ኢትዮጵያ
My Ethiopia (2012-2020) For many years, Ethiopia and particularly the Tigray region became part of my life. Thanks to my involvement in International Cooperation projects, I had the opportunity to capture, and now share through photography, moments of life light-years far from our Western reality. In the midst of impoverished lands of war, borders, and migration and seeing these people’s rural daily lives, I feel sense of urgency to immortalize human beings that would otherwise be forgotten.
had been informed I was passing by and waited few hours to hand me a paper bag full of eggs of the hens I had given her. She intended to also thank me for the pictures that she received from me; which are her only family moments printed on paper. She, in turn, asked for a picture of myself to keep as a memory. I think about the sense of image and memory in a world that looks to be so distant from western consumerism and taste of appearance.
Our cultures and way of living are far more distant than six hours flight time. I feel deep emotion to be in these locations where the people’s sincere welcome and sharing attitude can create within myself, for te instant required for a snapshot, the feeling to be a part of a wholeness. Women are the strength and the engine of a country which continues to struggle with acknowledging their value.
I wonder what is the meaning of an image today? a document, art, vanity, reflex? In these rural areas of Ethiopia, the “family photo portrait with a silver frame” does not exist; the family images live in the memory only and are destined to break apart or disappear.
Last year, in the frame of a photographic report, I shared Letterbhran’s day: from early morning to the evening, walking from her house, made of mud and excrements, no electricity and surrounded by dry stone walls, to the nearest water point. Making her living on a few coins handed over by her husband, with five daughters to raise, a cow and eating a meat meal once a year, she impressed me for her inner strength. At the end of my reportage, I gave her two hens as a gift to improve her usual meal of milk and injera, even though hens are at risk to get sick or die in that specific area. A few months later, back to Tigray, I noticed she was standing along the road leading to her village among the mountains: she
When I can donate some images, I feel I can help weave the cloth of memories with a thread connecting memory to reality. The action that better represents my being and willingness to be a photographer is TO RETURN. Today, to take pictures can mean everything, but, in my opinion, it must have a personal meaning not to become a mechanical action nurtured by emotional sublimation. When you become part of something universal and present, you create a return. Beauty is present where precious wordless moments live their short time.The truth that we succeed to live becomes real and is sacred. At times it talks; at times, it is silent and must be gazed at only.
Coralie Maneri © 2021
La mia Etiopia (2012-2020) Da diversi anni, l’Etiopia ed in particolar modo la regione del Tigray, sono entrate a far parte della mia vita. Grazie al mio lavoro nell’ambito della cooperazione internazionale, ho la possibilità di condividere, attraverso la fotografia, attimi di vita lontani anni luce dalla nostra realtà occidentale. In questi territori di guerra, di confine e migrazione, estremamente poveri, mi sento come un fantasma di passaggio che osserva la quotidianità rurale di questa cultura, attento e pronto ad immortalare persone che verrebbero altrimenti dimenticate. Le donne sono il motore e la forza di un Paese che fa ancora fatica a prendere atto del loro valore. Osservo questo popolo che dà l’impressione di essere rassegnato a vivere la propria quotidianità, consapevole di non avere molte scelte, contrariamente a quello che possiamo fare noi che viviamo in culture ben più distanti di sei ore di volo. Mi emoziona il trovarmi in questi luoghi, dove sento la vera poesia nascere da un rapporto di accoglienza e condivisone che mi consente, per un istante, proprio come nella frazione di secondo di uno scatto fotografico, di potere diventare parte di uno stesso insieme; il mio desiderio di scattare foto ha infatti origine nell’emozione intensa che provo in quei momenti. L’anno scorso, facendo un servizio fotografico ad una donna di nome Lettebhran, sono stata sempre al suo fianco, dalla mattina alla sera, seguendola ogni giorno fino alla fonte d’acqua più vicina. Vive in una casa, ovviamente priva di acqua ed elettricità, fatta di fango e sterco, circondata da muretti a secco; con i pochi spicci che riceve dal marito, mantiene 5 figlie, qualche animale, e si consente un pasto di carne una volta all’anno, dimostrando una forza d’animo che lascia spaesati. Alla fine del mio reportage le ho regalato due
galline, pensando così di arricchire la loro dieta, fatta di injera e latte, anche se in quella zona, le galline si ammalino e muoiano facilmente. Mesi dopo, tornata in Tigray, l’ho ritrovata lungo il ciglio della strada che portava al suo villaggio sperduto tra le montagne. Era lì da ore ad aspettarmi, avendo saputo che sarei transitata in quella zona. Tra le sue braccia reggeva delicatamente un sacchetto di carta con le uova delle mie galline. Mi ha ringraziato per le fotografie della sua famiglia che ero riuscita a farle pervenire, in quanto per lei sarebbe stato impossibile avere un momento famigliare impresso sulla carta, poi mi ha chiesto di avere una mia fotografia quale ricordo. A questo punto, mi interrogo sul senso dell’immagine e della memoria in un luogo non contaminato dal consumismo e dell’estetica propria del nostro mondo. Cos’è l’immagine oggi? Documento, arte, vanità, automatismo? In questi luoghi non esiste la “foto di famiglia nella cornice d’argento”, le immagini dei morti vivono solo nella memoria, e in quanto tali, sono destinati a frammentarsi e svanire. Quando ho l’opportunità di donare mie fotografie ho l’impressione di aiutare a tessere la tela dei ricordi con il filo che collega memoria a realtà. L’azione che meglio rappresenta il mio essere e voler essere fotografa è quella di RESTITUIRE. Fotografare, al giorno d’oggi, può significare tutto, ma deve avere un significato personale, per non diventare una semplice azione meccanica che scaturisce dal proprio vanitoso egocentrismo. Nel momento in cui diventi parte di qualcosa di universale e sei presente, crei una restituzione in quanto la bellezza si trova in piccoli preziosi momenti che non hanno parole, ma vivono nel loro istante. La verità che riusciamo a vivere, diventa autentica ed è sacra. A volte parla.. a volte no e va solo guardata.
Coralie Maneri © 2021
Project and photography: Coralie Maneri © 2021