di “interdizione” può essercene una soltanto, come forma e sostanza; di “Amministrazione di Sostegno” tante versioni quanti sono i beneficiari possibili. (II) Un po’ come nella fiaba dei fratelli Grimm. Quando Gianni il porcaro, ecco il racconto, va a corte per chiedere la mano della principessa, pronto a sfidare il destino. E, dopo che tre principi sono stati decapitati, per non aver saputo rispondere alle domande della bella, si sente chiedere da quest’ultima (pronta a sposarlo se lui supererà la prova, e a passarlo al boia se no): “Dimmi quante sono le stelle in cielo”. Al che Gianni replicherà: “Datemi un foglio di carta grande come un lenzuolo, una penna, un calamaio, ventiquattr’ore di tempo”. Con tutto quel che segue. Gianni che scompare in una stanza per un giorno intero, uscendone col foglio di carta arrotolata, che viene porto alla principessa, la quale lo spalanca al cospetto della corte, scoprendolo riempito tutto di puntini di inchiostro; e sentendo poi Gianni che le sussurra: “Conta tu stessa; quanti sono i puntini sul foglio, tante le stelle in cielo”. (III) Così i soggetti deboli - quelli in giro per le strade o dentro casa. Tanti e differenti tra loro; fatti anch’essi, come Gianni e la principessa, per guardare le stelle e per non contarle, per vivere “felici e contenti”. Ecco le parole chiave dell’Amministrazione di Sostegno, allora. Sapere – il giudice, il p.m., gli operatori sociosanitari - ascoltare quanto occorre l’interessato, mirare a conoscere in primo luogo i suoi bisogni. E, sulla base di quella presa d’atto, confezionare poi un assetto irripetibile di sostituzioni, di affiancamenti, di momenti curatoriali. 16.1. Mancata segnalazione al giudice e responsabilità civile Le sanzioni per la pubblica amministrazione, allora. Vi è nella legge in esame – ricordiamo – la presenza di una spada di Damocle, dal peso non trascurabile: là dove si dice che i dirigenti dei Servizi sociali, laddove a conoscenza di una situazione tale da giustificare l’attivazione del provvedimento, sono tenuti a “proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’art. 407 o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero” (art. 406, ult.co., C.C.). Nel progetto triestino di 18 anni fra era stata aggiunta - può ricordarsi un’appendice di tipo rimediale: prefigurandosi apertis verbis la condanna dei Servizi assistenziali (nel caso di mancata segnalazione) in relazione al danno subito dall’interessato, a causa di quell’omissione. 77


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Il Parlamento del 2003 ha ritenuto, verosimilmente, che una precisazione siffatta fosse troppo fiscale (o superflua?); e l’ha eliminata dal testo. La sostanza non cambia però. Ovunque si verifichino situazione di vuoto, di disfunzione territoriale e amministrativa, vi saranno ex lege Aquilia gli estremi per una responsabilità del dipendente (quanto meno in caso di dolo o colpa grave). E comunque i presupposti per una condanna risarcitoria della pubblica amministrazione - la quale abbia mancato nel raccogliere il “guanto di sfida” lanciato dalla neo-riforma (o da altre leggi consimili); stavolta anche nell’ipotesi di colpa lieve. C’è in ogni città (le variazioni non sono significative) una quota fisiologica di cittadini bisognosi, non autosufficienti; individui i quali appaiono destinati qualora un Amministratore di Sostegno non intervenga al loro fianco - a vivere peggio e a morire prima di quanto potrebbero. Il fatto che i ricorsi al giudice tutelare possano figurare, qua e là, meno numerosi di quanto la matematica vorrebbe, non sarà certo da salutare come un buon segno. Come sempre, si tratta di un obbligo risarcitorio da valutare anche, o soprattutto, in chiave preventiva. Ci si può chiedere in effetti: converrà a un Comune o ad una ASL, di Genova o di una qualsiasi altra città, trovarsi costretta a pagare (ogni dodici mesi) una certa somma globale a titolo di risarcimento - per i pregiudizi subiti da queste o quelle categorie di persone deboli, le quali si siano viste abbandonare a se stesse, a causa dell’assenza o dell’ inefficienza dei servizi? o non converrebbe piuttosto (a quelle stesse amministrazioni) investire diversamente le proprie risorse, organizzando a monte un sistema di Servizi adeguati? così da scongiurare la stessa possibilità di quegli oblii e da evitare, grazie alla risocializzazione delle persone, le correlative chiamate in giudizio? 17. L’idea di “salute” nelle impostazioni dell’O.M.S. Alcuni punti vanno ancora sottolineati. Il primo riguarda, come già si diceva, il target applicativo della legge. Occorre pensare, in astratto, a diverse categorie di destinatari: non soltanto i menomati o gli infermi fisicamente o psichicamente; bensì anche tutti coloro che per qualsiasi motivo accusino difficoltà di accesso (non futili o capricciose) alle leve del diritto civile – più ampiamente, ai gangli della “vita organizzata”. C’è stata a un certo punto alla Camera, riguardo al testo dell’art. 404 C.C., l’eliminazione del riferimento diretto agli anziani: modifica suggerita da alcuni nostri giuristi, e che il Parlamento ha ritenuto infine di accogliere (in realtà, nessuno pensava già prima a “nonni” in buona salute - ma può darsi che qualche rischio vi fosse, con una menzione del genere, tenuto conto della triste realtà di certi focolari, nell’Italia di oggi). 78


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In generale, però: occorre non essere, come sempre, frettolosi sulla committenza. Vale in linea di massima il principio secondo cui “è il bisogno a creare l’organo” Ossia né troppo né troppo poco come raggio applicativo: né cioè inclusioni minacciose già sulla carta, né - soprattutto - esclusioni prioritarie di categorie destinate a frequenti prese in carico assistenziali. Decisivo sarà, volta a volta, il riscontro per le difficoltà effettive della persona - impossibilitata, per qualsiasi ragione, ad andare in banca a pagare, a mantenere contatti con l’assicurazione, a fare le volture per l’acqua, il gas, la luce, il telefono; a partecipare all’assemblea di condominio, a pagare le tasse, ad accettare un’eredità, ad addivenire a una transazione, etc. (retro, § 6; infra, § 19). Ovunque affioreranno impacci comunicativi o reattivi, anche solo sul terreno burocratico, là potrà intervenire - proficuamente - l’Amministrazione di Sostegno. Una lettura in definitiva, se si pensa anche al testo dell’art. 414 C.C., non molto distante da quella concezione di “salute” fisica o psichica su cui da anni insiste l’ Organizzazione Mondiale della Sanità. Sta male chi non riesce, in sostanza, a fare le cose e a reggere i tramiti sociali di cui avrebbe bisogno per ottimizzare il proprio livello di benessere. 18. Paese che vai Tribunale che trovi Altro nodo importante quello dell’interdizione. I nostri giudici tutelari appaiono al riguardo - bisogna dire – non di rado esitanti, intimoriti; alcuni sembrano presi in contropiede e si direbbero disposti a continuare a (dichiarano quantomeno di non poter fare a meno di) interdire. Magari contro le loro convinzioni più segrete. Tanti sono i rilievi addotti in tal senso. Ad esempio: “Poteva pensarci il legislatore! Dovremmo cavargli noi le castagne dal fuoco? Se l’interdizione è rimasta nel c.c. una ragione ci sarà. Siamo o no tenuti ad applicare la legge? Non è questo che il paese ci chiede?”. Oppure: “I grandi principi di civiltà, la dignità delle persone, la Costituzione europea? Non spetta ai pratici sventolare vessilli del genere - sino a forzare l’interpretazione della norma scritta. Se c’è una raccolta di firme che girerà nel paese, potremmo anche non dire di no; come magistrati però l’interdizione (sinché in vigore formalmente) resta sacrosanta. Pronti noi per primi a sollevare un’eccezione di incostituzionalità, se capiterà l’occasione; ma intanto è così che deve continuare la law in action”. Vale a dire: “Gli psicotici gravi, i soggetti in coma, quelli con ictus profondi, i cerebrolesi di ogni sorta, gli anziani oltre una certa età, gli Alzheimer 79


