New Entry - Edizione di Brescia del 18 dicembre 2018

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Anno 24 - N°18 del 20/12/2018 - www.newentry.eu - brescia@newentry.eu - Pubblicità: Gianluca Boffetti 347.73.52.863 BS - MN - CR GRATUITO

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EDITORIALE

E' sempre l'amore... Affidare i nostri pensieri, lasciarsi andare, ricercare dentro di noi le risposte giuste, avere più pace, più sintonia, più certezze.Avere il bene, ricercare l’amore, avere volontà di scoprire che il tutto è un insieme di universi, avere la gioia di scoprire che il mondo è fatto per noi stessi, che il dovere nasce dalla parte conscia e la volontà di cambiare da quella inconscia. Voler essere sempre in un solo momento, voler sentire sempre la brezza del mare, il vento in viso sentirci riscaldati in una fredda giornata d’inverno, voler sempre essere amati. Cosa c’è di più se non il nostro stesso destino o la nostra volontà. Cosa c’è di più a questo attimo che risplende, a questa luce negli occhi? C’è il vero amore verso sè stessi, il vero sentimento che ti spinge a credere, a volere, ad amare. A ricercare nella vita solo le cose belle da portare con sè nel ricordo dei propri giorni vissuti. Ma non dobbiamo pensare solo a noi ma anche agli altri che hanno bisogno di amore, di affetto. Prima però dobbiamo imparare ad amare noi stessi per poter poi trasmettere agli altri questo splendido sentimento... E si inizia dalle piccole cose, da un abbraccio, da una stretta di mano.

Ogni azione della nostra vita anche se pur piccola che sia è responsabile della bellezza o bruttezza del mondo” Come contraddire una frase del genere: è la sacrosanta verità e ognuno di noi dovrebbe mettersela in testa ed agire di conseguenza. Invece passiamo la vita a lamentarci di ogni cosa e non ci rendiamo conto spesso, della fortuna che abbiamo. Se si potesse ridurre la popolazione del mondo in un villaggio di 100 persone, mantenendo le proporzioni di tutti i popoli esistenti al mondo, tale villaggio sarebbe composto in questo modo: 57 Asiatici, 21 Europei, 14 Americani (Nord Centro e Sud America), 8 Africani, 52 sarebbero donne, 48 uomini, 70 sarebbero non bianchi, 30 sarebbero bianchi, 70 sarebbero non cristiani, 30 sarebbero cristiani, 89 sarebbero eterosessuali, 11 sarebbero omosessuali 6 persone possiederebbero il 59% della ricchezza dell’intero villaggio e sarebbero tutti statunitensi, 80 vivrebbero in case senza abitabilità, 70 sarebbero analfabeti, 50 soffrirebbero di malnutrizione, 1 starebbe per morire, 1 starebbe per nascere, 1 possiederebbe un computer, 1 avrebbe la laurea. Se si considera il mondo da questa prospettiva, il bisogno di accettazione,

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EDITORIALE

comprensione, ed educazione, diventa chiaramente apparente. Prendete in considerazione anche questo: se vi siete svegliati questa mattina con più salute che malattia, siete più fortunati del milione di persone che non vedranno la prossima settimana; se non avete mai provato il pericolo di una battaglia, la solitudine dell’imprigionamento, l’agonia della tortura, i morsi della fame, siete più avanti di 500 milioni di abitanti di questo mondo; se potete andare in chiesa senza la paura di essere minacciati, arrestati, torturati o uccisi, siete più fortunati di 3 miliardi di persone di questo mondo; se i vostri genitori sono ancora vivi ed ancora sposati, siete delle persone veramente rare, anche negli Stati Uniti e nel Canada; se potete leggere questo messaggio, avete appena ricevuto una doppia benedizione, perché qualcuno ha pensato a voi e perché non siete fra i due miliardi di persone che non sanno leggere. Qualcuno una volta ha detto: Lavora come se non avessi bisogno dei soldi. Ama come se nessuno ti abbia mai fatto soffrire. Balla come se nessuno ti stesse guardando. Canta come se nessuno ti stesse sentendo. Vivi come se il Paradiso fosse sulla Terra. Gianluca Boffetti

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RIFLESSIONI

UN ALBERO SPECIALE Ormai il Natale è alle porte....un altra volta Gesù è sceso dalla croce per farsi piccolo in mezzo agli uomini, per RIEMPIRE IL NOSTRO CUORE di umiltà, mitezza, generosità, disponibilità edi amore e di perdono. Ora la Croce è vuota... ma poi Tu salirai di nuovo sulla Croce e allora ogni ginocchio si piegherà in cielo, in terra e sotto terra per lodarti ed adorarti NOSTRO SALVATORE. Un buon Natale a tutti...soprattutto un natale sereno e gioioso dove non dobbiamo dimenticare nessuno. Tu che ne dici o Signore, se in questo Natale faccio un bell'albero dentro il mio cuore e ci attacco, invece dei regali i nomi di tutti i miei amici? I nomi di tutti i miei famigliari? Lontani e vicini. Gli antichi ed i nuovi. Quelli che vedo di rado. Quelli che ricordo sempre e quelli che, alle volte restano dimenticati. Quelli costanti e quelli intermittenti.

Quelli delle ore difficili e quelli delle ore allegre. Quelli che , senza volerlo, ho fatto soffrire e tutti quelli che , senza volerlo, mi hanno fatto soffrire. Quelli che conosco profondamente e quelli dei quali conosco solo le apparenza. Quelli che mi devono poco e quelli ai quali devo molto. I miei amici semplici ed i miei amici importanti. I nomi di tutti quelli che sono già passati nella mia vita. UN ALBERO con radici molto profonde, perchè i loro nomi non escano mai dal mio cuore. UN ALBERO dai rami molto grandi, perchè i nuovi nomi venuti da tutto il mondo si uniscano ai già esistenti. UN ALBERO con un ' ombra molto gradevole perchè il nostro affetto e il tanto bene che voglio a tutti sia un momento di riposo durante la notte della vita. BUON ANNO A TUTTI DI VERO CUORE. Leo

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risulteranno dorate su tutti i lati. Salatele e pepatele. Bagnate con il vino rosso e lasciate evaporare completamente. Mondate i funghi e tagliateli a metà. Lavate le cipolline. Aggiungete i funghi e le cipolline al pollo, unite 2 foglie di alloro, un rametto di timo, qualche foglia di salvia e i pomodori tritati. Bagnate con un mestolo di brodo e cuocete coperto per 2530 minuti, aggiungendo altro brodo se dovesse asciugare troppo. A fine cottura aggiustate di sale e pepe e servite. Anna - www.cucinacreare.it

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SPECIALE

Trauma: le cose da NON fare Ciao a Tutte/i. Ben ritrovati. Mi auguro di essere stato chiaro negli articoli precedenti e che le informazioni che vi ho dato, se necessario, vi possano tornare utili. Sai che mi piace parlare direttamente con te che mi stai leggendo. Di cosa parliamo oggi? Volevo spiegarti alcune cose da fare, e non fare, nel caso una persona subisca un trauma. Cosa intendo per Trauma? Un qualsiasi tipo di lesione, di urto che subisce il nostro corpo contro un agente esterno. Chiarito questo, prima ti voglio dire le cose da NON FARE. Una persona che ha subìto un trauma non è da muovere, trascinare, spostare! Non sapendo che tipo di lesione abbia quella persona, non puoi correre il rischio di causarne altre ….muovendola. Vale sempre la Prima regola: devi verificare che la scena, il luogo sia sicuro per Te. E’ importante! Seconda cosa da fare per qualsiasi evenienza, chiama il 1.1.2. (ora lo sai fare bene). Ti porto vari esempi. In un incidente stradale posso aver avuto molteplici lesioni, anche se all’apparenza mi sento bene. Certi traumi non mostrano segni esterni ma possono causare lesioni interne. NON muovermi, ma mentre chiami accertati come sto, stammi vicino e parlami. Certamente già questo mi aiuta. E questo vale in ogni situazione tu trovi una persona che non sta bene. Una caduta in casa, per le scale, per strada, a scuola, sul lavoro, facendo sport,…sempre…dopo le cose che devi fare (sicurezza e chiamata), se te la senti, tienimi ferma la testa ponendo le tue mani sui lati del capo e aspetta i soccorsi. In questo periodo gli amanti della moto è probabile che la pongano in garage. Ma se ti dovesse capitare di trovare un motociclista a terra non cercare di togliere il casco: è una manovra che bisogna saper fare bene per non creare o peggiorare lesioni al collo. Troviamo una persona con una frattura ad un arto, braccio o gamba: non cercare di raddrizzare l’arto. Lascialo come lo trovi. Un qualsiasi corpo contundente conficcato in una qualsiasi parte del corpo: non cercare di toglierla! Potresti causare una emorragia che non sapresti contenere. 06 www.newentry.eu

Avrai capito che in tutti i casi che ti ho descritto e per ogni altro tipo di trauma, puoi fare poche cose: stare attento per Te, chiamare il 1.1.2., parlare con la persona. Credimi…già facendo questo sei un grande. Non sai quanto aiuto hai dato a questa persona. Se proprio te la senti, l’unica altra cosa che puoi fare è tenere ferma la testa. Non fare cose, manovre per le quali non sei preparato, e non fare l’eroe per forza. Lo sei comunque. Grazie per avermi letto. Colgo l’occasione per porgere a Te, alla Tua famiglia, ai Tuoi amici un Grande Augurio di Buon Natale e Buone Feste da parte di Tutti i Volontari C.R.I. Auguro a Te e a Tutti giornate serene e colme di gioia. BUON NATALE Un Volontario CRI.


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RACCONTI

La felicità divisa Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d’ospedale. A uno dei due uomini era permesso mettersi seduto sul letto per un’ora ogni pomeriggio per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo. Il suo letto era vicino al'unica finestra della stanza. L’altro uomo doveva restare sempre sdraiato.
Infine i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli e delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto. Ogni pomeriggio l’uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere fuori alla finestra. L’uomo nell’altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno. La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto.
Le anatre e i cigni giocavano nell’acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo.
Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c’era una bella vista della città in lontananza. Mentre l’uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l’uomo dall’altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena. In un caldo pomeriggio l’uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l’altro uomo non potesse sentire la banda, poteva vederla.
Con gli occhi della sua mente così come l’uomo dalla finestra gliela descriveva. Passarono i giorni e le settimane. Un mattino l’infermiera del turno di giorno portò loro l’acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell’uomo vicino alla finestra, morto


RACCONTI

si raddoppiata... pacificamente nel sonno.
L’infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo. Non appena gli sembrò appropriato, l’altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra.
L’infermiera fu felice di fare il cambio, e dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo. Lentamente, dolorosamente, l’uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno.
Si sforzò e si voltò lentamente per guardare fuori dalla finestra vicina al letto. Essa si affacciava su un muro bianco. L’uomo chiese all'infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori da quella finestra. L’infermiera rispose che l’uomo era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro.
“Forse, voleva farle coraggio.” disse. Epilogo: vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione.
Un dolore diviso è dimezzato, ma la felicità divisa è raddoppiata. Se vuoi sentirti ricco conta le cose che possiedi che il denaro non può comprare. L’oggi è un dono, è per questo motivo che si chiama presente. L’ origine di questa storia è sconosciuta.” Giulia

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“Natale” Suono di campane scuota anime Trema e rabbrividisce l’aria candida. Fiochi di neve-fiori cristallini si posano delicatamente sulla veste bianca della terra. Una luce onirica irradia calore, accarezza rami di alberi nudi, nuvole vaganti, cuori. Piano, piano si spegne il roseo tramonto. Spuntano dal buio come germogli di primavera le stelle auliche e coronano il cielo. Suono di campane prorompe il silenzio solenne. Esplode l’ universo in mille arcobaleni, per unire l’inizio al glorioso finale, in questa notte unica, la notte di salvezza, la notte di Natale! Dara Naumova

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Società

SOLTANTO GLI INDEGNI TOCCANO I BAMBINI Le sequenze di quei bimbi maltrattati, offesi, umiliati, percossi addirittura con i piedi sulla testa, dentro le sacre stanze di quell’asilo nido, dove tutela e garanzia dei minori sono miseri dettami andati sfrattati, sarebbe fin troppo facile definirle un’infamia, e quindi licenziarle con una sorta di malcelato linciaggio. Perché è inutile tergiversare con le parole, con equilibrio degli accenti, con la grammatica attenta, quel maestro, educatore, conduttore, altro non è che uno scarto dis-umano, peggio ancora, è una cosa disgiunta, un oggetto avariato, uno di quei numeri che non hanno più niente da dire. Risulta troppo facile far stare dentro rabbia e ira, ogni cosa che straripa, alla naturale condanna, anche a quella più istintiva e dunque meno rispettosa della dignità umana, troppo facile davvero. Seppur la responsabilità penale sia individuale, in casi come questi è bene comune non soffermarsi al codicillo, al reato, alla norma e alla legge, perché c’è certamente di più e di più corposo da non sottovalutare, come ad esempio la famosa didascalia di popperiana memoria: chi controlla il controllore? Come è possibile che un educatore professionale, non uno sprovveduto e inesperto ragazzetto alle prime armi, ma una persona adulta nella sua età e auto12 www.newentry.eu

revolezza, accordatagli e riconosciutagli nel suo ruolo, non abbia dato segnale di fragilità etica e morale, per non parlare di una vera e propria lucida follia. Come può essere accettabile l’affermazione: ora la magistratura verificherà il tutto, stabilirà le eventuali responsabilità, capiremo come sono andate le cose? Come a dire che i filmati, i video, le registrazioni, che hanno fatto schiumare di rabbia persino i ciechi ed i muti, non sono sufficienti a provare un sentimento di pietà infinita per quei bambini vittime di un orco indecente? Quelle registrazioni così chiare e trasparenti da poter esser lette dal più colpevole dei distratti, non sarebbero materiale sufficiente per provare vergogna e anche un po’ di ribrezzo? Ritornando a quell’insegnante che bene sà quanto sia ingiusto picchiare un bimbo, perché sarà un comportamento che i bambini adotteranno a loro volta nei confronti di altri bambini e, in futuro, con altre persone, compresi i loro figli. Come può un educatore con tanta esperienza agire così diseducativamente e non comprendere che le punizioni corporali tolgono valore a qualsiasi buon esempio. Le telecamere sono state introdotte negli asili soltanto in una regione? Per ora, dunque, sbrighiamoci. Vincenzo Andraous


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E’ TEMPO DI MODA di Romina Sirani in collaborazione con Radio Senise Centrale

Quinta puntata Romina Sirani, modella, fotomodella e presentatrice bresciana. Collabora con testate nazionali parlando di Moda. Inoltre dal 27 ottobre conduce “E’ tempo di Moda” sulle frequenze di Radio Senise Centrale. Credito foto: Damiano Conchieri

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Per guardare ed ascoltare la quinta puntata inquadra con lo smartphone il QR code qui di seguito.

