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economia

Un’occasione da sfruttare per rilanciare il Paese

L’Italia ha un’occasione ghiottissima di ridurre il divario competitivo accumulato nei confronti delle maggiori economie mondiali, grazie ai finanziamenti del Recovery Fund.

di DANIELE BERTI, Confindustria Trento

IL CORONAVIRUS non si è mai fermato davvero. Anche se in Italia, in estate, la percezione è stata di una diminuzione di aggressività, in altri Paesi il virus ha avuto un’impennata di contagi proprio nei mesi appena passati. Stati Uniti, Brasile e India sono i testimoni di una diffusione massiva e senza controllo. Nel momento in cui si sta scrivendo, il bollettino supera il milione di morti in tutto il mondo, con qualche cautela dovuta alla possibilità di una sottostima. Tutti i Paesi sono ricorsi a misure di lockdown più o meno aggressive per provare a controllare la curva dei contagi, con ripercussioni altrettanto violente sull’economia. La caduta del Pil mondiale nel secondo trimestre è di oltre il 5%, che si somma al 3,5% del primo trimestre, cumulando un 8,5% nei primi sei mesi che è quasi pari a tre volte la caduta registrata tra il 2008 e inizio 2009. Nei mesi maggio-giugno l’economia mondiale sta gradualmente recuperando, dopo il tonfo di aprile, ma si mantiene ancora lontana dai livelli pre-Covid. Per quanto riguarda la situazione tra i paesi europei, la Germania risulta ancora una volta essere la più resiliente. Il Pil tedesco scende del 9,7% nel secondo trimestre rispetto al primo, mentre la situazione della Spagna e del Regno Unito risultano le più preoccupanti con una caduta rispettiva del 18,5% e del 19,8% del Pil. Complessivamente il Pil europeo nel secondo trimestre si è contratto del 12,1% affi ancando un tasso di disoccupazione cresciuto al 7,9%. In questo scenario l’Italia risulta aver perso il 12,8% di Pil nel secondo trimestre ma segnali incoraggianti arrivano dall’industria. Secondo l’Area Studi Mediobanca, il comparto manifatturiero italiano potrebbe fronteggiare una caduta di fatturato nel 2020 “solo” dell’ordine del 9%. Mentre nel 2009 il giro d’affari del settore si contrasse del 16,2%. Nell’insieme, dunque, lo scenario per quest’anno è meno fosco di quanto si paventasse nel bel mezzo della crisi sanitaria, quando si dava per scontato che un quinto dei ricavi dell’industria si sarebbero volatilizzati. Analizzando in maniera più verticale il caso Italia emerge che il Covid-19 non ha fatto altro che accentuare problemi strutturali che hanno frenato, negli ultimi vent’anni, le potenzialità di sviluppo italiane. Questi fattori sono riconducibili ad un “ciclo vizioso” legato all’humus culturale del Paese, frutto soprattutto dei ridotti investimenti in formazione e lifelong education, che ha reso ineffi caci nel tempo tutti i tentativi di riforma e sviluppo del Paese. Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, nella sua relazione del 4 settembre all’EuroScience Open Forum 2020 di Trieste, ha dedicato un intero capitolo di approfondimenti e statistiche al problema dell’analfabetizzazione funzionale di cui è affetto il nostro Paese. Snocciolando alcuni dati, l’Italia risulta penultima tra i Paesi Ocse per numero di persone tra i 25 e 34 anni laureate e prima per l’incidenza della popolazione tra i 15 e 24 anni cosiddetta Neet, ovvero non impegnata nello studio, né nel lavoro né nella formazione. Tutto questo si ripercuote violentemente a cascata su altri problemi strutturali italiani come la bassa digitalizzazione, la bassa produttività, la crescita delle disuguaglianze, i consumi stagnanti, il sottodimensionamento delle imprese italiane, i processi di delocalizzazione delle imprese, la lentezza dell’apparato pubblico e della burocrazia e la frammentazione del sistema di governance nazionale. In questo contesto l’Italia ha un’occasione ghiottissima di ridurre il divario competitivo accumulato negli ultimi vent’anni nei confronti delle maggiori economie mondiali, grazie ai fi nan-

ziamenti che dal 2021 arriveranno dall’Unione Europea. Complessivamente l’Italia riceverà dal Recovery Fund circa 209 miliardi ripartiti in 81,4 miliardi di aiuti a fondo perduto e 127,4 miliardi in prestiti. Come ha ricordato il presidente di Confi ndustria Carlo Bonomi nel corso della sua relazione all’Assemblea Nazionale, sarà importante partire da una visione di fondo comune, capace di unire ciò che il nostro Paese sa fare con l’impatto della modernità, l’evoluzione formidabile delle tecnologie e gli effetti che tutto ciò può produrre. Le direttive che arrivano dalla Commissione Europea sono chiare, i Paesi dovranno destinare almeno il 20% degli investimenti provenienti dal Fondo per la ripresa nella transizione digitale, percentuale che va ad aggiungersi al 37% riservato alla transizione climatica. In generale Bruxelles spinge affi nché i piani nazionali perseguano sette obiettivi: promuovere l’energia pulita; sviluppare nuove tecnologie nei trasporti; rafforzare la rete di banda larga, in particolare 5G; digitalizzare la pubblica amministrazione, il settore giudiziario e sanitario; cavalcare l’economia dei dati; e adattare il sistema educativo

alle nuove necessità. Le prime indiscrezioni parlano di progetti da parte del Governo italiano per ottenere una crescita di 10 punti percentuali sull’occupazione, in modo da ridurre il divario con la media europea del 63%. Tutti gli attori che hanno un ruolo nell’economia nazionale concordano sul fatto che per ottenere un impatto di questo livello occorre investire prima di tutto nell’istruzione e nella formazione a tutti i livelli. Il gap culturale ancora prima di quello economico soffoca il processo di cambiamento di cui l’Italia ha bisogno. Riprendendo il documento che The European House Ambrosetti ha rilasciato recentemente, si evince chiaramente che la precondizione di base per il rilancio del Paese sarà una revisione profonda dell’intero sistema educativo tramite la riforma del sistema scolastico, la riforma del sistema universitario, l’educazione continua degli adulti e la preparazione della classe dirigente, sia pubblica che privata. Senza queste condizioni di base, l’effetto di tutti i contributi che arriveranno dall’Europa sul Pil e sulla competitività nazionale, non sarà né vigoroso né durevole nel tempo.

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