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consolidati; tutti quelli insomma che stanno male sul serio: per loro non è cambiato assolutamente niente dopo il 2003. Chi dice il contrario fa demagogia e basta. Non è questione di maramaldeggiare o meno. Esseri inermi, senza possibilità di replica? Non bisogna lasciarsi andare ai sentimenti: il diritto deve saper conservare la sua fermezza, non guardare in faccia nessuno”. Ancora: “In casi tanto gravi cosa potrebbe capire l’interessato? Non è in grado di rendersi conto di nulla; se ne farebbe ben poco della possibilità di sposarsi, di testare: qualsiasi regola per lui sarà lo stesso, tanto vale essere noi tecnici - un po’ coerenti, formalisti. L’Amministrazione di Sostegno, chi versa in quelle condizioni, non sa neanche dove stia di casa. Potrebbe guarire? Da certi mali non si esce più, gli psichiatri ottimisti sono degli illusi o dei bugiardi”. E poi: “La Cassazione dice che il danno morale va risarcito pure a chi sia incapace al 100%? Non vuol dire, quello è un altro discorso. Il punto è che l’Amministrazione di Sostegno postula comunque un dialogo possibile; ossia un disabile che sappia formulare richieste, dichiarare aspirazioni: e chi è colpito dal destino oltre una certa misura non parla, non reagisce alle domande, non si esprime. Qualcuno obietta che è solo questione di voler ascoltare? Che ogni creatura umana, anche se non distingue fra un biglietto da 10 e da 20 euro, “dice” in realtà qualcosa a chi la sappia guardare, aspettare? Non sono discorsi per i giudici, questi, né per gli Amministratori di Sostegno, coi tempi che viviamo!”. A ciascuno il suo: “Ci si consiglia di allungare la fisarmonica al 100%, per i casi più gravi, assumendo quale contenuto del decreto la totalità degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. Ma ciò equivarrebbe - è palese - a promuovere un’interdizione sotto mentite spoglie; il che diventa niente meno che un imbroglio. Austriaci e tedeschi fanno esattamente così? Quei giudici se lo possono permettere, non avrebbero altra strada loro del resto. Rimarrebbero fuori comunque, da una “amministrazione totale” in Italia, gli atti di natura personale? Troppo poco per fare la differenza”. È per il bene del nuovo istituto, in fondo: “Se si vuole che l’amministrazione non diventi anch’essa fonte di stigma, occorre non attribuirle un raggio esteso a 360°. Altrimenti rifluiranno su di lei gli stessi vapori negativi dell’interdizione. Il gioco essenziale sarebbe quello che avviene comunque sui nomi degli istituti, sulle etichette, così insegna la sociologia? Non si può chiedere ai giuristi di farsi carico di sfumature simili! L’immagine guida del neo-istituto? Basterà postulare: le ombre che le amministrazioni a tutto campo getterebbero su quelle piccole, si annunciano più temibili delle luci sdemonizzanti che le piccole riverserebbero sulle grandi”. 80


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Alcuni giudici tentano addirittura di auto-persuadersi, nelle ordinanze o in qualche commento generale: “In fondo l’interdizione non è tanto sbagliata, anche sul piano mass-mediale, immaginifico; ci sono troppe calunnie sul conto di questo istituto, non è poi così cattiva come risposta: esistono pure esperienze felici nella realtà, non è vero che la famiglia pensa solo alla pensione d’invalidità, che i tutori sono tutti spilorci o derubano sempre i soggetti tutelati; la gente dovrebbe persuadersi che l’istituto ha i suoi vantaggi”. Subito dopo: “Vorrà dire che, quando interdiremo, cercheremo di fare in parallelo una lezioncina gratis di diritto e di psicologia ai congiunti riottosi, e magari al neo-interdetto: spiegando loro che hanno torto nel temere una soluzione del genere, la quale è invece una via d’uscita conveniente, felicemente collaudata da secoli, imposta comunque dalla gravità della situazione – gravità che non si può far finta di non vedere”. Che dire? Un ricordo d’infanzia. Mia madre, quando avevo nove anni, mi dava ogni sera un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo, con un goccio di limone; e voleva convincermi che ciò che ingurgitavo era buono, buonissimo, al di là delle apparenze. Debbo dire che non c’è mai riuscita. 19. Mai interdire, possibilmente Non dimentichi allora dell’ostilità che palesano apertamente verso l’interdizione, ad esempio, tanti genitori di ragazzi down giunti alla soglia dei diciott’anni - e sentimenti del genere si direbbero ancor più intensi oggigiorno, dacché vige la nuova legge (è possibile fare altrimenti, ormai!) - si tratterà di sottolineare una serie di punti. (I) Il primo fra essi è un “no”, da pronunciare in modo categorico, dinanzi a qualsiasi ipotesi di ripristino/valorizzazione della misura in esame. Ciò per varie considerazioni, di tipo sia teorico che pratico - ben note del resto alla gran parte degli interpreti, soprattutto agli “addetti ai lavori” (volontariato, operatori sul campo, fondazioni di settore; chiunque frequenti i centri di salute mentale). Ragioni in parte rinvenibili, sinteticamente, nella stessa formulazione del nuovo art. 41 C.C. Fra i motivi essenziali allora: – eccesso (come si evidenzia) degli impedimenti anche non patrimoniali nascenti per chi è interdetto: immagine da morte civile della figura, taglio complessivamente pietrificante per chi la subisce, punitività, fondali sulfurei; – mancanza di valore terapeutico, enfasi solo economicistica, costosità e scarsa trasparenza delle procedure; – impostazione tutta “dalla parte dei familiari e dei terzi”, frequenza statistica dei casi di sciacallaggio, eccesso di preoccupazione per le opportunità del traffico; – inevitabilità della pubblicità, sapore manicomiale e istituzionalistico; 81


