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Indigeno Cucina Terrestre

Salcheto deriva il suo nome dal ‘salco’, che in antico toscano è il salice, albero storicamente importante nei territori vitivinicoli perché coi suoi rami (il “vinco”) si legavano le viti. Il progetto di Salcheto nasce nel 1984 come classica fattoria multi-

colturale fino a divenire oggi, dopo quasi 40 anni di storia vitivinicola, un caposaldo della qualità enoica italiana.Indigeno Cucina Terrestre alessia bruchi NUOVO FORMAT RISTORATIVO SOSTENBILE DI SALCHETO WINERY

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Nel 1997 approda a Montepulciano Michele Manelli, attuale winemaker, che impronta l’azienda sul Sangiovese, sulla sostenibilità e su vini d’alta qualità. Infatti Salcheto nel corso degli anni si evolve dalla classica azienda agricola locale alla cantina innovativa che è oggi, producendo vini neonaturali: “Significa aver saputo sfruttare la capacità tecnica di fare vini moderni – spiega Manelli – e portare il tutto nella direzione di produrre vini senza alcuna aggiunta, nemmeno di solfiti o lieviti selezionati”. Ma Salcheto è soprattutto sostenibilità: ambientale, sociale ed economica. Un’azienda “responsabile”, tanto la cantina riesce a creare l’energia di cui ha bisogno per funzionare ed è totalmente autonoma. Infatti, oltre a essere la prima cantina off-gridable in Europa, Salcheto nel 2010 è stata anche la prima ad aver certificato l’impronta di carbonio di una bottiglia di vino, secondo lo standard ISO 14064. Così oggi è tra le cantine più green che ci siano con oltre 3,5 milioni di Kg di CO2 evitati in 10 anni (l’equivalente di circa 5.000 alberi messi a dimora), oltre 1 milione e 100mila Kwh d’energia risparmiati e una coltivazione che segue il metodo biologico certificato Ue. E sempre nel segno della sostenibilità nasce “Indigeno – Cucina Terrestre”, ristorante in cantina che vuol essere un viaggio sostenibile nel cuore della Val di Chiana, dove tutto ciò che si mangia e si beve cerca di far del bene all’ambiente. Si tratta di un nuovo format ristorativo, dal nome che è tutto un programma: territorio (in senso ampio, terrestre), sostenibilità, condivisione, divertimento e creatività sono le parole chiave del progetto. Ma “Indigeno – Cucina Terrestre” non è un semplice ristorante, ma un vero e proprio laboratorio aperto, dove anche il cliente diventa parte del team, contribuendo al perfezionamento del suo progetto gastronomico. Un concetto dal grande spirito territoriale, ma che incontra il rispetto e l’atten-

Michele Manelli zione per l’intera comunità globale, dove la terra rappresenta la fonte del mangiare e del bere, ma anche la casa di tutti i cittadini del mondo, da coltivare e preservare. Un progetto ambizioso, dove l’ospite è chiamato a dire la sua, partecipando alla creazione dell’esperienza, assieme a un team all’esordio in sala e cucina e che il suo blasone se lo vuol costruire proprio così, orecchie ritte e cuore in mano. “Hai mai pensato a un ristorante dove la tua critica non è una scocciatura e anzi la potresti ritrovare infilata in un piatto la volta dopo? Ora c’è ed è tutto un laboratorio di persone e valori con l’ospite più che mai protagonista. Un’esperienza totale fuori dal comune, dove l’ospite diventa coautore. Così fin da subito desideriamo stare in ascolto e comprendere quello che avete da dirci, infatti abbiamo pensato che la condivisione debba essere centrale soprattutto dopo un periodo nel quale abbiamo condiviso così poco, ma nel quale sognavamo una vera e propria occasione per rinascere in maniera diversa per davvero. L’idea è semplice: ci abbiamo messo dentro tutti gli ingredienti legati a territorialità, filiere corte e lotta allo spreco, ma anche i più sofisticati strumenti di contrasto al degrado ambientale del pianeta e alla crescita sociale delle sue comunità e d’ora in avanti vogliamo metterci all’ascolto, non solo di colleghi e accademici, ma proprio di tutti. E se verrete a mangiare qui e condividerete direttamente con noi le vostre opinioni (quello che vi piace e quello che non vi piace, ma anche quello che fareste voi al posto nostro), riceverete sempre un regalo firmato Salcheto e sarete i nostri ospiti privilegiati a vita. Noi, dal canto nostro, ci impegniamo a non smettere mai di crescere, innovare e condividere, facendo tesoro dei vostri consigli per non deludervi quando tornerete. Parola d’Indigeno”, spiega Michele Manelli, fondatore e anima di Salcheto. La voglia di crescere nell’offerta gastronomica, che fino a oggi a Salcheto veniva fatta in punta di piedi e associata alle visite in cantina, era davvero tanta. Ora l’azienda vitivinicola vuol dire la sua, partendo dalla base, rimettendo al centro le cose primordiali, come il pane. Da “Indigeno” infatti tutto gira intorno al pane, all’idea di panificazione ‘confortante’, che trasmette calore, il profumo della tradizione, di casa, attraverso l’utilizzo di grani antichi coltivati dagli amici e partners del Poggione, più salubri, per un prodotto finito gustoso e altamente digeribile. La lievitazione e la fermentazione sono centrali per questo nuovo format ristorativo perché non solo sono concetti legati al cibo, ma fanno riflettere sul cambiamento, sul tempo, sull’attesa e sulla sorpresa, tutte parole molto importanti per “Indigeno”. D’altronde non poteva

