collaterale magazine

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collaterale co-studio numero 01 primavera 20




co-studio


Anzalone Greta Canini Alice Piovesan Giovanni Rasotto Isabel Trocchi Denise


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galleria sociologica

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quarantena al di là dei sogni

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il pipistrello disincantato

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tracce selvagge in primavera

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qualità dell’aria in quarantena

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la bicicletta salverà il mondo

benessere

racconti e rituali dal mondo

ambiente

società

indice prologo 4

10

66

mente fragile in momenti critici

70

sogni dalla pandemia

78

sessualità con nuovi desideri

81

vibrazioni positive

84

attività fisica in lockdown


100

un fresco condominio

102

novitĂ in tavola

106

nuovo food delivery

116

no game over per i videogame

118

app pandemiche

120

lavoro e formazione a distanza

128

emergenza fashion

136

identitĂ e mascherine

146

la mascherina, oggetto quotidiano

150

editoria italiana: crisi nella crisi

153

la resilienza dei musei virtuali

156

MAMbo in pillole

160

note amare per la musica

164

proiezioni del futuro

epilogo 172

matti per la spesa

gioco positivo con Virus+

cultura

94

114

moda

passione cucina

tecnologia

cucina

90


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prologo

coronavirus


COVID-19 malattia 1. Nome della malattia respiratoria provocata dal nuovo Coronavirus. CO sta per corona, VI per virus, D per disease e 19 corrisponde al 2019, anno in cui si è manifestata. In data 11 marzo 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che il focolaio globale di infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 è da considerarsi una pandemia.

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societĂ collaterale racconti e rituali dal mondo galleria sociologica quarantena al di lĂ dei sogni

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capsula del tempo

racconti e rituali dal mondo

di Redazione collaterale 12

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La pandemia da Coronavirus ha investito rapidamente il mondo intero, insinuandosi a forza nella quotidianità delle persone e sconvolgendone i ritmi e le giornate. A marzo, per indagare sulle dinamiche in corso, abbiamo rivolto alcune domande ad amici da tutte le parti del pianeta, chiedendo loro che clima respirassero e in che modo stessero trascorrendo il tempo. Abbiamo anche provato ad approfondire la natura di quei piccoli rituali quotidiani sorti dalla necessità di resistere alla crisi. Ecco le risposte raccolte. Liliana – Argentina

Ciao ragazzi! Io abito in Argentina; siamo in quarantena dal venerdì 20 di marzo e per fortuna io e la mia famiglia stiamo bene. Devo dire che abbiamo un po’ di paura, nel mio paese la Sanità pubblica non è molto buona, quindi mio marito e io, che siamo persone di più di 65 anni, non stiamo rilassati. Nel posto dove noi abitiamo la gente resta a casa, ma nel paese ancora c’è molta gente che non capisce il pericolo e va in giro per le strade senza il permesso per uscire. Il tempo si trascorre fra l’Internet, televisione, libri, chiacchiere con i figli e gli amici al telefono. I rituali sono molta pulizia nella casa, nei panni di mio marito che è chi va fuori a fare le spese. La vita è cambiata molto, ma è per il bene nostro e di tutti. La speranza è che finisca al più presto e di non avere tante notizie di gente morta né al mio paese e nemmeno in tutto il mondo. Vi ringrazio per la vostra inchiesta, un abbraccio virtuale da Argentina! Forza Italia!

Emily – Washington, USA

I hope everything is well with you and you’re staying safe!! I live in Washington, but work in Oregon, both of which are currently on a “stay home order” which is essentially a less strict shelter in place. My job has been defined as necessary, so I am still having to go into to work everyday and interact with the general public. I’ve gone through waves of different emotions. I haven’t seen any of my family or friends in almost two weeks and I worry about them more than I worry for myself. I also was in the beginnings of a relationship before all of this, but now I have no clue what the future holds there. What’s shocked me most about the attitude or general atmosphere is how little people are caring. I have customers coming into work talking about the “inconvenience of everything being closed” or complaining that we will not let them use or restroom. The parks are still full of people. And even with this

stay at home order, people are still continuing with their day-to-day lives. The grocery stores have been absolute chaos. Everything is sold out. Toilet paper, pasta, bread, canned goods, ramen, soup. If it’s non perishable, it’s gone. It’s becoming more difficult to find milk, eggs, and meat as well. It seems like people are either terrified or don’t care at all. On days that I work, my shift is spent washing hands every 20 minutes and wiping everything down with bleach between every customer. I go straight home and immediately change my clothes before touching anything. Dirty work clothes go in a separate area away from everything else. Days off are spent entirely at home. I don’t leave unless absolutely necessary. I check the news constantly and keep up to date on cases and statistics. I continue to remind myself that if (or inevitably when) I catch it, I most likely will not die. I tell myself that this will all blow over eventually and things will not be the same as they were before – but we will find a new normal.

Annamaria – Repubblica di San Marino

Buongiorno, abito nella Repubblica di San Marino e appartengo alla categoria “terza età”, la più colpita dal virus. L’unica difesa è #starmeneacasa e contare sulla collaborazione di altri per le necessità. Tuttavia questa dipendenza produce effetti indesiderati sul morale. Abituata da sempre a governare la mia vita, mi trovo a subire l’imponderabile con un senso di impotenza che non avrei potuto mai immaginare. Vivo isolata in casa con mio marito dove ci siamo messi in quarantena per scelta. La giornata è scandita dai telegiornali che ci raccontano coi numeri uno scenario per ora poco promettente. Molta compagnia la fanno i social a cui si aggiunge il tempo trascorso in cucina dove metto mano a ricette nuove e a volte improbabili. Non manca la speranza che sapremo superare questa prova ma resta la consapevolezza che non siamo padroni del nostro

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destino e nostro malgrado dobbiamo piegarci. Si riconosce con estrema gratitudine lo sforzo di quanti si adoperano per arginare il problema: sanitari, forze dell’ordine, protezione civile. A volte si dimentica di ringraziare anche quelli che ci permettono di trovare i prodotti nelle scansie degli alimentari o quelli che si recano al lavoro perché non salti completamente l’economia del Paese. Non sono tutti eroi ma fanno il loro dovere nonostante il pericolo.

Carolina – Londra, UK

Alla domanda “come stai” mi viene un po’ difficile rispondere in questi ultimi giorni. Devo ammettere che ho risentito molto di come la situazione intorno a me si sia evoluta e continua a farlo. Vivo a Londra, e la coesione nelle decisioni fra le persone è davvero molto poco comune. In questo momento la situazione mi sembra ancora sotto controllo, ma anche chi faceva il gradasso, sembra stato colpito da questa situazione. Mi sento in un periodo di forte incertezza, in cui ho la possibilità ed il tempo di riflettere su molte cose ma soprattutto il momento che seguirà questo virus. Provo ansia e preoccupazione, ma anche positività verso un periodo più felice che spero possa arrivare presto. Vivendo a Londra da ormai quasi due anni, ho compreso che la libertà del posto in cui mi trovo è dovuta alla coesistenza di persone provenienti da posti differenti nel mondo. Non credo che abbiano effettivamente una coesione di popolo, perché è rinomato pensare a se stessi da queste parti. Non sono infatti rimasta colpita su come loro abbiano deciso di affrontare con spavalderia e nonchalance tutto il problema sin dall’inizio. Non so, non riesco a comprendere l’approccio che hanno verso situazioni di emergenza e/o più o meno gravi. Data l’assenza di persone fra le strade mi è sembrato di notare che una parte sembra spaventata e corre ai ripari, ma molte altre, incuranti, continuano a condurre la propria vita come se nulla fosse cambiato. Insomma, situazioni di razzismo, i complottisti... non si respira proprio una bell’atmosfera. L’umore però cerco di tenerlo alto, e in questo il sole mi aiuta molto. Le giornate si sono allungate moltissimo e il freddo si fa sempre piu leggero. La positività è molto importante per chi vuole mantenere i nervi saldi ed affrontare questo periodo di grande stress nel modo più tranquillo possibile. Il tempo, anche se in quarantena, alcune volte non mi sembra abbastanza all’interno di una sola giornata e devo ammettere che in questo momento sto lavorando molto. Sto cercando di utilizzare questo tempo e di sfruttarlo nel migliore dei modi. Quindi sto lavorando sul mio portfolio, cercando di rendere questo tempo a nostra disposizione, il più proficuo possibile. Ho sempre pensato che questa situazione, nella sua negatività, possa essere la chiave del successo e ripresa di molte persone perchè è come se il Karma, almeno nel mio caso, mi avesse dato del tempo in più, con le sue dovute conseguenze. La creatività è ciò che risente

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maggiormente i posti al chiuso e la poca connessione con il mondo fuori dalla nostra casa. Ho effettivamente alcuni rituali che compio io stesso, non tanto per tranquillizzarmi, quanto piuttosto perché mi piace la loro stessa quotidianità. Ad esempio adoro accendere gli incensi profumati ogni mattina con le finestre aperte, o ancora passare mezz’ora fuori sotto la luce del sole. Ho anche ripreso un rituale che utilizzai qualche annetto fa che ho notato mi dava rassicurazione ma anche lucidità, perchè mi aiutava a mettere a posto i pensieri e le idee. Ogni sera, prima di andare a dormire, se non sono troppo stanca, scrivo finché non mi addormento. Scrivo tutto quello che i passa per la testa e metto in ordine i miei pensieri in modo da avere la testa libera il giorno dopo. Ho un patto nel fare ciò: non bisogna mai rileggere ciò che si è scritto. Questo perchè essendo pensieri si rischierebbe di rovinarli attraverso la correzione, smettendo di essere del tutto spontanei.

Daniele – Jakarta, Indonesia

Ciao, per rispondere alle tue domande: io vivo in Indonesia in periferia della capitale di Jakarta (Giacarta) Io sto bene, si prova molta paura specialmente dopo avere visto i dati di contagio e morti in Italia, dovuti al COVID-19, e il propagarsi del virus in USA. Intorno a noi c’è un clima sempre di paura ma di speranza, i contagi sono ancora bassi, si è sempre sentito parlare di morte o di casi gravi su persone molto anziane e con problemi di salute, qui sono morte delle persone in “giovane” età che lavoravano nella logostica degli ospedali e questo fa paura, ancora il governo non ha imposto nessuna quarantena, hanno solo chiesto di indossare le mascherine e di tenere le distanze di sicurezza tra gli altri. Molti fanno la quarantena a livello personale di propria iniziativa, la disposizione del governo chiede solo di indossare le mascherine e di tenere le distanze di sicurezza tra gli altri per ora. Il tempo lo trascorro molto a casa se posso, la scuola dei bambini è anche qui chiusa quindi studiano da casa, passiamo il nostro tempo a scoprire ricette nuove fatte in casa, e a chattare con i nostri amici sul WA. Ciao!

Giuseppe – Nizza, Francia

Ciao ragazzi, intanto volevo ringraziarvi per l’iniziativa e per avermi coinvolto. Spero che le mie poche parole possano essere utili al vostro progetto. Vivo vicino Nizza da quasi nove anni e la situazione qui, come del resto altrove nel mondo, è davvero surreale. Non avrei mai immaginato di vivere un periodo come questo. Per fortuna io e i miei cari non abbiamo sintomi “fisici” del virus anche se quelli morali si fanno sentire! Oltre, chiaramente, alla tristezza per le migliaia di persone che ci hanno lasciato e continuano a lasciarci in questo momento in cui vi scrivo, il trauma per chi resta è, a mio avviso, di carattere sociale. L’assenza del contatto fisico e visivo (non attraverso uno schermo), qualcosa di mai vissuto, a cui nessuno era preparato e che penso ci farà riflettere. Credo che in Francia le conseguenze potevano essere limitate se le iniziative

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In alto, fotografia di Mariavittoria (Riccione, Italia) A lato, foto di Marco (Vicenza, Italia)

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In alto, foto di Cris (Schio, Italia) A destra, foto di Silvia (Germania)

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fossero state anticipate (alla luce di quello che stava accadendo in Cina e soprattutto nella vicina Italia). Se a questo si aggiungiamo la volontà di svolgere il primo tour di elezioni municipali... Inoltre durante la prima settimana la gente vicino casa mia si riuniva e pranzava insieme con una leggerezza quasi da vacanza. Adesso ho l’impressione che stiano cominciando a ridurre questo atteggiamento festaiolo. Si comincia a capire che alcune frottole sono state raccontate, come il fatto che le mascherine erano necessarie solo per i contagiati ed il personale medico; in realtà ci si preoccupava della penuria, ma al tempo stesso permettevano di andare in giro a fare jogging... Io e la mia famiglia, un po’ per la preoccupazione soprattutto verso i nostri figli, un po’ per tutto quello che vedevamo in Italia, abbiamo rispettato sin dall’inizio le misure di confinamento. Lavoriamo a distanza grazie ai mezzi telematici a disposizione e seguiamo i nostri figli con quella che chiamiamo la “scuola-casa”. Personalmente, non seguo alcun rituale particolare per rassicurarmi. Cerchiamo di condurre la nostra vita normalmente limitando o alleggerendo l’impatto che può avere sui bambini.

Cecilia – Årnes, Norvegia

Ciao, sono un po’ preoccupata a causa di questo Virus perchè temo che possa colpire i miei cari. Attualmente sono in Norvegia e la gente qua è preoccupata, ma non come dovrebbe, nonostante tutti si siano ritrovati “limitati” dalle nuove norme dello Stato per arginare questa pandemia, molti si ritrovano ancora in gruppo, nessuno usa la mascherina e la situazione sembra presa essere “sotto gamba”. In questi giorni in cui mi sono messa in autoquarantena, appunto perchè diffido della gente attorno a me, cerco di tenermi impegnata pitturando, guardando film e trascorrendo tempo con la mia famiglia, per vivermi quelle persone con le quali vivo ogni giorno, che però avevo dato un po per scontato.