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– scarsezza di garanzie formali e politiche, complessità delle revoche e delle modifiche, etc. (II) Anche storicamente, del resto. Non c’è stato - alla base dell’ideazione dell’Amministrazione di Sostegno, vent’anni fa circa - soltanto il proposito di riempire il “grande vuoto” dell’ordinamento italiano: l’intento, cioè, di sottrarre all’abbandono le persone non abbastanza disastrate da potere essere interdette, e in condizioni psichiche non abbastanza buone, d’altronde, da potersela cavare dinanzi a frangenti di una certa complessità (rapporti bancari e assicurativi, accettazioni di eredità, appalti, contratti d’opera non irrisori, assegni e cambiali, assemblee di condominio, denunce penali, vendite e locazioni di immobili, pegni e ipoteche, fideiussioni, transazioni, costituzioni di servitù, azioni risarcitorie, etc.). C’è stata altresì, secondo del resto i moniti dell’Europa, una spinta d’ordine più strettamente ideale, politico: intrecciata però a una scelta tattica - ossia con tempi più lunghi di lavoro. La scommessa cioè sui meriti di un neo-strumento generale, suscettibile di estendersi, grazie alla sua intrinseca elasticità, a una molteplicità anche vasta e illimitata di atti negoziali - e ciò riguardo a tutti i disabili possibili (“..persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana...”, art. 1 della l. n.6/2004; “…impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi..”, art 404 C.C.). Così da determinare, progressivamente, una sostanziale abrogazione dell’interdizione a livello della prassi. 19.1. Eccezioni Unica eccezione al “no” perentorio che s’è indicato, quella rappresentata da una situazione per certi versi al limite - ritrovabile là dove siano presenti alcuni elementi ben precisi (ciascuno dei quali indispensabile ai fini della sentenza). Ossia allorquando: i) il patrimonio del soggetto da proteggere non sia di fatto insignificante, anzi corrisponda a una entità piuttosto ricca, cospicua; tale comunque da giustificare il ricorso a una modalità giudiziale la cui messa in opera si presenta (abbiamo detto) così impegnativa, onerosa finanziariamente, con la necessaria presenza dell’avvocato, ardua da mettere in moto e difficile da revocare; ii) gli atti patrimoniali da compiere, nel pacchetto affidato al vicario, necessitino via via di autorizzazioni così problematiche, frequenti e sofisticate da far preferire di gran lunga (costi quello che costi) il tipo di sindacato che verrebbe svolto da un organo collegiale com’è quello del Tribunale (sempre che la prassi sia davvero questa, però, e non invece – al di là degli orpelli - quella di un vaglio svolto in realtà da un solo dei tre giudici, e rispetto al quale gli altri due membri non aggiungano, all’ultimo momento, che un’approvazione formale), rispetto a una valutazione compiuta in solitudine dal giudice tutelare; 82


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iii) la persona stia davvero malissimo, anzi si presenti del tutto “schiantata” nel corpo e nella mente - e ciò in via perenne, definitiva, essendo ogni possibilità di luce e di reattività del tutto assente, senza possibilità di futuri recuperi; iiii) l’interessato non appaia, per come si presenta e continuerà a stare, in condizioni di paventare minimamente gli effetti mortificanti di un’etichetta come quella dell’interdizione - che è (abbiamo detto) un quid intrinsecamente portatore di stigma, tale da mettere in gioco col suo solo nome l’idea della pazzia; con i vari fantasmi intrinseci a quest’ultima, le maledizioni, il background ancestrale, i riccioli letterari e teatrali, l’odiosità mefistofelica, la paura (infra, § 19.2); iiiii) infine – e si tratta di un passaggio fondamentale, se è vero che le ombre in questione di rado atterrebbero solamente alla persona, toccando pressoché sempre anche la cerchia domestica - mai potrà farsi luogo all’interdizione qualora una tale misura mostri, hic et nunc, di risultare sgradita ai congiunti di quell’interdicendo. Di apparire come un’onta, una vergogna per il gruppo intero. Dovunque il giudice abbia la percezione che il ricorso a un mezzo simile innescherebbe, presso i parenti, meccaniche di tipo avvilente, mortificatorio, ebbene, la soluzione cui far capo dovrà essere necessariamente un’altra. Il male non è soltanto il buio intrinseco, nell’universo che viviamo; viene anche dalle forme attraverso cui l’immaginario collettivo fa suo quel guasto e quel dramma, lo cristallizza – nella percezione ufficiale delle cose. Altrimenti, occorre ritenere, ci si troverebbe dinanzi ad un atto giudiziale abusivo. Un provvedimento materialmente illegittimo, in quanto portatore di dolori per lo stesso interdetto “vegetalizzato” - sia pure in maniera obliqua (se è vero che potrebbe non saperlo mai lui!). Idoneo comunque a innescare effetti depressivi entro la casa, al limite spinte suicidarie; in ogni caso tentazioni di chiusura, di fuga silenziosa dal mondo. 19.2. Perché la mancata abolizione Non abbiamo avuto in Italia – questa la verità – il coraggio e la lungimiranza che hanno dimostrato austriaci e tedeschi; i quali, nell’introdurre entro i loro sistemi gli istituti della Sachwalterschaft e della Betreung, rispettivamente, non si sono dimenticati i doveri della linearità e della coerenza: e hanno tirato sull’interdizione e sull’inabilitazione un rigo di penna. Altri paesi europei sono stati anch’essi meno irresoluti, o appaiono comunque più avanzati a livello applicativo. E nessuno di essi, a quanto risulta, ha rinnegato quelle decisioni o mostra di rimpiangere il passato. Svogliatezza tutta italiana, pigrizie ingegneristiche del nostro Parlamento? Forse. Superficialità, contraddizioni rispetto a un giudizio pur negativo pronunciato da tanti deputati e senatori, in passato, nei confronti dell’interdizione? Senza dubbio. 83


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Peccato originale, colpe dei confezionatori della prima bozza di riforma? Anche probabilmente. (i) Le spiegazioni dell’accaduto sono abbastanza note. Durante il Convegno triestino del 1986, erano stati manifestati dalla tribuna – senza mezzi termini, da civilisti fra i più illustri della penisola – giudizi di ferma riprovazione per la scelta degli austriaci (compiuta nel 1983) di eliminare addirittura dall’ABGB ogni traccia dell’interdizione. Per chi - in Italia – si accingeva a mettere in cantiere, quell’estate, il progetto di riforma relativo agli istituti del primo libro del c.c., tutto si complicava un bel po’. Ogni ipotesi di lavoro aveva le sue controindicazioni, scegliere era difficile: “Meglio sfidare – ci si interrogava - quella che appare un’opinione forse generalizzata fra i nostri giuristi (nemmeno dei più conservatori!), e mettere in cantiere un progetto che prescinda dal richiamo all’interdizione; con tutti i rischi di insuccesso che un tale radicalismo potrebbe comportare? O meglio puntare sulla soluzione più blanda, più tattica, forse meno rispettosa delle ispirazioni all’origine della 180 - rinunciando a imperniare l’intera disciplina del 1° libro sul nuovo istituto di protezione, a cancellare per sempre tutto il resto?”. (ii) Quanto alle ragioni di quei sentimenti filo-interdizione, palesati al microfono triestino: ebbene, non si può dire che ci si fosse dilungati più di tanto (da parte degli interessati) nell’esplicitarle. Non quanto - almeno - sarebbe stato opportuno, tenuto conto dell’importanza della posta in gioco. Sembrava darsi per scontato, in sostanza, che l’interdizione proteggesse “di più” e con maggiore energia, severità. E non si chiariva tuttavia dettagliatamente il perché di un assunto simile - né si argomentava la supposta minor pregnanza difensiva, con riguardo all’Austria, di una Sachwalterschaft estesa dal giudice competente (all’occorrenza) al 100% degli atti da compiere. Né si dava notizia di particolari lamentele o disfunzioni emerse nel comparto psichiatrico dell’Austria, di fatto, durante i primi anni di applicazione dell’istituto. I motivi reali, più profondi, allora? Erano altri verosimilmente - forse non del tutto consapevoli. Con tutta probabilità: una visione del disturbo di mente come patologia sconosciuta, ardua da contenere e impossibile da curare - forse per molto tempo ancora. La follia come simbolo stesso del male: qualcosa dagli sviluppi spesso incontrollabili, dalle origini talvolta sinistre, mefistofeliche, con margini sempre possibile di violenza tutt’intorno. Per la santabarbara del diritto privato, dunque: una realtà da fronteggiare nel modo più roboante, stentoreo; da arginare tecnicamente senza mezzi termini, avviluppandolo entro una sorta di camicia di forza disciplinare - espropriativa di ogni capacità negoziale. 84


