I Confini di Trisa

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Š 2012 by Cristiano Ciardi Deposito legale n. 1582/12/acc del 07/03/2012 ai sensi della legge 15 aprile 2004, n.1 (vedi art. 10 - DPR 252/2006) - presso l’ufficio Deposito Legale della Biblioteca Nazionale di Firenze Pubblicato con Create Space e distribuito su Amazon ISBN-13: 9781502384843 ISBN-10: 1502384841 Versione Kindle su amazon.it

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A Ilaria e alle mie adorate figlie Anna e Margherita



RACCONTI DEL REGNO

I CONFINI DI TRISA VOL. PRIMO

CRISTIANO CIARDI




Parti colaredellaMappadelSud


Prologo Un tempo ormai lontano la natura governava il mondo con severità, noncurante del singolo germoglio, eppure creatrice di ogni bellezza. Le foreste coprivano le terre come fitta coltre di bestia, addolcendo le asperità di roccia, ammansendo la furia del vento. Animali vagavano nelle radure e giovani virgulti erano i ruscelli di monte, impetuosi scultori delle terre di valle. Il calore del sole e il peso delle altitudini segnavano i confini tra la vita e la morte, plasmando ogni essere vivente in una continua lotta tra la sopravvivenza nella paura e l’esistenza nella gioia. In questo mondo ostile, timidi erano i passi degli uomini e dei loro figli, fragili creature in balia di belve assetate di sangue; costretti a vigilare deboli confini e a nascondersi tra le fredde ombre di muri petrosi, gli uomini, assediati, vivevano impauriti di fronte all’incanto del mondo. Abitarono le terre protette dal mare, sicure eppure non bastevoli per sostenerli. Costretti dal bisogno, colonizzarono le coste della vicina Terra di Prama, trovandosi loro malgrado ad elemosinare un’esistenza incerta. Tutto sembrava destinato a soccombere alla paura e, nel duro resistere, gli animi umani si incupirono. Secoli passarono con vento avverso, fino a quando, improvvisamente, il terrore vacillò. Una fratellanza sorse a dare nuova speranza al mondo. Fiere creature dagli occhi felini strinsero con l’uomo un patto di alleanza, un’unione per affrancarsi e rafforzarsi.


Nacque il Regno delle Madri, un mondo nuovo a difesa di tutti i popoli della Terra di Prama. Volgendo le spalle al mare d’occidente, riuscì ad estendere il proprio dominio verso le terre selvagge fino a lambire irte montagne e ampi fiumi. Fonti di primeva saggezza, le donne del Regno erano protette e onorate perché considerate di insostituibile valore; libere di seguire qualsiasi aspirazione e di scegliere l'uomo con cui procreare la discendenza. Per le leggi del Regno i Figli erano istruiti e addestrati senza distinzione di etnia, stirpe o sesso. Educati al credo di ‘Colei che non ha nome’, affinché rispettassero l’ordine naturale delle cose e agissero con senso della misura, cardine della convivenza. Imparavano così a distinguere il valore di ogni individuo e ad onorare coloro che, tra tutti, si dimostravano pronti a consacrare la propria vita al servizio degli altri. Costoro, uomini di rara nascita, divenivano i Prescelti, votati a proteggere il Regno, destinati a procreare per trasmettere il loro vigore e salvaguardare la sopravvivenza dell’umano nel mondo. Dopo più di tre secoli, l’alleanza con le fiere creature si infranse e le fondamenta del Regno tremarono sotto il peso della sua stessa superbia. Fu allora che le azioni di pochi divennero l'unica speranza, forse l'ultimo coraggioso atto di umiltà del genere umano.

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Antefatto I Colli Ondulati La notte era passata senza il conforto di un chiarore di luna. L’umidità delle ore notturne si era mutata in brina, sui rami spogli degli alberi, sugli steli dell’erba alta di quel luogo desolato e sulla legna distante dalla fiamma del braciere. Intorno, silenzio e freddo. Al riparo di un boschetto di arbusti, un gruppo di uomini dormiva sotto mantelli imbiancati, immobili come cadaveri senza sepoltura. Uno solo era di guardia. Seduto su un tronco, la testa bassa coperta da un cappuccio cadente, guardava davanti a sé, perso nel sogno che precede il risveglio. Tra le mani, una tazza d’infuso bollente gli scaldava le dita e i sensi, ancora infreddoliti dalla notte passata rannicchiato accanto al fuoco, vigile e ansioso tra un sonno e l’altro. L’aroma fumante fluttuava nell’aria penetrando nel naso, affrettando il risveglio. Il profumo era denso, carico di sapore e…di ricordi. I suoi desti pensieri lo condussero lontano…quel profumo era odore di casa: pareti di roccia che proteggono il sonno, un