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RIFLESSIONI

La Vigilia di Natale Sono immersa nel silenzio e nella quiete, fuori e dentro di me. E’ una condizione che amo, che mi rende quasi felice. Quest’anno, per vari motivi, mi sono evitata il traffico pre-natalizio e il caos dei negozi. Ho passato dei giorni con amici, prima a un concerto e poi a casa. Ed i giorni a seguire con mio marito, telefonate di amici, quiete calda. Mi piace questo Natale sobrio, che sta lasciando respiro e spazio al calore degli affetti, senza fronzoli, senza sprechi, senza frenesia. Nel silenzio interrotto dal suono delle campane e da qualche rara auto che passa per strada, tutto il mio mondo è qui con me. Mi sento ricca e fortunata per questo. Le persone che amo sono con me: nelle loro vite ma presenti nella mia. Un pensiero ad ognuno di loro: a voi di New Entry che passate di qui, a quelli che comincio a conoscere un po’ di più e che sento amici; un pensiero ai miei pazienti, ai colleghi; un pensiero agli amici di tanti anni, e uno speciale all’amico del cuore… (lui sa perché); un pensiero a mio marito che rende così ricca la mia vita e che sa farmi ridere. Un pensiero a tutti i compagni di viaggio. Ora il divano e un libro mi aspettano: buon Natale a tutti! Luisa

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Capita con amici lontani, ma a volte anche con quelli vicini, che gli impegni quotidiani ci facciano rimandare una telefonata, una visita. Spesso infatti mentre sto lavorando penso “stasera devo ricordarmi di telefonare a ..” , poi tra varie faccende da sbrigare, scadenze da ricordare, mille pensieri in testa…mi ricordo quando è decisamente troppo tardi e rimando al giorno dopo e così via per parecchi giorni. Si è sempre con la mente sovraffollata da mille impegni, tanto che si fanno vari promemoria, salvo non guardarli o leggerli nel momento sbagliato..ed è una rincorsa contro il tempo. Eppure con veri amici di vecchia data si può stare anche per un po’ senza sentirsi o vedersi, basta un abbraccio e il discorso sembra non essersi mai interrotto. Così è ogni volta che ci si ritrova con la compagnia, prima della radio e poi della tv, capitanata per moltissimi anni dall’indimenticabile Luciano Smussi e da due anni, dopo la sua improvvisa scomparsa, sostituita degnamente da Laura e Maria. Trasmissioni quotidiane di due ore in cui queste due naturopate parlano di alimentazione, di prevenzione, di medicina olistica, di condivisione di esperienze personali, di prodotti fitoterapici; invitano regolarmente in trasmissione medici specialisti in vari settori per completare il più possibile l’informazione sotto ogni aspet-

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L’INTERVISTA

Intervista alla scrittrice Ginevra Roberta Cardinaletti di Laura Gorini e Damiano Conchieri

E’ appena uscito “Ci vediamo fuori luogo”, il terzo libro della scrittrice romana Ginevra Roberta Cardinaletti per ALOHA SRL. L’ abbiamo incontrata per una bella intervista a cuore aperto. Ginevra, alla luce di quanto letto nel tuo ultimo libro, ti consideri anche tu una persona filosofica? No, non esageriamo. Mi piace osservare e comprendere situazioni e persone per poi trarne il meglio. Sono alla continua ricerca di un approccio alla vita che possa farmi vivere in serenità con me stessa e mi piace confrontarmi con gli altri su questo tema. Cerco di non pormi limiti, diciamo che la “filosofia” che mi piace abbracciare è quella del “basta che funzioni”. Ci sono secondo te delle “piccole cose” che arricchiscono la nostra vita ma di cui noi non ci accorgiamo e tendiamo invece a vedere sempre tutto più nero di quanto non lo sia per davvero?

Secondo me sì, accade molto spesso. Molti di noi hanno la tendenza a lamentarsi di tutto e di tutti, in un certo senso è diventata anche una moda e se osserviamo ciò che succede sui social network ne troviamo l’esempio: va di moda lamentarsi, insultare, accusare, offendere. Questo fa male non solo a chi riceve queste offese, ma anche a chi le fa e a chi le legge, si crea un clima che sfavorisce tutti. Cercare di affrontare le situazioni con spirito più leggero e, come dici tu, accorgersi delle piccole cose che possano darci una spinta

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L’INTERVISTA

emotiva positiva, non è una debolezza, non significa non accorgersi del marcio, significa invece trarre il meglio dalle situazioni e fare qualcosa per il benessere nostro e delle persone che ci stanno a cuore. Tu in che modo cerchi solitamente di superare un “momento no” della vita? Mi concedo il mio dolore, come ho scritto nel mio primo libro (“Il peggio è passato e gli ho sorriso”) “Il dolore non va cancellato, va rispettato”, quindi ha bisogno di tempo. Poi, quando riacquisto un po’ di energia e di lucidità, mi do la spinta per ripartire, per fare qualcosa di importante. La scrittura può essere considerata una buona valvola di sfogo in questo senso? Tutto ciò che ci appassiona può essere una valvola di sfogo, non importa che sia scrittura o pittura o uno sport o un viaggio o uno strumento musicale. E’ per questo che è importante educare i bambini a coltivare interessi e passioni, perché possono diventare la loro isola felice nei momenti bui. Qual’è un diverso o nuovo genere letterario che ti piacerebbe affrontare? Leggo molti saggi e manuali di psicologia e più

in generale sul benessere interiore. Fino ad ora ho trasmesso i miei pensieri e le mie esperienze attraverso dei racconti, ora mi piacerebbe farlo in modo più diretto. Da quali elementi invece è possibile capire se un potenziale scrittore abbia il cosiddetto “x- factor” per poter diventare uno scrittore conosciuto e avere fortuna in

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L’INTERVISTA

questo campo? La fortuna non si può prevedere e quindi neanche il successo che è comunque in larga parte legato a essa. Quello di cui deve occuparsi uno scrittore, secondo me, è una continua ricerca, una crescita che può avvenire leggendo molto, confrontandosi e riuscendo a essere autocritici. Qual’ è stato un libro letto nel tuo passato che ricordi ti abbia impressionato particolarmente? Sono molto legata a “Le nostre zone erronee” di Dyer. E’ un libro che mi ha fatto riflettere e che mi ha aiutato a lavorare su me stessa. Secondo te è meglio se un ipotetico film sia tratto da un libro o, come oggigiorno invece sta accadendo spesso, il libro venga scritto successivamente all’uscita del film, quindi il libro tratto dal film? I film tratti da libri, salvo rare e notevoli eccezioni, sono spesso una delusione per i lettori, ma credo che dipenda molto dall’istinto di confrontarlo con il libro anziché goderselo in sé come film. Il procedimento opposto a volte può essere interessante perché leggere il libro di un film, o serie tv, che ci ha appassionato, può essere un modo per approfondirlo ulteriormente ed entrare più a fondo in quel mondo. Quale è uno dei tuoi libri da cui ti piacereb-

be molto venisse tratto un film? Credo si adattino bene tutti a dei film, proprio perché a me piace raccontare episodi di vita quotidiana e di come possano trasformarsi in qualcosa di importante. Forse “Ci vediamo fuori luogo” si presterebbe particolarmente. E da chi vorresti venisse diretto e interpretato? Sono un’appassionata di cinema e mi piacciono moltissimi registi e attori sia italiani che internazionali, ma ho un debole per il cinema francese e spesso i miei soggetti li vedo bene nelle atmosfere de “il favoloso mondo di Amélie” di Jean-Pierre Jeunet con Audrey Tautou. Buone Feste da...

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Cara Santa Lucia. Sono passati tanti anni, forse troppi. Ricordo bene quando, ancora bimbo sognante, con la scrittura incerta di quell’età, investivo tempo e dedizione a scriverti per assicurare te di quanto fossi stato bravo lungo l’anno e per assicurare a me stesso di ricevere i regali che tanto desideravo. Ricordo, però, bene anche quando, con il passare del tempo, ho pian piano smesso di scriverti, di pensarti, di sperarti, trasformandomi, giorno per giorno, in quell’adulto che mai nessuno vorrebbe diventare e che, invece, ahinoi, tutti diventiamo; quell’adulto che in “Polar Express” risulta incapace di sentire il suono della campanella di Natale, incapace di vivere sulla sua pelle la magia tipica di questo periodo invernale. Ci affanniamo tutti – io per primo – ad addobbare, illuminare, abbellire; ci preoccupiamo di quanto i bimbi possano essere felici; ci procuriamo di svegliare quella parte di noi che, almeno una volta l’anno, sa essere “buona” (senza poi sapere esattamente cosa significhi davvero); ci proponiamo di migliorare sempre più, rimandando al nuovo anno quel che non abbiamo saputo fare nell’anno che si sta concludendo. Ci affanniamo, insomma, a rendere un qualcosa

di speciale ogni anno, senza sapere se ci si riesce davvero. Per questo, carissima Santa, ho deciso di tornare a scriverti, oggi, all’alba dei miei 31 anni, come fossi un bimbo sognante: per provare, almeno quest’anno, a non dimenticare te e quella speranza di gioia e bellezza che tu stessa rappresenti. Prima di iniziare a scrivere, appunto come quando ero bambino, ho domandato a me stesso “Sei stato buono quest’anno?” Ho sperato tanto che la risposta fosse positiva per poter, come anni fa, passare con disinvoltura alle richieste da esaudire, ai desideri da esprimere. Mi sono, però, reso conto di quanto la risposta non fosse così immediata come lo poteva essere allora (è forse anche questo il motivo per cui da adulti smettiamo di scriverti?!?). Ci guardiamo attorno ogni giorno, in un’epoca di profondo sconforto e incertezza, per scoprire, come ogni anno, che ci sono ancora troppe ingiustizie, troppo dolore, troppe indifferenze. Non sono – tranquilla – a chiederti “un’utopistica pace nel mondo”, ma non posso – permettimelo – nemmeno voltarmi dall’altra parte. Approfitto, quindi, di questa lettera a te, amica mia, per riflettere e per dire a me stesso e a chi mi circonda che, forse, no, non sono stato ab-

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Buone Feste


RIFLESSIONI

bastanza buono – o meglio – non lo siamo stati noi tutti, come umanità, come comunità di anime e persone. Avremmo dovuto, potuto fare di più? Non sta a me dirlo. Ma sta a me, a tutti noi, chiedertelo e chiedercelo. Allora, forse, si illumina qui il mio pensiero e il mio desiderio da esaudire per quest’anno: il mio, spero il nostro, auspicio di una maggiore consapevolezza di un collettivo noi, prima ancora di un singolo io; di un migliore vivere comune, prima ancora di un buon vivere personale. Sarebbe ipocrita dirti che non vorrei regali e cioccolatini per me e per le persone che amo; ancor più ipocrita sarebbe dire che non vorrei “una Santa Lucia” piena di balocchi e dolci per ogni bimbo (e anche per ogni adulto) nel mondo, ma non è questo l’importante. A poco serve, credo, fare, a questo punto e a questa età, un elen-

co di desideri o richieste: so che non sarebbero esaudite, almeno non tutte e, ancor peggio, non per tutti. E non lo dico, carissima amica, perché non credo in te, anzi, al contrario. Lo dico perché credo tanto in te al punto di rendermi conto, ancor più con questa lettera, che tu non sei tu, nell’astrazione di un personaggio immaginario, ma tu sei tu nella concretezza di noi stessi che ogni anno dimentichiamo di scriverti e che non riusciamo più nemmeno ad esaudire il nostro stesso desiderio per un mondo migliore per tutti. Cambio, dunque, interlocutore sul finale di questa lettera e a tutti noi Uomini chiedo, invoco, una rinnovata e radicata speranza. Solo allora, forse, torneremo capaci di scrivere “siamo stati buoni quest’anno”. Con sincero affetto Giorgio

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CHRISTMAS TREE FOR CHARITY Natale e solidarietà: Claudia Conte raduna vip per Christmas Tree for charity dedicato alla Onlus Peter Pan. Natale fa rima con solidarietà. Claudia Conte madrina della manifestazione ha radunato colleghi ed amici nell’elegante cornice del cocktail allestito presso il Bistrot Kabb di Luigi Biasini a Roma. Un albero natalizio è addobbato nel corso della kermesse con i vari pezzi artistici portati dagli ospiti e donato, a fine happening, ai bimbi oncologici della Onlus, rappresentata all’evento dal direttore generale Gian Paolo Montini. Tra i primi ad arrivare, accolto dall’attrice Claudia Conte e dalla sua dolce metà il magistrato Roberto D’Alessandro, lo scrittore-attore-regista Francesco Apolloni, in compagnia del cane Sancho, anche lui attore. Man mano mostrano i loro doni Georgia Viero e Roberta Garzia, in compagnia del fido Lupin, che appende una vistosa insegna glitterata con su scritto Buon Natale. E di dono in dono Fabiana Balestra porta due bustoni colmi di addobbi griffati e fashion. Alessia Fabiani, in stile molto fantasy per ispirarsi alla Feste, arriva con l’amico Carlo Tessier. Non mancano l’appuntamento Pino Am-

mendola, appena di ritorno dalle prove teatrali, la bionda attrice Martina Menichini, in total black e poi ancora Pietro Romano, Christian Marazziti, Laura Squizzato. Gag e risate con Alex Partexano. Tra la folla glam che occupa il bistrot si riconosce Fabrizio Apolloni, im-

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portante collaboratore dell’associazione Peter Pan, tanto da aver realizzato per l’organizzazione lo scintillante e tradizionale spettacolo di Natale. E ancora Simone Montedoro, Marcelo Fuentes e Carlo Falconetti. Ecco l’attore-doppiatore Mario Claudio Cesario, Giovanni Galati, Vittorio Carfagna, Alma Manera, con tanto di albero composto di vistose palle rosse, Alessio Chiodini, di “Un posto al sole”, con un originale regalo. Panettone e bollicine per brindare alle Feste e poi tutti a smontare l’albero per portarlo, successivamente, presso il polo di accoglienza della Onlus che si occupa di bambini e adolescenti oncologici. “In tal modo permettiamo ai soggetti lontani da casa – spiega Montini - di accedere alle terapie in regime di day hospital e all’intero nucleo familiare di vivere insieme il destabilizzante momento della malattia”.