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(iii) Quanto diffusi fra i giuristi italiani potevano ritenersi sentimenti del genere? Abbastanza - si sarebbe detto quell’estate, a Trieste, all’interno della sala del convegno. Non ci furono in effetti confutazioni significative, al microfono, perlomeno fra i privatisti presenti. Fuori dell’aula chissà; del tema – in fondo - si parlava ancora abbastanza poco nell’accademia. I civilisti, per educazione congenita, fanno raramente discorsi de iure condendo; e i comparatisti non si erano ancora avvicinati in forza all’argomento (come sarebbe poi successo). Agli psichiatri interessavano soprattutto i problemi applicativi della 180. Un sondaggio era difficile da organizzare. Fu scelta in definitiva la via della prudenza: l’interdizione, seppur alleggerita di qualche spina, restò nel progetto dei mesi successivi. (iv) Qualora si fosse fatto diversamente – se l’interdizione fosse stata tolta in radice dalla bozza, già alle prime battute – la riforma di cui oggi parliamo sarebbe passata ugualmente? Il Natale del 2003 ne avrebbe visto l’approvazione? È difficile dirlo. Quindici anni fa probabilmente no. Oggi forse sì, magari a maggioranza dei voti invece che all’unanimità (com’è in effetti successo). Ma non è detto poi. È significativo in fondo che nessun deputato o senatore, nel Parlamento, abbia assunto iniziative di rilievo per cambiare progetto in questi anni, per caldeggiare una soluzione all’austriaca o alla tedesca (paura di rovinare tutto, di rompere il giocattolo miracoloso? Sì, ma appunto!). Nella law in action: poi: di giudici i quali guardino preferibilmente al passato, che prendano tutto quanto alla lettera, che abbiano esaminato nella loro vita soprattutto cose di diritto, che non siano mai entrati in un Centro di salute mentale - che tutt’oggi difendono l’interdizione e dintorni - quanti ce ne sono in Italia? (v) Forse non vuol dire, però. Mai disperare in fondo: basta talvolta che un certo stendardo venga issato con sufficiente fierezza, convinzione, invece che timidamente come in passato, affinché la battaglia – se è giusta in sé - possa essere vinta. Non diminuisce in nessun caso la gioia per l’Amministrazione di Sostegno che è stata approvata nel 2003. Così funziona probabilmente il mondo; e l’interdizione non fa eccezione alla regola. Quanti fra coloro che difendono oggi il secolare istituto, de iure condito e mostrano di applicarla a cuor leggero, senza titubanze - non sarebbero magari in prima fila, all’ indomani, in una battaglia de iure condendo per abrogarla? Potrebbe bastare un referendum. Oppure una proposta formale di abrogazio85


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ne, magari nella prossima legislatura; e non è detto che a redigerla non potranno essere gli stessi interpreti che si erano mossi, la prima volta, nell’estate di 18 anni fa. 19.3. Addolcimenti trascurabili Quanto all’oggi, comunque. E’ sufficiente aver frequentato - come si diceva – qualche assemblea di famiglie di ragazzi down, per rendersi conto in che modo vadano le cose nel 95% dei casi. I parenti disdegnano pressoché sempre l’interdizione; piuttosto, si rassegnano a inaugurare/perpetuare, nei fatti, sequenze d’altro genere, decennali o sempiterne - tessute di firme false, di procure invalide, di fughe dal notaio, di messinscene e sotterfugi di ogni tipo (v. anche retro, §§ 7 e 19). Con i parenti dei malati di Alzheimer, tutto poi è ancora più evidente. Piuttosto che chiedere l’interdizione del proprio compagno di vita, sino a ieri gentile e vigoroso, una moglie - alle soglie magari della quarta età - è pronta a fare qualsiasi cosa. E lo stesso vale nel caso inverso. Né va dimenticato che, se pure l’interdizione è stata addolcita dal legislatore del 2004 in un paio di passaggi (l’art. 414 C.C. è stato cambiato un pochino; un altro articolo, il 427, consente oggi di far ricorso allo schema curatoriale per qualche atto da compiere), è rimasto in vigore per il l’interdetto invece il “no” al matrimonio, e così pure il “no” al testamento, il “no” alla donazione, il “no” al riconoscimento del figlio naturale, e così via. Di fatto, l’interdizione è rimasta quella di prima, anche nel nome. Il pedigree è quello di sempre. E il Tribunale non può fare nulla per ammorbidirla, neanche se vuole: è mancato nel nuovo testo l’inserimento di una previsione speculare rispetto dell’art. 410, ult.co., c.c. - ossia una norma volta a permettere ai giudici di tenere indenne il disabile, nel momento in cui lo si interdice, rispetto qualcuno degli impedimenti sopra indicati. O tutto o niente, prendere o lasciare. 19.4. Empirismo, duttilità Va tenuto presente, d’altro canto: l’accertamento da effettuare, rispetto ai problemi di un soggetto svantaggiato – di quello specifico individuo (inconfondibile rispetto ad ogni altro: per sesso, età, provenienza geografica, tenore dei disagi patiti, censo, grado d’istruzione, etc.) -, non è davvero quello di un Giudice Supremo. Di un’autorità che debba cioè pronunciarsi, in un sol botto, rispetto alla vita intera della persona; definitivamente, irretrattabilmente. Minimalità degli approcci, discrezione: ecco le misure da seguire rispetto a chi necessiti di appoggi. Toni leggeri, senso delle proporzioni, delicatezza; la persona da sostenere è ancora viva, il calendario è quello, paradiso o inferno sono lontani. Sutor ne ultra crepidam Al centro della valutazione vi è soprattutto un’attività circoscritta, spicciola 86


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dell’interessato; un puntello gestorio che si tratta di introdurre, spesso con sollecitudine, in vista di migliori standard stagionali. E a tal fine l’Amministrazione di Sostegno basta e avanza nel 100% dei casi. Spesso si tratterà di un solo affare da condurre in porto; talvolta di due o tre operazioni immobiliari, finanziarie, notarili, sanitarie. E comunque l’oggetto della decisione – nell’ambito di una disciplina che si atteggia come flessibile, con un massimo di modificabilità/revocabilità, pure in via d’ufficio – sarà spesso ristretto, anche alla luce del ricorso presentato, a spazi e a tempi ben precisi. È il fare/non fare immediato che comanda: perché affannarsi nell’inventario e nella disciplina - che sarebbe poi spesso ablazione o divieto – relativamente ad atti che la stessa impotenza del beneficiario (poniamo) garantisce non poter essere compiuti, da lui, entro limiti di tempo ragionevoli? e che neppur si annunciano quali appuntamenti significativi, fra le partite rimesse all’amministratore? “State contente umane genti al quia”: la chiave per il decreto è niente più che quella dell’opportunità, microcosmica/microeconomica; della corrispondenza fra emergenze da spuntare e caratura d’insieme del provvedimento. Tutto il dinamismo e la meticolosità che occorreranno, quindi; ma nulla in più: e se qualcosa andrà cambiato entro tre o sei mesi, si provvederà. Ogni altra pretesa - di elevare in partenza quel fuoco a dimensioni di esaustività, di assolutezza - soddisferebbe forse appetiti di melodramma, o di protagonismo; calpestando però il significato materiale del petitum. Diceva G.B.Shaw: “Sono vegetariano, e mi rallegro al pensiero che dietro la mia bara, dopo morto, verranno ad accompagnarmi tutti gli animali che da vivo non ho mangiato”. Così anche ogni bravo Giudice o P.M.: a consolarlo un poco – degli imbarazzi scaricati sul suo ufficio da una legge tanto ambiziosa – può essere il pensiero che al suo funerale parteciperanno, in fila, tutti i “diversi” che in vita lui ha evitato di interdire, di inabilitare, di incapacitare senza motivo. 20. Riluttanze dei Servizi: il problema della pubblicità nei registri C’è un rischio da segnalare comunque, di natura diversa, che si coglie nei dibattiti sull’Amministrazione di Sostegno. Il discorso è complesso (v. anche retro, § 16.1). I servizi sociosanitari, soprattutto quelli psichiatrici, si dichiarano talora preoccupati da quel passaggio della nuova legge in cui è stabilito che essi “sono tenuti” ad avvertire il giudice - possibilmente con vero e proprio ricorso – circa l’esistenza di ogni situazione delicata di cui siano venuti a conoscenza (art. 406, ult.co., c.c.). Il timore dichiarato è: “Se decidiamo di informare della cosa il giudice tutelare o il p.m.; e se poi arriva, in effetti, il provvedimento che introduce l’Am87