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letto caldo, i fianchi rotondi della propria donna, gli occhi lucenti dei suoi figli. L’uomo socchiuse gli occhi come per far barriera alla malinconia, ma non bastò. Stordito dalla solitudine, sentì affiorare un'insolita inquietudine: lo sgomento di non rivedere il tiepido sole del mattino seguente, la paura di non essere servito a niente, il profondo senso di impotenza di fronte all'ignoto. ‘Siamo troppo lontani da casa, sono giorni che vaghiamo per queste terre desolate, ho perso troppi uomini…’ drizzò la schiena per cercare di scuotersi, si tolse il cappuccio, attizzò la brace, ma davanti a sé era come se non vedesse niente. L’ombra del timore riusciva ad oscurare ogni altro pensiero. ‘…sono stanco…voglio rivedere i miei figli, cosa staranno facendo? Non sono con loro, ancora una volta, sono lontano, lontano dai loro sorrisi, confinato nei loro ricordi… Saranno al sicuro? Altrimenti tutto è inutile.…inutile! Santri, come fanno a sfuggirci! Bestie schifose! Maledetto il giorno in cui li tenemmo al nostro fianco, bastardi! Ci stanno portando sui monti per darci la caccia e ucciderci uno ad uno…non so cosa fare, ho portato i miei uomini alla morte’. Con gli occhi serrati cercava di sfuggire alla ragnatela di pensieri che gli intorpidiva la mente e gli fiaccava l’animo, ma quel mattino nulla cambiò. Quando la morte sta accanto ad un uomo gli concede del tempo e i pensieri sgorgano dalle crepe dell’animo per poi trovare, infine, la luce; a volte è un attimo impercettibile, altre

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volte qualche minuto. Questi erano i minuti di Zaro, Capitano della Compagnia del Sud. ‘…perché ho fallito….figli miei dove siete…..figli miei….’. Il pensiero di non fare ritorno aveva ormai tracciato un solco profondo nel suo animo, colmo di un'ansia a lui ignota. Quando gli occhi si riaprirono luccicavano del bagliore che ha il sole sull’acqua e, alzando il viso, tra i riflessi di lacrime che non scorrono, a stento, riconobbe la morte. Batté le palpebre e lo vide, lassù, sul margine del colle, un Santro seduto sulle zampe posteriori, lo guardava. La bestia non si muoveva, eppure Zaro sapeva che la ricerca era finita, erano circondati. Quello era il capo branco; guardava da lontano prima di attaccare. Colpì il piede di chi aveva accanto: «Ebram… Ebram…..non ti alzare, sveglia gli altri, ma non farli alzare». Gli uomini si destarono, uno dopo l’altro scossi da un colpo del vicino e rimasero accovacciati. Guardavano Zaro che fissava la linea dei colli stringendo i denti rabbioso. Parlò piano, ma con parole scandite e sicure: «Il capo branco è sulla cresta della collina, ha deciso di attaccare, ci hanno seguiti nella notte e ora aspettano che ci muoviamo». I soldati rimasero per lo più impassibili, con gli occhi fissi sul loro Capitano. Avevano davanti l’unico uomo

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che fosse riuscito, per dieci anni, a difendere i territori del Sud; sapevano che nessun altro avrebbe potuto guidarli in modo migliore. «Non so quanti siano, anche se i loro movimenti mi fanno temere il peggio. Se non sono molti, qualcuno di noi tornerà a casa, in caso contrario, vendete cara la pelle! So che siete i migliori compagni che potessi sperare di comandare. Sono fiero di voi!». Guardò i suoi uomini, famelici, pronti al combattimento e alla morte, come era stato loro insegnato. Tutti Guardiani del Regno, uomini addestrati a proteggere e a ricevere l’annuncio della morte rimanendo con la mano salda sulla lancia. «Quando mi alzo corretemi dietro, ci spostiamo in campo aperto; disponetevi ad anello, fianco a fianco, non devono arrivarci alle spalle». Posò sul fuoco la tazza ancora calda, calzò l’elmo di bronzo argentato della sua casata, poi spostò il mantello di lato e trasse da sotto la lancia. Con un balzo saltò il fuoco e corse gridando verso il colle, verso il capo branco. I guerrieri riuscirono a stento a stargli dietro, tanta era la foga della sua corsa. La bestia indietreggiò e scomparve alla vista. La fine dei loro giorni gli si parò davanti appena oltrepassarono la cresta del colle: un intero branco li attendeva! I soldati, incuranti dello sgomento che li invase inesorabile, si disposero ad anello. Il branco si divise