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CALVISANO

MEZZANE DI CALVISANO RICORDA DON GIOVANNI CABRA SUO CONCITTADINO Anche Mezzane ha espresso il suo cordoglio per la dipartita terrena di don Giovanni Cabra avvenuta giovedì 29 novembre 2018, presso la RSA di via Dei Mille a Brescia. Lo ha fatto attraverso la Parrocchia durante le S. Messe della domenica successiva. A celebrare i funerali mons. Pierantonio Tremolada Vescovo di Brescia, sabato 1 dicembre a Botticino Sera, dove abitano due delle tre sorelle viventi Luigina ed Agnese, la terza Giuseppina abita a Castel Goffredo, dove è stato sepolto. Don Gianni, come sempre è stato chiamato, era nato a Cigole il 23 giugno 1932, in una famiglia con genitori con profonda fede cristiana, che ebbero nove figli. Vennero ad abitare negli anni 50, il padre era mezzadro agricolo, a Mezzane dove vi rimasero molti anni, prima nel vicolo di fronte alla Chiesa Parrocchiale, poi nella borgata di Montichiaresa, dove era ancora in

atto l’appuntamento annuale con la S. Messa nella Chiesetta dedicata a San Antonio di Padova. Di animo allegro e sereno come tutti in famiglia, il sorriso è sempre stato su il suo volto. Come seminarista a Mezzane porto animazione e coinvolgimento di ragazzi e giovani alla crescita, anche spirituale, con i primi giochi dell’oratorio, in qualche stanza della vecchia canonica. Per i più attempati è ancora limpido il ricordo di quando si giocava a calcio nel piccolo campetto della parrocchia, accanto all’orto lavorato dai familiari. Così come le trasferte per assistere le partite a Visano od Acquafredda, magari trasportati come ragazzi seduti sul manubrio della sua bicicletta da donna. Nello stesso periodo a Mezzane erano presenti altri due seminaristi che saranno ordinati sacerdoti un anno dopo: don Angelo Gazzina e don Giuseppe Bregoli.

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CALVISANO

Tutti e tre furono presenti quando nel luglio del 1947 un sacerdote novello don Carlo Wojtyla (futuro Papa Giovanni Paolo II°) venne a Mezzane, in bicicletta da Seniga insieme a don Francesco Vergine, a far visita al parroco don Calzoni, curato prima in quel paese, quando con la sua guida spirituale intraprese la strada del seminario don Vergine. La sorella Maria sposata con Ugo Sambinelli rimase tanti anni a Mezzane, poi emigrarono a Carpenedolo, ma entrambi ritornarono al riposo eterno al cimitero della frazione, così come era stato per il giovane fratello Giulio che mori nel 1957. Don Cabra venne Ordinato sacerdote a Brescia il 16.6.1956, ed il giorno dopo ha celebrato nella frazione la sua prima S. Messa, per la gioia dei famigliari, parenti ed amici, parroco e di tutta la comunità. Con Mezzane ebbe sempre una amicizia, ravvivata in tante occasioni, come la festa di S. Dionigi o di S. Rocco. Ebbe

DON GIOVANNI CABRA CON CHIERICHETTI E RAGAZZI DI MEZZANE (circa 1953-54) il primo incarico come curato a Botticino Sera (1956-1962). Quindi missionario in Burundi fra i primi bresciani in quella terra con don Giovanni Arrigotti e don Giovanni Belotti e sarà Parroco nella missione di Kiremba, provincia di Ngozi, Stato del Burundi in Africa centrale. Una presenza molto significativa che continua anche oggi, con scuole, chiesa, ospedale. Vi rimase dal 1962 al 1979 incorrendo anche nella espulsione da parte della Autorità Civili, così come altri sacerdoti e suore bresciani, perché indesiderati per il loro lavoro di aiuto materiale ed educativo a favore delle tante povertà la esistenti. Ricordi testimoniati anche da suor Giordana Feroldi delle Mariste di Brescia, collegata a Mezzane per le adesioni a distanza promosse dal Gruppo Missionario, che lo ebbe primo parroco in quella missione e che l’aveva accompagnata nel primo

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CALVISANO

viaggio in Africa. Rientrato dall’attività missionaria diventa parroco a Maria Madre della Chiesa a Casazza in città (1979-1984); Quindi parroco a Ponte Caffaro (1984-1997). Dal 1997 al 2008 è cappellano all’ Ospedale di Gardone Valtrompia, poi alla Poliambulanza in città dal 2008 al 2012, dove per essere presente per ogni evenienza dormiva nei corridoi. Negli ultimi tempi alloggiava in seminario in città e continuava la sua attività sacerdotale, nella vicina chiesa a Mompiano, così come in altri luoghi. La sua disponibilità all’aiuto per i bisognosi, lo ha portato a subire alcune percosse 14 mesi

DON GIOVANNI CABRA CON IL PAPA' E GLI ANZIANI fa. Dall’ora la sua salute ne ha risentito, costringendolo ad entrare in Casa di Riposo per una assistenza adeguata. “Chi perderà la sua Vita per causa mia, la troverà” è scritto sulla sua immagine ricordo, una realtà che lui ha praticato ogni giorno al servizio degli Altri e della Chiesa che aveva sposato. Si ringrazia Marino Marini

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GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA Un bel cerchio, in maggioranza femminile domenica 25 novembre, ha circondato questa panchina rossa, dandosi la mano, inaugurata nel Parco caduti di Nassiriya a Montichiari. L’assessore MariaChiara Soldini, il Sindaco Fraccaro, sottolineando che anche a Montichiari parecchie donne chiedono regolarmente aiuto perché vittime di violenze familiari, auspicano innanzitutto che questi episodi siano in diminuzione ma che, realisticamente, possa nascere prossimamente, come a Brescia, una Casa delle Donne, per proteggere mogli, madri, fidanzate, figli piccoli…che purtroppo si trovano a subire situazioni drammatiche. Carteggiata e dipinta da bambini, simbolo di innocenza e speranza per un futuro di adulti più responsabili e rispettosi, la panchina rimarrà nel Parco quale simbolo e monito, come recita la targa:” UNA VERA PERSONA CONQUISTA CON LA FORZA DEL CUORE, NON DELLE MANI”. Un parco frequentato da famiglie, da ragazzi che stanno adolescenti che devono maturare e riflettere, da donne che sapranno di non essere sole. Purtroppo, come ha osservato qualcuno, panchine e scarpette rosse non bastano, senza dubbio, certo è che sono un simbolo: di denuncia, di volontà a combattere questo genere di violenza, di speranza per un futuro dove la tanto sventagliata libertà delle donne, non sia solo fatta di parole, ma sia veramente accettata e rispettata, di speranza che crescano uomini migliori e capaci di superare delusioni amorose senza vendicarsi. Servono sicuramente pene certe e più severe per quegli uomini, che non si possono neppure definire uomini, che alzano le mani sulle donne, che credono siano loro proprietà, che si vendicano ancor più crudelmente sui loro figli: non ci devono essere attenuanti per questi crimini, non ci possono essere restrizioni che rasentano il ri-

dicolo, che mettono maggiormente a rischio le donne, che lasciano la possibilità ad assassini e criminali di agire indisturbati. Ogni separazione o problema familiare comporta dolore, rabbia, senso di impotenza, e proprio queste reazioni, se non controllate, dimostrano che l’uomo è molto più debole e fragile della donna, tanto da non saper far altro che ricorrere alla violenza. Le donne devono essere protette prima che succeda l’irreparabile e purtroppo se le istituzioni non si muovono presto e seriamente, troppi uomini si sentiranno ancora in diritto di violentare, uccidere, rovinare fisicamente e psicologicamente quelle donne che dicono di “amare” così tanto da non saperle lasciar vivere senza di loro Ornella olfi

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Carissimi e dolcissimi Amici, Cerco sempre di giungere in tutte le case del mondo a portare un dono grande o piccolo che sia, ma può succedere a volte che per la paura di non riuscire a fare un giro così lungo in una sola notte e saltare per errore qualcuno di Voi, chieda ai vostri parenti di diventare miei aiutanti, essendo più che sicuro che conoscano alla perfezione i vostri desideri. Ma anche quando mi capita di delegare qualcun altro al mio posto, posso assicurarvi una cosa…. Agli Amici più speciali, in questa notte, la mia magìa comunque arriva, con una carezza, con un soffio di vento caldo o con un sorriso fatto di luci. In questo modo voglio far capire che esisto, ma solo ed esclusivamente per chi riesce a credere in me e a chi ha la sensibilità di sentire la mia presenza. Il Natale deve essere un giorno che ricordi ad ognuno di noi che può essere felice in qualche modo. Le sfaccettature della felicità sono tante e ce ne deve per forza essere una che faccia al caso nostro e allora cerchiamola e facciamone tesoro. Alle persone con qualche dispiacere, voglio dire: oggi piove dentro di Voi, avete un muro davanti, ma non può piovere per sempre, le situazioni cambiano, il tempo anche se pieno di dolore, passa, la lancetta va avanti inevitabilmente e comunque e ad ogni rintocco, il dolore si modifica, diventa sempre meno lancinante e più sopportabile, ce ne facciamo una ragione e col passare dei giorni, riempiamo pur non volendo, la nostra vita, di tanti elementi, anche positivi, che alleggeriscono quelli brutti e allora capiamo che anche noi, possiamo ancora essere felici. Alle persone sole, voglio dire: anche se non avete compagnia, fate un giro dell’isolato, ammirate le decorazioni natalizie nei giardini delle case, oppure nei viali della città: usate l’energia delle


luci che vedete e date gioia a Voi stessi senza il supporto di nessuno, Voi esistete e vi volete bene e questo basta e avanza. Alle persone non più giovanissime, che si vedono invecchiate e ogni tanto si rattristano per questo, dico: ogni giorno è vita e la nostra età che cambia può solo dare un nuovo colore alle pagine del libro che stiamo vivendo e non si sono mai visti libri, con uguali capitoli; siamo sempre noi, con pregi e difetti, il corpo si modifica per natura, ma il nostro cuore è sempre lo stesso e pulsa, pulsa giorno e notte, facendoci capire che noi ci siamo e che valiamo, valiamo di vivere fino in fondo un bene prezioso, quale è la vita. Via l’oscurità, si faccia spazio alla luce! Per chi è ammalato: il nostro corpo è una macchina che lavora ed è normale che si possa danneggiare, dovremmo essere delle statue per non ammalarci mai! Allora accettiamo che ci possa capitare qualcosa di brutto e dopo esserci arrabbiati con il mondo intero per l’ingiustizia ricevuta vedendo che quelli che ci stanno intorno sembrano tutti più fortunati di noi, fissiamo le luci del Natale dalla finestra, quello lo possiamo decidere noi, la natura non ce lo può impedire; facciamoci scaldare e tranquillizziamoci, alziamoci e cominciamo a combattere la nostra guerra …perché si può vincere! Un pensiero poi a chi grazie al cielo conduce una vita serena, con una bella famiglia, circondato da persone care, dico : godete ogni giorno, non date nulla per scontato e coltivate la Vostra grande fortuna, essere amati è bello e amare lo è ancora di più. Passate il Natale insieme, perché “insieme” è la più bella parola del Mondo. Ognuno trascorrerà il “suo” Natale e sceglierà di passarlo come più gli aggrada, oppure sarà costretto a passarlo come non avrebbe voluto, ma ricordate che in questo giorno c’è Magia nell’aria , è risaputo …allora respiriamo quest’aria, facciamocela scorrere dentro e chi lo sa...forse il desiderio si trasformerà in realtà!!! Serena Morlacchi

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Una felicità divisa... Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d’ospedale. A uno dei due uomini era permesso mettersi seduto sul letto per un’ora ogni pomeriggio per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo. Il suo letto era vicino al'unica finestra della stanza. L’altro uomo doveva restare sempre sdraiato.
Infine i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli e delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto. Ogni pomeriggio l’uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere fuori alla finestra. L’uomo nell’altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno. La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto.
Le anatre e i cigni giocavano nell’acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo.
Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c’era una bella vista della città in lontananza. Mentre l’uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l’uomo dall’altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena. In un caldo pomeriggio l’uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l’altro uomo non potesse sentire la banda, poteva vederla.
Con gli occhi della sua mente così come l’uomo dalla finestra gliela descriveva. Passarono i giorni e le settimane. Un mattino l’infermiera del turno di giorno portò loro l’acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell’uomo vicino alla finestra, morto


RACCONTI

è raddoppiata!!! pacificamente nel sonno.
L’infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo. Non appena gli sembrò appropriato, l’altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra.
L’infermiera fu felice di fare il cambio, e dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo. Lentamente, dolorosamente, l’uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno.
Si sforzò e si voltò lentamente per guardare fuori dalla finestra vicina al letto. Essa si affacciava su un muro bianco. L’uomo chiese al'infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori da quella finestra. L’infermiera rispose che l’uomo era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro.
“Forse, voleva farle coraggio.” disse. Epilogo: vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione.
Un dolore diviso è dimezzato, ma la felicità divisa è raddoppiata. Se vuoi sentirti ricco conta le cose che possiedi che il denaro non può comprare. L’oggi è un dono, è per questo motivo che si chiama presente. L’ origine di questa storia è sconosciuta.”