Aysu – Istanbul, Turchia

What we are getting through in these days is surreal. Is there anyone who was all-prepared for this before? I don’t think so. We experience such a thing for the first time and explore our options while it’s happening. I can’t say I’m completely cheerful or sad all the time, actually I have ups and downs for this situation. It’s changing hundred times a day, I feel lost for couple of hours but then I switch to be super happy! That’s human and healthy I know. I feel like balance my mental health and physical health at the same time, which is really tough, however I learned how to manage. I will feel super powerful after this, and will never take walking on the street for granted. That’s the only thing I’m sure about. I live in Istanbul, Turkey currently. We are not quarantined by government, it’s never been mandatory. But, I can doubtlessly say that people chose to do what should be done, we call it as “self-quarantine”. For sure, there will be always some people choosing not to do. You can say a lot for them but you can’t change one’s

mind unless they want. We have something strange that lockdown is for only weekends. Because government want people who is currently working stay at home during weekend, but work weekdays (!). I admit that’s strange but situation is not that the worst here, health system works really well. At home, we just talk about coronavirus, you can’t escape... Everyone is nervous and media is really not helping our mental health... I’m designer, musician, painter, reader, student and a good friend now :) Yes, I became all of those. I’m printing some one-line art works out to color, creating new playlists, doing list to watch or to read and many more activities. Missing friends and social life is the hardest part of it, and allocating time to those I couldn’t during semester is one of the most precious things I have ever done. I never postpone things to do for tomorrow even though I will have time. I distribute my things over a day and do as much as I can during the day so I feel productive (and also I just want to get tired and sleep during the night easily). I didn’t feel like I’m away from university thanks to online classes and by this mean talking with classmates almost everyday! Yes, overall my days are passing like this mostly with any type of art and long-distance relationship with loved ones :)

Chantal – Etupes, Francia

Ecco le risposte alla vostra richiesta, sperando che anche voi tutti state bene e siate al sicuro. Spero di potervi aiutare nel vostro progetto universitario sugli effetti collaterali della pandemia che stiamo vivendo tutti, nella nostra vita quotidiana e di fronte al contenimento. Siamo tre nella stessa casa, stiamo bene, prendiamo quotidianamente notizie sulla salute della nostra famiglia per telefono o Internet. Non ci sentiamo particolarmente ansiosi perché rispettiamo bene il patto, siamo meno preoccupati per noi stessi, perché stiamo molto attenti. Il fatto di stare attenti nelle nostre azioni è preservare la salute di tutti e soprattutto non ostruire gli ospedali che sono già abbastanza sovraccarichi e soprattutto pensare al personale infermieristico che rischia la vita. Viviamo in Francia, le persone seguono il patto abbastanza bene. Scopriamo se ci sono persone malate nella nostra strada telefonando ai nostri vicini. Se necessario, facciamo la spesa per loro lasciando la spesa fuori dalla loro porta. Ascoltiamo regolarmente le notizie in TV. Facciamo i lavori domestici e cuciniamo insieme, le nostre attività sono limitate, lettura, giochi, internet, cucito, lavoro a maglia. Usciamo solo per fare la spesa necessaria, per il pane per non uscire lo facciamo a casa. Le uscite che ci mancano di più è riuscire a vedere i nostri figli e nipoti ogni volta come al solito e camminare fuori, andare al mercato, poter uscire diversi chilometri da casa nostra. Spero che queste risposte ti siano utili e desideriamo che tutto vada meglio perché l’Italia ha purtroppo avuto troppe vittime e siamo molto tristi perché amiamo moltissimo l’Italia e tutti gli italiani. Coraggio a tutti voi, siamo sinceramente con voi di cuore. Un grande abbraccio per tutti quanti voi.

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Juuso – Tampere, Finlandia

Hi! I am doing fine, thank you! How are you? This project sounds interesting and I think I can answer the questions. In the beginning when our government started to do all the necessary actions everything felt chaotic and and scary. Reading the news made me even more scared that everything seems to collapse. I’m not so afraid of the disease but more the effects on the sosiety. How many of my friends lost their jobs in an instant and is my job on the line also. Now I think that everything that happens just happens and I really can’t control it. Therefore it is better for my mental health to not be afraid of the things that I can’t change. All I can do is try to be in peacefull mind and find solace in little things in everyday life. And now I feel calm and happy. At first the atmosphere everywhere seemed to be scared and anxious. Now I feel that people have learned how to cope in their everyday life and eventhough the fear of loosing jobs and getting sick is there, it is not that bad anymore. Humans learn how to cope with ongoing situation and evolve little by little. The news are horrendous and fearmongering but I think most people don’t want to read them too much. I can work from home mostly so that brings me reassurance. I’ve always been “good” at being home and like spending time with myself so I take this as a good moment to read, learn more about music, listen to new music, watch good movies and series. In a way this has been a good way to stop and think what is really important to me in life. My reassurance-rituals are also to work out every other day and really take time to cook. Healthy body is essential to having healthy mind.

Per quanto riguarda in casa mia, stiamo bene! In realtà siamo tanto felici di riuscire a passare del tempo insieme; ora che i miei host genitori lavorano da casa, ogni giorno facciamo colazione, pranzo e cena tutti insieme, cosa che non era mai successa, perché i lavori di Melanie (host mamma) e Bruno (host papà) li hanno sempre tenuti fuori casa fino a sera tardi. Oltre a lavorare durante la settimana, dalle 8:30 della mattina fino alle 5:30 del pomeriggio, da lunedì a venerdì, di solito leggo, disegno, guardo un sacco di film (la scorsa settimana, per esempio, ho fatto una maratona dei film della Marvel) e serie tv e faccio un sacco di videochiamate con la mia famiglia e i miei amici. Per rassicurarmi penso che ci sono davvero un sacco di persone che sono in situazioni peggiori e che io sono molto fortunata ad essere dove sono.

Martina – Stati Uniti d’America

Ciao, io sto bene, sono spaventata e mi sento un po’ inutile dal momento che la mia famiglia è a otto ore e di volo da me. Sono un po’ provata perché oltre a prendermi cura dei bimbi, ora devo anche fargli da maestra, cosa per cui non sono assolutamente qualificata. Mi sento fortunata perché sono a casa, ho la possibilità di riuscire ad andare a fare la spesa e ho un posto dove stare, quindi mi sento di non potermi lamentare! Qui in America la situazione in generale la vivo poco, nel senso che ci siamo messi in quarantena da soli tre settimane fa, quindi non sono uscita per niente, se non per fare la spesa oppure per giocare coi bimbi nel giardino sul retro. La prima volta che sono andata a fare la spesa erano un po’ tutti presi dal panico e ovviamente hanno finito qualsiasi cosa che si potesse mettere in freezer o tenere a lungo nella dispensa, come poi è successo in Italia (io invece ho fatto scorta di gelato). Poi qui certi individui hanno anche fatto la fila di fronte a negozi di armi per comprare appunto pistole e fucili, convinti che la quarantena fosse un complotto per tenerli a casa e che il Coronavirus fosse soltanto un’invenzione... Ma d’altronde, con un presidente del genere, che cosa potevo aspettarmi?

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Silvia – Germania

Il 2019 non é stato un anno facile, ho cambiato casa, cambiato lavoro, ho cercato me stessa in lungo e in largo finché finalmente il 2020 stava portando un po’ di serenità, soldi, amore, stavo lavorando su me stessa e sul mio corpo. La quarantena mi ha fatto mettere tutto in pausa e trovare uno stile di vita diverso. Mi sono sentita stupida per aver azzardato spender soldi in palestre che ho potuto frequentare solo per poche settimane,

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demotivata nel continuare a vivere normalmente assumendo l’atteggiamento del “mettere tutto in pausa” e timorosa di rovinare la mia relazione dovendo passare troppo tempo assieme. Dopo alcune settimane ho stabilito la mia routine, incontrato il mio stimolo e sono estremamente convinta che questa sia ancora “la vita” e che non esista un bottone per metterla “in pausa”. L’atteggiamento che vedo attorno a me è quello di pensare di avere il DIRITTO alla propria ora d’aria e il DIRITTO di accaparrarsi tutto il cibo dai supermercati, ma la stupidità nel non pensare agli altri, o anche molto egoisticamente al nostro stesso di futuro. La Germania non si preoccupa, la Germania non di ammala, la Germania non cadrà! Di positivo c’è che lo stato mette a disposizione dei fondi per poter continuare a pagare gli impiegati un 60% del loro stipendio facendoli magari lavorare part-time, così da non doverli licenziare. Il mio rituale è alzarmi quando suona la sveglia, senza temporeggiare troppo a letto o sul telefono. Mi lavo, mi vesto, preparo la colazione che mangio controllando le email, video-meeting con il team e sono in linea per i clienti. Ogni tanto faccio una pausa per controllare che la mia dolce metà occupi il suo tempo in modo utile e non sprechi le giornate su Netflix e appena scocca la pausa pranzo faccio la mia mezz’ora giornaliera di sport. Sgranocchio qualcosa di leggero e torno al computer. Merenda a metà pomeriggio come da buona tradizione

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In alto, foto di Carolina (Londra, Regno Unito) A sinistra, foto di Davide (Vicenza, Italia)

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e aperitivetto appena chiude la linea. Cena a due, i telefoni si lasciamo da parte, e poi filmino o partita a carte, libro o partita a Magic, oppure videochiamata con amici/parenti/conoscenti. A letto presto, coccole, crema alle mani e mascherina sugli occhi.

Martina – Cairns, Australia

Ciao, qui di seguito le mie risposte, spero vi siano utili. Saluti dall’Australia. Mi trovo a Cairns, in Australia, e sto bene. Per ora ci sono solamente 22 casi di Coronavirus in tutta l’area della regione in cui mi trovo. C’è tanta incertezza su come potrebbe evolvere la situazione e speriamo tutti che le misure prese dal governo siano sufficienti per contenere la diffusione del virus. Il mio pensiero è rivolto a familiari e amici che in Italia stanno affrontando una situazione ben peggiore della mia. La regione in cui mi trovo è abbastanza isolata e senza grandi città. Le misure prese non sono drastiche per ora, ovviamente ristoranti, bar e palestre sono chiusi e da ieri anche i parchi giochi. Vietato incontrarsi con più’ di due persone a meno che non facciano parte dello stesso nucleo familiare. Si può ancora uscire all’aperto per fare passeggiate o attività fisica purché si rispetti la distanza di 1 metro e mezzo imposta dal Governo. Molti, me compresa, hanno perso il lavoro a causa della chiusura di molte attività. L’economia di Cairns è incentrata sul turismo, quindi in questo periodo ne soffriamo molto, ma il governo si sta organizzando per mettere a disposizioni fondi straordinari per tutte le persone che hanno perso il lavoro a causa della situazione creata dal Coronavirus. Siamo a casa da lunedì 23 marzo. Per ora le giornate passano tra pulizie di primavera che richiedono tempo, camminate nel parco vicino casa e qualche ora di studio. Siccome le attività turistiche non prevedono di riaprire prima di 6 mesi ci stiamo dedicando a corsi on-line: per ora sono impegnata a studiare il Reef Discovery Course. Non ho particolari rituali, ho fatto una lista di cose da fare questa settimana e cerco di programmare le giornate in modo da portare a termine almeno una mansione al giorno. Mi sento quotidianamente con amici e famiglia dall’Italia per rassicurarci a vicenda.

Camillo – Berlino, Germania

curva continua ad avere una crescita esponenziale e non so come ne usciremo. Temo nei prossimi mesi ci saranno forti disordini sociali nel mondo, forse anche conflitti, l’erosione della democrazia e dei diritti individuali. Il clima in Germania è mutato radicalmente nelle ultime due settimane, passando da un atteggiamento di leggerezza e curiosità verso una notizia che fino a quel momento non sembrava riguardare direttamente la nazione, a uno stato di emergenza. I negozi sono chiusi, per terra sono segnate delle linee dove attendere per fare le file, le casse dei supermercati sono ora coperte da gabbie di plexiglass. Ieri sono stato al supermercato, si respirava aria tesa, una sensazione come ho solo immaginato dai racconti dei miei nonni durante la guerra. Scaffali semivuoti, nessuno che parla con l’altro, la paura negli occhi della gente quando una scansia e dei carrelli significa passare vicino l’uno all’altro. Fortunatamente, possiamo ancora uscire per fare una passeggiata nel parco, ma penso che questo cambierà presto. Sia io che mia moglie lavoriamo a tempo pieno da casa, mio figlio Noah di 8 anni ha un programma scolastico pieno, quindi fra lavoro e supporto alla sua esperienza didattica le giornate sono piene. Solitamente si alza prima mia moglie e fa yoga seguendo un training su YouTube. Mi alzo poi io, facciamo colazione e comincia la giornata scolastica e lavorativa. Io e mia moglie ci alterniamo nel supporto a Noah a seconda di impegni, conference calls etc. Pranziamo insieme alle 12:45, poi stessa cosa nel pomeriggio. Io faccio sport utilizzando il Ring Fit della Nintendo. Prima di cena usciamo a fare una passeggiata o a tirare due calci al pallone con mio figlio. Alla sera, dopo cena, cerchiamo di fare sempre un gioco insieme, poi parte il rituale della preparazione ad andare a letto per mio figlio. Cerchiamo di mantenere una vita sociale avendo appuntamenti regolari per aperitivi virtuali e chiacchere con amici su Skype e Zoom, mentre mio figlio dopo aver finito la scuola, gioca a volte online in modalità cooperativa con il suo migliore amico, mentre chattano in video su Skype. Fatemi apere se le risposte vi paiono adeguate o se avete bisogno di maggiori dettagli/aneddoti. Un caro saluto

Ciao, sto abbastanza bene, da un certo punto di vista avere mia moglie e mio figlio a casa tutto il giorno e tutti i giorni è un po’ come quei surreali giorni dopo Natale e prima di Capodanno, quando tendi a startene a casa insieme senza uscire troppo. Ovviamente questo sentimento si sta attenuando con il passare delle settimane e stiamo passando ad una situazione di emergenza routine, come essere su una barca che sta attraversando l’oceano. Guardo molto/troppo frequentemente le news su internet (seguo il ticker del Guardian, della BBC, di Repubbblica e del Tagespiegel) e quardo ossessivamente i dati pubblicati dalla dashboard della John Hopkins. Sono molto preoccupato perché la

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A destra, foto di Giulia (Stati Uniti d’America)


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Michela – Filippine

Ciao, è un piacere collaborare con il vostro progetto. Io sto bene, nonostante non sia un periodo facile per stare lontani da casa. Sono serena perché mi trovo nelle Filippine e la situazione qui non è grave come in Italia. Qui hanno chiuso tutte le isole per un mese e, dopo due settimane di lock down, non sono ancora emersi casi sull’isola in cui mi trovo, quindi mi sento al sicuro perché sono nel posto migliore in cui potrei essere in questo momento. In Italia, però, la situazione è molto grave e viverla attraverso i racconti di amici e parenti a volte è pesante. Mi sento impotente. Appena è stato annunciato il lock down nelle Filippine, tutti gli stranieri venivano visti con occhi sospettosi. All’inizio non era una bella sensazione. Ma ora nel paese in cui sto vivendo con tre amici ci conoscono tutti, i vicini ci hanno preso a cuore e trascorrono molto tempo con noi, facendoci sentire parte della comunità (qui le restrizioni non sono forti come in Europa). Ho la fortuna di vivere in una casa sulla spiaggia e di poter andare al mare. Passo le giornate cucinando, chiacchierando con amici e vicini, facendo attività fisica, leggendo e chiamando gli amici e i parenti. Buona fortuna per il vostro progetto. Stay safe.