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per accerchiarli poi, veloci come lo sono i felini, i Santri si avventarono loro contro. Erano almeno tre volte il loro numero, eppure la lotta pareva in equilibrio: le bestie dovevano attaccare in due per abbattere uno di loro. I soldati, sbattuti a terra, riuscivano a combattere anche mentre venivano azzannati, fino a quando fauci aguzze non riuscivano a penetrare le maglie dell’armatura, a stringere la gola fino a spezzarla. La lotta così si trasformò in un massacro, perché nell’anello si aprirono falle e le bestie riuscirono ad assalire gli uomini alle spalle. Caddero uno dopo l’altro. Zaro non riuscì a vedere se la battaglia volgesse a loro favore; quattro bestie gli si avventarono contro. Mentre tentava di respingerle il capo branco lo azzannò alla gamba, lo fece cadere e lo trascinò fuori dalla mischia; altre due bestie gli serrarono le braccia tra le zanne. Rimase così, agonizzante, immobilizzato dalle fauci delle bestie che tiravano, incapace di pensare, incredulo di essere così lestamente giunto alla fine. Lasciata la presa il capo branco si avvicinò al suo viso straziato, tanto che Zaro poté fissare i suoi occhi. Scuri, tristi, lo guardavano mentre annusava e Zaro, in un attimo di lucidità, si meravigliò nell’udire un tremolio sommesso dalla gola della bestia, un gemito che lui riconosceva: era un segno del passato, il segno del legame tra quegli animali e l’uomo, ai tempi in cui

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Santri e uomini camminavano insieme. In quel momento di esitazione, Ebram, riuscito a liberarsi dalla morsa di due Santri, si avventò sul capo branco. Rotolarono per qualche metro avvinghiati l’uno all’altro. Ebram riuscì a divincolarsi e con la spada corta cercò di sorprendere il Santro con un colpo al petto. L’animale schivò il fendente e, sebbene la lama gli avesse procurato una profonda ferita alla spalla, con un salto possente si avvinghiò alla gola del ragazzo, uccidendolo all’istante. Fu in quel momento che tornò a voltarsi verso Zaro, con occhi di nero abisso e fauci ancora grondanti di sangue. Alzando la testa al cielo emise un ruggito angoscioso, un'eco uscita da una voragine di rancore senza fondo, poi si voltò e si allontanò. Le poche bestie rimaste in vita si avventarono all’istante sul corpo del Capitano, l’unico di cui si nutrirono. Il mattino tornò immobile, senza un filo di vento, senza un cinguettio di uccello o il gorgoglio di un torrente, silenzioso come neve che scende. Il campo era disseminato di Santri trafitti e, tra i loro corpi, gli uomini senza vita, nell’erba alta. Nessuno tornò a casa. Era l’anno 910 e nel Regno risuonò la notizia della morte di Zaro, la Sentinella del Sud e della sua Compagnia.

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La notizia si diffuse da Mafres, sua città natale, fino a Liunna, sulla costa. I messaggeri salparono per la rotta lunga che porta ad Amusel, annunciando al popolo la morte del Capitano. Poi percorsero la strada maestra che porta ad Ascal, la capitale del Regno. Il Consiglio fu informato e lo sgomento pervase tutti i suoi membri. Uno dei più valorosi condottieri del Regno era stato sconfitto, il Sud era senza protezione. Doveva essere dato l’ordine di rinforzare le difese lungo il fiume Enfo e cercare di non lasciare isolata la città di Zefra, sulla costa. Ogni angolo del Regno seppe dell’annientamento della Compagnia del Sud, la notizia arrivò finanche a Mosef, sulla costa nord occidentale, una regione lontana, dedita alla pastorizia. Il dispaccio giunse inatteso.

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Capitolo Primo I Pascoli di Fela Una casa stretta, di pietra grigia, non più alta degli alberi di nocciolo cresciuti a lato. Il tetto di tegole erbose ed un camino massiccio da cui esce un fumo bianco che si perde nell’aria fredda del tardo pomeriggio. Accanto alla casa, le stalle, l’ovile, l’orto, protetti da un muro di recinzione, solida barriera decorata di muschio. Un solo accesso serrato da un pesante cancello di ferro, oltre, un pascolo degradante a sud, verso il torrente. Querce imponenti fanno ombra ai muretti divisori dei pascoli dove brucano capre straripanti di bianco manto. Lungo l'argine del torrente, il campo coltivato a grano da cui si strappa l’unico esile raccolto. Alle spalle della casa un fitto bosco di querce, frassini e castagni, ai piedi di monti antichi, cime levigate sottratte alle selve dallo sferzare del vento. Più in alto, lontane e azzurrine, le alte vette dei monti Effri, la catena che serra la regione da nord. Questo conosceva Efero. Questo aveva scolpito negli occhi e nella mente, senza bisogno di voltarsi. Camminava lungo il sentiero tracciato tra ciuffi d’erba

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INDICE Prologo Antefatto I Colli Ondulati Capitolo Primo I pascoli di Fela La leggenda di Fhel Il popolo delle alture Planos Capitolo Secondo Zefra Il Prescelto L’avamposto Capitolo Terzo Trisa Shaita Decisioni Capitolo Quarto I confini di Trisa Asfan Capitolo Quinto Il Governatore del Sud Muirin


Sui Monti Zirri Capitolo Sesto Dispaccio Liunna La Cusma di Tunara Il Consiglio Un figlio del cielo Capitolo Settimo Festeggiamenti Ceneri Soffio Confini Capitolo Ottavo I Colli Gerei


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