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ministrazione di Sostegno: ebbene, tutto ciò dovrà per forza essere annotato nel registro di stato civile, nonché entro il neo-costituito registro dell’Amministrazione di Sostegno. Questo significa - ed è un male - dare pubblicità alla circostanza che qualcuno soffre di disturbi mentali. E noi operatori sociali detestiamo le grancasse, le etichette; vorremmo evitare un risultato simile, sproporzionato e non di rado poco terapeutico”. Ecco il pericolo allora. C’è, così ragionando, la possibilità che in tutta una serie di ipotesi - mettendo su un piatto il vantaggio di evitare situazioni di inerzia, di coprire vuoti gestionali tramite il vicario; e, sull’altro piatto della bilancia, il rischio per la persona “protetta” di andare incontro al disdoro di una pubblicità a tutto campo - l’assistente sociale scelga di non avviare nessun procedimento. A costo di incorrere in qualche responsabilità. L’individuo in difficoltà non avrà così, dalla sua, alcun amministratore che lo sostenga; ma nessuno al mondo (ecco il vantaggio) saprà che lui non sta bene. Sin qui certi psichiatri. Ed è palese che le due frasi possono però invertirsi. Nessuno verrà a conoscenza - è pur vero - che l’interessato accusa guai d’ordine amministrativo/esistenziale; ma accadrà che un essere il quale ne avrebbe, in realtà, bisogno resterà senza il tocco di qualcuno che lo assista. 21. Un tavolo di lavoro istituzionale È questo un punto abbastanza importante. Inutile sottolineare - quando si parla di istituti di protezione stabilizzata come la pubblicità rappresenti un passaggio difficilmente evitabile, per il diritto. La forma prescelta al riguardo potrà anche essere la più discreta, succinta; il principio generale resta però quello che s’è detto. Le esigenze di informazione/tutela dei terzi non possono trascurarsi più di tanto; e il primo a soffrirne sarebbe del resto l’interessato (si indovina dall’esterno che qualcosa zoppica, vacilla, non c’è scritto però da nessuna parte che cosa sia permesso, fattibile). Per cominciare allora: cento saranno di qui in poi - per chi abbia a cuore il successo della riforma - le iniziative da assegnare al territorio; ma l’indicazione più importante appare quella di lavorare affinché in ogni città venga allestito un “tavolo di lavoro istituzionale”. Un’aggregazione - può subito osservarsi – di tipo permanente, con valenze di coordinamento territoriale: idonea a collaborare soprattutto con il giudice tutelare per i profili inerenti l’A.d.S. Un tavolo composto, essenzialmente, da rappresentanti del Tribunale, dagli uffici sociali del Comune, da enti della Cooperazione sociale, dagli uffici del Dipartimento di salute mentale della A.S.L., dal volontariato, dalle famiglie dei malati di mente o comunque delle persone anziane, dei portatori di dipendenze, degli inabili. E i cui compiti sarebbero soprattutto: 88


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– predisposizione dei moduli/formulari per la formulazione del ricorso (griglie ben dettagliate nell’indicazione del perché si ricorre; nonché precise quanto all’indicazione degli atti gestionali di cui al futuro decreto); – tenuta e aggiornamento periodico dell’albo, chiamiamolo così, degli Amministratori di Sostegno; – organizzazione semestrale, città per città, di corsi di formazione per Amministratori di Sostegno: in cui si discuta convenientemente di diritto privato, di burocrazia moderna, di psicologia (stile di approccio, linguaggio, bisogni della persona, fronteggiamento di necessità, modalità di comportamento il vicario), di organizzazione degli organi giudiziari, di tipologie dei servizi sociosanitari, di cause del disagio (demenze, Alzheimer, Down, disturbi del carattere, alcolismo, tossicodipendenze, depressioni, schizofrenie, oligofrenie, sordomutismo, cecità, abuso di psicofarmaci, suicidio, etc.: v. anche retro, § 6); – monitoraggio periodico circa l’applicazione dell’Amministrazione di Sostegno in quella certa città (quante pratiche, quali richieste iniziali, quali provvedimenti finali, quali tempi medi del procedimento, quanti deboli, quali nomine, quanti anziani, quanti alcolisti, quanti tetraplegici, quanti assistenti, che tipologie di beneficiari, quante decisioni assunte d’ufficio, quante revoche e modifiche, eventualmente quante interdizioni e inabilitazioni, etc.); – mappa delle “disinterdizioni” e delle “disinabilitazioni” da pianificare; – gestione dei rapporti con banche e assicurazioni cittadine, messa a punto di schemi omogenei di allocazione depositi, investimento di beni e proventi dei soggetti beneficiari; – strutturazione di un sistema informatizzato locale che gestisca, con e a beneficio degli Amministratori di Sostegno locali (infra, § 23), le pratiche periodiche/computerizzabili: riscossioni, pagamenti, pensioni, ratei di imposte, etc.; – servizio di consulenza gratuita (medica, psichiatrica, civilistica, penalistica, pensionistica, bancaria, assicurativa, psicologica, etc.) a beneficio degli Amministratori di Sostegno della città; – rapporti con strutture consimili di “tavoli/comuni”, sia in quella regione che nel resto d’ Italia. 22. Sostenere senza (necessariamente) incapacitare Va tenuto conto poi, sempre con riguardo ai rischi della pubblicità, di un’altra serie di considerazioni. (a) In primo luogo. Non c’è nulla, nella legge in esame, che impedisca al giudice tutelare - autorità cui spettano le direttive base in materia - di pervenire, ogniqualvolta manchino nella vicenda controindicazioni determinanti, alla prospettazione di una amministrazione “non incapacitante”. Sarà doveroso anzi per il giudice, ove quelli siano gli estremi fattuali, operare/concludere in tal senso. In effetti: è facile accorgersi, nella trama della neodisciplina, come alcuni spunti testuali più severi - che a prima vista sembrerebbero far pensare alla impresentabilità di un simile assetto - risultino ogget89