Chiara – Perth, Australia

Ciao ragazzi! Partecipo volentieri al vostro progetto! Io sono in Western Australia. Vivo qui a Perth da ottobre 2014. Al momento sto bene fisicamente, ma mentalmente son molto turbata, specialmente per le notizie che ricevo relative all’Italia. È difficile essere bloccata lontana da casa (non posso lasciare l’Australia per altri 6 mesi a causa del blocco dichiarato dal governo). Mi sento impotente e sempre in allerta, con la paura di ricevere una telefonata per informarmi che un membro della mia famiglia e’ stato contagiato, o peggio. Per fortuna stanno tutti bene e mi rassicurano giornalmente (beata tecnologia). Il clima che si respira qui credo che sia paragonabile a quello italiano di tre settimane fa: un sacco di incertezze. Il governo continua a rilasciare nuove restrizioni, ma son spesso vaghe e contradditorie. Oltretutto ognuno dei sette stati Australiani sta seguendo le proprie regole, quindi la confusione dilaga. Quello che mi spaventa maggiormente è che, vedendo quello che è successo in molti altri stati del mondo, non capisco perchè il governo australiano stia perdendo tempo. Le frontiere son state chiuse solo la scorsa settimana, e tutti i casi di COVID-19 registrati son di persone che hanno trascorso di recente un periodo all’esterno, che son venuti in contatto con qualcuno che è stato all’estero e non ha rispettato la quarantena, o persone scese da navi da crociera. Da stamattina se viaggi tra stati Australiani devi metterti in quarantena per due settimane, ma ti vengono a prendere in aeroporto e ti portano in alberghi sorvegliati o su un’isola (Rottnest Island). Al momento

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non siamo in quarantena “forzata” ma autoimposta. Stanno chiudendo Iicentro commerciali, le università e le scuole (da oggi), ma ancora stiamo andando a lavorare, con tutte le precauzioni possibili. Personalmente sono nel mezzo di un trasloco, quindi per passare il tempo sto impacchettando la casa! Spero di esservi riuscita a dare abbastanza informazioni, nel caso contattatemi!

Giovanni – Madrid, Spagna

Hola chic@s, vi rispondo da Madrid dove vivo, ovvero da una città di circa cinquantamila abitanti, della cintura nord della capitale spagnola. Per fortuna “per ora” sto bene come anche i familiari sia italiani che spagnoli, muchas gracias. Qui “el toque de queda” ovvero il coprifuoco dura da circa tre settimane, quindi ancora la noia, il senso soffocamento degli “arresti domiciliari” o l’angoscia del pericolo non hanno ancora il sopravvento. A questo contribuisce il fatto che viviamo in una casa a schiera, molto grande e con giardino, condizione privilegiata rispetto a un condominio con poco spazio. Però un po’ di timore personale e familiare esiste, anche dovuto al fatto che siamo in una età considerata a rischio e le notizie che arrivano danno l’impressione che la generazione nella fascia di età fra i 70 e gli 80 anni stia per essere decimata. Quindi, sia per me che per gli altri, sono ligio alle norme ed esco solo per fare la spesa settimanale, cercando di mantenere le distanze dagli altri e le mani pulite, in sintesi: obbedisco. Per ora posso solo lamentare il fatto che in questi due mesi ho dovuto annullare due viaggi aerei di ritorno in Italia, per vedere parenti e amici e gestire pratiche varie. “Che clima si respira attorno a te, nel Paese in cui ti trovi e nell’ambiente in cui stai trascorrendo la quarantena?” Risposta difficile da dare, ho avuto poca possibilità di confrontarmi con altri, rimane però la convinzione, condivisa fra i pochi, che: l’Italia ha sottovalutato quello che succedeva in Cina, la Spagna quello che succedeva in Italia e gli altri paesi quello che succedeva nei primi. Il virus forse non si poteva fermare, però sarebbe stato possibile prepararsi meglio con piani anti-pandemia, aumentando le precauzioni nei centri di salute e negli ospedali, agendo subito con misure di confinamento, producendo ventilatori e oggetti di protezione personale (visto che scorte non ne avevamo), quindi esiste anche un po’ di rabbia per il sopravvento degli interessi economici sulla salute. Sul mio profilo FB il messaggio prevalente degli amici spagnoli è: mai piú tagli alla sanità pubblica. Qui le mascherine, in farmacia, erano già finite ai primi di gennaio: le avevano comprate tutte i cinesi, forse anche per inviarle ai loro parenti in Cina. Ai cittadini spagnoli arrivano solo notizie dei macro numeri a livello statale eregionale e confrontando con Italia mi sembra che la situazione nella Comunidad Autonoma di Madrid possa essere comparabile a quella della Lombardia, con ospedali quasi al collasso e installazioni ospedaliere

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In alto, foto di Bianca (Schio, Italia) A lato, foto di Carla (Valdagno, Italia)

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nella fiera. Da notare infine che i cittadini della nostra urbanizzazione, come quelli di tutta Spagna, tutte le sere alle 20,00 si affacciano alle finestre di casa per applaudire, per qualche minuto, tutti i lavoratori della sanità e dei servizi essenziali.

Risiedendo nei Paesi Bassi, uno delle nazioni in cui l’epidemia è iniziata ben più tardi che in patria, la prima fase ha comportato solo ascolto, a volte infastidito e altre volte allarmato, di coloro che sentivo distanti a casa, mentre loro vivano le prime giornate scandite dalla diffusione di casi in Veneto e Lombardia.

Per ora il mio tempo è riempito dalla televisione, spagnola e italiana, dal cellulare e da Internet, a cui accedo per i contatti italiani e spagnoli, per l’informazione online e anche per vedere programmi che mi interessano ma che ho tralasciato, per esempio su Raiplay. In questo momento mi è molto difficile concentrarmi sulla lettura di libri. Non ho rituali né religiosi né scaramantici e per finire, dal lato sportivo, io sono un fan del divano, se poi fosse una ottomana sarebbe ancora meglio, quindi l’unica ginnastica me la impongono le scale visto che la casa è su quattro livelli.

Dall’istituzione del decreto legge #IoRestoaCasa le cose si sono avvertite letteralmente diverse, una seconda fase. Se da un lato i “positivi” aumentavano, dall’altro la risoluzione e la compatta solidarietà che fiorivano in tutta la popolazione Italiana mi resero il cuore più leggero e speranzoso. Un sorprendente effetto collaterale è stata la ricerca, da parte delle persone in quarantena, di contatto umano vero. Le chiamate dall’Italia esplosero in numero, trasportate dalla gioia di sentire altre persone maggiormente vicine e con il bisogno di dare un senso alle proprie giornate improvvisamente più lunghe.

Silvia – Stoccolma, Svezia

Ciao, la situazione qui in Svezia e in particolare a Stoccolma, dove abito, è per il momento sotto controllo. La Svezia non ha adottato l’approccio di lockdown di moltri altri Paesi. Asili, scuole elementari e medie sono ancora aperti, scuole superiori e università si seguono a distanza. Si raccomanda a chi può di lavorare da casa, ma non ci sono divieti di uscire, negozi e centri commerciali sono aperti. Le visite alle case di riposo sono proibite e gli ultra settantenni e i gruppi a rischio sono invitati a non uscire. Gli svedesi con il loro spirito civico e la loro fiducia per le istituzioni seguono le raccomandazioni dello Stato, senza bisogni di divieti. I miei figli vanno a scuola, io e il mio compagno lavoriamo da casa. Di certo gli incontri con gli amici e le uscite in centro si sono diradati, ma fino ad ora non ci sono stati dei grandi cambiamenti nella nostra quotidianità. Siamo però consapevoli che da un giorno all’altro la situazione potrebbe precipitare... Un abbraccio.

La terza fase è iniziata una volta resoci conto in famiglia che il proseguimento dell’attività universitaria all’estero sarebbe stata compromessa irrimediabilmente fino alla fine dell’anno accademico. Per questo motivo, nel giro di due giorni ho organizzato un difficile rientro a casa e dopo meno di una settimana sono arrivato nella mia città natale. Questi sono stati i giorni più difficili del periodo d’emergenza: sentivo l’apprensione dei genitori per la gravità della situazione e la possibilità che rimanessi bloccato all’estero, in un paese che non agiva con priorità la salute dei cittadini. Da parte mia c’era anche una logistica di rientro ostica: un aereo di emergenza, sei treni e una corriera, per 28 ore di viaggio. Il tutto attraverso una sequenza di crescenti controlli da parte delle forze dell’ordine che potevano vedermi come un perfetto vettore di contagio.

“Come stai? Cosa stai provando?”. Alcune delle domande più semplice e meno banali a cui rispondere in questo periodo. Io mi sento bene nonostante tutto, mi considero fortunato a rispondere con resilienza agli eventi funesti che naturalmente arrivano nel proprio cammino. Nel caso di questa pandemia ho cercato d’informarmi prima di tutto, così da valutare la portata delle mie azioni e delle contromisure che potevo attuare.

Dopo di che, la vera e propria quarantena è iniziata anche per me, con una reclusione in camera di 14 giorni. E qui, ora, il tempo si è dilatato. Le preoccupazioni si sono pressoché eliminate. Posso ora toccare con mano come le persone si siano adattate a questa realtà alternativa. Nei Paesi Bassi il clima è stato ben più “rilassato”, a un passo dal noncurante. Sembrava che la popolazione vedesse questa emergenza con sufficienza. Ho visto le università agire autonomamente prima che il governo richiedesse delle chiusure forzate, probabilmente anche per una maggior presenza di studenti internazionali.

Una volta fatto ciò, ho potuto mettere a riposo diverse preoccupazioni, del tipo: “Sto facendo abbastanza?”. Sulle cose per cui non ho alcun controllo evito di preoccuparmi, normalmente, ma in quel caso, inevitabilmente, questo schema mentale si inceppò andando a ripensare ai miei cari rimasti in Italia, i quali vivevano questa situazione con una maggiore preoccupazione e, oggettivamente, in un maggiore rischio. In questo senso, sento di aver vissuto l’emergenza del COVID-19 in tre fasi distinte.

Fino al giorno in cui sono rientrato in Italia potevo vedere i cittadini olandesi andare in giro senza remore, prendere il sole, mentre i contagiati erano 4000 e i morti 200 (l’esatta situazione per la quale alcune province in Italia erano già in lockdown completo). Per certo il clima aiutava a vivere l’emergenza con minor peso, ma non la risolveva. E, potendomi rendere conto di entrambe queste componenti durante il mio soggiorno all’estero, c’era in me un certo grado di distacco dal comune sentimento di leggerezza.

Gilberto – Belgio e Italia

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Il rituale che adottavo per rimettere in linea corpo, mente e anima, era una meditazione appena dopo pranzo e una corsa, non vietata, lungo i canali alla sera. Oltre a questo, vivere quel periodo con i coinquilini con cui avevo coltivato un grande rapporto è stato positivo ed emotivamente rassicurante. La sfida ora è ritrovare una routine positiva anche nella situazione di lockdown italiano. Sarà necessariamente diverso, perché diverse sono le condizioni di base, ma la possibilità di raggiungere un luogo di rassicurazione dentro di sè dipende veramente e solamente da ciascuno di noi.

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Sopra, foto di Giovanni (Treviso, Italia)

di Redazione collaterale

Potevo sentirmi più in linea con il sentire della comunità di studenti internazionali, fra cui diversi prestavano acuta attenzione agli eventi della propria terra, anche se non condividevo il panico che tormentava molti miei colleghi italiani. Per un certo verso devo ringraziare che la crisi non ha mandato all’aria lezioni, esami, turni in laboratorio o la visita della mia più cara amica nella mia città universitaria. Le progressive chiusure e restrizioni all’università hanno influenzato il mio lavoro sulla tesi magistrale solo quando ogni edificio del campus universitario è stato chiuso. Solo allora ho dovuto salutare il ristretto gruppo di studenti con cui mi trovavo per darci mutuo supporto e chiudermi nel mio appartamento, a lavorare in camera. Il lavoro da fare non scarseggiava, erano la motivazione e la concentrazione a subire il colpo più tosto.

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galleria sociologica I nuovi rifiuti abbandonati per le strade d’Italia sono diventati rapidamente guanti, mascherine e bottiglie vuote di disinfettante... L’inciviltà è la stessa di sempre.



In tutt’Italia sono emerse proteste per non dimenticare le drammatiche situazioni di emergenza nelle carceri, in cui da inizio marzo si sono diffusi rapidamente contagi e decessi.



A metà maggio, in Italia sono riprese le celebrazioni liturgiche in pubblico. Alcune coppie si sono dette di sí, tra la felicità di invitati in mascherina.

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La chiusura dei parchi pubblici ha trasformato le aree di gioco in spazi interdetti e desolati, perimetrati da tristi nastri di sbarramento. In foto, il Parco della Zucca, a Bologna.



Uno scatto dall’alto di un parco di San Francisco durante la quarantena, con dei cerchi tracciati sul prato per distanziare le persone (fotografia concessa da Christopher Michel).



In diverse cittĂ italiane sono sorte mobilitazioni per una rapida e sicura riapertura delle scuole in presenza. Anche con le mascherine sul volto, la cittadinanza non ha smesso di far sentire la propria voce.

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Finestre e balconi si sono presto costellati di disegni, arcobaleni e patriottiche bandiere.


quarantena al di là dei sogni di Lydia Cogo, Project Manager in Cooperazione e Sviluppo Dal titolo, sembrerebbe un allettante invito a una vacanza indimenticabile, magari in una località esotica dei Caraibi. E invece no. Non si tratta affatto di una “quarantena” da sogno. Al contrario, con un ironico ossimoro, si riassumono tutte le difficoltà quotidiane di questi ultimi mesi affrontate da piccole realtà italiane come quella della Cooperativa sociale di Al di là dei sogni Onlus di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta. collaterale

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La Cooperativa Sociale ha sede nel bene confiscato alla camorra Alberto Varone, dove opera rivolgendo la propria attenzione a disabili, a persone con disagio psichico, con ex dipendenze e a immigrati. In risposta alla pesante impronta della criminalità organizzata, questa realtà mira a riscattarsi e a migliorare la propria comunità principalmente attraverso una maggior tutela e inclusione dei più deboli. Offre a queste fragili figure attività di inserimento lavorativo nel campo dell’agricoltura sociale con lo scopo di renderli, ove possibile, autonomi e soci-fruitori della cooperativa stessa.

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quarantena al di là dei sogni

Ostacoli e difficoltà, tra sorprese legali e possibili minacce, sono all’ordine del giorno. Tuttavia, a testa alta, con pazienza, anni di fatiche, lavoro e tanto coraggio, la Cooperativa Al di là dei sogni oggi è sempre un passo più vicina al raggiungimento di una realtà sognata. Negli ultimi mesi, però, l’emergenza sanitaria COVID-19 ha rivoluzionato e scosso anche la vita del bene confiscato. I pranzi e i matrimoni, così come le visite dei gruppi di giovani e delle scuole che si ospitavano regolarmente per svolgere attività di alternanza scuolalavoro sull’agricoltura sociale biologica, la ristorazione e la cultura alla legalità, si sono arrestate. L’anima movimentata dei terreni di Al di là dei sogni si è acquietata, lasciando il posto ad un assordante e distante silenzio. Il lavoro agricolo dei campi e i metodi d’insegnamento e sensibilizzazione diretti non hanno certamente reso facile il passaggio ad una comunicazione virtuale e digitale. Certe esperienze bisogna viverle di persona, per poter avere una visione completa. Respirare la realtà della Cooperativa è in questo caso essenziale per comprendere a pieno e assimilare le dinamiche, le emozioni e le difficoltà che la muovono. Chiaramente, i lavori sono rallentati, ma i trenta soci-fruitori non hanno smesso di avere problematiche psico-fisiche e disagi sociali e sanitari. La vita nelle case famiglia e le sue dinamiche tra divisioni dei compiti, siesta pomeridiana e le numerose “pausa-sigaretta” è continuata senza troppe difficoltà, soltanto con un abbraccio in meno e con il volto seminascosto da una mascherina.