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Cos’è il Natale se non una dolcissima poesia cosparsa di petali di cioccolato e frutta candita? E’ una tavola imbandita con tante persone che amabilmente parlano e si trasmettono emozioni, è il periodo giusto dell’anno per ricordare a qualcuno quanto lo ami o quanto ci tieni, è una sinfonia color rosso e bianco, giallo e viola che svolazza tra le fronde di un abete, solitario tra la neve c’è un pupazzo che osserva il mondo cambiare veloce, con la fretta dell’ultimo acquisto per i più piccoli e qualche capriccio per i più grandi, è la messa a mezzanotte stra piena di gente che si fa il segno della croce, qualcuno un po’ perplesso forse, altri convinti recitano un rosario di desideri, sperando di trovarli dentro alla calza della Befana tra qualche giorno. Il Natale è anche per chi è lontano da casa e sente nostalgia condita di sorrisi accesi, perchè pensare ai propri cari felici fa sentire meno la lontananza, tutti intorno al camino a leggere favole i ricordi di un tempo passato, ora l’età adulta si avvicina e qualcuno non si diverte più così tanto a giocare coi sogni, li lascia appassire dentro un bigliettino sotto l’albero in attesa della neve che lo copra, sperando che qualcuno lo legga e lo aiuti a risolvere un po’ le questioni della Vita. Il Natale è magia allo stato puro tra le candeline di un altare

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d’argento, è tutto lo splendore degli auguri e degli abbracci che si danno anche a chi non conosciamo, sono i festoni luminosi per strada lasciando tutti ad occhi alzati per guardare, sono le macchine ferme lungo il viale per andare a vedere un bel presepe, è un bambino che fa una carezza al nonno anziano e lo aiuta a camminare, è sostenersi a vicenda perchè le fatiche le provano tutti indistintamente, e il Natale non è solo la pubblicità’ del pandoro che invita ad essere tutti più buoni, non è buonismo commerciale cosparso di zucchero a velo e cannella, è la timidezza di qualcuno rimasto solo che non sa come chiedere aiuto, è il viso disilluso di una donna che ha avuto una malattia e ora è costretta a fare una vita che non vuole, è l’elenco infinito di bambini che soffrono nel mondo mentre noi quando abbiamo finito le feste abbiamo gettato nella spazzatura una montagna di cibo, quella stessa montagna di rifiuti che poi riempie i fiumi nei paesi poveri, quella stessa montagna che viene percorsa a piedi ogni giorno perchè per qualcuno rappresenta l’unica fonte di “cibo”, è il sorriso di una mamma che può abbracciare il suo bambino nato nella parte giusta del mondo, preservato dalle fatiche della quotidiana sopravvivenza e dove il lusso è la norma, ma è anche il buon senso di accendere una preghiera e stringere le mani perchè in fondo siamo tutti fratelli e urliamo a una sola voce: BUON NATALE E BUONA VITA!

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RICORDO IL MIO NATALE

Ogni anno aspetto con ansia il Natale. Per me èstato sempre atteso anno per anno. Da bambino speravo che Natale arricchisse la mia stanza di un televisore piu’ grande, possibilmente a colori e si perche’ da bambino mi ricordo avevo nella mia camera una tv a 6 canali bianco e nero, poi fortunatamente mio padre incominciò a ingranare con il lavoro e mi fu regalata una Grunding senza telecomando da 40 canali a colori. Mi ricordo che all’inizio non volevo mai spegnerla, ero affascinato dai colori dei cartoni animati e mi ricordo che fu proprio di Natale. E poi ricordo che desideravo il Natale perchè era l’unico periodo dell’anno che vedevo più tempo mio padre e mio fratello maggiore, nulla a togliere il resto della famiglia che era diciamo pre-

sente quasi sempre. Anche se mio padre aveva un carattere molto all’antica e sempre sul chi va là io desideravo sempre vederlo. Poi crescendo le cose sono andate man mano modificandosi. A Natale mi ricordo che mia madre non finiva mai di cucinare, addobbava la tavola di tanti ma tanti antipasti, e mi ricordo che a ognuno di noi cucinava il piatto preferito. Ma io a differenza degli altri preferivo organizzare una partita di carte oppure anche se in pochi una piccola tombolata fra di noi, ma purtroppo finito di mangiare crollavano tutti. Ma io mi creavo sempre un qualcosa da fare o mi mettevo davanti alla tv, oppure mi ricordo, prendevo tutte le macchinine e le cominciavo a mettere tutte in file indiane immaginando un percorso di città molto trafficato. Mi ricordo che quando mia madre mi veniva a

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prendere a scuola io puntualmente mi fermavo davanti al negozio di giocattoli e la costringevo a comprarmi una macchinina e devo dire la verità ne uscivo sempre vincitore. Mi ricordo che avevo macchinine di tutti i modelli e me le curavo tantissimo. Mi ricordo che in un periodo dell’infanzia ho passato dei stupendi natali. Non ho mai sentito la necessità di condividere le mie emozioni con nessuno perchè non mi mancava nulla. Mi ricordo l’unica cosa che non sopportavo, era quella di mettermi a studiare sotto il periodo natalizio ma mia madre se non studiavo mi toglieva la settimana e in più non permetteva ai miei amici di venire a casa. Ma se invece vedeva che io studiavo e mi comportavo bene mi concedeva anche il lusso del calcetto post scuola. Crescendo le mie richieste natalizie sono andate man mano aumentando,

mi ricordo quando andavo alle scuole medie, accompagnavo alcuni miei amici benestanti nei migliori negozi di piazza Dante ad acquistare abiti firmati, mi ricordo sto fatto perchè non so quanti casini ho dovuto fare a casa perchè anche me piaceva vestire come loro ma mia madre era contraria a spendere cosi tanti soldi per un pantalone firmato, quando all’epoca con gli stessi soldi nel mercatino ne acquistavi 4 al prezzo di uno firmato. Arrivai ad un punto di dirgli: “mamma preferisco camminare con le scarpe rotte e con i panni stracciati tutto l’anno ma quando mi devi comprare un jeans voglio almeno il Levis non del tutto originale anche scartellinato ma basta che era un Levis”. Mi ricordo quando uscirono le scarpe della Cult, le vedevo e rivedevo indossate agli altri e le ho sempre desiderate, figurati per sto fatto delle cult, volevo farmele comprare durante

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i saldi ma erano gli unici modelli che mantenevano il prezzo. Mia madre quando diceva no era no con la emme maiuscola. Mi ricordo il mio primo fratello quando veniva Natale era la persona che desideravo di più vedere, stava sempre imbarcato tutto l’anno e speravo che a Natale lo vedessi e mi rimaneva sempre a bocca aperta, ogni volta mi portava una macchina radiocomandata. Mi ricordo i giorni di Natale passati nell’infanzia come se fossero stati ieri, mi ricordo in tutti i minimi dettagli tutto cio’ che facevo. Mi ricordo il momento che per me era il più bello quando dovevo dire la poesia a mio padre e per fargliela ascoltare impiegavo tre ore, perchè mio padre quando ci vedeva tutti riuniti a Natale incomiciava a parlare con noi con un ordine di nascita cronologico. Per esempio la prima cosa, era dare i complimenti a mia madre per l’impegno messo in cucina, poi incominciava in ordine cronologico con noi figli. Quando veniva il mio turno la prima cosa che gli dicevo prima di dire la poesia, papà, quanto mi regali se ti dico la poesia? Lui diceva dimmi prima la poesia e poi se ne parla, io mi mettevo d’innanzi a lui e incominciavo a dirgliela, poi non so.. talmente che mi facevo prendere dall’emozione, che arrivavo ad un certo punto della poesia e mi bloccavo e mio padre diceva che se non la dicevo tutta non mi dava niente, e io prendevo e me ne andavo nella cameretta a ripetere. Pensa la notte di Natale

a studiare.... Alla fine quando riuscivo a dirgli la poesia ecco che veniva il premio, mi ricordo... cacciava quel malloppone di 100 mila lire e poi uscivano quelle solite 40 mila lire come premio. Quei “natali” sono stati bellissimi, peccato che non ne sono stati cosi tanti. Mi ricordo che dopo l’eta’ di 14 anni i “natali” cominciarono a diventare sempre più solitari, i numerosi problemi che colpirono la mia famiglia distrussero tutta la pace e l’armonia che vigeva nella nostra casa. Quello dei 14 anni fu l’ultimo Natale che ho passato bene con la mia famiglia. Mi ricordo che all’improvviso ho dovuto fare un cambiamento d’abitudini da un anno ad un altro, ormai i “natali“ in casa mia non si sono più fatti nè vedere nè sentire. E da lì che ho avvertito la mancanza e iniziato a soffrire di solitudine, per noi ormai il Natale era un giorno come un altro. La cosa che mi faceva soffrire di più è di avere un fratello coetaneo. Poi all’improvviso, crescendo, i miei “natali” sono diventati come io sempre li desideravo, ricchi di persone. Erano i natali che passavo con gli amici. Una famiglia cosi numerosa che a riunirla ci volevano tanti di quei tavoli e non vi dico di quanti piatti sul quei tavoli... Oggi per conseguenza di vita siamo tornati punto e a capo ma la mia mente spesso ama tornare a ricordare quel Natale dove bastava la compagnia di chi vuoi bene per essere felice. Marco

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CHIACCHIERE Secondo recenti stime si dice che un uomo pronunci in media cinquemila parole al giorno, mentre la donna settemila. Il fatto è che quando rientro dal lavoro, io ho terminato le mie cinquemila parole, mentre mia moglie ancora deve cominciare le sue settemila. ASTUZIA Il marito entra in camera da letto con una aspirina e un bicchiere d’acqua: “Cara, ecco qua, ti ho portato la medicina per il tuo mal di testa”. “Ma io non ho mal di testa!”. “Fregata!” SUOCERA Una giovane coppia sta per sposarsi. Il futuro marito si reca dall’architetto per decidere il progetto della nuova casa. ”Archittetto, mi ascolti, io voglio una casa tutta tonda!” Dice l’uomo con aria decisa. ”Mi scusi, ma come sarebbe a dire tonda?” Domanda il tecnico. ”Tonda, come glielo devo dire, tonda!” Ribadisce il giovane. ”E poi come farà per i pavimenti, i mobili, e il resto dell’arredo? Almeno mi spieghi il motivo!” Insiste l’architetto. ”La prego, mia suocera mi ha detto: nella nuova

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casa ci sarà un angolino anche per me, non è vero?” LADRI IN CASA Un uomo vittima di una rapina in casa viene contattato dal commissario che gli racconta anche della cattura del ladro. L’uomo chiede quindi al commissario di poter parlare con il ladro. Il commissario tutto preoccupato gli chiede: Ma cosa diavolo gli vuole chiedere? - Commissario quell’uomo è entrato in casa in pena notte ed è riuscito a non svegliare mia moglie. Se mi dice come ha fatto..ritiro subito la denuncia ! DATA DEL MATRIMONIO Tra amici: Allora, hai deciso la data del matrimonio? Lotto... L’otto di che mese? No!!! cosa hai capito? Lotto per non sposarmi... TI AMERO’ FINO ALLA MORTE LEI: Ti amo e ti amerò, fino alla tomba ti porterò! LUI: Amami pure se vuoi, ma alla tomba portaci i tuoi ! IL TORO DA MONTA Mario e Anna vanno con la loro vacca da Guido che ha un toro da monta. Mentre il toro e la

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vacca sono affaccendati Anna chiede a Guido quante volte al giorno il toro si accoppia e lui risponde: “tre o quattro volte al giorno” e lei: “eh! hai sentito Mario?” e Mario prontamente chiede: “ma sempre con la stessa mucca?” e Guido: “eh no, sempre diversa” e Mario ad Anna: “eh! hai sentito Anna?” FRATELLI In una famiglia, ci sono 3 fratelli: il fratello più grande, Niente, il fratello nel mezzo, Nessuno, e il più piccolo, Babbeo. Un giorno, Niente vede Nessuno cadere per la finestra, e il fratello minore chiama l’ambulanza. Il tizio risponde e il ragazzo dice: Niente ha visto Nessuno cadere per la finestra e il tizio gli risponde: me che, sei scemo!?, e il ragazzo risponde: no, sono Babbeo. LA MIA RAGAZZA La mia ragazza era talmente brutta che una volta portata al pronto soccorso per un taglio ad un dito, il medico appena ha aperto la porta e l’ha vista in faccia ha detto: “Chissà come è ridotta la macchina!

VACANZE Tra marito e moglie: - “Tesoro, dove andiamo in vacanza quest’anno? In costa azzurra o in costa smeralda?” - “ando COSTA meno!” BUGIE In un castello c’è uno specchio che mangia le persone che dicono le bugie: arriva una mora e dice: “io penso di essere la donna più intelligente al mondo” e lo specchio la mangia. Arriva una rossa e dice: “io penso di essere la donna più bella al mondo” e lo specchio la mangia. Arriva una bionda e dice: “io penso...” e lo specchio la mangia. IN CHE COSA CONSISTE IL MATRIMONIO? •Due che si mettono insieme per tentare di risolvere problemi che da soli non avrebbero mai avuto! •Il matrimonio è paragonabile ad un grosso bidone pieno per tre quarti di merda e sopra un quarto di panna, tu hai un cucchiaino da caffè e con il quale ogni giorno attingi dal bidone. L’arte è quella di fare durare la panna il più a lungo possibile....

