Almanacco 6 2015

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− Lo so, dove di preciso? Il vecchio esitò, ma pronunciò controvoglia: − Da Sažin. − Chiaro. Da molto? − Un mese e mezzo. Nel vestibolo mancava la carrozzina, ma Gleb ci pensò con indifferenza. Un semplice pensiero. Balenò e non lasciò traccia. La loro stanza aveva perso l’odore. Di cosa odorava prima? Gleb cercò di ricordarsi, ma non ci riuscì, quasi fossero passati dieci anni. Le salviettine per bambini, i cuscini di lana di cammello, i capelli di Nina, l’orso di peluche, i libri sugli scaffali − tutto insieme odorava di comodità. E, ovviamente, il profumo caramellato del figlio... Dov’era tutto ciò? L’uomo di sedette sul letto. Entrò il suocero. Posò su una sedia la biancheria da letto. − Devo scaldare la banja? − Sì. Marsik, il gatto bianco spelacchiato con il sopracciglio tagliato, entrò di corsa nella stanza, saltò sul letto e appoggiò la testa sulle ginocchia di Gleb. Ti ho riconosciuto, forza. In gola si formò subito un grumo amaro. Per mandarlo giù, Gleb cominciò ad accarezzare con forza il gatto. Il gatto capiva, sopportava e non si divincolava. Faceva soltanto le fusa e batteva la coda sul letto. Finalmente andò meglio. Sospirò, buttò giù il gatto. Si avvicinò alla finestra, prese una mela dal davanzale, la soppesò con un movimento delicato, la lanciò in aria, la rimise a posto. Dietro alla finestra, sul limitare del villaggio, il gelo aveva intrappolato nel paesaggio una betulla secolare. In cima alcune cicogne avevano fatto il nido. Gleb guardava il nido. Le cicogne non c’erano. Ma lui guardava e aspettava che arrivassero in volo. Rientrò il suocero, passò in cucina trascinando i piedi. Dopo un paio di minuti una padella prese a sfrigolare. Gleb tirò fuori dallo zaino una tuta mimetica slavata, si cambiò.

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