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Inutile sottolineare quanto il contatto umano e l’espressione facciale siano fondamentali per rasserenare e far sentire incluso chi, ahimè, non lo è. Il cosiddetto “social distancing” non è un’implicazione da poco per coloro che vivono di piccoli gesti e tenerezze... Fortunatamente, con la guida delle operatrici, anche gli utenti più problematici hanno preso atto di questa nuova ma strana dimensione, integrandola nella propria routine. Scattata la quarantena, quindi, sono arrivati i primi tempi di confusione e crisi dovuti ad una dura realizzazione del grave contagio in atto a livello nazionale, ma la comunità della Cooperativa non si è data per vinta e non ha smesso di sognare. Neanche la natura ha smesso di fare il suo corso e, con l’arrivo della primavera, i campi si sono arricchiti di rigogliosi prodotti bio. Grazie alle cure amorevoli di Claudio, la Fattoria dei sogni si è allargata con la nascita di coniglietti, e le galline si sono date da fare con una larga e quotidiana produzione di uova. La stagione degli amori ha poi incoraggiato i pavoni ad aprire le danze e a esibire la coda, mentre le api di Carlo hanno prodotto un generoso e delizioso miele. Grazie agli ampi spazi, la fioritura del bene confiscato è stata accompagnata dalle diverse faccende di campagna – sempre in sicurezza e distanza sociale, s’intende. I lavori sono avanzati, ma sono anche stati reinventati. Michele si è impegnato a tagliare i prati ed abbellire il giardino dei sensi, mentre laggiù, in alta campagna, si è avviata la sanificazione dei terreni da una parte, e la raccolta di prodotti freschi e genuini dall’altra.


Il cosiddetto “social distancing” non è un’implicazione da poco per coloro che vivono di piccoli gesti e tenerezze.

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Reinventarsi è il concetto giusto per raggiungere l’al di là dei sogni.

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Vincenzo e Liliana lavorano e confezionano i prodotti, processo che naturalmente viene effettuato in totale sicurezza e con più attenzione di prima. Sotto la maschera, invece, Gaetano assicura un piatto in tavola a molte persone, trasportando i prodotti freschi e d’alta qualità direttamente nelle loro case.

e di risposta ai bisogni – anche quelli più immediati, come mettere un piatto a tavola – che ha dimostrato che le mafie si combattono anche con l’associazionismo, con il volontariato, con la buona volontà e con gli aiuti concreti. In poche parole, esse si combattono con la generosità.

L’occasione di fare memoria non si è persa neanche in quarantena. La pagina Facebook della Cooperativa, già regolarmente attiva prima della pandemia, non solo documenta la ripresa delle attività quotidiane e come attraverso il lavoro sociale ed etico si faccia legalità, ma è anche un’opportunità di far memoria ricordando Falcone e Borsellino nell’anniversario della morte.

D’altra parte, è aumentato anche il pericolo che le mafie si infiltrino con maggior forza e talvolta violenza nelle aziende e nelle attività imprenditoriali oggi sull’orlo del fallimento o gravemente debilitate a causa della pandemia. Quello che si può semplicemente ricordare è che l’aiuto delle mafie è un aiuto mortale tanto quanto quello del virus. Il virus uccide, così fanno le mafie: non è un aiuto gratuito, né disinteressato. Anzi, è tutto il contrario. Per prevenire ciò e opporsi ai metodi di stampo mafioso, il confronto con le altre cooperative è continuo e, in questo periodo, più intensificato di prima, proprio per poter costruire quella rete di solidarietà, di risposta e di difesa dei posti di lavoro etici sociali. Un subentro di realtà sociali, dunque, in sostituzione a quelle criminali, per fornire servizi necessari e garantire diritti frutto di fatiche e sfide avvenute negli ultimi quindici anni. Proprio per questo che è importante riuscire a conservarli.

Questa quarantena ha ridimensionato in parte lo stile di vita della Cooperativa sociale Al di là dei sogni. Ancor più di prima è stato infatti evidente come la possibilità di lavorare rappresenti la vera conquista della propria libertà, soprattutto per i soggetti più deboli e per tutte quelle realtà che cercano di riscattarsi da oppressioni criminali che pongono delle insidie ad ogni angolo.

Ovviamente, in un momento di difficoltà economica e di difficoltà sociale, gli stessi beni confiscati e le realtà associative possono subire un forte colpo. C’è bisogno quindi di una doppia azione, che sia volta a saldare ancora di più la rete dei beni confiscati, creando legami solidi e solidali, e a difendere quei posti di lavoro che sono stati creati per l’inclusione sociale e lavorativa.

Il peso delle organizzazioni criminali mafiose, infatti, oggi è molto forte e pericoloso, in quanto esse tendono sempre a sfruttare qualsiasi tipo di emergenze. L’attuale pandemia COVID-19 è la più grande a livello nazionale, europeo e mondiale mai verificatasi dopo la seconda guerra mondiale, ed è nient’altro che terreno fertile per attività criminali mafiose. Quest’emergenza sanitaria, infatti, porta anche ad una crisi economica, dove appunto si inserisce l’attività criminale. Avendo le mafie una grande disponibilità finanziaria, diventa imperativo rispondere immediatamente, sia con gli aiuti di Stato sia con una forte e profonda rete di solidarietà, che già dai primi giorni della quarantena ha iniziato ad attivarsi. Una rete di solidarietà

Reinventarsi è il concetto giusto per raggiungere l’al di là dei sogni. In questo momento, si sta lavorando tantissimo sui terreni nelle colture, nelle campagne, nell’erogazione dei servizi sociali, che purtroppo in questo momento sono aumentati per via delle tante fragilità degli ultimi e dei più bisognosi. Quindi non più una risposta singola, ma di comunità, le quali si uniscono ora ancora più di prima, dal nord al sud di tutta l’Italia. Bisogna essere totalmente compatti per raggiungere la realtà sognata.

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di Lydia Cogo

In questo periodo, poi, la Cooperativa ha affrontato anche un doloroso lutto: Valerio, punto di contatto per tutte le realtà associative campane del Consorzio Don Peppe Diana, è venuto a mancare. Seppure fosse malato da tempo, la sua grave perdita e l’impossibilità di ricordare rispettosamente un caro amico ed emblema in questa lotta per la legalità ed il riscatto ha scatenato una reazione virtuale. I nostri social si sono infiammati di lacrime e con grande orgoglio in molti hanno firmato la petizione per assegnare a Valerio una più che meritata medaglia al valore.

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ambiente collaterale il pipistrello disincantato tracce selvagge in primavera qualità dell’aria in quarantena la bicicletta salverà il mondo

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il pipistrello disincantato

di Valter Trocchi, Tecnico faunista ed esperto in conservazione della fauna selvatica Studi sulla diffusione storica e recente delle zoonosi dimostrano che le specie di Mammiferi selvatici rari non sono mai coinvolte, mentre le specie a larga diffusione o quelle numericamente abbondanti sono da temere, poichĂŠ i fattori di rischio sono sempre maggiori quanto piĂš risultano diffuse le forme di contatto e di promiscuitĂ con gli esseri umani. 48

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il pipistrello disincantato

Le conseguenze della pandemia di COVID-19 ci aprono gli occhi sulla necessità di un approccio scientifico e disincantato nei nostri rapporti con gli animali.

Dopo l’immane tragedia della pandemia di COVID-19, l’attenzione di tanti è stata richiamata sul possibile ruolo del pipistrello, o meglio dei pipistrelli (Chirotteri), di cui sono note ben 1.376 specie diverse nel mondo. Molti non sanno che l’Italia è il Paese più ricco in Europa di biodiversità, e questo anche nel caso dei Chirotteri, con ben 35 specie su 53, di cui 22 minacciate di estinzione. Tutte le specie sono protette, e per la loro migliore tutela il nostro Paese ha aderito all’accordo sulla conservazione delle popolazioni di Chirotteri europei UNEP/EUROBATS, che prevede la messa in campo di azioni specifiche per la salvaguardia dei pipistrelli e dei loro ​habitat​. Sappiamo che la popolarità dei Chirotteri, almeno in Europa, non gode di grande simpatia. L’immaginifico del pipistrello è storicamente condizionato dal suo aspetto bizzarro, dal dormire a testa in giù, dal fatto che diverse specie usano le grotte. Tale fama si lega anche alle abitudini notturne dell’animale, oltre che a una sua conoscenza molto superficiale. Per tutte queste ragioni, il pipistrello è stato storicamente visto come una sorta di essere demoniaco. Un’immagine tratteggiata da secoli nella pittura in genere, nell’iconografia religiosa, nella letteratura,

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nell’architettura, nei racconti popolari e così via. Pur non essendo frequente, è nota anche una fobia specifica – la ​Chiropofobia – da cui sono affette le persone che percepiscono “istintivamente” e in modo sproporzionato i pipistrelli come “possibili minacce”. Molti altri diffidano piuttosto della vicinanza di questi animali, evitando (giustamente, almeno a mani nude) di toccarli e di avere contatti con essi. Una delle ipotesi sulla nascita di queste reazioni “istintive” è che siano il risultato di comportamenti ancestrali, retaggio del processo evolutivo naturale della nostra specie, anche se certamente esagerato ai nostri occhi. Qualcosa di simile, insomma, al timore per ragni (Aracnofobia), serpenti (Ophidiofobia) e altri fattori solo potenzialmente “dannosi”, ma non per questo ingestibili. E allora perché mai i pipistrelli potrebbero essere un pericolo potenziale per l’uomo?


Tipica postura di un pipistrello durante il sonno.

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Occorre anzitutto dire che, in riferimento alla patologia COVID-19, al momento vi sono soltanto delle valutazioni basate sulla forte similitudine genetica tra il virus SARS-CoV-2 e un Coronavirus molto simile, circolante in pipistrelli del Sud della Cina. È questo virus che avrebbe compiuto il cosiddetto “salto di specie” (o ​spillover​) sull’uomo, che però, a detta degli esperti, sarebbe avvenuto dopo il passaggio su un ospite “intermedio”, forse un pangolino. Bisogna rilevare che il salto di specie sarebbe stato (e qui il condizionale è d’obbligo) favorito o determinato in qualche modo proprio dall’azione dell’uomo. Il pipistrello sarebbe dunque una sorta di “vittima” della situazione, come certamente dei suoi numerosi virus – ​con i quali sembra comunque riuscire a convivere abbastanza bene. È noto infatti che i pipistrelli “ospitano” una notevole diversità di virus, alcuni effettivamente trasmissibili

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all’uomo (responsabili di zoonosi). Questo accade soprattutto in Paesi extraeuropei: in Europa, infatti, solo il gruppo dei Lyssavirus è noto per essere trasmissibile all’uomo. Si tratta, in questo caso, di virus definiti “rabbiacorrelati”: essi sono infatti capaci di causare, a seguito del morso da parte del pipistrello, una malattia molto grave, simile alla rabbia (sempre mortale). Fortunatamente, però, i casi osservati nell’uomo o in altri animali sono rari. È comunque sempre raccomandabile non toccare i pipistrelli senza guanti protettivi, rispetto a un eventuale morso.

Il pipistrello Aurora fistulata si nutre di nettare dei fiori grazie alla lunga lingua di cui è dotato.


La vera criticità risiede nel rischio sanitario, rispetto al contatto stretto e continuo nel tempo delle persone con i pipistrelli – oltretutto senza precauzioni e precisa cognizione dei rischi. E le motivazioni non mancano. Data la notevole biodiversità dei Chirotteri nel mondo, bisogna considerare che vi sono anzitutto specie rare e localizzate, e specie molto comuni e numerose – ​tradizionalmente sfruttate anche dall’uomo per fini alimentari e commerciali. Non sempre, infatti, si ha la dovuta diffidenza nei loro confronti, al punto che in certe aree del mondo – come appunto nella regione di Hubei in Cina – i pipistrelli erano (sono?) commercializzati proprio per un uso alimentare. In altre aree dell’Asia, dell’Africa e del Sudamerica vi sono fiorenti attività di raccolta del guano (accumuli di escrementi) che si ammassa nel corso degli anni nelle caverne frequentate da enormi colonie di pipistrelli. Effettivamente il guano è un ottimo fertilizzante “bio” per tutti i tipi di piante, venendo commercializzato anche in Italia. Ma il punto non sta certo nella “salubrità” del guano, oppure nella commestibilità di certe specie di pipistrelli. Una ricerca recentemente pubblicata (Johnson ​ et al​., 2020), realizzata prima dello scoppio della pandemia di COVID-19, ha analizzato statisticamente i dati di una vastissima letteratura scientifica, giungendo a importanti scoperte. Si è infatti accertato che fino a quel momento il 75,8% dei virus zoonotici era stato condiviso dall’uomo con specie afferenti a tre soli Ordini di Mammiferi terrestri: Chirotteri, Roditori e Primati. Le specie coinvolte – appartenenti a tali Ordini – ospitano virus zoonotici non ben collegati ad altre specie di animali selvatici o a specie domestiche (altro importante d ​ river​di diffusione delle zoonosi), a sostegno della tesi che queste stesse specie possono condividere virus zoonotici direttamente con l’uomo. Un ulteriore studio (Olival e​ t. al.,​2017) ha valutato le interazioni tra la percentuale di virus zoonotici segnalati in una determinata specie e le relazioni filogenetiche (evolutive) tra le varie specie, scoprendo che i Chirotteri hanno ospitato un

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numero significativamente maggiore di virus zoonotici rispetto ad altri Ordini (anche dei Roditori). Inoltre ​– p ​ articolare molto rilevante – sono gli altri Primati a “guidare” l’effetto filogenetico nel “salto di specie” verso l’uomo. I Chirotteri sono stati più volte coinvolti in gravi recenti eventi di malattie infettive cosiddette “emergenti” – inclusa la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS), l’Encefalite da virus Nipah e le febbri emorragiche causate da Filovirus. Il gruppo di ricerca di Johnson e collaboratori di cui sopra (2020) ha scoperto anche che il numero di virus zoonotici rilevati nei Mammiferi terrestri varia positivamente con l’abbondanza e con la diffusione di questi Mammiferi a livello globale. Questa constatazione suggerisce che il rischio di trasmissione dei virus sia più alto per le specie animali più abbondanti o che hanno persino ampliato la propria diffusione a livello mondiale, essendosi adattate agli ambienti dominati dall’uomo. Tra queste specie ad ampia diffusione e a stretto contatto con l’uomo, spiccano ben 12 specie domestiche, che svolgono un ruolo critico, in quanto ospiti “amplificatori” dei virus zoonotici. Il coinvolgimento delle specie domestiche nell’epidemiologia dei virus zoonotici risulta ancora più evidente se si considera che tra le prime 10 specie di Mammiferi con il maggior numero di virus condivisi con l’essere umano vi sono 8 specie domestiche: suini (n = 31 virus zoonotici), bovini (n = 31 virus zoonotici), cavalli (n = 31 virus zoonotici), pecore (n = 30 virus zoonotici), cani (n = 27 virus zoonotici), capre (n = 22 virus zoonotici), gatti (n = 16 virus zoonotici) e cammelli (n = 15 virus zoonotici). Inoltre, rispetto alle specie selvatiche (Mammiferi terrestri), queste specie domestiche hanno ospitato in media 19,3 virus zoonotici. Le specie selvatiche hanno invece ospitato in media soltanto 0,23 virus (con un minimo di zero e un massimo di 16).