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Il solstizio d’inverno è l’evento astronomico di dicembre che segna l’arco diurno più breve dell’anno. Per le popolazioni antiche di tutto il mondo i cambiamenti stagionali legati alla luce solare erano evidenti e molto significativi. Il termine solstizio viene dal latino solstitium, che significa letteralmente “sole fermo” (da sol, “sole”, e sistere, “stare fermo”). Se ci troviamo nell’emisfero nord della terra, nei giorni che vanno dal 22 al 24 dicembre possiamo infatti osservare come il sole sembra fermarsi in cielo, fenomeno tanto più evidente quanto più ci si avvicina all’Equatore. In termini astronomici, in quel periodo il sole inverte il proprio moto nel senso della “declinazione”, cioè raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale. Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno. Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al sol-

stizio d’estate, in giugno, quando avremo il giorno più lungo dell’anno e la notte più corta. Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo. Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale e “invincibile” sulle stesse tenebre. E proprio il 25 dicembre sembra rinascere, ha cioè un nuovo “Natale”. Il sole è calore, è l’indice della sopravvivenza stessa legata ai cicli naturali e ai frutti della terra. La festa pagana del solstizio d’inverno godeva dunque di grande importanza come significato di rinascita della natura, dal 25 dicembre, infatti, il giorno man mano si allunga. Fu Costantino, molto più tardi, ad ufficializzare il 25 dicembre come festa religiosa della nascita di Cristo. La data di nascita di Cristo non è nota. I Vangeli non ne indicano né il giorno né l’anno, fu assegnata la data del solstizio d’inverno perché in quel

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giorno, in cui il sole comincia il suo ritorno nei cieli boreali, i pagani che adoravano Mitra celebravano il Dies Natalis Solis Invicti (giorno della nascita del Sole invincibile). Quello che stupisce è che la data del 25 dicembre, prima di diventare celebre come “compleanno di Gesù”, sia stata giorno di festa per i popoli di culture e religioni molto distanti tra loro, nel tempo e nello spazio. Per citarne alcuni: Il dio Horus egiziano I mosaici e gli affreschi raffiguranti immagini di Horus in braccio a Iside ricordano l’iconografia cristiana della Madonna col bambino, tanto da indurci a credere che in epoca cristiana, per ovvi motivi, alcune rappresentazioni di Iside e Horus, spesso raffigurato come un bambino con la corona solare sul capo, furono probabilmente “rivisitate”. Il dio Mitra indo-persiano Quello di Mitra fu il culto più concorrenziale al cristianesimo e col quale il cristianesimo si fuse. Si ricordi che, secondo il mito, anche Mitra era stato partorito da una vergine, aveva dodici discepoli e veniva soprannominato “il Salvatore”.

Gli dei babilonesi Tammuz e Shamas Nel giorno corrispondente al 25 dicembre odierno, nel 3000 a.C. circa, veniva festeggiato il dio Sole babilonese Shamash. Il dio solare veniva chiamato Utu in sumerico e Shamash in accadico. Era il dio del Sole, della giustizia e della predizione, in quanto il sole vede tutto: passato, presente e futuro. In Babilonia successivamente comparve il culto della dea Ishtar e di suo figlio Tammuz, che veniva considerato l’incarnazione del Sole. Allo stesso modo di Iside, anche Ishtar veniva rappresentata con il suo bambino tra le braccia. Attorno alla testa di Tammuz si rappresentava un’aureola di 12 stelle che simboleggiavano i dodici segni zodiacali. È interessante aggiungere che anche in questo culto il dio Tammuz muore per risorgere dopo tre giorni. Dioniso Nei giorni del solstizio d’inverno, si svolgeva in onore di Dioniso una festa rituale chiamata Lenaea, “la festa delle donne selvagge”. Veniva celebrato il dio che “rinasceva” bambino dopo essere stato fatto a pezzi.

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Bacab Era il dio Sole nello Yucatan; si credeva che fosse stato messo al mondo dalla vergine Chiribirias. Il dio Sole inca Wiracocha Il dio sole inca veniva celebrato nella festa del solstizio d’inverno Inti Raymi (festeggiata il 24 giugno perché nell’emisfero sud, essendo le stagioni rovesciate, il solstizio d’inverno cade appunto in giugno). Le origini di questi antichi culti vanno ricercate in ciò che è “principio” della vita sulla terra e che “dal principio” è stato oggetto di culto e di venerazione: il sole. Agli albori dell’umanità, esisteva un ricco calendario di feste annuali e stagionali e di riti di propiziazione e rinnovamento. I popoli nel periodo primitivo della loro esistenza erano intimamente legati al “ciclo della natura” poiché da questo dipendeva la loro stessa sopravvivenza. Al tempo, la vita naturale appariva indecifrabile, incombente, potente espressione di forze da accattivarsi; era un mondo magico. L’uomo antico si sentiva parte di quella natura, ma in posizione di debolezza. Per questo, attraverso il rito, cercava di “fare amicizia” con questa o quella forza insita in essa. Al centro di questo ciclo c’era l’astro che scandiva il ritmo della giornata, la “stella del mattino” che determinava i

ritmi della fruttificazione e che condizionava tutta la vita dell’uomo. Per quest’ultimo, temere che il sole non sorgesse più, vederlo perdere forza d’inverno riducendo sempre più il suo corso nel cielo, era un’esperienza tragica che minacciava la sua stessa vita. Perciò, doveva essere esorcizzata con riti che avessero lo scopo di evitare che il sole non si innalzasse più o di aiutarlo nel momento di minor forza. È proprio partendo da questa considerazione che possiamo individuare le origini dei rituali e delle feste collegate al solstizio d’inverno. Durante queste feste venivano accesi dei fuochi (usanza che si ritrova nella tradizione natalizia di bruciare il ceppo nel camino la notte della vigilia) che, con il loro calore e la loro luce, avevano la funzione di ridare forza al sole indebolito. Di questa antica usanza possiamo forse ritrovare le tracce nelle innumerevoli luci che prendono a lampeggiare in prossimità delle festività natalizie nelle nostre città. Ma quelle che oggi sono insegne accattivanti per un periodo propizio alle vendite, un tempo volevano essere, anche se più modeste, un saluto al sole e poi al Salvatore che, sconfiggendo la morte, ha strappato l’umanità dalle tenebre.

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RIFLESSIONI

Le palline dell'albero di Natale

Il filo d'oro

Una graziosa storia racconta di un giocoliere di strada che era molto povero, viveva a Betlemme e si rammaricava di non avere un dono per il Bambino Gesù. Ma pensò ugualmente di andare da Lui e cercare di divertirlo facendo ciò che sapeva fare meglio. Il giocoliere fu così bravo che fece ridere Gesù Bambino e pare che da questo episodio sia nata l’usanza di appendere all’albero le palline colorate, in memoria delle risate del Bambino Gesù e del giocoliere. Un uomo chiese a Dio: “Chi sei Tu Signore?” Egli rispose: “Io sono.” Ma l’uomo, confuso, domandò ancora: “Va bene, ma in che senso ‘Tu sei’?” Dio gli rispose: “Io sono l’amore, Io sono la pace, Io sono la grazia, Io sono la gioia. Io sono la via, la verità e la vita. Io sono il Consolatore, Io sono la forza. Io sono la sicurezza, il rifugio, la potenza. Io sono il Creatore. Io sono l’inizio e la fine. Io, si proprio Io, sono al di sopra di ogni cosa.” Allora l’uomo, con le lacrime agli occhi, disse: “Ora ho capito chi sei Signore..ma allora..chi sono io?” E il Signore, asciugandogli le lacrime dal viso, sussurrò in risposta: “TU SEI MIO “ (Isaia 43:1) Buon Natale da Nonna Grazia.

Una graziosa leggenda spiega l’origine dei fili d’oro e d’argento con cui gli abeti vengono ornati. In una lontana notte di Natale, in una casa di campagna con tanti bambini, l’albero era pronto, già ornato di candeline e di palle colorate. Era così bello che anche il cane e il gatto erano rimasti a lungo in ammirazione e i topi avevano messo il musino fuori dalle tane. Anche i ragni che stavano nascosti negli angoli bui della stanza, incuriositi dall’insolito chiarore, vollero rendersi conto di quel che stava succedendo. Si arrampicarono di ramo in ramo, di palla in palla, di candelina in candelina. Sì era un bell’albero, convennero e tornarono soddisfatti ai loro angoli nascosti. La mattina i bambini si alzarono felici e corsero ad ammirare il loro albero. Meraviglia! Non c’erano soltanto le palle colorate, le arance e i gingilli, ma i rami erano ornati da un lungo filo d’oro che faceva brillare l’albero. In quella notte di prodigio anche la bava dei ragnetti si era trasformata in un filo prezioso. Da quel lontano Natale ogni albero si ornò di luminosi fili d’oro e d’argento.

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RIFLESSIONI

Lettera alla figlia Piccola mia, anche se ormai più piccola non sei, una mamma vede il figlio un piccolo da accudire ogni momento della sua vita. Tu figlia mia hai reso la mia vita, la più bella che ci sia. Non è facile crescere un figlio come si vuole ma una mamma lotta perché sia sereno. Per te ho lottato molto nel periodo adolescente, dove tutto è facile, tutto è normale. Hai sempre fatto di testa tua, dando confidenze ad amiche che agli occhi di una mamma non erano granchè, erano confidenti, non vere amiche!!! Ma tu hai continuato la tua strada tralasciando a poco a poco e senza accorgertene, le tue abitudini sane per quelle nuove e sentendoti troppo grande per i soliti rimproveri di una mamma. Oggi figlia mia hai

19 anni ed hai capito sulla tua pelle ciò che tua mamma voleva dirti, quanto ha pianto di nascosto, quanto ha sperato che tu “tornassi a vivere”. Una mamma vede quello che ad una figlia a volte sfugge. Una mamma ha vissuto prima di te figlia mia! Oggi figlia mia hai capito le tue “mattate trasgressioni” e ne sei uscita a testa alta, valutando forse i consigli di una mamma. Tua mamma ha smesso di piangere di nascosto, ma continuerà sempre a rimproverarti, e se tu figlia mia, hai capito quanto t’amo… e che ogni giorno una mamma vive per il proprio figlio, un giorno quando non ci sarò più, forse guarderai una mia foto e dirai: “Grazie di esserci sempre stata mamma…”. Una mamma

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SOCIETA’

Avvento mai banale come il male

Natale è Natale, ci risiamo, le parole cadono una dietro l’altra, fanno incetta di stupefazione, di sguardi estasiati. Le parole arrampicano, s’alzano al cielo, l’illusione di un attimo, ridiscendono come rese. Le parole fanno corollario, circondario, confine, frontiera, stanno al palo, attendono il segnale. Il tempo rifugio comodo e convenzionale, scarta di lato, rimanendo mai fermo al centro della strada. Il tempo è compagno leale della parola, della sostanza, della realtà di ogni giorno, il tempo accompagna, insegna, educa, soprattutto, non bara né trucca la consegna di ritorno che avverrà. Ogni anno è Natale, ogni dicembre è Natale, ogni bimbo che nasce è Natale, ogni povero e ogni ultimo è orma di Natale, perfino il ricco e il potente è traccia di Natale. La coscienza sbaragliata dagli eventi, incapace di reagire, subisce gli impatti, le scosse, i tradimenti, eppure a fare la differenza non c’è la festa, nè il cibo donato a piene mani, neppure le prevaricazioni, i soprusi e le offese, le ingiustizie e il potere contrattuale nascosto agli occhi dei richiedenti,

Al Sabato siamo aperti tutto il giorno

dei bisognosi, di quegli innocenti che non hanno altro che la propria dignità da offrire a quel bambino che verrà. Ci risiamo, Natale non è mai simile al precedente, è come il prima, il durante e il dopo di ognuno, che appartiene per diritto e per dovere a ciascuno, che avverrà perché costituisce costitutivamente i ponti delle prossimità, per quanto infine gli occhi vedranno e il cuore sentirà, cogliendo il bene, là, dove la condivisione non potrà mai vestire gli abiti della sottomissione. Natale e’ l’Avvento, non c’è strada diversamente breve per conoscere, per comprendere, per intuire i percorsi ed i vicoli ciechi, per fare un passo avanti, un passo in mezzo, foss’anche un passo sghembo, affaticato, claudicante, un passo con lo sguardo in alto. Ci risiamo, le parole prendono il sopravvento, a grandi falcate raggiungono i posti riservati, in prima fila, in bella mostra da tanto onore, parole di benvenuto e di commiato, parole che destano attenzione, parole che senza preavviso reclinano il capo, s’addormentano. In questa storia di umiliazioni e di fughe all’indietro, di uomini in croce e popoli oppressi, di terre martoriate e acque avvelenate, Natale non arretra, ci costringe a non arretrare, il tempo d’Avvento non soccombe alle parole, trasforma il male ed i silenzi protratti, Natale è risveglio e coraggio di chi è ferito, Natale è speranza, non soltanto di preghiera di qualcuno, Natale è davvero perdono e giustizia alla vergogna e alla paura, perdono e giustizia affinché nessuno rimanga a guardare. Vincenzo Andraous