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tivamente bilanciati, ed anzi sopravanzati, da una serie di riferimenti i quali spingono in senso opposto (v. ad es. l’art.1). E le considerazioni da svolgere sul terreno politico/ideale, poggianti a loro volta su ben precisi passaggi lessicali, appaiono tutte, in generale, nel segno della inopportunità (dell’adozione) di una misura con cui si tenda a qualche deminutio non giustificata dell’autonomia dell’interessato - basta pensare all’art. 3 della Costituzione. Qualsiasi diverso provvedimento del giudice sarebbe quindi - occorre sottolineare - abusivo; e ogni lettura in senso opposto della legge esporrebbe i passaggi meno felici, da questo punto di vista, a una pronuncia di incostituzionalità. Concretamente: all’attribuzione di determinate facoltà al vicario, in sede di decreto, non dovrà affatto corrispondere - non necessariamente almeno - una speculare ablazione presso il beneficiario. Potranno ben esserci (così come accade con la rappresentanza volontaria) operazioni suscettibili di venir compiute, indifferentemente, dall’uno e dall’altro dei soggetti. Magari, chissà, tutti quanti gli atti che sono contemplati nel decreto; o invece quelli economicamente più innocui: oppure una parte limitata di essi. Sarà il giudice a stabilirlo: unica stella polare per la decisione essendo quella del presidio della massima dignità/sovranità, rispetto all’individuo. In futuro poi: là dove tracce eloquenti mancassero fra le righe del decreto (su ciò che può essere fatto da uno solo o da tutti e due i soggetti), si tratterà di interpretare nel modo più accorto quest’ultimo – via via che la questione si ponga. (b) Non va, in secondo luogo, dimenticato come sia l’interessato a poter sollecitare, ove lo desideri, l’adozione del provvedimento in esame. Lui in prima persona, senza filtri o intermediari di sorta. Persino l’interdetto ha, con la nuova legge, facoltà di chiedere di essere “dis-interdetto” - oppure l’inabilitato “dis-inabilitato” - e assoggettato eventualmente al regime più morbido oggi vigente (art. 406, 1° co., c.c.). In molti casi (tanto più spesso quanto più i risvolti mortificatori appaiano, di fatto, trascurabili; c’è qui un gioco di influenze vicendevoli da mettere in conto: quanto più il nuovo strumento verrà dimostrandosi – nella prassi come una realtà scevra di risvolti infamanti, tanto più è probabile che chi ne ha bisogno sarà incoraggiato ad attivare sua sponte la procedura; e quanto più iniziative simili verranno moltiplicandosi, in concreto, tanto più l’istituto sarà destinato a perdere connotazioni negative) è plausibile che sarà l’interessato a prendere, direttamente, l’iniziativa. (c) In terzo luogo: è lo stesso svantaggiato che ha facoltà, se lo desidera, di indicare il soggetto da nominare come amministratore: chiarendo via via al giudice – e già oggi l’esperienza avverte come ciò capiti tutt’altro che rara90


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mente – chi può, a suo avviso, andare bene e chi invece male per quel compito; e perché così dovrebbe essere, e come il tutto è cominciato, in che modo è andata sin lì e che cosa converrà in effetti decidere. Sono le richieste e le aspirazioni del beneficiario, d’altro canto, a costituire la traccia principale lungo cui si articolerà, sotto il profilo contenutistico, l’intera attività dell’amministratore: pena reclami, sostituzioni o responsabilità sempre possibili. 22.1. Tante “procure vigilate” La conclusione è che ci troviamo, frequentemente, nell’ambito di una (figura basata su una) sorta di delega, di mandato unilaterale; con in più un pizzico di controllo - tanto o poco penetrante - da effettuarsi ad opera del giudice tutelare. Il vaglio da parte di quest’ultimo appare indubbiamente necessario, sulla carta - troppe essendo le eventualità in cui l’interessato (non autosufficiente com’è per definizione) potrebbe fare un uso cattivo dei suoi poteri. Ecco uno dei motivi chiave della legge. Non siamo però, statisticamente o dogmaticamente, in presenza di un tratto idoneo addirittura a stravolgere - sul piano identitario, nei casi in cui quel timore sia giustificato - il significato complessivo del procedimento. Si è calcolato che lo zoccolo pesante dei beneficiari non superi, in prospettiva, il 10% della clientela potenziale. E non a caso il campionario delle risposte in altri paesi dell’Europa prevede, ogniqualvolta il tasso di negozialità/sovranità si profili abbastanza alto (perché così permettono le condizioni dell’assistito), che il nulla-osta si articoli all’esterno in chiave prettamente amministrativa, più che non giurisdizionale. Il riferimento prevalente cui far capo (tanto più fondatamente quanto più verrà rafforzandosi l’affluenza in Tribunale della clientela leggera, compos sui) è allora - si potrebbe riassumere – quello di una specie di “procura vigilata”. C’è un soggetto in difficoltà, il quale domanda a chi è in grado di darglielo (o qualcuno lo fa in sua vece) un soccorso gestionale. Non è detto che alla base di quel disagio vi siano ombre di tipo psichiatrico. Si tratta di un cittadino che sarà certo vulnerabile, sotto questo o quell’aspetto; ma che intende mantenere fra le sue dita gran parte delle briglie - almeno sul piano informativo, spesso anche su quello decisionale - per ciò che lo riguarda. Nessun serio stigma sociale o culturale, quindi, quello destinato a incombere sull’Amministrazione di Sostegno. Nessun “artiglio” del sistema che cali dall’alto, come per l’interdizione, opprimendo da ogni lato il beneficiario. 91


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Nessuna preoccupazione eccessiva, quindi, per la pubblicità destinata a svolgersi nel registro di stato civile. E’ il diretto interessato che pilota, nella sostanza, il 90% o più di se stesso, non diversamente da quanto accade a tutti come anche lui faceva quando stava meglio. 23. L’immagine trainante Ecco allora l’Amministratore di Sostegno quale figura spesso atteggiabile, in definitiva, sub specie di un attento “segretario particolare” (v. anche retro, § 13). Una guida fraterna, da supportare magari attraverso gli input e le (provvidenziali) risorse di un computer ben organizzato, da parte del Comune di competenza. Una banca dati - si è detto - da allestire preferibilmente in qualche stanza dell’Assessorato alle politiche sociali: in vista di una gestione dei frangenti più automatici, meccanizzabili, dei cittadini indifesi. Versamenti di imposte, mensilità associative, riscossioni, abbonamenti, mutui, vicende solutorie stagionali, cedole, bollettini, elargizioni ricorrenti, quote condominiali, riscontri aziendali, pagamenti istituzionali. Tutto questo affidato all’elettronica. Il resto invece al vicario/gestore: chiamato a fronteggiare - come si vede soprattutto le necessità sorgive, le voci senza automatismi cronologici: istanze che si affacciano una tantum nell’agenda, in maniera estemporanea, “sorprendente”. Uno strumento di protezione dunque (quello introdotto nel 2004 entro il C.C.) fortemente imprintato sul versante applicativo; l’opposto di un robot, però: utile per una manutenzione premurosa, attento all’avvenire immediato del beneficiario, sotto ogni punto di vista. Comunque un mezzo deputato a svolgere ruoli d’interfaccia, in gran parte contingenti e secolarizzati - seppur nella luce di una decisa “fragranza” antropologica. Ricordo quasi venti anni fa (retro § 19.2.), allorché ci si chiedeva: “Come chiamare la nuova creatura del primo libro?”. “Amministrazione di Sostegno”, fu il suggerimento accolto infine; affinché apparisse enfatizzato anche verbalmente, pazienza se con una locuzione alquanto commercialistica, il nocciolo mondano del problema. Avente a che fare – sottolineiamo - non già con quanto si muova “dentro” (nella testa, nei viluppi corporei di qualcuno: se ne occuperanno altri operatori o scienziati), bensì attinente a tutto ciò che si collochi – sul terreno patrimoniale e non patrimoniale - al di “fuori” dell’individuo. Toccando i rapporti da istituire o da risanare con gli oggetti, con le persone care, la cura del benessere quotidiano, talora il gusto verso un (ritrovato) esercizio dei propri diritti soggettivi.