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Quali insegnamenti possiamo trarre da queste importanti ricerche? In primo luogo, emerge che le zoonosi sono trasmesse da specie animali largamente diffuse e abbondanti, con cui l’uomo ha quindi un contatto frequente, si potrebbe dire una sorta di “convivenza” o di “promiscuità”, anche in ambiente domestico. Un fatto che è oggettivamente più critico in Asia, in Africa e in Sudamerica. In secondo luogo, tra queste specie sono inclusi diversi animali domestici, che possono svolgere un ruolo molto importante. Infine, esiste una “affinità” particolare tra i Primati (uomo compreso), i Chirotteri e i Roditori: tale affinità può non solo favorire la condivisione dei virus zoonotici, ma persino facilitare lo s​ pillover​, ossia il cosiddetto “salto di specie”, in particolare verso l’uomo. Al momento è in atto un’ampia discussione sui fattori umani di alterazione ambientale (come la deforestazione e l’antropizzazione degli ecosistemi), i quali possono predisporre alla diffusione dei virus zoonotici e favorire anche eventuali ​spillover​. Se sull’origine dell’attuale pandemia non si ha ancora alcuna certezza, lo studio delle zoonosi del passato ci insegna quindi che a essere più a rischio sono soprattutto i comportamenti di stretta interazione uomo-animale protratti nel tempo e largamente diffusi. Tali interazioni si manifestano per varie ragioni.

Da un lato, l’uomo storicamente ha invaso gli ecosistemi naturali per una serie di esigenze, anche demografiche e socio-economiche (non si dimentichi l’incremento demografico in corso e le sacche di povertà o di indigenza che inducono comportamenti a rischio per le malattie, e che si associano di norma anche a povertà culturale in materia di prevenzione). Dall’altro lato, diverse specie convivono normalmente con l’uomo e si sono persino avvantaggiate dei cambiamenti ecologici indotti (si pensi a topo comune, ratto, etc.). I grandi allevamenti di animali domestici ​– dove si concentrano in pochi spazi decine e centinaia di migliaia di capi ​– sono inclusi in questi scenari. Essi possono risultare degli “incubatori” ideali, amplificando la diffusione delle zoonosi, che rappresentano una grande sfida per la salute futura a livello globale. In questo contesto, la protezione dei pipistrelli (Chirotteri), oltre a una sapiente strategia generale di conservazione e di monitoraggio degli ecosistemi, è un fattore critico per prevenire nuove pandemie. Si tratta di un problema davvero molto urgente, soprattutto nei Paesi asiatici, africani e latino-americani dove ancora esistono ecosistemi più integri e dove il fenomeno dell’esplosione demografica è largamente fuori controllo.

Olival K.J., Hosseini P.R., Zambrana-Torrelio C., Ross N., Bogich T.L., Daszak P., 2017 – Host and viral traits predict zoonotic spillover from mammals. Nature 546, 646 – 650. (doi:10.1038/nature22975). Johnson C.K., Hitchens P.L., Pandit P.S., Rushmore J., Evans T.S., Young C.C.W., Doyle M.M., 2020 – Global shifts in mammalian population trends reveal key predictors of virus spillover risk. Proc. R. Soc. B 287: 20192736. http://dx.doi. org/10.1098/rspb.2019.2736

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di Valter Trocchi

Bibliografia citata:


La volpe volante si nutre principalmente di frutti.

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tracce selvagge in primavera di Redazione collaterale Aria primaverile e strade deserte sono state una combinazione ideale per spingere la fauna selvatica ad avventurarsi in zone diverse dal solito. E così, in tutto il mondo, non sono mancati avvistamenti naturalistici davvero inconsueti.

Mentre noi umani siamo stati confinati nelle nostre abitazioni dalle misure di contenimento attuate in risposta al diffondersi della pandemia, gli animali hanno lasciato i loro ambienti abituali e sono stati avvistati nelle città di tutto il mondo. Attorno alla fine di marzo, una fototrappola, posizionata da Emilio Tagliapietra – educatore e guida della cooperativa Ecotopia, che si occupa di didattica presso il Parco delle Risorgive del Bacchiglione – e da Ruggero Piccoli, fotoamatore, ha immortalato il passaggio di un lupo proprio nell’area del parco, il quale si estende nel territorio di tre comuni minori, nell’area a nord della città di Vicenza. Tagliapietra ha riferito che “il passaggio del lupo nella zona non è poi così improbabile, dato che, pur trattandosi di un’area di pianura, presenta la caratteristica di una

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biodiversità molto marcata e data la caratteristica primordiale del lupo – ovvero il nomadismo –appare piuttosto probabile che esso sia potuto scendere dalle montagne e abbia raggiunto la zona per via del lockdown, magari seguendo un corridoio ecologico, come l’argine di un fiume”. Dopotutto, nel periodo di inizio aprile sono avvenuti altri tre avvistamenti di lupi nella provincia di Vicenza, sui Colli Berici e anche a Quinto Vicentino. “L’avvistamento di lupi”, dichiara Tagliapietra, “non è un fenomeno nuovo ma, data la riduzione del traffico dovuta al lockdown, questi animali hanno potuto muoversi con più facilità, tanto che un esemplare è stato avvistato sui Colli Berici, area che non registra la presenza di questa specie da oltre 150 anni”. Oltre a ciò, prosegue l’educatore e guida, “nel confine tra Trentino e Veneto si sono anche registrati

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degli spostamenti anomali di un’altro predatore: l’orso. Gli orsi, solitamente confinati nella zona tra la Val di Sole e la Val di Non, sono infatti riusciti a superare l’Autobrennero e il loro guardiano storico, il fiume Adige, raggiungendo così il Trentino Orientale, dove le webcam dei rifugi li hanno immortalati per la prima volta”. Non è possibile trarre delle conclusioni affrettate circa i reali effetti collaterali che la pandemia di COVID-19 ha avuto sulle specie animali, ma si può affermare sicuramente che, mentre noi eravamo confinati e chiusi nelle nostre case a combattere questo nemico invisibile, la natura si è risvegliata a primavera.


In alto, la foto che ha immortalato la comparsa del lupo nell’area del Parco delle Risorgive del Bacchiglione. A destra, lo scatto di un esemplare di orso bruno europeo, proveniente dall’area alpina, vicino a Innsbruck.

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qualità dell’aria in quarantena di Redazione collaterale febbraio

In seguito alla messa in atto delle varie misure di blocco stabilite per fermare la diffusione del nuovo Coronavirus, l’aria attorno a noi si è trasformata. Infatti, studi scientifici hanno rilevato che la concentrazione di biossido di azoto (chimicamente noto come NO2) è scesa nelle città di tutto il mondo, in modo sostanziale. Steven Bernard, un editor di design interattivo presso il Financial Times, ha esaminato i dati acquisiti dal satellite Sentinel 5 dell’ESA con l’aiuto di Descartes Labs e ha prodotto una mappa dell’inquinamento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e il risultato mostra come la qualità dell’aria sia nettamente migliorata. Nella pagina seguente una reinterpretazione del grafico di Steven Bernard, realizaata dalla Redazione collaterale. L’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) ha sviluppato uno strumento visualizzatore in grado di tracciare le concentrazioni medie settimanali e mensili di biossido di azoto (NO2) e in particolare di PM10 e PM2.5. Grazie ai dati reperiti attraverso il visualizzatore dell’AEA, sono stati realizzati i seguenti grafici che mostrano come in alcune delle città italiane più famose il lockdown abbia portato ad un miglioramento della concentrazione di biossido di azoto (NO2) nell’aria che respiriamo.

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marzo

Torino

aprile

maggio 2019 2020

Milano

2019 2020

Roma

2019 2020

Firenze

2019 2020

Venezia

2019 2020

Napoli

2019 2020

Bologna

2019 2020

Bari

2019 2020

NO2 0%

100%

Il grafico sopra mostra la media mensile di concentrazione di NO2 in alcuni capoluoghi italiani, rispetto ai valori dello stesso periodo del 2019. Il grafico a destra mostra come il lockdown abbia permesso un calo di NO2 e un miglioramento complessivo della qualità dell’aria nel mondo.

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Confronto tra i livelli di inquinamento nel 2019 e nel 2020. Il periodo di riferimento va dal 1° marzo al 5 aprile.

Los Angeles

Praga

Teheran

Milano

Mosca

Madrid

New Delhi

Londra

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Il grafico mostra l’andamento giornaliero della concentrazione di NO2 a Milano nel mese di marzo, a partire dall’inizio del lockdown.

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la bicicletta salverà il mondo di Redazione collaterale L’effetto del Coronavirus sulla mobilità sarà uno tsunami di lunga durata. Secondo le prime ricerche condotte, la paura del contagio cambierà tutto il sistema, spingendo gli utenti sui mezzi privati e allontanandoli in modo violento dal trasporto pubblico, dove ovviamente ci si ritrova a contatto più o meno stretto con un elevato numeri di estranei. collaterale

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la bicicletta salverà il mondo

Oggi più che mai, la bicicletta può svolgere un ruolo essenziale come mezzo di trasporto quotidiano negli spostamenti in città. E nell’epoca post-emergenza essa potrà rappresentare un autentico punto di svolta per una vera rivoluzione. La prima ricerca sul tema arriva dalla Ipsos Group, che ha analizzato le preferenze dei cinesi prima e dopo il blocco degli spostamenti per l’emergenza COVID-19, mostrando come l’uso dell’auto privata in Cina sia passato dal 34% al 66%: un vero e proprio ribaltamento di fronte. Parallelamente, l’uso degli autobus è crollato dal 56% al 24%, mentre i taxi sono scesi un po’ meno, dal 21% al 15%. Mistero invece sul car sharing che, sempre secondo Ipsos, dovrebbe aumentare ma che, invece,

stando al grido di dolore delle associazioni di categoria, entrerà probabilmente in una crisi profonda. Si ignora l’impatto sul trasporto ferroviario, ma è chiaro che, sulla scia di questa ricerca, anche lì si vivranno dei periodi difficili. La preoccupazione è grande, e non solo per gli addetti ai lavori di tutto il settore del trasporto pubblico. Infatti, lo spostamento verso la mobilità privata si tradurrebbe in un disastro per le emissioni nocive, per il traffico e per il costo complessivo dei trasporti.


Questa preoccupazione potrebbe aumentare ancora di più sapendo che l’inquinamento atmosferico intensifica ulteriormente l’attuale pandemia. Ben prima dei nuovi studi condotti da Harvard, gli scienziati erano già convinti che la soglia d’inquinamento atmosferico stesse verosimilmente peggiorando l’impatto del COVID-19, in aggiunta al danno di vasta portata che esso già causa. Uno studio del 2003 sull’epidemia di SARS, il parente più vicino del nuovo Coronavirus, ha evidenziato che i tassi di mortalità nelle aree più inquinate della Cina erano due volte più alti rispetto alle zone meno inquinate. “Si può scommettere che Londra e altri luoghi più inquinati avranno tassi di mortalità più elevati [a causa del virus], perché ci saranno più persone con problemi di fondo”, annunciava a suo tempo Simon Birkett, il fondatore e direttore della realtà londinese Clean Air, organizzazione di patrocinio. Gli scienziati ritengono inoltre che i virus possano legarsi con le particelle di inquinamento, riuscendo a rimanere in aria più a lungo e facendosi meglio strada nel corpo umano. In Cina, il calo dell’inquinamento derivante dagli stop imposti dal Coronavirus ha probabilmente salvato tra 53.000 e 77.000 vite – molte volte in più rispetto al bilancio diretto del virus – secondo i calcoli effettuati da Marshall Burke, uno scienziato dell’Università di Stanford, esperto del sistema terrestre. Inoltre, anche in India le chiusure imposte senza preavviso sono state devastanti, lasciando centinaia di migliaia di lavoratori migranti senza casa o senza lavoro. Ma è stato notato che a Delhi, dove l’aria è normalmente soffocata, i livelli di PM2,5 e il biossido di azoto gassoso sono calati di oltre il 70%.

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Per questo motivo, la bicicletta è il mezzo di trasporto che più di ogni altro potrà limitare la vicinanza tra le persone e che soprattutto potrà contribuire alla riduzione dell’inquinamento, evitando che il virus lo sfrutti come mezzo di spostamento per infettare l’uomo. Di recente, si sono moltiplicate le iniziative di associazioni, privati cittadini e amministratori pubblici che vanno nella medesima direzione. Un documento congiunto firmato (il 16 aprile 2020) dalla FIAB (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta) con decine di altre associazioni e realtà ambientaliste bike friendly sintetizza, in sette punti, una visione pratica per la fase 2. Al primo posto troviamo queste parole: “La realizzazione di nuove regolamentazioni e/o strutture soft, a basso costo e rapida attuazione, per la mobilità attiva (pedonale e ciclabile) e la micromobilità, estese a tutta l’utenza fragile, anche non convenzionali e in deroga al Codice della Strada. Tra esse: percorsi pedonali, corsie ciclabili in sola segnaletica, doppio senso bici, strade residenziali a 10 km/h aperte ai pedoni, strade scolastiche, intermodalità bici-TPL (Rete di Mobilità di Emergenza/Transizione)”. Nei punti sottoscritti in questo documento si trova anche la richiesta di “incentivi economici e finanziamenti per il potenziamento della mobilità attiva come alternativa all’uso dell’auto privata e complementare al trasporto pubblico” quali, ad esempio, “bonus-mobilità per i cittadini (acquisto di bici elettriche, servizi di bike sharing e micromobilità)”.