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RIFLESSIONI

Ciao foglio di carta Ciao foglio di carta, ora ti riempio di parole ricche di valore e stati d’animo e colgo in questo particolare momento. Le giornate scorrono normali, ma ad un tratto ti accorgi che qualcosa di diverso è successo e tutto non è più lo stesso. Osservo il cielo e lo ringrazio per quello che sta offrendo nell’immensità della vita. Mi ritengo fortunato, osservando la gioia di vivere nei tuoi occhi, la lucentezza dei tuoi lunghi capelli biondi e la sensualità delle tue curve che rendono il tuo tenero corpo, unico. La tua spontaneità e soprattutto, sincerità, mi hanno colpito di più del primo sguardo. La tua determinazione, il tuo modo di essere è vivo in te ed io con rispetto, cerco di coglierlo. Ti conosco da poco e vorrei conoscerti sempre di più…per apprendere e vivere in prima persona quello che effettivamente riesci a trasmettere. Il tuo sorriso mi da felicità, allegria, percependo soprattutto una tua simpatia innata. Comunicare con te e condividere le tue nuove conquiste personali mi fa onore, rendendomi fiero dell’opportunità che mi stai dando. Sentirti raggiante per l’acquisto fatto con il sudore del tuo lavoro; ascoltare con attenzione i tuoi racconti e le tue prospettive future, mi rende unico al mondo, conscio di aver di fronte, una giovane donna che sa cosa vuole dalla vita. Vorrei esprimere tantissimo su questo bianco foglio, riempirlo di complimenti, di stati d’animo, di felicità e gioia, nel rapportarmi con

te. La tua voce, sempre molto intensa, l’ascolto con attenzione per telefono, cercando ogni volta di immaginarti mentre mi parli. A piccoli passi cerco di avvicinarmi, come giusto che sia, in virtù di quello espresso giorni fa, consapevole però che qualcosa di magico può accadere e dare nuove emozioni, inaspettate tra noi!! Mi sembra di camminare sulle nuvole, ma invece, sono con i piedi per terra e chissà cosa avverrà. L’importante è vivere il momento con serenità, vitalità e perché no, passione. Vivere in prima persona tutto ciò che ci si sente senza timori o giudizi, senza paura di sbagliare, perché l’importante è dare un vero impegno di se, in tutto per tutto. Questo foglio di carta, dopo quello appena scritto, ora ha dei valori e dei piccoli sentimenti che danno prova di cosa una persona può trasmettere ad un’altra, dando fascino e omogeneità nel rapporto comunicativo. E’ bello averti conosciuto, ma altrettanto bello sarebbe viverti sempre di più. Con affetto. Valerio

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RIFLESSIONI

I coni d'ombra del Natale Mattina di quiete e di silenzio. Ho bisogno di fermarmi e stare in ascolto, ho bisogno di far scivolar via le tracce residue di giornate troppo piene. Da introversa, la mia capacità di digerire gli stimoli esterni è arrivata a un livello di guardia e urge uno stop. Mondo esterno rimani fuori per un po’, ora ho bisogno di ricentrarmi. Queste giornate pre-natalizie sono troppo cariche: di cose da fare, di traffico, di gente nervosa, di code ovunque, non solo nei negozi, ma anche per tornare a casa la sera, per fare la spesa, per salire sull’autobus. Troppo rumore, concreto e interiore. Anche in ospedale l’atmosfera natalizia si fa sentire. I reparti sono addobbati in modo festoso, ovunque sbucano pacchi colorati e ben infiocchettati, i dolci in circolazione mandano alle stelle le glicemie di tutti. Nelle stanze, però, i problemi non cambiano e non si alleggeriscono solo perché è Natale, anzi. Essere ammalati a Natale aggiunge un peso che in periodi normali non ci sarebbe. E ovviamente morire in questi giorni getta un velo oscuro sul Natale di oggi e su quelli a venire, che scandiranno il tempo del ricordo e rimarranno gravati da un dolore, da una tristezza totalmente fuori sintonia rispetto alla festosità che aleggia intorno. Questo è il Natale con i suoi coni d’ombra. Le luminarie e i pacchetti colorati creano una luce che inevitabilmente proietta ombra. E lì si annidano e trovano rifugio molti degli stati d’animo apparentemente reietti ma potentemente presenti e alquanto diffusi. Tristezze, malinconie, ricordi nostalgici, senso di fastidio verso quei brillii avvertiti come inautentici e superficiali. Rigurgiti di acido a bilanciare troppo miele. Malumori, borbottii, bronci a contrastare jingle festanti e sdolcinati, allegrie forzate, sorrisi smaglianti e risate troppo forti, scambi di auguri superficialmente calorosi tra perfetti sconosciuti. In questi giorni ho vissuto tutte le sfumature natalizie, dalle luci ai coni d’ombra. Perché poi a

me le luminarie piacciono, mi piace lo scambio di pacchetti, il brillio festante. A casa abbiamo fatto l’albero e il presepe, e la sera accendo le luci a intermittenza e sto lì a guardarle ipnotizzata come ipnotizzata posso guardare dalla finestra i fiocchi di neve che scendono o il fuoco nel camino. Però mi sono innervosita nelle code, nei rumori, tra le troppe persone intorno; ho sentito il dolore di chi guarda il Natale altrui e vorrebbe che scomparisse, di chi mi sorride coi macigni nel cuore. Ora ho bisogno di silenzio, di lasciare il Natale fuori casa, luci e coni d’ombra fuori dalla porta. Per un po’, il tempo di far scivolar via le increspature del mare, di tornare al ritmo normale delle onde che si frangono sulla spiaggia. sguardiepercorsi

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RIFLESSIONI

L'ULTIMO DEI FRATELLI

Esco dal cancello. Nebbia fittissima che nasconde il paesaggio, si può tagliare con un coltello, si suol dire. M'incammino verso il paese e sento sotto i piedi lo scricchiolio delle foglie secche che lastricano il marciapiede. Lo sguardo non riesce a perforare, che per pochi metri, la fitta coltre. Sui lati piante spoglie che protendono i loro nudi e umidi rami al cielo come per invocare un raggio di sole. La strada la conosco a memoria, la percorro tutti i giorni. Lo squillo di un campanello mi fa sobbalzare, sento un fruscio sfiorarmi e una squillante voce femminile mi grida: AUGURI!. Mi giro di scatto e riesco appena a figurare un fanalino rosso di una bicicletta che si allontana. Mi fermo. Rifletto: auguri, auguri perchè? Caspitina, oggi è l'ultimo giorno dell'anno. Me ne ero dimenticato. Mi viene uno sciupon, come direbbe la buonanima di mio nonno. Ma come, sembra ieri che ci stringevamo la mano augurandoci buon anno nuovo: come passa veloce il tempo. Mi ricordo di mia madre che ripeteva: la vita è come il vento, un soffio e poi scompare. Oggi finisce anche quest'anno, ce ne saranno altri: speriamo. AUGURI!!! Incrocio un altro fantasma con la voce baritonale di un uomo uscita dall'apertura di una grossa sciarpa che gli copriva quasi tutto il volto eccetto gli occhi: non l'ho conosciuto. Proseguo e passando davanti ad un negozio di alimentari vengo quasi investito da un gruppo di ragazzini

vocianti che uscivano sorreggendo dei scatoloni dentro i quali riuscii a intravvedere bibite, dolci, salumi ed altre leccornie. Sicuramente si preparavano a festeggiare l'arrivo del nuovo anno a casa di qualcuno di loro. Beata gioventù che passa e non ritorna più. Esco dall'edicola con l'ultimo giornale di quest'anno, sono indeciso se fare un altro giro o se tornare subito a casa. Sento le campane che suonano a festa, mi ricordano che verrà celebrata, come tutti i fine anno, la messa di ringraziamento. Attraverso la piazza ed entro in chiesa. Sono solo, eccetto la presenza di quel Gesù che è appena nato. Mi siedo. Un silenzio quasi assordante. Ad un tratto sento un sommesso brontolio, quasi come una pentola in ebollizione, cerco di scrutare nel buio se per caso da qualche angolo provenga ciò. Non mi viene l'illuminazione. Rimango pensieroso e assorto. Perbacco! Ecco spiegato l'arcano: i banchi della chiesa confabulavano fra loro, mormoravano. Nel vedermi entrare si erano passati la voce e tutti esprimevano il loro parere: ecco questo non è mai entrato in chiesa, entra oggi che è l'ultimo giorno dell'anno. Cos'è che l'avrà spinto? Il più ardito dei banchi di prima fila ( i privilegiati ) quasi ad alta voce per farsi sentire anche dagli altri: Gesù di Nazareth è nato anche per lui. Non si pensi che i banchi delle chiese non abbiano un cuore. Lentamente mi alzo. Il mormorio cessa. Ho

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RIFLESSIONI

avuto l'impressione che i banchi si congratulassero fra loro gioiendo. Sarà stata un'illusione?Esco dalla chiesa. Nebbia sempre fittissima. Non si riesce a scorgere le case in fondo alla piazza. Mi dirigo verso casa. Cammino lentamente a testa bassa. Attraverso un paio di strade per la solita destinazione. Ad una rientranza mi si presenta seduto su un muretto di cinta un grosso fagotto, una specie di saio con dentro qualcuno. Non scorgo né faccia né piedi. Mi avvicino e percepisco un lieve fremito provenire da sotto quell'involucro nero. Osservo meglio e scorgo un viso guarnito da una folta barba con occhi chiusi e dalle labbra pendenti uscivano dei bisbigli. Mi siedo in parte. Cerco di spostargli il cappuccio per capire di chi si trattasse. Apre gli occhi. Sono due fessure profonde indefinite. Sembra mi guardi. AUGURI!! Gli recito titubante. Abbassa sempre di più il capo quasi a

toccare terra. Ha bisogno di qualcosa? Mi azzardo a proferire. Tutto d'un tratto erge il busto, si solleva il cappuccio, mi guarda con occhi che non definirei umani. Non proferisce verbo. AUGURI!! Ripeto. Buona fine e buon principio. Perchè si nasconde, non è felice in questo giorno? Un suono, quasi un sibilo, gli esce dalle labbra. “Non posso essere felice. E' finito il mio tempo e me ne sto andando. Tutti gli uomini mi stanno dando la caccia. Vogliono che sparisca. Sono l'ultimo di una famiglia numerosa. Eravamo in trecentosessantacinque fratelli e sono rimasto solo: l'ultimo. L'unico e fra qualche ora anch'io sparirò e tutti gli uomini festeggeranno. Siamo nati tutti insieme, poi una forza sconosciuta ha designato per ognuno il momento di salire sul palcoscenico della vita degli uomini. A me è toccata l'ultima recita. Ho gioito per l'accoglienza che è stata riservata ai miei fra-

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Ogni viaggio lo vivi tre volte: quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi. Vi auguro un Sereno Natale e Felice Anno Nuovo!

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telli, soprattutto al primo di cui hanno riservato mortaretti: hanno foga di scacciarmi. Domani ne un trionfo, un tripudio di gioia. Di sott'occhi ho nascerà un'altra nidiata e ricomincerà la stessa visto che si pavoneggiava. Ma pazienza: era così parabola. Fra poco ci sarà un'esplosione di gioia giovane. Tutti gli altri si sono succeduti: chi con ed un baccano indicibile. Non so se ha senso, più gioia, chi portando speranza, chi con dolore e ma l'uomo è fatto così e difficilmente cambierà. disperazione. Sono rimasto solo: Su di me hanno caricato tutte le l'ultimo. Fra poche ore sparirò insoddisfazioni e si illudono che anch'io ma prima vorrei lasciare sparendo il domani possa camun messaggio. Fallo tu per me. biare: una grande speranza. Divulga il verbo che sicuramente Riabbassa la testa e si copre di sparirò, ma domani ne nascerannuovo con il cappuccio. Capisco no altrettanti. Cerca di convincere che il nostro dialogo è finito. Mi che non siamo noi fratelli buoni o alzo. Indugio e cerco di allungargli Augura cattivi, sereni o nebulosi ma è l'ala mano. Non si muove. Mi avvio nimo degli uomini che determina camminando a ritroso. Voglio cerBuone Feste ciò. care di vederlo finchè la nebbia Noi nasciamo la mattina e ci speme lo permette. gnamo la sera, ma è la cattiveria, In lontananza si sentono dei botti. l'ingordigia, la prevaricazione, Un gruppo di ragazzini in motorino l'arrivismo e la malignità dell'uotransitano veloci facendo scopmo che avvelenano la nostra breve parabola su piare petardi vicino all'ultimo FRATELLO. Non si questa terra. Anche a noi fratelli piange il cuo- scompone. Il suo destino è segnato. Non so se re quando durante la nostra breve apparizione gridargli un augurio od un addio. Non so più cosa accadono nefandezze indicibili. I giovani hanno pensare, mi sento gli occhi umidi: non è la nebfretta di vivere e sperano che noi ci spegniamo bia. Addio ultimo FRATELLO, la tua fine porta via alla svelta. Gli anziani ci pregano di allungare la anche a me un lembo di vita. nostra esistenza. Amico, sento già lo scoppio dei Mario Venturini

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sopra del paesino di Lana, dove parte anche la funivia che porta direttamente sul monte. Situato su un’altezza dai 1.468 ai 1.814 m s.l.m., l’area comprende quattro sciovie e 5 km di pista. Il posto ideale per gli appassionati dello sci e dello slittino e quelli che amano la tranquillità e la natura. Sentieri solitari portano attraverso boschi silenziosi e le mete per escursioni sono innumerevoli. L’area sciistica fa inoltre anche parte del comprensorio sciistico Ortler Skiarena.

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E’ tardi...