L’articolo è anche consultabile su: www.filodiretto.it 92


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DOCUMENTI Legge 9 gennaio 2004, n. 6 “Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’Amministrazione di Sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonchè relative norme di attuazione, di coordinamento e finali” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 14 del 19 gennaio 2004

Capo I FINALITÀ DELLA LEGGE Art. 1. 1. La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.

Capo II MODIFICHE AL CODICE CIVILE Art. 2. 1. La rubrica del titolo XII del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia». Art. 3. 1. Nel titolo XII del libro primo del codice civile, è premesso il seguente capo: «Capo I. – Dell’Amministrazione di Sostegno. Art. 404. – (Amministrazione di Sostegno). – La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella 93


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impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un Amministratore di Sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio. Art. 405. – (Decreto di nomina dell’Amministratore di Sostegno. Durata dell’incarico e relativa pubblicità). – Il giudice tutelare provvede entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta alla nomina dell’Amministratore di Sostegno con decreto motivato immediatamente esecutivo, su ricorso di uno dei soggetti indicati nell’articolo 406. Il decreto che riguarda un minore non emancipato può essere emesso solo nell’ultimo anno della sua minore età e diventa esecutivo a decorrere dal momento in cui la maggiore età è raggiunta. Se l’interessato è un interdetto o un inabilitato, il decreto è esecutivo dalla pubblicazione della sentenza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione. Qualora ne sussista la necessità, il giudice tutelare adotta anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l’amministrazione del suo patrimonio. Può procedere alla nomina di un Amministratore di Sostegno provvisorio indicando gli atti che è autorizzato a compiere. Il decreto di nomina dell’Amministratore di Sostegno deve contenere l’indicazione: 1) delle generalità della persona beneficiaria e dell’Amministratore di Sostegno; 2) della durata dell’incarico, che può essere anche a tempo indeterminato; 3) dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’Amministratore di Sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario; 4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’Amministratore di Sostegno; 5) dei limiti, anche periodici, delle spese che l’Amministratore di Sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità; 6) della periodicità con cui l’Amministratore di Sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario. Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, il giudice tutelare può prorogarlo con decreto motivato pronunciato anche d’ufficio prima della scadenza del termine. Il decreto di apertura dell’Amministrazione di Sostegno, il decreto di chiusura ed ogni altro provvedimento assunto dal giudice tutelare nel corso dell’Amministrazione di Sostegno devono essere immediatamente annotati a cura del cancelliere nell’apposito registro. Il decreto di apertura dell’Amministra94


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zione di Sostegno e il decreto di chiusura devono essere comunicati, entro dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni in margine all’atto di nascita del beneficiario. Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, le annotazioni devono essere cancellate alla scadenza del termine indicato nel decreto di apertura o in quello eventuale di proroga. Art. 406. – (Soggetti). – Il ricorso per l’istituzione dell’Amministrazione di Sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, ovvero da uno dei soggetti indicati nell’articolo 417. Se il ricorso concerne persona interdetta o inabilitata il medesimo è presentato congiuntamente all’istanza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione davanti al giudice competente per quest’ultima. I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di Amministrazione di Sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’articolo 407 o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero. Art. 407. – (Procedimento). – Il ricorso per l’istituzione dell’Amministrazione di Sostegno deve indicare le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si richiede la nomina dell’Amministratore di Sostegno, il nominativo ed il domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario. Il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa. Il giudice tutelare provvede, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti di cui all’articolo 406; in caso di mancata comparizione provvede comunque sul ricorso. Dispone altresì, anche d’ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione. Il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’Amministratore di Sostegno. In ogni caso, nel procedimento di nomina dell’Amministratore di Sostegno interviene il pubblico ministero. Art. 408. – (Scelta dell’Amministratore di Sostegno). – La scelta dell’Amministratore di Sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario. L’Amministratore di Sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. In mancanza, ovvero in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decre95


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to motivato un Amministratore di Sostegno diverso. Nella scelta, il giudice tutelare preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata. Le designazioni di cui al primo comma possono essere revocate dall’autore con le stesse forme. Non possono ricoprire le funzioni di Amministratore di Sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario. Il giudice tutelare, quando ne ravvisa l’opportunità, e nel caso di designazione dell’interessato quando ricorrano gravi motivi, può chiamare all’incarico di Amministratore di Sostegno anche altra persona idonea, ovvero uno dei soggetti di cui al titolo II al cui legale rappresentante ovvero alla persona che questi ha facoltà di delegare con atto depositato presso l’ufficio del giudice tutelare, competono tutti i doveri e tutte le facoltà previste nel presente capo. Art. 409. – (Effetti dell’Amministrazione di Sostegno). – Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’Amministratore di Sostegno. Il beneficiario dell’Amministrazione di Sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana. Art. 410. – (Doveri dell’Amministratore di Sostegno). – Nello svolgimento dei suoi compiti l’Amministratore di Sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario. L’Amministratore di Sostegno deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonchè il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. In caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, questi, il pubblico ministero o gli altri soggetti di cui all’articolo 406 possono ricorrere al giudice tutelare, che adotta con decreto motivato gli opportuni provvedimenti. L’Amministratore di Sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre dieci anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico è rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti. Art. 411. – (Norme applicabili all’Amministrazione di Sostegno). – Si applicano all’Amministratore di Sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388. I provvedimenti di cui agli articoli 375 e 376 sono emessi dal giudice tutelare. 96


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All’Amministratore di Sostegno si applicano altresì, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 596, 599 e 779. Sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’Amministratore di Sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario, ovvero che sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente. Il giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l’Amministratore di Sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’Amministrazione di Sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni. Il provvedimento è assunto con decreto motivato a seguito di ricorso che può essere presentato anche dal beneficiario direttamente. Art. 412. – (Atti compiuti dal beneficiario o dall’Amministratore di Sostegno in violazione di norme di legge o delle disposizioni del giudice). – Gli atti compiuti dall’Amministratore di Sostegno in violazione di disposizioni di legge, od in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri conferitigli dal giudice, possono essere annullati su istanza dell’Amministratore di Sostegno, del pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi ed aventi causa. Possono essere parimenti annullati su istanza dell’Amministratore di Sostegno, del beneficiario, o dei suoi eredi ed aventi causa, gli atti compiuti personalmente dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto che istituisce l’Amministrazione di Sostegno. Le azioni relative si prescrivono nel termine di cinque anni. Il termine decorre dal momento in cui è cessato lo stato di sottoposizione all’Amministrazione di Sostegno. Art. 413. – (Revoca dell’Amministrazione di Sostegno). – Quando il beneficiario, l’Amministratore di Sostegno, il pubblico ministero o taluno dei soggetti di cui all’articolo 406, ritengono che si siano determinati i presupposti per la cessazione dell’Amministrazione di Sostegno, o per la sostituzione dell’amministratore, rivolgono istanza motivata al giudice tutelare. L’istanza è comunicata al beneficiario ed all’Amministratore di Sostegno. Il giudice tutelare provvede con decreto motivato, acquisite le necessarie informazioni e disposti gli opportuni mezzi istruttori. Il giudice tutelare provvede altresì, anche d’ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell’Amministrazione di Sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario. In tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinchè vi provveda. In questo caso l’Amministrazione di Sostegno cessa con la nomina del tutore o del curatore provvisorio ai sensi dell’articolo 419, ovvero con la 97