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la bicicletta salverà il mondo 64

A tal riguardo, Giuseppe Sala, il sindaco di Milano, in un messaggio sui social del 20 aprile 2020 scrive: “dobbiamo promuovere ancor più lo sharing dei veicoli in particolare bici e scooter elettrici”. Un annuncio che lascia intendere la volontà di studiare rapidamente come e dove attuare un piano della mobilità “dolce” in bicicletta che sia innovativo. Invece, spostandosi nella capitale d’Italia, sempre la Fiab propone all’amministrazione una rete di bike lanes che restringano anche provvisoriamente le carreggiate stradali: il giro delle Mura, ma anche l’asse TuscolanaNomentana, l’asse Nomentana-Ostiense, l’asse Piazza Venezia-v.le Trastevere-Circ. Gianicolense e l’asse Tiburtino da Ponte Mammolo al Polo universitario la Sapienza. Si propone la percorribilità di tutte le corsie preferenziali alle biciclette, la possibilità di parcheggiare le bici sui marciapiedi, la realizzazione di Zone 30 (dove la velocità massima consentita è pari a30 km/h), una campagna di comunicazione per la mobilità dolce e sostenibile, convenzioni con società di bike sharing e agevolazioni per acquisto bici.

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Una proposta analoga arriva da Bologna, una città ben più allenata a pedalare, che si è attivata per per affrontare la questione degli spostamenti nelle prossime fasi d’emergenza, accelerando il completamento della sua Bicipolitana. La rete, composta in totale da 493 km di linee ciclabili (di cui 145 esistenti) per connettere i principali centri abitati, i poli produttivi e funzionali del territorio metropolitano, sarà realizzata al 60% entro il 2020. Per anticiparne la realizzazione, oltre allo sblocco dei cantieri avviati e di alcuni progetti già in programma, si creeranno delle corsie temporanee di connessione per poter cucire tra loro i tratti esistenti, con il nome di “ciclabili pop-up”. Ma di cosa si tratta? Gli itinerari ciclabili pop-up sono un’infrastruttura leggera ed economica, ottenuta delimitando provvisoriamente parte della carreggiata esistente con semplice attrezzatura da cantiere e vernice, permettendo di aprire un corridoio di sicurezza alle biciclette, a favore anche d’efficienza e velocità. Su scala urbanistica, il risultato è una rete di mobilità d’emergenza. Sono ormai diverse le città che stanno allestendo simili reti di mobilità, per scongiurare il rischio di contagio e per proteggere aria e spazi pubblici.


Proviamo a uscire dall’Italia e fare un giro attorno al mondo, sull’onda dell’innovazione urbana che seguirà sicuramente l’emergenza, facendo alcuni esempi tra i più significativi.

Restando in Europa, dopo una rapida sperimentazione, Berlino sta a sua volta gettando la sua rete di ciclabili pop-up e ha già pubblicato un manuale per la progettazione con esempi molto semplici da seguire per i tecnici comunali. E poco distante, per essere pronta l’11 maggio (data del déconfinement) anche Parigi sta lavorando alacremente a una nuova rete ciclabile di emergenza.

Difatti, proprio nella capitale francese, la sindaca Anne Hidalgo ha vinto il secondo mandato (durante elezioni svoltesi proprio durante il blocco) puntando sul rinnovamento urbano e sulla lotta alla crisi climatica globale. L’amministrazione parigina ha motivato la scelta di convertire i boulevard in ciclabili di tipo pop-up per incoraggiare le persone che possono fare a meno dei mezzi pubblici a usare la bici, minimizzando così il rischio di contagio, e sostenendo lo sviluppo della ciclabilità, giudicata più adatta alle necessità dei tempi di social distancing. E infine anche a Londra, in piena emergenza COVID-19, le compagnie di bike sharing hanno lavorato d’accordo con il sistema sanitario nazionale per fornire bici gratis ai medici e al personale ospedaliero, così da permettere loro di evitare gli affolati mezzi di trasporto pubblico. Dunque, a seguito dei cambiamenti forzati cui siamo stati sottoposti dalla pandemia, in tutto il mondo sono state promosse misure virtuose per agevolare lo spostamento in bici. Accanto alle misure sanitarie vere e proprie, sembra essersi risvegliata una coscienza globale sulla necessità di abbandonare il prima possibile lo stile di vita nocivo e frenetico cui eravamo abituati, per abbracciarne invece un altro, più sostenibile per l’ambiente e, di conseguenza, per tutta la salute umana.

di Redazione collaterale

Nel mondo, le iniziative in tal senso non mancano. Il governo della Nuova Zelanda garantisce alle amministrazioni che ne facciano richiesta il 90% dei costi necessari per allargare i marciapiedi e per tracciare itinerari ciclabili pop-up. La città di Oakland ha creato una rete di 74 miglia di Slow Streets chiuse al traffico motorizzato, per favorire la socialità, a debita distanza, e la ciclabilità. Il motivo che ha spinto la città californiana a prendere questi provvedimenti è la constatazione che sono sì diminuiti gli spostamenti, ma è anche aumentata la velocità dei veicoli, con conseguente maggior rischio di incidenti. Anche Calgary, in Canada, ha cambiato destinazione alle carreggiate, mentre la capitale ungherese Budapest ha visto il contagio come un’occasione per incrementare la ciclabilità, adattando al traffico ciclistico tutti gli assi viari della città.

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benessere collaterale mente fragile in momenti critici sogni dalla quarantena sessualitĂ con nuovi desideri vibrazioni positive attivitĂ fisica in lockdown

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benessere


mente fragile in momenti critici di Redazione collaterale Lo stress emotivo – sia fisico che psicologico – altera il nostro cervello e, dunque, il nostro modo di pensare. Nello specifico, le modalità con cui ciò avviene sono diverse.

Siamo in una situazione di grave stress continuativo, tra chi sta a casa perché non può lavorare e ha problemi di tipo economico, e chi non è a casa perché sta lavorando, come gli operatori sanitari in ospedale. Perciò siamo costretti a vivere all’interno di un ambiente caratterizzato da un enorme stress emotivo. Questo stato, sia fisico che psicologico, altera il nostro cervello e quindi il nostro modo di pensare. E, in particolare, il nostro comportamento viene alterato dallo stress in varie maniere.

In una situazione di stress, tendiamo a percepire gli stimoli normalmente neutrali come delle minacce. L’equilibrio fragile tra emozione e ragione: un bilanciamento che in situazioni incerte e può portare a panico e ansia incontrollata.

In più, è anche stato dimostrato che tendiamo a ridurre il nostro concetto di cerchia (il nostro noi) a pochissime persone. Una reazione che si può

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notare in questo momento sia in casa che all’esterno delle nostre abitazioni, come d’altronde mostra anche quel che sta accadendo nei vari paesi del mondo. Le alterazioni tipicamente cerebrali che lo stress protratto può riportare nel cervello riguardano in particolare la nostra capacità di giudicare e di prendere decisioni. Il decision-making process consiste nel bilanciamento fra ragione (aspetto più razionale, che si evidenzia nella corteccia frontale) ed emozioni (legate all’amigdala). Ogni processo decisionale che mettiamo in atto prende in considerazione questi due aspetti, anche quando siamo al supermercato e decidiamo quale prodotto mettere nel carrello della spesa. Quindi ogni scelta che facciamo si basa sia sulla ragione che sull’emozione, che tuttavia non sono due aspetti separati, poichè risultano tra loro sempre collegati e bilanciati.

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mente fragile in momenti critici

Mutamenti improvvisi ed eventi stressanti possono provocare frustrazione e paura. L’aggressività cerca di garantire sia una risposta valida ai bisogni umani, che una buona difesa dai pericoli.

L’aggressività è un tipo di reazione già frequente, ma che in questo periodo appare amplificata. Essa fa parte delle aree istintuali del funzionamento cerebrale, come quello alimentare, sessuale e del sonno, ed è un comportamento appreso. Infatti, nello sviluppo evolutivo dell’essere umano rientra proprio l’aspetto dell’aggressività fisica e psicologica, che cerca di garantire una risposta ai bisogni essenziali, difendendosi dai pericoli. Tale reazione può conseguire a stati di frustrazione, paura, attacchi alla nicchia ecologica, ferite narcisistiche e senso di vulnerabilità. L’aggressività è tuttavia anche strumentale, poichè prova a ottenere quello che vuole tramite l’induzione della paura. I cambiamenti di tipo improvviso e gli eventi stressanti possono provocare frustrazione

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e paura. Studi di neuroimaging fanno emergere che l’aggressività tipicamente si associa ad alterazioni della corteccia prefrontale (la razionalità) e ad aspetti legati all’emozione, coinvolgendo l’area dell’amigdala, l’area cerebrale (che riguarda la paura e la rabbia), e quindi tutta la parte di impulsività e risposta immediata aggressiva. Dal canto suo, l’ansia è uno stato emotivo che si prova quando si percepisce un pericolo o una minaccia, più o meno imminente e grave. Si pensi ora a comportamenti spasmodici come la fuga dalle città dichiarate “zone rosse” o le corse ai supermercati – atti che hanno comportato l’effetto opposto di un aumento dei contagi anche in aree non dichiarate in allarme. Tutti questi comportamenti sono stati fondamentalmente ansiosi.

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Senza dimenticare poi le quasi eccessive ricerche rivolte a medici e specialisti, ricollegabili proprio al bisogno di rassicurazione tipico di individui in preda all’ansia. Infine, lo stress è una risposta fisiologica che si mette in atto non appena si avverte una discrepanza tra le richieste che un ambiente pone e le nostre capacità individuali. Questa specifica reazione ci permette di affrontare le situazioni mettendo in campo una quantità di energia maggiore del normale. I tre momenti di tale manifestazione risultano essere l’allarme (l’organismo si predispone all’attivazione delle risorse e delle energie necessarie), il cedimento, la resistenza e l’esaurimento. Infine, si ha un’alterazione della realtà, quando l’individuo si trova ad aver perso i propri rituali abitudinari.


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sogni dalla quarantena

di Redazione collaterale Viaggio alla scoperta del fenomeno del subconscio collettivo dei quarandreams o “sogni da quarantena�, un’esperienza onirica che sta infestando le notti di miliardi di sognatori in tutto il mondo... con risultati talvolta inaspettati. 72

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sogni dalla quarantena

In tempi di pandemia da COVID-19, sembra che molte persone stiano sperimentando il fenomeno onirico dei “sogni da pandemia” o “quarandreams”. Da qualche mese, infatti, scenari bizzarri e storie stravaganti hanno iniziato ad affollare le notti di miliardi di sognatori in tutto il mondo, scatenando la caccia a risposte più o meno scientifiche. Dal canto loro, gli scienziati non hanno tardato a farsi sentire, rassicurando la popolazione sulla natura fisiologica di una fenomenologia solo apparentemente occulta. Il contenuto dei sogni che facciamo è infatti strettamente connesso alle vicissitudini e alle sensazioni che abbiamo modo di vivere nella nostra quotidianità diurna. La situazione attuale, che vede miliardi di persone isolate in lockdown, sottrae all’attività onirica nuove fonti di ispirazione, forzando il subconscio ad attingere ad altre risorse mnemoniche. La deprivazione di ambienti e stimoli quotidiani può portare la mente ad addentrarsi in zone quasi inesplorate

del subconscio, con inevitabili ripercussioni sui contenuti dei nostri sogni. Al contempo, anche il forte carico di stress e confusione emotiva influisce fortemente sulla natura delle nostre esperienze notturne. “Normalmente usiamo la fase REM del sonno e i sogni per gestire le emozioni forti, in particolare quelle negative”, afferma Patrick McNamara, professore associato di neurologia presso la Boston University School of Medicine. “Ovviamente, questa pandemia sta producendo molto stress e ansia” e il risultato sono scenari onirici particolari e spesso persino sinistri. Immagini vivide, strane, a volte terrificanti. Attacchi zombie, dinosauri, eruzioni vulcaniche, individui mascherati… Quando non riusciamo a focalizzarci su immagini specifiche, tendiamo a costellare il nostro mondo onirico di metafore visive. Questo è il caso, ad esempio, di sogni di disastri incontrollabili come terremoti e tsunami, ma anche del classico attacco da parte di insetti e parassiti.



sogni dalla quarantena

Entrando più nel dettaglio, il dottor McNamara spiega che i segnali neurobiologici e le relative reazioni durante i sogni sono molto simili a quelli attivati dalle sostanze psichedeliche. Gli psichedelici, infatti, attivano recettori nervosi denominati recettori 5HT2A della serotonina, che a loro volta mettono in standby una parte del cervello, la corteccia prefrontale dorsale: a derivarne è la cosiddetta “disinibizione emotiva”, uno stato in cui le emozioni inondano la coscienza. L’intensità della disinibizione emotiva si proietta in una percezione amplificata, con dei cambiamenti cognitivi associati all’esperienza psichedelica. Una simile perdita transitoria di controllo si verifica anche in alcuni stati onirici vissuti durante la fase REM del sonno, cioè quella che è principalmente implicata nella produzione dei sogni. In tal caso, lo stato volitivo e intenzionale del sognatore risulta paralizzato, o comunque estremamente indebolito. Per contro, invece, il sistema tende a rilassare o inibire i meccanismi di controllo top-down, potenziando simultaneamente la dimensione emozionale, al punto da farne conseguire uno stato che può dirsi “simil psicotico”. E, a quanto pare, i risultati di queste particolari disinibizioni psicofisiche si manifestano proprio sotto forma di sogni. Bisogna infatti tener presente che durante il sonno l’essere umano attraversa ciclicamente diversi stadi, tra cui le fasi del sonno leggero e profondo, ma anche la cosiddetta “fase REM”. Nello specifico, la REM (rapid eye movement) si verifica prevalentemente nella seconda metà del ciclo notturno. Come suggerito poi dal nome, nel corso della REM l’occhio tende a muoversi rapidamente. È proprio in questo momento che la nostra attività onirica s’intensifica, restituendo alla mente sogni di forte impatto visivo ed emotivo.

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benessere

Solitamente, in una sola notte è possibile sperimentare vari sogni da fase REM, sebbene sia difficile rammentarne i contenuti. Anche dal punto di vista del benessere e dell’equilibrio psicologico i ricercatori attribuiscono al sonno della REM proprietà uniche: questo momento infatti ci aiuta a regolare il comportamento, le performance e persino il funzionamento cognitivo. Ciò accade poiché durante la REM le aree del cervello responsabili di emozioni, memoria, comportamento e vista vengono riattivate – a differenza invece di quelle legate al ragionamento logico e al movimento, che restano immerse nello stato di riposo. La consapevolezza della stretta correlazione fra gli stati emotivi e le varie produzioni oniriche umane rende molto più semplice comprendere quali siano le vere radici degli attuali “sogni pandemici”. Se è vero che quel che proviamo nel corso del giorno trova sempre il modo di riecheggiare nella nostra mente, il periodo che stiamo vivendo ci espone a esperienze del tutto peculiari, che naturalmente sono altrettanto capaci di influenzarci nel profondo. Senza dimenticare che ansia e stress accumulati nelle lunghe giornate di quarantena vanno a condizionare non solo il nostro assetto emotivo, ma anche la qualità dei tempi di riposo. Non è quindi strano che il clima iperteso dovuto alla crisi pandemica stia restituendo a molte persone un sonno discontinuo e disturbato. Secondo un sondaggio condotto dal sito Sleephelp su un campione di un migliaio di adulti, circa il 22% dei partecipanti ha riscontrato una peggior qualità del sonno in quarantena. Anche un’analisi a cura del King’s College di Londra ha rivelato che nel Regno Unito ben due persone su cinque stanno sperimentando disturbi del sonno.