essere altrimenti per chi da sempre vive nella fermentazione e nell’attesa, dall’uva al vino. Il pasto non è il classico, quello scandito da primo, secondo, contorno, ma il percorso diventa creativo e divertente. E la sostenibilità è centrale anche per la costruzione del menu, che si basa principalmente su 5 focus: l’orto e il foraging, infatti l’azienda raccoglie giornalmente erbe e piante spontanee e approvvigiona la cucina coi suoi 2 grandi orti; la carne da cacciagione e da allevamento da cortile, come l’oca e il cinghiale, animali per i quali non è previsto un dispendio energetico impattante per l’allevamento e che vivono ‘pulendo’ le vigne e la campagna circostante; il lago, col suo pesce (come la Carpa Regina), proveniente da pesca non invasiva, grazie al lavoro di cooperative della zona, le sue erbe e i suoi legumi, come la fagiolina del Trasimeno d’etrusca memoria; il fritto, inteso anche come ‘riciclatore di scarti’, nel senso nobile del termine (bucce di carote e patate o resti di tagli di carne e pesce); i salumi e i formaggi, tutti selezionati con cura per il gusto e per i valori e provenienti da filiere controllate (come i salumi di cinta e il pecorino di Pienza); la continua misura oggettiva dei propri impatti ambientali e sulla società con cui interagisce e in piena condivisione dei risultati ottenuti. In cucina la consulenza è di Paolo Parisi, nome importante per la gastronomia italiana contemporanea. Paolo ormai è ‘uno di Salcheto’, visto che l’azienda collabora con lui da tanti anni. È perfettamente in linea coi principi di Salcheto e ne condivide lo stesso spirito: è un cuoco che nasce come allevatore, è ossessionato dalla qualità, dalla filiera

e dalla sostenibilità, si presta al food design, ha una gran passione per la panificazione ‘radicale’, inventa attrezzi da cucina e il suo lavoro è sempre spinto da un’enorme apertura mentale e dalla voglia d’innovare. Per quanto riguarda la carta dei vini, oltre naturalmente a tutte le etichette di Salcheto, troviamo anche referenze di altre cantine “amiche” da tutta Italia. Il nuovo ristorante “Indigeno – Cucina Terrestre” sorge in una sala dove spiccano 3 grandi tavoli in condivisione (per un totale circa 50 coperti interni), realizzati col tronco di una quercia del Monte Amiata; sicura-

mente in controtendenza oggi, dove i distanziamenti sono all’ordine del giorno, ma Salcheto vuol misurarsi – oltre che negli aspetti legati alla sostenibilità – anche nella rinascita postCovid. Gli arredi sono realizzati con materiali di risulta provenienti dalla cantina, trasformati e riutilizzati per il locale, in pieno spirito circolare e sostenibile. Nell’estate si aggiungerà poi il suggestivo dehor (circa 40 coperti esterni) immerso tra il verde e le vigne con un wine-bar centrale, grandi teli a copertura recuperati da un centro velico del Lago Trasimeno e tavoli e sedie realizzate con plastica riciclata in maniera artistica. L’esperienza si completa poi nella quiete del “Salcheto Winehouse”, piccolo albergo di campagna nel cuore di una cantina rinomata per i suoi grandi vini, ma anche per quell’offerta culturale unica sulla sostenibilità. Con un tocco di spassionato amore per la tutela della natura circostante: per esempio nel giardino attrezzato sono a disposizione degli ospiti vasche riscaldate a legna. Un tempo torre di posta di una delle vallate d’accesso a Montepulciano, gode d’incredibili vedute che dal borgo antico si aprono fino ai “chiari” (laghi) della Val di chiana, ritratti nel “volo d’uccello” di Leonardo Da Vinci. Salcheto Winehouse è la nuova vita di un casolare del Duecento, dove vivere l’esperienza della campagna toscana attraverso tante prospettive, a partire dalla cultura del bello.