Il mio funerale è stato bello, tutto sommato. Si, ho assistito al mio funerale. E mi sono commosso. Non è che sia uno dalle lacrime facili, intendiamoci, però vedere il dolore sincero sul volto delle mie figlie e su quello di mia moglie mi ha toccato. Profondamente. Cominciò tutto diversi mesi fa, quando per un brutto dolore allo stomaco andai dal dottore. Ricordo bene l’espressione dei suoi freddi occhi azzurri dietro gli occhiali dalla montatura dorata, mentre gli descrivevo i sintomi. Facciamo un controllino! Mi disse. Tanto per stare tranquilli. Eccheccazzo! Pensai. E così iniziò un calvario di esami, lastre, chemio, prelievi, ri-chemio, perdita di capelli e vomito e tutto il resto. La mia famiglia era terrorizzata. Le bambine che mi avevano sempre visto come il loro colosso, stavano assistendo ad un inesorabile declino. Sia fisico, che mentale. All’inizio nei loro occhi vedevo il dispiacere per la mia situazione. Dopo che le settimane passavano l’espressione di quegli occhi giovani fu incrinata da una certa irrequietezza. Insofferenza, forse. Mi volevano bene, certo, però le stavo costringendo ad una vita terribile. Passavano troppo tempo negli ospedali. Mi venivano a trovare, parlando delle loro vite, piene di attese e speranze. A casa mi accudivano, anziché cercare un ragazzo di cui prendersi una bella cotta. E io soffrivo per loro, più ancora di quanto soffrissi per me. Mia moglie poi. Non è mai stata una persona molto paziente e ha sempre avuto nei confronti della malattia un sacro terrore, che la agitava ed innervosiva. La mia condizione non risvegliava nessuna sindrome da crocerossina, anzi ogni scusa era buona per far tardi in ufficio o uscire con le amiche. Vai, le dicevo io, non ti preoccupare, io starò bene. E lei, no è meglio se sto a casa,


Buo

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se dovessi aver bisogno come faremmo? E giù a litigare. Poi immancabilmente usciva per le femminee chiacchiere. Allora presi una decisione. Me ne sarei andato dalle loro vite. Per sempre. Non mi sentivo più tanto importante per loro, pensavo che dopo un bel pianto, si sarebbero consolate e avrebbero proseguito la loro vita, cosa che credo ancora. Così inscenai un incidente. Fatto bene, cosa credete? Feci in modo di rispettare tutti i canoni, cosicché l’assicurazione avrebbe anche pagato un bel po’. Sarebbe stato un ultimo regalo alle donne della mia vita. Di morire non è che ne avessi proprio intenzione, perché insomma... mi capite. Feci in modo di passare tutti i controlli, per essere ritenuto valido alla guida. Il mio fisico reagì all’intenzione. Forse avere un obiettivo particolare stimolò le ghiandole, gli organi e tutto il teatrino a compiere quell’ultimo

sforzo di guarigione. Il temporaneo miracolo avvenne. Presi l’auto e me ne andai al mare. L’aria fresca e piena di salsedine mi avrebbe giovato. Vai, mi dissero loro. E poi giù lungo la scarpata e un bel tuffo dove l’acqua è più blu. Solo l’auto, che non venne ripescata. Tre giorni dopo un funerale a bara vuota. Un bel funerale, ripeto. E adesso? Mi chiedo cosa sono rimasto qui a fare. Vivo, ma senza uno scopo. Vedo le mie figlie, a cui avrei ancora potuto dare l’amore di cui hanno bisogno, anche solo per breve tempo. Avrei potuto condividere con loro le mie esperienze. Avrei potuto ancora insegnar loro qualcosa. Vedo mia moglie, la mia amica più cara, la mia nemica più terribile, che si dispera per la mia mancanza. Ma non posso più tornare indietro. Cerco di convincermi che sia meglio così. Ma in fondo, non ne sono affatto convinto. AGO

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L’INTERVISTA

LIA LIPPIELLO

dalla fotografia sognando ... il grande cinema Dalla serie televisiva “1992” con Stefano Accorsi dove ha scoperto il mondo del cinema, al Teatro Parioli dove studia senza sosta per diventare un’attrice del grande schermo. Nel mezzo c’è un elenco infinito di shooting fotografici, set e workshop che l’hanno resa una fotomodella popolare in tutta Italia, nonostante il suo primo lavoro rimanga quello di parrucchiera. Intraprendenza, energia e adrenalina hanno permesso a Lia Lippiello, 37enne con origini campane ma ormai romana d’adozione, di diventare un autentico personaggio capace di districarsi nel mondo dello spettacolo senza sentirsi mai fuori posto. D’altronde, spirito d’adattamento e voglia di migliorare fanno parte del suo dna, visto che per 5 anni è stata fuciliere alpino in Provincia di Udine, vestendo la tuta mimetica del militare e scoprendo il rigore e l’ordine che caratterizza la vita in caserma. “Un’esperienza formativa, di straordinaria crescita personale” che si è conclusa ed ha lasciato spazio ad una quotidianità che abbraccia mondo del lavoro, femminilità ed un pizzico di sensualità. Quasi per gioco si è buttata nel campo della fotografia, nel giro di poco tempo ha collezionato set in giro per l’Italia, un ruolo di comparsa in “1992” con Stefano Accorsi e altri progetti per il nuovo anno stanno per andare in porto. Di recente è persino uscito un libro nel quale il personaggio si ispira a lei, al suo carattere duro e tosto. Senza dimenticare lo studio: più volte a settimana, il suo appuntamento fisso è al Teatro Parioli per migliorare le sue capacità recitative. 64 www.newentry.eu

Partiamo dalla fotografia… Perché in realtà è partito tutto da qui! Un amico mi ha suggerito di buttarmi e io per gioco ho accettato. Dopo aver pubblicato i primi scatti, è successo il finimondo: contatti e proposte da ogni parte d’Italia. Set fotografici, progetti innovativi, set mai scontati. Un’autentica meraviglia… Collaborazioni che hanno lasciato il segno. Ogni fotografo è riuscito a raccontare una parte di me. Adoro il glamour, lo street, mi piace mettere il mio corpo e la mia espressività al centro delle idee di professionisti e amatori. Adoro sperimentare, un po’ come accaduto in un set nel quale mi sono vestita da… gangster! Confesso che, in generale, riguardarmi mi fa strano: in quelle foto vedo un’altra persona, spicca la sensualità e la femminilità di Lia. Dove ti piacerebbe arrivare? Mi piacerebbe essere la protagonista di pubblicità, qualcosa si sta muovendo… ma per sca-


L’INTERVISTA

ramanzia non dice nulla! Eppure, nella mia testa, c’è una fotografia che vorrei realizzare: sullo stile dell’impareggiabile Marylin Monroe, ambientata a New York, dove emerga tutto quello charme che la caratterizzava. Ecco, ho un altro sogno: posare per qualche fotografo estero. Ma tanti traguardi li stai raggiungendo. Quello più recente riguarda il libro “Quarantena Roma”, scritto da Dario Giardi, nel quale la protagonista richiama la mia persona. Ho anche realizzato un video di presentazione della trama thriller-horror, tutto questo per me è motivo d’orgoglio e di soddisfazione. Il 2019 poi nasce sotto i migliori auspici. Mi stanno capitando occasioni indimenticabili: già nei prossimi giorni, sarò la protagonista di un videoclip musicale in cui spiccano vari strumenti musicali. In agenda poi ci sono anche appuntamenti con registi… Sto studiando recitazione al Teatro Parioli e mi

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L’INTERVISTA

piacerebbe mettere in pratica le nozioni acquisite. In tv ho lavorato come comparsa nella serie “1992” di Stefano Accorsi. Essere al centro dell’attenzione non mi ha mai dato fastidio, non vedo l’ora di essere sul set. Eppure, nel quotidiano, Lia Lippiello è una persona riservata. Proprio così: adoro la tranquillità e la semplicità… tranne che nel modo di vestire. In quel caso, mi lascio guardare. Anche grazie ai tuoi outfit, i social decollano… Con i social ci lavoro, ormai è diventato uno strumento per interagire. Li ho tutti: Facebook, Instagram, Twitter, sono un fondamentale canale di comunicazione. Mi piace veicolare un’immagine di “femme fatale”, che attira e che è impossibile per gli uomini. Sembro quasi irraggiungibile. Grazie a queste foto il mio personaggio cresce. Non nascondo la mia particolarità, voglio uscire dalla massa, spiccare, come realmente accade. Caratterialmente, che ragazza sei? Sono dolce, aggressiva, cattiva. Dipende dalle situazioni e da chi ho davanti. Ho una certezza: nessuno mi riesce a tenere testa. E sono determinata. Per cui ho le idee chiare sul mio futuro: voglio diventare una brava attrice, reci-

tare in un film di azione senza vedermi assegnata la parte della buona. Io voglio essere la cattiva… CONTATTI SOCIAL Instagram: Paskal81

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Trentino Alto Adige: Val di Tires

Tires

Tires (Tiers in tedesco) è un comune italiano di 982 abitanti che si trova nella val di Tires, nella provincia autonoma di Bolzano in Trentino-Alto Adige. Geografia fisica Una parte del territorio comunale è inserita, dal 2003, all'interno del parco naturale dello Sciliar. Origini del nome Il toponimo è attestato dal 1080 e deriva dal latino o neolatina terra ("terra"). Divenuta poi in tedesco tramite dittongazione. La forma italianizzata "Tires" è stata introdotta da Ettore Tolomei. Storia I primi insediamenti umani risalgono all'antichità, ma la comunità inizia a delinearsi in maniera più riconoscibile durante il medioevo, con l'acquisizione di un ordine politico, sociale ed economico. L'ulteriore sviluppo si avrà poi a cavallo del XIX e XX secolo, con la scoperta delle Dolomiti come meta turistica e il conseguente afflusso di visitatori italiani e stranieri. Monumenti e luoghi d'interesse La chiesa di San Cipriano è un edificio tardo-romanico decorato all'esterno, su una delle pareti,

da dipinti del Seicento. La chiesa di San Giorgio, sede di parrocchia, si trova nel cimitero. L'attuale edificio è frutto della ricostruzione del 1711, quando venne mutata in edificio barocco. La primitiva costruzione risaliva invece al Trecento, e custodisce un altare e una Crocifissione in legno. D'inverno non è solo sci che può occupare le vostre giornate, ci sono tanti possibili escursioni, sia con le ciaspole che a piedi, nei dintorni di questo delizioso paesino che coperto di neve sembra quasi un villaggio da fiaba.

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ITINERARI

Trentino Alto Adige: Val Pusteria

Lago di Dobbiaco Il lago di Dobbiaco (Toblacher See in tedesco) è un piccolo lago alpino, di origine franosa, situato in val Pusteria a 1.176 m s.l.m. nel comune di Dobbiaco, a circa 106 km da Bolzano. Il lago si trova a sud dell'omonimo paese. La Rienza è il suo immissario ed emissario. «Così ricco delle migliori qualità di pesce» (Marx Sittich von Wolkenstein in Landesbeschreibung nel 1600) Storia Il lago si è formato nell'antichità, grazie alle numerose frane che spesso si staccano dalle montagne del monte Serla sulle sponde del lago. Questo lago montano, attraversato dalla Rienza, è sottoposto ad un continuo apporto di detriti e anche di sviluppo di piante acquatiche sommerse. Ciò comporta un'elevata tendenza del bacino all'interramento, a cui periodica-

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mente bisogna porre rimedio. Dal 1977 il bacino rientra a far parte di un'area protetta. Tra il 1983 e il 1987 si sono effettuati dei lavori per la risistemazione del lago, in particolare sono state effettuate delle operazioni di asporto del sedimento, principalmente nella zona meridionale del bacino. Per mantenere la cura del lago, tutti gli anni viene effettuato un lavoro di taglio e quindi l'asporto della vegetazione sommersa, che avanza sempre di più, diminuendo la reale superficie del lago. Nel 2009 sono stati effettuati alcuni lavori spostando a ovest la sede della strada statale, costruendo così alcuni parcheggi per auto e bus, facilitando l'accesso pedonale al lago. Nella primavera del 2010 sono nuovamente ricominciati i lavori per il risanamento del fondo del lago. Questi sono lavori periodici, di durata pluriennale, devono essere effettuati se si vuole evitare che la superficie del lago si riduca lentamente, data

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ITINERARI

la sua bassa profondità di 3,5 metri. Quest'ultimo asporto di sedimento è avvenuto mediante un mezzo natante (una draga) attrezzato denominato PIT HOG, Liquid Waste Technology e proveniente dal Wisconsin USA che si muove lungo il letto del bacino mediante un filo guida. Il mezzo è provvisto di un braccio idraulico che abbassa una coclea con lame metalliche, che smuove il sedimento che a sua volta viene separato dall'acqua ed aspirato e trasportato altrove. Caratteristiche Il lago si trova esattamente al confine tra due parchi naturali: il parco naturale Tre Cime e il parco naturale Fanes - Sennes e Braies. Il bacino ha un volume stimato in 286.000 metri

cubi e un perimetro di circa 4,5 chilometri. Il lago di Dobbiaco rappresenta uno dei pochi esempi di marcita (una zona umida) esistenti nella regione alpina. È sconsigliato immergersi nelle acque gelide del lago, anche nella stagione estiva, ma è possibile effettuare dei giri in barca o pedalò. Nelle stagioni fredde, quando il lago è completamente ghiacciato, è possibile praticare il curling, o semplicemente passeggiare sul ghiaccio. Nelle prossimità del lago si trova anche un campeggio, oltre che alcuni ristoranti. Nel lago è possibile pescare previo acquisto della licenza in loco. Già nel XVII secolo il topografo Marx Sittich von Wolkenstein ne lodava la pescosità. Tra le specie che si trovano nel lago

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si ricorda il pesce scazzone e alcuni tipi di trota. Attorno al lago è stato costruito un percorso naturalistico nella primavera del 2000. Lungo il tragitto, che percorre l'intero perimetro del lago, sono allestite undici diverse tabelle informative sulla flora, fauna e geomorfologia della zona nei pressi del lago.

ParticolaritĂ Attorno al lago sono presenti 5 bunker italiani, voluti da Mussolini nel 1939, per proteggere le vie d'accesso per l'Italia. Queste opere fanno parte del Vallo Alpino in Alto Adige, precisamente dello sbarramento della Val di Landro nord.

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Trentino Alto Adige: Val Rabbi

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La Val di Rabbi (Val de Rabi in rabiés) è una valle alpina che corrisponde grossomodo al comune trentino di Rabbi, laterale della Val di Sole; è percorsa dal torrente Rabbies ed ha orientamento da nord a sud. La Valle è parallela per orientamento alla Val di Peio e da questa separata dalla catena di monti Cima Rossa-Vegaia-Tremenesca-Camocina. Il versante opposto confina con la Val di Brésimo in Val di Non e con le altoatesine Val Martello e d'Ultimo. Si collega alla Bassa Val di Sole tra Malé e Terzolas. I suoi abitanti sono chiamati Rabbiesi. Ha un'evidente conformazione a V, con ripidi fianchi boscosi e rocciosi, prateria sul fondovalle interessata da varie conoidi alluvionali e canaloni di valanga, testimonianza dell'antico e recente lavoro del tempo. La Val di Rabbi è tra gli ambienti più caratteristici dell'intera Provincia di Trento sia per il paesaggio naturale che per l'intervento antropico profondamente unitario e forse anche per questo motivo è stata inserita nel Parco nazionale dello Stelvio. La derivazione toponomastica si può far risalire ad una base prelatina rova o rava che significa smottamento con il successivo avvento del latino medioevale rabius, riferito al carattere impetuoso del torrente che solca la valle, detto Rabbies. Nelle tante possibili

camminate da fare in un paesaggio innevato e tranquillo non dimenticate la vostra macchina fotografica, perchè sarebbe difficile descrivere la bellezza di certi scorci solo a parole.