Addentrandosi nel subconscio, la mente umana può dare vita a un originalissimo universo onirico, costellato dalle piÚ particolari metafore visive.

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sogni dalla quarantena

Le cause principali di tali difficoltà sembrano risiedere proprio nella paura, nello stress e negli stati emotivi che vengono alterati da crisi e incertezze suscitate dalla pandemia. Anche lo scatenarsi di fenomeni come le parasonnie (associate a frequenti risvegli) si lega a sua volta a un maggior ricordo dei sogni fatti, dal momento che svegliarsi nel bel mezzo di un incubo accresce le probabilità di rammentarlo. Dunque, sebbene a molte persone sia sembrato di aver sognato di più nell’ultimo periodo, la verità è che a cambiare non è stata tanto la quantità di sogni fatti a notte, bensì piuttosto la nostra capacità di ricordarli. Spiega il dottor Fred Coolidge, docente di Psicologia presso la University of Colorado, che gli esseri umani sognano per circa il 25% del tempo del sonno, per un totale di circa due ore a notte in media. Questi dati però non sono stati stravolti dal COVID-19: a cambiare è stata infatti un’altra variabile in gioco, ossia la nostra capacità di rammentare le esperienze oniriche avute. Nel momento in cui il mondo fenomenologico a disposizione di un individuo si restringe, l’attenzione e la percezione dei sogni sono, per contro, destinate ad acuirsi. Tanto che, stando ai risultati di uno studio avviato a marzo dal Neuroscience Research Center di Lione, in Francia, la pandemia ha causato un aumento del 35% della capacità dei partecipanti di ricordare i propri sogni. Inoltre, questi stessi soggetti hanno sperimentato, parallelamente, un incremento degli incubi pari al 15% circa. Qui in Italia, l’Associazione di Medicina del Sonno ha registrato dati simili, rilevando un aumento di incubi e parasonnie durante la quarantena. I ricercatori paragonano tali fenomeni ai sintomi del disturbo post

traumatico da stress (PTSD), evidenziando inoltre come la probabilità di sognare il virus sia direttamente proporzionale alla maggior prossimità ai focolai pandemici. È possibile sottrarsi a questi incubi? Sebbene la nostra attività onirica sia tanto affascinante quanto incontrollabile, ricerche finlandesi rivelano che la serenità è un elemento chiave nella stimolazione di sogni positivi. All’opposto, gli stati di ansia sono correlati a incubi, paura e inquietudine. Tuttavia, anche i brutti sogni hanno una loro funzione: essi rivestono un ruolo importante nel consentire all’uomo di affrontare meglio la vita diurna. Stando infatti alla threat simulation theory, i sogni si sono evoluti per permetterci di elaborare le nostre paure in ambienti con basso fattore di rischio, aiutandoci a reagire meglio davanti a quotidiane fonti di stress. Come osserva lo psicologo Ian Wallace, “nella vita siamo consapevoli solo del 2% di quel che accade attorno a noi; il restante 98% è per lo più legato alle emozioni… ed è proprio per comprendere tali stati emotivi che l’uomo sogna”. Quando le emozioni sono acuite da circostanze di crisi, “la consapevolezza dei sogni si amplifica, e le esperienze oniriche si fanno molto più vivide”, conclude Wallace. In un simile scenario, non manca ovviamente chi si impegna per cercare di tener traccia di questi sogni del tutto peculiari. Tanto che continuano a fioccare, su blog e database, surreali collezioni di stravagante materiale onirico. Negli Stati Uniti, ad esempio, è nata appositamente per questo scopo una piattaforma web con il nome autoesplicativo di “I dream of Covid”. Il sito (con relativo account Instagram) è stato presto affiancato da una serie di analoghe iniziative, tutte volte

Quando il mondo fenomenologico a nostra disposizione si restringe, l’attenzione e la percezione dei sogni sono invece destinate ad ampliarsi e ad acuirsi. 78

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a raccogliere originali testimonianze di “sogni pandemici”. Curiosamente, all’interno di questi originali archivi di esperienze oniriche condivise si intrecciano collegamenti, legami e stravaganti connessioni. Secondo gli esperti, infatti, l’outbreak virale e i suoi scenari surreali hanno “infettato” i nostri sogni in modo trasversale e a sua volta pandemico, trascendendo i vari limiti culturali, linguistici e nazionali. Nel corso di questa emergenza globale, l’umanità sta sperimentando un fenomeno raro, per definire il quale alcuni scienziati stanno usando l’espressione “collective dreaming”.

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Ed ecco dunque che persino sogni bizzarri e incubi surreali possono fornirci un’ulteriore conferma dell’impatto profondo che la pandemia sta avendo su di noi. Un impatto del tutto fuori dall’ordinario, capace di manifestarsi sotto forma di inediti effetti collaterali, tali da coinvolgere e condizionare con forza l’intero subconscio collettivo umano.

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intervista

sessualità con nuovi desideri di Redazione collaterale Intervista alla Dottoressa Maria Cristina Florini, psicologa e psicoterapeuta dell’Ausl Modena e presidente del Centro Italiano Sessuologia. 80

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In tempo di pandemia, anche la vita sessuale e i rapporti sentimentali subiscono trasformazioni e cambiamenti, a seconda delle reazioni personali e dei diversi fattori in gioco. Per avere un parere professionale sulla situazione, la Redazione ha deciso di rivolgere alcune domande alla Dottoressa Maria Cristina Florini. Quali sono le reazioni psicologiche al Coronavirus e quali potrebbero essere pro e contro dell’isolamento, sia a livello personale che interpersonale?

Il Coronavirus è entrato nelle case, nelle relazioni: amicali, lavorative e naturalmente anche di coppia. Confusione mediatica, notizie contraddittorie, fake news, incertezze sulle modalità di contagio sicuramente non aiutano la coppia a stare serena e vicina. La reazione normale è la paura: si sperimenta la paura di fronte ad un pericolo. Le strategie possibili sono l’attacco, la fuga e il freezing; impossibile attaccare il virus; fuggire sí, in parte con l’isolamento, e alcune persone hanno sviluppato una fobia sociale, si sono chiuse nelle loro case senza tener alcun contatto se non virtuale; la strategia del freezing, quello utilizzato dal topolino per sfuggire alla cattura del gatto o dai soldati nella prima guerra mondiale che si facevano vedere morti sino a quando il nemico non se ne fosse andato, determina una sorta di “attesa congelata”. Tutte queste strategie di difesa sono comunque scarsamente efficaci nei confronti del COVID-19. Inoltre la paura si può trasformare in angoscia e/o in panico, rendendo le persone poco efficaci nelle strategie e nei comportamenti messi in atto, perché la lucidità cognitiva viene meno, subissata da reazioni emotive incontrollabili. Inoltre, in alcuni soggetti si potrebbero amplificare atteggiamenti e comportamenti paranoici, e di vera e propria fobia sociale nei confronti dei “possibili positivi al virus”.

Quali sono stati gli effetti della quarantena sul rapporto di coppia e quali possono essere i motivi di squilibrio che portano all’allontanamento?

La coppia si trova in una sfida emotiva e relazionale molto importante per la tenuta stessa della relazione; infatti permanere a casa, con figli onnipresenti, in alcuni casi con genitori e/o suoceri, mette la coppia di fronte a una situazione di “costrittività”. Ricordiamoci che gli animali costretti negli zoo difficilmente si accoppiano, e quando succede l’evento di una nascita di un piccolo in uno zoo diventa mediatico. Certamente l’uomo, oltre ad essere un mammifero, ha una componente socioculturale che va oltre il biologico. La separazione o condivisione

degli spazi e dei tempi può essere complicata anche nella convivenza a due: ogni mattina si devono impostare delle routine nuove o sempre le stesse, ma che riescano a dare un ordine alla giornata, in quanto il disordine mette confusione; questo si nota in particolare nei bambini e nei figli disabili, che faticano a comprendere perchè da un momento all’altro tutta la scansione della giornata è venuta a meno. Il COVID-19 ha impattato sia nell’amore coniugale che in quello degli amanti. Costringe la coppia ad una convivenza forzata e separa gli amanti dagli incontri segreti. L’impatto più forte è sicuramente sul desiderio sessuale, la sessualità ha bisogno di spazi, di tempi, di fantasie. Il desiderio sessuale è innescato da fantasie sessuali e costituisce il primo step del ciclo sessuale. La percezione di pericolo dovuta al virus, l’angoscia per il numero di morti, la preoccupazione sulla ripresa economica e la paura del contagio sicuramente sono tutte condizioni che non favoriscono la nascita del desiderio sessuale. L’impatto sulla coppia del COVID-19 lo scopriremo fra 4-6 mesi, se ci saranno (e quante) richieste di separazioni, come è successo in Cina. Quindi un consiglio è mantenere distanza psicologica dalla paura del virus, creare uno spazio e un tempo per l’intimità di coppia, ricordando che la sessualità umana è in primis comunicazione.

Nell’ultimo periodo si è sentito parlare sempre più spesso di sexting: cos’è e che consigli si possono dare a chi vuole intraprenderlo, ma non sa da dove partire?

La traduzione è “invio di testi o immagini sessualmente esplicite tramite Internet o telefono cellulare”. Il sexting non va confuso con il teasing, quest’ultimo si riferisce allo scambio di immagini intime nei momenti più inaspettati della giornata. Il tema è che a volte le persone tentano di trasformare il teasing in sexting: questo comporta che può succedere di non tener presente il volere dell’altra/o, cioè se è ben accetto in quello specifico momento. Come per qualsiasi scambio sessuale ci si deve ricordare di rispettare l’altro/a, non pensare che l’altro/a sia a completa disposizione, la sessualità è prima di tutto comunicazione e scambio di erotismo, ove la reciprocità è importante e non la sopraffazione di uno sull’altro. Per molte persone la semplice foto può non

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essere stimolante, pertanto è importante capire quali contenuti sono graditi e ben accetti. La modalità sessuale virtuale favorisce l’egocentrismo e quindi la possibilità di dimenticarsi dell’altro/a e pensare di agire da soli, invece di valutare se quello che viene chiesto possa piacere anche all’altro ed essere stimolante eroticamente. Per chi chiede è importante non fare richieste con insistenza, se si comprende che non sono gradite dall’altro/a e. E chi le riceve deve, con modalità esplicita, far rispettare i propri bisogni, desideri, principi. In una parola, bisogna farsi rispettare. La sessualità è gioco e il gioco deve essere reciproco. Ciascuno si deve poter fidare dell’altro.

E invece per quanto riguarda l’autoerotismo o masturbazione?

Le app di incontri stanno supportando i single nel superare questo periodo di isolamento a casa. La quarantena ha poi cambiato anche le relazioni: fra convivenze sofferte, aumento di violenza di genere in famiglia, diminuzione del desiderio sessuale e distanza amorosa fra coppie stabili non conviventi e fra coppie adultere. Le app di incontri si sono modificate per adattarsi anch’esse a questo periodo, stimolando un approccio più lento per chi si incontra in chat e non si conosce, come accadeva col corteggiamento, prima che sia possibile l’incontro reale. Le statistiche sul dating online riportano che le persone utilizzano sempre di più i siti di incontri per conoscersi, fare amicizia, trovare l’amore e fare sesso. I numeri sono in aumento; fare conoscenza e incontrare nuovi potenziali partner è più semplice e immediato se si utilizzano piattaforme dedicate alla ricerca dell’anima gemella; strumenti come questi consentono di poter conoscere il profilo in modo graduale, senza fissare un appuntamento fisico immediato. Non credo che si possa parlare di lati positivi o negativi del “dating”. Ritengo sia piuttosto opportuno sottolineare che l’amore, la sessualità e la coppia sono direttamente connesse con gli aspetti sociali e culturali di una determinata società e di un determinato periodo storico. Ricordo quando, negli anni Ottanta, c’era un gran dibattito sul fatto se la televisione sostituisse il racconto di fiabe e gli spazi di dialogo all’interno della famiglia. Negli anni Duemila, il dibattito si è spostato sulla comunicazione virtuale e sui rischi… Le società si evolvono, si modificano; ogni cambiamento non è di per sé positivo o negativo, deve integrarsi a quello precedente e non divenire esclusivo. La sola esclusività di un qualcosa possa essere non è funzionale, perché in questo modo si perde “il tutto”, ci si basa solo su “una parte”, questo è il vero rischio: una frantumazione e lo spostamento su posizioni narcisistiche, che porterebbe all’annullamento della comunicazione, della relazione con l’altro, elementi costitutivi indispensabili della sessualità, dell’amore, della coppia.

di Redazione collaterale

La masturbazione in adolescenza può favorire la scoperta del corpo e del piacere, nei termini di conoscenza e consapevolezza, inoltre permette agli adolescenti, facendo rientrare l’altro nelle proprie fantasie, di sperimentare l’esperienza di accogliere l’altro in uno spazio mentale, affettivo ed emotivo. Diversa invece la masturbazione come gesto solitario e ripetitivo, che porta alla solitudine, all’impossibilità di vivere la sessualità con l’altra persona ed assume il significato di ripiegamento su se stesso/a. Questo tipo di masturbazione è più frequente negli adulti. Ci sono giovani uomini e donne che si masturbano e giovani che non lo fanno; questo non ha nessuna correlazione con una sessualità soddisfacente nel futuro. Percentualmente sono maggiori gli adolescenti maschi che sperimentano la masturbazione; questo non vuol significare che la masturbazione non sia sperimentata, anche se in percentuale leggermente inferiore, da parte delle adolescenti femmine. La masturbazione è un’esperienza possibile, non obbligatoria. Culturalmente e inconsciamente, essa assume ancora aspetti legati a tabù, anche se oggi se ne parla di più e con maggiore naturalezza. Da sottolineare che la masturbazione può avvenire anche all’interno della coppia: questo deve essere inteso come un gioco erotico, dove i due partner condividono emozioni e vissuti.

Il dating online porterà a effetti positivi oppure negativi?

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vibrazioni positive

di Redazione collaterale La pandemia ci ha costretti a ridurre al minimo i rapporti interpersonali e a limitare molto anche tutta la nostra sfera sessuale. Nonostante ciò, le pulsioni da soddisfare non si sono, naturalmente, affatto ridotte. Ad assisterci nel corrispondere a esse sono state le aziende produttrici di giochi per adulti, che hanno infatti assistito a una forte impennata delle proprie vendite in tutti i paesi del globo. collaterale

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vibrazioni positive

La riduzione della socialità ha presto portato molte persone a esplorare nuovi aspetti della sessualità, sia singolarmente che in coppia, e ha spinto molti a comprare sex toys magari mai provati prima, sperimentando e giocando in tutta sicurezza.