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dichiarazione di interdizione o di inabilitazione». 2. All’articolo 388 del codice civile le parole: «prima dell’approvazione» sono sostituite dalle seguenti: «prima che sia decorso un anno dall’approvazione». 3. Dall’applicazione della disposizione di cui all’articolo 408 del codice civile, introdotto dal comma 1, non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Art. 4. 1. Nel titolo XII del libro primo del codice civile, prima dell’articolo 414 sono inserite le seguenti parole: «Capo II. – Della interdizione, della inabilitazione e della incapacità naturale». 2. L’articolo 414 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 414. – (Persone che possono essere interdette). – Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione». Art. 5. 1. Nel primo comma dell’articolo 417 del codice civile, le parole: «possono essere promosse dal coniuge» sono sostituite dalle seguenti: «possono essere promosse dalle persone indicate negli articoli 414 e 415, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente». Art. 6. 1. All’articolo 418 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Se nel corso del giudizio di interdizione o di inabilitazione appare opportuno applicare l’Amministrazione di Sostegno, il giudice, d’ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per l’interdizione o per l’inabilitazione può adottare i provvedimenti urgenti di cui al quarto comma dell’articolo 405». Art. 7. 1. Il terzo comma dell’articolo 424 del codice civile è sostituito dal seguente: 98


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«Nella scelta del tutore dell’interdetto e del curatore dell’inabilitato il giudice tutelare individua di preferenza la persona più idonea all’incarico tra i soggetti, e con i criteri, indicati nell’articolo 408». Art. 8. 1. All’articolo 426 del codice civile, al primo comma, dopo le parole: «del coniuge,» sono inserite le seguenti: «della persona stabilmente convivente,». Art. 9. 1. All’articolo 427 del codice civile, al primo comma è premesso il seguente: «Nella sentenza che pronuncia l’interdizione o l’inabilitazione, o in successivi provvedimenti dell’autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento ovvero con l’assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore». Art. 10. 1. All’articolo 429 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Se nel corso del giudizio per la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione appare opportuno che, successivamente alla revoca, il soggetto sia assistito dall’Amministratore di Sostegno, il tribunale, d’ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare». Art. 11. 1. L’articolo 39 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è abrogato. Capo III NORME DI ATTUAZIONE, DI COORDINAMENTO E FINALI Art. 12. 1. L’articolo 44 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è sostituito dal seguente: «Art. 44. Il giudice tutelare può convocare in qualunque momento il tutore, il 99


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protutore, il curatore e l’Amministratore di Sostegno allo scopo di chiedere informazioni, chiarimenti e notizie sulla gestione della tutela, della curatela o dell’Amministrazione di Sostegno, e di dare istruzioni inerenti agli interessi morali e patrimoniali del minore o del beneficiario». Art. 13. 1. Dopo l’articolo 46 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è inserito il seguente: «Art. 46-bis. Gli atti e i provvedimenti relativi ai procedimenti previsti dal titolo XII del libro primo del codice non sono soggetti all’obbligo di registrazione e sono esenti dal contributo unificato previsto dall’articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115». 2. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, valutato in euro 4.244.970 a decorrere dall’anno 2003, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia. 3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 14. 1. L’articolo 47 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è sostituito dal seguente: «Art. 47. Presso l’ufficio del giudice tutelare sono tenuti un registro delle tutele dei minori e degli interdetti, un registro delle curatele dei minori emancipati e degli inabilitati ed un registro delle amministrazioni di sostegno». Art. 15. 1. Dopo l’articolo 49 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è 100


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inserito il seguente: «Art. 49-bis. Nel registro delle amministrazioni di sostegno, in un capitolo speciale per ciascuna di esse, si devono annotare a cura del cancelliere: 1) la data e gli estremi essenziali del provvedimento che dispone l’Amministrazione di Sostegno, e di ogni altro provvedimento assunto dal giudice nel corso della stessa, compresi quelli emanati in via d’urgenza ai sensi dell’articolo 405 del codice; 2) le complete generalità della persona beneficiaria; 3) le complete generalità dell’Amministratore di Sostegno o del legale rappresentante del soggetto che svolge la relativa funzione, quando non si tratta di persona fisica; 4) la data e gli estremi essenziali del provvedimento che dispone la revoca o la chiusura dell’Amministrazione di Sostegno». Art. 16. 1. All’articolo 51 del codice di procedura civile, al primo comma, al numero 5, dopo la parola: «curatore» sono inserite le seguenti: «, Amministratore di Sostegno». Art. 17. 1. Al capo II del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile, nella rubrica, le parole: «e dell’inabilitazione» sono sostituite dalle seguenti: «dell’inabilitazione e dell’Amministrazione di Sostegno». 2. Dopo l’articolo 720 del codice di procedura civile è inserito il seguente: «Art. 720-bis. (Norme applicabili ai procedimenti in materia di Amministrazione di Sostegno). – Ai procedimenti in materia di Amministrazione di Sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 712, 713, 716, 719 e 720. Contro il decreto del giudice tutelare è ammesso reclamo alla corte d’appello a norma dell’articolo 739. Contro il decreto della corte d’appello pronunciato ai sensi del secondo comma può essere proposto ricorso per cassazione». Art. 18. 1. All’articolo 3, comma 1, lettera p), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui 101


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al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, sono aggiunte, in fine, le parole: «, nonchè i decreti che istituiscono, modificano o revocano l’Amministrazione di Sostegno». 2. All’articolo 24, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, la lettera m) è sostituita dalla seguente: «m) ai provvedimenti di interdizione, di inabilitazione e relativi all’Amministrazione di Sostegno, quando esse sono state revocate». 3. All’articolo 25, comma 1, lettera m), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, sono aggiunte, in fine, le parole: «, nonchè ai decreti che istituiscono, modificano o revocano l’Amministrazione di Sostegno». 4. All’articolo 26, comma 1, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, sono aggiunte, in fine, le parole: «ai decreti che istituiscono o modificano l’Amministrazione di Sostegno, salvo che siano stati revocati;». Art. 19. 1. Nell’articolo 92, primo comma, dell’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, dopo le parole: «procedimenti cautelari,» sono inserite le seguenti: «ai procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di Amministrazione di Sostegno, di interdizione, di inabilitazione, ai procedimenti». Art. 20. 1. La presente legge entra in vigore dopo sessanta giorni dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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INDICE Presentazione di Studi Sociali CSV Società Solidale...................................................................................... 1 Verso un Volontariato dei Diritti Giorgio Groppo….........................................................................................

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Presentazione convegno “Amministrazione di Sostegno. Un altro diritto per i soggetti deboli” - (Bra, 9 giugno 2007) Piero Degetto………………………………………………………………………. 5 Introduzione al convegno “Amministrazione di Sostegno. Un altro diritto per i soggetti deboli” Fabrizio Proietti............................................................................................. 7 La centralità del soggetto debole nel nuovo diritto Carlo Gnocchi……………………………………………………………… 11 L’impegno dei servizi sociali sul fronte dei diritti Luigina Bima………………………………………………………………………. 15 Un’altra sfida per il volontariato Giancarlo Burdese ....................................................................................... 23 Amministrazione di Sostegno e progetto terapeutico Cecilia Dal cielo........................................................................................... 31 Un modo diverso di promuovere le Politiche sociali Anna Abburrà............................................................................................... 37 Il perchè di una riforma Pier Carlo Pazè............................................................................................ 41 APPENDICE L’Amministrazione di Sostegno e la vita di tutti i giorni Paolo Cendon............................................................................................

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DOCUMENTI Legge 9 gennaio 2004 n. 6..........................................................................

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IMPAGINATO 3/10:SETTEMBRE 2006

7-10-2008

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2008 dalla litografia “l’artigiana” ALBA (CN)

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