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produttori
pasta artigianale, che in termini di numeri è una percentuale insignificante, si parla per lo più di passione. Oggi, a differenza del mondo del vino, in cui è molto radicato, il concetto di materia prima di vera qualità nel mondo della pasta non esiste, è stato distrutto. La prima gran differenza tra la mia pasta artigianale e la pasta industriale sta proprio nella provenienza della materia prima. Io produco 10mila quintali di pasta all’anno, il pastificio industriale più piccolo ne produce 2-3mila quintali al giorno, quindi fa in un giorno quello che io produco in quattro mesi!”. Ci spieghi nel dettagli il processo produttivo? “Io, essendo un contadino prestato alla pasta, nonostante abbia fatto il liceo classico e conservi un discreto bagaglio culturale, ho semplicemente preso il procedimento artigianale, trasportandolo su una scala più ampia con un approccio scientifico. Il mio successo deriva dal fatto che non sono andato avanti per schemi mentali, ma sono stato pronto al cambiamento e alla ricerca continua della qualità, perché nel mio prodotto artigianale si deve percepire una differenza netta da quello industriale, altrimenti non avrei ragione di esistere. Ho creato un sistema anche per trovare tutte le ottimizzazioni possibili che mi permettono di es-
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sere sullo scaffale del supermercato a prezzi competitivi e non andare del tutto fuori mercato. Così oggi ho una dimensione piccola certo, ma tale che il Molino Borgioli mi dedica dei lotti di produzione, compresi celle e sylos, dove il grano viene stoccato nella massima igiene, dandomi la semola fatta col mio grano. Così, quando arriva la semola al pastificio con carichi da 300 quintali l’uno, viene conservata nei miei sylos in trevira, una sorta di stoffa dove il prodotto respira e si conserva perfettamente e nel giro di qualche giorno viene pastificata tutta quanta. Il grano duro viene macinato con una grana molto grossolana perché è difficile portarlo a uno stato fine, motivo per cui quando si mangia una pasta di grano duro viene digerita più velocemente, perché si aggrappa meno alle pareti dell’intestino e quindi si assimila meno. Altra particolarità è che faccio il procedimento di idratazione separato dall’impasto: vado a idratare la semola all’interno di una sorta di ventilatore che nebulizza l’acqua, così la semola assorbe l’acqua, crea una miscela costantemente bagnata e, quando vado nell’impastatrice, ho una massa omogenea. La semola, che ha già un 15% di acqua dentro, mediamente si idrata con un 30% di altra acqua, per cui sulla massa si arriva ad avere un 45% di idratazione che serve per creare la
magia della maglia glutinica. In pratica, la pasta, da semola, una volta estrusa, rimane legata insieme sotto forma di penna o spaghetto. Poi io faccio l’impasto sottovuoto – cosa complicata per l’industria che, lavorando su camere molto grandi, ha difficoltà a mantenere il sottovuoto – dando così più compattezza alle molecole. Ciò garantisce una miglior maglia glutinica e una pasta superiore a livello di tenuta in cottura. Vado poi a estrudere attraverso le varie trafile il composto di semola idratata che, a seconda dell’inserto che si trova sulla trafila, prende una determinata forma. Successivamente c’è un bre-
vissimo passaggio – giusto alcuni secondi – attraverso un ventilatore ad aria calda, che rimuove l’umidità in eccesso a livello esterno e anticipa l’effettiva e reale essiccazione mediante ventilazione d’aria calda, che dura da una ventina di ore fino alle circa 40, a seconda del formato – alcuni per conformazione, forma e dimensioni si essiccano facilmente, altri meno, certamente una pasta più spessa avrà bisogno di più tempo –, arrivando fino al cuore della pasta, adagiata su telai di legno. La ricetta di essiccazione lenta, cioè sotto i 65°, onde pre-