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50 anni fa Sylvie George Vartan Sylvie George Vartan (Iskretz, 15 agosto 1944) è una cantante francese di origine armena e bulgara. Biografia Nata in Bulgaria (a Iskretz, sobborgo di Sofia) da Georges Vartanian, bulgaro di origine armena, e da Ilona Mayer (19142007), figlia di Rudolf Mayer, un architetto ungherese; dopo l'occupazione sovietica la loro casa venne nazionalizzata e la famiglia si trasferì prima a Sofia, per poi decidere di emigrare a Parigi nel 1952, dove Sylvie dovette imparare il francese e, grazie all'influenza del fratello Eddie, produttore musicale, si appassionò alla musica. Carriera Nel 1961 Eddie le offrì di cantare la can-

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24 Dicembre 1968

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Zum zum zum - Sylvie Vartan Applausi - Camaleonti 03 Tu che m'hai preso il cuor - Gianni Morandi 04 Rain and tears - Aphrodite's Child 05 Sentimento - Patty Pravo 06 Insieme a te non ci sto più - Caterina Caselli 07 Una chitarra cento illusioni - Mino Reitano 08 Il giocattolo - Gianni Morandi 09 Un angelo blu - Equipe 84 10 Vorrei che fosse amore - Mina 01

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zone Panne d'essence con il rocker Frankie Jordan, che la portò anche a un'apparizione televisiva in cui un giornalista la soprannominò "la liceale del twist" o, come fu poi tradotto per il lancio inglese, the twisting schoolgirl. Incominciò a incidere dischi per la Decca Records dal 1961, andando anche in tournée insieme con Gilbert Bécaud, partecipò a film, posò per riviste, aprì il concerto dei Beatles a Parigi e andò in tour insieme con il marito, la rockstar Johnny Hallyday.

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Nel 1962 con il singolo Le Loco-Motion (The Loco-Motion) arriva prima in classifica in Francia. Nel 1963 con il singolo Watching You arriva prima in Francia e con Si Je Chante per due settimane ritornando prima anche nel 1964 per cinque settimane. Nel 1964 La Plus Belle Pour Aller Danser arriva prima per undici settimane. Regina dello yéyé, negli anni '60 sbarcò in Italia con una cover di Zum zum zum di Mina, traducendo in italiano i propri successi con hit quali Come un ragazzo, Irresistibilmente, Una cicala canta e partecipando a show televisivi come Doppia coppia (di cui cantò la sigla Buonasera, buonasera e il tema originale Blam blam blam) Canzonissima, Punto e basta, con Gino Bramieri, fino a uno show a lei dedicato: Incontro con Sylvie Vartan. Al culmine del successo, la sua attività artistica subì una lunga interruzione per i postumi del grave incidente occorsole l'11 aprile 1968, quando, a bordo della sua Ford 20 M TS OSI Coupé, viaggiava con l'amica d'infanzia Mercedes Calmel verso Parigi e furono investite frontalmente. Il sinistro causò la morte dell'amica e gravi ferite alla Vartan che dovette subire un intervento di chirurgia plastica facciale. Tornata sulle scene nel 1969, proseguì la sua carriera musicale, gradatamente orientandosi verso brani più vicini alla disco music. Nel 1973 J'ai un problème insieme con Johnny Hallyday arrivò in cima alle classifiche di vendita e fu prima per sette settimane. Nel 2008 è stata ospite di Raffaella Carrà nello show Carramba che fortuna. Sabato 27 marzo 2010 è stata ospite dello show di Rai 1 Ti lascio una canzone, condotto da Antonella Clerici, can-

tando alcuni dei suoi successi, così come, sempre su Rai 1, il 17 settembre 2010 a I migliori anni di Carlo Conti. Reginetta dello "yéyé" È stata la regina dello yéyé e la prima rock girl francese, prima cantante nella storia francese a cantare e ballare contemporaneamente. Il turbolento matrimonio con Hallyday durò dal 1965 al 1980 e dalla relazione nacque il figlio David Hallyday, anche lui cantante. Nel 1982, nel concerto tenuto a Las Vegas (album In Las Vegas, incluso nel box Integrale Live) ha eseguito una cover del brano del 1974 di Donna Weiss e Jackie DeShannon Bette Davis Eyes, portato al successo internazionale nel 1981 da Kim Carnes. È stata molto attiva nella battaglia per la liberazione dei medici bulgari imprigionati in Libia e alla loro liberazione è andata a far loro visita, insieme con il presidente della repubblica Nicolas Sarkozy. Nel 2018 Gino Santercole ha Augura Buone feste intitolato un brano del suo TERRAZZA ESTIVA nuovo disco SIAMO APERTI Non sono Celentano "Amo DALLE 05.30 Sylvie Vartan".

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1783 Terremoto della Calabria meridionale

Con terremoto della Calabria meridionale del 1783 (anche denominato terremoto di Reggio e Messina del 1783) si designa un intenso sciame sismico che colpì l’area dello stretto di Messina e la Calabria meridionale, culminando con 5 forti scosse, superiori a Mw 5,9, tra il 5 febbraio e il 28 marzo 1783. Fu la più grande catastrofe che colpì l’Italia meridionale nel XVIII secolo. Oltre a causare danni immensi – radendo al suolo le città di Reggio e Messina e provocando maremoti – il terremoto ebbe effetti duraturi sia a livello politico (l’istituzione della cassa sacra e il primo

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regolamento antisismico d’Europa), sia a livello economico e sociale. Secondo Giovanni Vivenzio la prima scossa avvenne il 5 febbraio “all’ore diciannove, ed un quarto d’Italia, che corrispondevano in detto giorno a tre quarti d’ora circa dopo il mezzodì dell’Oriuolo Francese... La notte di detto giorno venendo il sei all’ore sette, e mezza d’Italia replicò altra forte scossa...”. Nicola Leoni racconta: «udissi improvvisamente nelle più profonde viscere della terra un orrendo fragore; un momento dopo la terra stessa orribilmente si scosse e tremò»

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La prima scossa durò 2 minuti, secondo Dolomieu ebbe come epicentro una zona a sud di Polistena. L’INGV ha stimato la magnitudo di questo primo, forte evento sismico, in 7.1 (uno dei terremoti più forti della storia sismologica italiana). All’evento principale si attribuisce un’intensità pari all’undicesimo grado della scala Mercalli. Alla scossa del 5 febbraio ne seguì una il 6 febbraio con epicentro a nord di Messina, stavolta con magnitudo 5.9. Fra il 5 ed il 7 febbraio furono contate ben 949 scosse alle quali seguì alle ore 20 del 7 febbraio una nuova scossa, di magnitudo 6.7 con epicentro nell’attuale comune di Soriano Calabro. Nel mese successivo, si susseguirono scosse di intensità sempre decrescente, ma le più forti furono quelle del 1º marzo 1783, di magnitudo 5.9 con epicentro nel territorio di Polia, e quella ancora più forte del 28 marzo, di magnitudo 7.0 con epicentro fra i comuni di Borgia e Girifalco. Il numero dei morti è stimato intorno alle 50.000 persone e i danni furono incalcolabili. Le scosse si succedettero spostando l’epicentro dal sud della Calabria risalendo lungo l’appennino verso il nord della regione. Questa devastante sequenza sismica causò danni elevatissimi in una vasta area comprendente tutta la Calabria centro-meridionale dall’istmo di Catanzaro allo Stretto, e, in Sicilia, Messina e il suo circondario. Il quadro cumulativo dei danni è di gravità straordinaria: agli effetti distruttivi sugli edifici si accompagnarono estesi sconvolgimenti dei suoli e del sistema idrogeologico. Oltre 180 centri

abitati risultarono distrutti totalmente o quasi totalmente; gravi distruzioni interessarono anche centri urbani importanti per la vita politico-economica e militare del Regno di Napoli e di Sicilia, quali Messina, Reggio, Monteleone e Catanzaro. Secondo le stime ufficiali, nella Calabria meridionale le vittime furono circa 30.000 su una popolazione di quasi 440.000 abitanti (6,8%). Nel Messinese i morti furono circa 630. La successione delle 5 scosse più violente mostra uno spostamento degli epicentri lungo la catena dell’Appennino Calabro dalla regione dell’Aspromonte all’istmo di Catanzaro con ampie aree di sovrapposizione degli effetti distruttivi. Questo elemento ha reso molto complesso, e a volte impossibile, distinguere gli effetti di danno relativi ai singoli eventi sismici. Va inoltre tenuta presente l’alta vulnerabilità di un patrimonio edilizio, non solo di scarsa qualità costruttiva, ma anche fiaccato dalle frequenti scosse. Si può dedurre che la gravità del fenomeno, non sta nell’elevato grado delle scosse, quanto nella

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rapidità con cui si sono succedute, che non permise agli abitanti di provvedere alla riparazione dei danni, perché gli edifici che rimanevano in piedi ad una prima scossa, spesso crollavano con la seconda. Nel maggio dello stesso anno venne quindi emanata dal regno borbonico una normativa con la quale si imponeva l’inserimento di un’intelaiatura in legno all’interno della muratura. Conseguenze Per intervenire celermente fu nominato il 15 febbraio Vicario generale delle Calabrie, con 100.000 ducati per le necessità immediate, «con autorità e facoltà ut alter ego sopra tutti li présidi, tribunali, baroni, corti regie e baronali e qualsísiano altri uffiziali politici di qualunque ramo qualità e carattere, come altresì sopra tutta la truppa tanto regolare quanto di milizie» il conte Francesco Pignatelli che stabilì il proprio quartier generale a Monteleone e risiedette nella regione colpita fino al 10 settembre 1787. L'intero aspetto del territorio fu sconvolto nei tracciati e i sistemi di viabilità, nella topografia dei siti, nelle strutture orografiche e nella sua struttura idraulica tanto che in molte località si inaridirono antiche fonti, ne sorsero di nuove, alcuni fiumi abbandonarono l'antico letto, si produssero crepacci e talvolta succedeva che l'acqua scaturisse da certe conche circolari, che si formavano sul terreno. Il disordine idraulico causato dagli sconvolgimenti geologici e le condizioni igieniche del periodo, favorirono una persistente epidemia di malaria.

L'istituzione della Cassa sacra ebbe un effetto contrario a quello desiderato dal governo borbonico, aumentando le proprietà fondiarie dei nobili in grado di accaparrarsi le terre ecclesiastiche all'incanto. A seguito del terremoto fu istituito, grazie ai Borbone, il primo regolamento antisismico d'Europa, con l'istituzione di un sistema costruttivo di notevole efficacia, tanto che nel 2013 il CNR di San Michele all'Adige e l'Università della Calabria (gruppo di ricerca Ceccotti, Polastri, Ruggieri, Zinno) hanno effettuato una campagna sperimentale al fine di comprenderne la vulnerabilità ad azioni di tipo ciclico simulanti il terremoto. Dal punto di vista culturale, moltissimi studiosi e letterati stranieri si interessarono all'evento, fatto che in un certo senso aprì la Calabria al mondo: dal francese Déodat de Dolomieu all'inglese Norman Douglas, fino al grande Johann Wolfgang Goethe che, passando per Messina di ritorno da Palermo.

New Entry il Giornale della Gente Quindicinale d’informazione sociale e culturale a distribuzione gratuita Decreto del Presidente del Tribunale di Bergamo n°21 del 09/03/2000 Editore e Direttore Responsabile: Gianluca Boffetti Direttore Onorario: Michele Cortinovis Redazione: Stefano G. - Giorgio M. - Katia M.

Anno 23 - N°18 del 20/12/2018

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“Dolore si veste” Occhi di cielo rispecchiano incrinature conquiste ideali speranze. Si fortifica il senso d'appartenenza che lega corpi distratti. Acuto dolore si veste di letizia assorbe fitte nostalgie. Milena la mamma di Vittoria e Celeste

“A sera” E quando torna sera, entro alle case tra lumi fiochi e baglior di stelle briciole dell'ore intinte nei tramonti purpurei s'avviano stanche dietro i monti gocce di ricordi immersi tra i silenzi della sera avvolgendo l'aria tramutano nuvole rade Pensieri, smorzati dal fruscìo delle foglie s'accasciano al suolo stanchi e nel riflesso della luna riappaion immagini che incrocio tra le dita e il vento Scorrono, vive dentro l'orizzonte offuscato da una lacrima danzando al ritmo stonato della vita risalendo al cuore come fiammelle ravvivano il sangue entro le vene Nuove, le stelle saranno in ciel per te questa notte ad ogni mio respiro intoneranno un canto lieve colorando di speranze i sogni ed ogni mio cammin verso i tuoi occhi.. Rosa L. di Gottolengo

Gocce di Memoria 60’ 70’ 80’

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Noi che si accontentavamo di cose semplici ma che ci davano tanto divertimento.... Noi che se la notte ti svegliavi e accendevi la tv vedevi il segnale di interruzione delle trasmissioni con quel rumore fastidioso. Noi che quando starnutivi, nessuno chiamava l’ambulanza. Noi che tiravamo le manine appiccicose delle patatine sui capelli delle femmine e sui muri.

Noi che si accontentavamo di cose semplici ma che ci davano tanto divertimento.... Noi che finivamo in fretta i compiti per andare a giocare a pallone sotto casa. Noi che guardavamo ‘La Casa Nella Prateria’,’Candy Candy’ e ‘Giorgie’ anche se mettevano tristezza. Noi che avevamo sempre un soprannome passibilmente infamante ma nessuno si offendeva.

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