In Italia, nella prima settimana di marzo gli ordini per il sex toy tedesco best seller, il Womanizer, sono cresciuti del 60%, in Francia del 40% e a Hong Kong di oltre il 70%. Secondo MySecretCase, la startup che ha digitalizzato il mercato legato alla sessualità in Italia con il primo e-commerce dedicato in particolar modo alle donne, sono poi anche aumentati del 50% gli acquisti di sex toys da parte di coppie e single. Di sicuro, tutto ciò può aiutare a ravvivare la quotidianità e a diffondere “vibrazioni” positive in questo periodo di privazioni. Justin Lehmiller, esperto sessuologo, ha affermato che vedremo presto un aumento nei sex toys a controllo remoto, grazie ai quali le persone possono coinvolgersi a distanza. Questi nuovi tipi di giocattoli sono già molto pubblicizzati anche sulle pagine social delle aziende venditrici. WOVO, per esempio, è uno store di Milano che si sta appoggiando a Instagram per divulgare conoscenze e curiosità nell’ambito sessuale, proponendo anche vari toys gestibili a distanza

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illimitata, come il Magic Dante o il Ditto Vibrating Plug, utilizzabili tramite app. I social stanno diventando quindi canali di comunicazione sempre più aperti e utilizzati da queste aziende, le quali tentano di informare e dare consigli a distanza. La sopracitata MySecretCase, per esempio, spiega i desideri di stare insieme, connettersi, fare l’amore e scoprirsi, offrendo ai propri follower delle dirette con esperti del settore, toccando temi a volte considerati tabù ma che in realtà possono aiutare e rassicurare molte persone in questo periodo di reclusione. Come si può constatare, questo mercato risulta essere decisamente in espansione, in tutte le fasce d’età. Anche se i principali acquirenti nell’ultimo anno rimangono i Millennials, probabilmente più curiosi e spinti a comprare grazie alla grande presenza di informazioni sessuali in rete. L’aumento di vendite maggiore di sex toys nel mondo si è notato in Norvegia e Danimarca, le quali hanno visto un picco del 121% e del 110%, rispettivamente, nelle vendite di sex

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toys nella prima settimana di aprile. Inoltre, anche Polly Rodriguez, del sito di Unbound Babes, ha visto esplodere gli ordini del 30 e 40% nelle prime due settimane di marzo, proprio nel periodo di vendite di solito più debole dell’anno. Possiamo quindi concludere affermando che questa situazione ha portato molti a riscoprire il benessere sessuale privato e di coppia, proponendo inoltre un motivo di svago e aiutando molte persone a superare questi difficili tempi di distanziamento.

La foto a lato rappresenta l’intimità e la naturalezza del corpo, tramite l’uso metaforico della frutta.


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attività fisica in lockdown di Redazione collaterale Un’analisi visiva per raccontare come è cambiato il nostro rapporto con lo sport durante la pandemia.

Fin da subito, la quarantena ha imposto a tutti noi la necessità di ripensare le proprie abitudini – anche quelle sportive.

53,6%

Nelle prime settimane della fase 1, la Redazione collaterale ha svolto un’indagine su un campione di 250 persone per valutare se e come fosse cambiato il modo di tenersi in forma.

studente lavoratore pensionato disoccupato

In media, la frequenza di attività sportiva in quarantena è calata per coloro che si allenavano 2-3 volte a settimana (frequenza media), e anche i più atletici hanno ridotto i ritmi. Invece, c’è stato un aumento dell’attività sportiva da parte di coloro che non praticavano sport, tanto che durante il lockdown alcuni intervistati l’hanno praticato quasi ogni giorno. Per contro, la metà dei più atletici (che si manteneva in movimento ogni giorno) ha perso tutte le proprie abitudini.

37,2%

6%

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3%

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Osservando i dati sull’utilità della tecnologia nella pratica sportiva da quarantena, è stato possibile notare come proprio tra le persone che si sono allenate con maggiore frequenza sia stato ritenuto mediamente molto importante l’uso della tecnologia nella pratica quotidiana. Il dato mette in luce il fatto che i meno abituati all’attività fisica – che sono anche coloro che si sono allenati di più durante la quarantena – hanno fatto ricorso a risorse multimediali per allenarsi sia da soli sia in compagnia.

Il grafico della pagina seguente rappresenta l’adattamento delle diverse abitudini sportive in quarantena: dai super-sportivi (in colore blu) ai pigri (in colore rosso).

Livello di sportività da 1 a 5


prima della quarantena

durante la quarantena

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Le motivazioni sull’attività sportiva ale ntu e rc pe 100

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Il grafico di destra rappresenta il confronto delle motivazioni dell’attività fisica-sportiva prima e durante la quarantena.

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Analizzando le risposte sugli sport praticati prima della quarantena, si nota una maggioranza di attività fisica all’aperto (51%) ,come la corsa, il ciclismo, l’atletica, ma anche attività di gruppo (26,4%) come rugby, calcio e tennis. Mediamente non c’è stato grande squilibrio tra abitudini sportive prima e durante la quarantena, dato che il 57% degli sportivi praticava tipi di attività fisica individuale già ben adattabili ad ambienti domestici, come la normale palestra, ma anche lo yoga, il pilates e la danza.

in quarantena

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Oltre al cambiamento della frequenza settimanale, come si vede nel grafico a lato, agli intervistati è stato chiesto il motivo per cui si allenavano prima e durante la quarantena. Da ciò è emerso che anche le motivazioni sono cambiate. Nel lockdown, fare attività fisica si è legato al benessere personale, per tenersi in forma e migliorare l’aspetto fisico. Al contrario, motivazioni come frequentare le altre persone e stare nella natura hanno (ovviamente) avuto un minor successo.

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Le abitudini sportive prima e durante la quarantena

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Quanto ha aiutato l’uso della tecnologia Questa quarantena forzata e il conseguente passaggio per molti alla vita sedentaria hanno cambiato molte dinamiche dal punto di vista delle abitudini sportive. Inoltre, la tecnologia ha occupato un ruolo importante non solo nella vita sociale, ma anche per il benessere fisico e mentale. Tra gli strumenti tecnologici usati, il preferito risulta essere stato sempre Youtube.

46%

7/7

4-5

video su Youtube

30,4% App di fitness 15,6% Videocall 13,6% Dirette Instagram

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LEGENDA [grafico a destra] Numero di risposte su 250 persone

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Quanto aiuta l’uso della tecnologia da 1 a 5

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Frequenza di allenamneto 0-1 2-3 4-5 7/7 ModalitĂ di allenamento

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cucina collaterale passione cucina matti per la spesa un fresco condominio novitĂ in tavola nuovo food delivery

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passione cucina di Redazione collaterale

Sarà che, a forza di vedere gente intenta a spignattare tutto il giorno, senza null’altro da fare, siamo condizionati da un certo spirito d’emulazione... A ogni modo, in Italia stiamo riscoprendo tutti il cuoco che è in noi. Con l’emergenza Coronavirus, gli Italiani si riversano in cucina e riscoprono il piacere di preparare i pasti in casa cimentandosi con ricette e piatti che solo fino a poco tempo prima compravano già pronti nei take away dei supermercati. Gli acquisti di piatti pronti calano addirittura del 18%, con la rosticceria che sfiora i 27%. E questo anche se i supermercati e i negozi di generi alimentari restano aperti nel corso della quarantena.

Da foto e video pubblicati sui social, sembra che noi italiani non sappiamo proprio stare con le mani in mano... preferendo piuttosto le mani in pasta. Basta scorrere il cellulare per vedere che, tra una challenge e l’altra, il sabato sera diventiamo tutti pizzaioli, la domenica è il giorno del pane fatto in casa e dei dolci e durante la settimana il tempo è dedicato alla preparazione delle materie prime, utili per tante ricette diverse. Un ritorno alle origini che sa molto di “casa della nonna” e in cui la “pazienza” è la parola d’ordine.

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Parliamo in particolare della preparazione del lievito madre fatto in casa. Una ricetta semplice, con pochi ingredienti, ma che ha bisogno di molta cura e dedizione per far sì che il risultato sia davvero perfetto. Ci chiediamo il perché siamo tornati a produrre pane in casa. Forse perché abbiamo finito i libri da leggere o perché non ci fidiamo più del nostro panettiere, dato che la paura di essere contagiati ci rende tutti molto più diffidenti? La risposta sembra essere proprio un sonoro “no”! A quanto pare, infatti, il pane serve in realtà per ritrovare le proprie radici, per riconnettersi con l’Io profondo... e anche per fare pace con un mondo costretto a rallentare. Non è cucina, è meditazione. Per intraprendere questo viaggio interiore sono stati svuotati tutti gli scaffali della farina. Secondo Coldiretti si tratta di un andamento della spesa che non si era mai registrato in passato, dettato soprattutto dall’esigenza di passare il tempo fra le mura domestiche. Lo dimostra l’aumento degli acquisti di lievito di birra (+122%) di farina (+90%), di mozzarella, anche per fare la pizza (+25%), di latte UHT (+21%), così come di conserve di pomodoro (+17%) e di confezioni di zucchero (+9%), nello stesso arco di tempo.

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La preparazione casalinga dei piatti tradizionali in questo periodo è tornata a gratificare uomini e donne. Tra le mura domestiche, si cucina con il contributo di tutta la famiglia e con il coinvolgimento appassionato dei piÚ piccoli. E se in passato erano soprattutto i piÚ anziani a usare il matterello, ora la passione si sta diffondendo anche tra i piÚ giovani e tra le persone a digiuno di tecniche culinarie. collaterale

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La cattiva notizia però è che il 40% dei connazionali durante il lockdown ha accumulato peso. Dai due ai quattro chili in più, pare, coinvolgendo una maggioranza di soggetti di sesso femminile e di persone tra i 30 e i 50 anni. A rilevarlo è un’indagine realizzata da Villa Miralago (Centro per la cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare) e dalla School of Management del Politecnico di Milano, al fine di comprendere il ruolo che l’alimentazione sta avendo durante il periodo di isolamento per tutta la popolazione. “Vi è una correlazione chiara in tutta Italia tra preoccupazione economica e variazione di peso; inoltre, più della metà di coloro che hanno aumentato l’introito calorico lo ha fatto per alimentare il circolo gola-noia-nervosismo”, spiegano i ricercatori. La buona notizia è che cucinare ci aiuterà a mantenere l’equilibrio mentale durante la reclusione, perché risponde anche a un’esigenza di socialità e conforto. Che i fornelli siano diventati la principale “attività rifugio” per gli italiani è nelle immagini di Instagram e nelle conversazioni via Skype: sessanta milioni di cittadini d’un tratto mangiano sempre a casa, compreso quel 10,4% che secondo la Federazione Italiana Pubblici Esercizi prima del contagio pranzava fuori tutti i giorni, e senza escludere dal conteggio i milioni di studenti rientrati a tempo pieno nelle proprie dimore.

“Stiamo affrontando un trauma collettivo e preparare da mangiare può essere un buon modo per combattere la paura e l’ansia” afferma lo psicologo e psicoterapeuta torinese Riccardo Garofalo.

In questa situazione, la cucina lenta, condivisa con i familiari, può risultare un buon antidoto allo stress pandemico. Dunque oramai la panificazione è diventata un rito collettivo che si celebra in televisione come nei social, ma che ha anche portato a degli effetti sostanziali per il mercato. A differenza del petrolio (con valori prossimi al minimo), il grano vede le sue quotazioni in rialzo del ben +5,92%. Cosí salgono anche i prezzi del mais, a +0,66%, e del riso, a +5,07%. Come titolava il Washington Post già nel mese di marzo “le persone stanno cucinando il pane come dei matti e ora siamo senza farina e lievito”. Non siamo infatti solamente noi italiani ad aver riscoperto le gioie del pane fatto in casa, evidentemente! Anche nel mese di aprile – che ha visto protagoniste sia la quarantena che le festività pasquali – sono stati riscontrati problemi per la preparazione di alimenti fatti in casa. Come spiega spiega l’amministratore delegato di Maina, Marco Brandani, “le vendite nei supermercati di prodotti pasquali (colombe e torte) realizzati dalle aziende italiane stanno subendo una flessione nei volumi di vendita di oltre il 30%. Questa cifra, tendenzialmente in peggioramento, rischierà di mettere in seria difficoltà tutto il nostro settore di riferimento”. Ma prodotti come la colomba e l’uovo di cioccolato hanno un altissimo valore simbolico e identitario per il nostro Paese. Il rispetto di queste tradizioni ci rende uniti e meno soli... soprattutto in momenti cosí difficili per tutti quanti noi.

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Sempre secondo l’indagine Coldiretti, si è tornati a preparare dolci, pane e pasta fatta in casa, secondo una tradizione che appassiona quasi una famiglia su tre (32%). Inoltre, l’82% degli Italiani sta cercando di acquistare prodotti Made in Italy, a supporto dell’economia e del lavoro nazionale.

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matti per la spesa

di Redazione collaterale In tutt’Italia, l’esplosione dell’emergenza pandemica ha suscitato reazioni a catena in ogni ambito, incluso quello dei consumi e della grande distribuzione. Inizialmente, intere fette di popolazione sono corse nei supermercati per fare scorta di beni alimentari e non, sacheggiando gli scaffali e dando vita a degli inediti scenari di accaparramento. 96

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Domenica 23 febbraio 2020, le vendite a valore nella GDO del Nord Italia sono salite del +73,0% rispetto alla stessa domenica di febbraio 2019, con un picco del +87,0% soltanto in Lombardia.

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matti per la spesa

Appena qualche giorno dopo la scoperta dei primi casi positivi al COVID-19, i vari quotidiani hanno iniziato a riportare foto di supermercati con gli scaffali completamente vuoti. Visioni spiazzanti, simbolo di una situazione che, partendo dalla Lombardia e dal Veneto (primi focolai di positivi al virus), si è presto diffusa in tutto il Paese. Un simile “saccheggiamento” d’emergenza si è manifestato come un vero e proprio boom, causato prevalentemente dalla paura dell’imminente quarantena domiciliare e dal terrore di non potersi approvvigionare nei supermercati nei giorni a seguire.

La diretta conseguenza del fenomeno è stata, in tutt’Italia, una netta impennata delle vendite nei centri della Grande Distribuzione Organizzata. Già venerdì 28 febbraio, Nielsen rendeva pubblici i dati della crescita delle vendite nel corso della settimana precedente, tra lunedì 17 e domenica 23. Le statistiche lasciavano emergere che, rispetto alla stessa settimana del 2019, le vendite si sono impennate con un trend pari al +8,34% a valore, a parità di negozi. A trainare la crescita è il Nord Ovest, con un +11,20% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; il Nord Est segue con un +9,66%. Il +6,06% del Sud e il +4,38% del Centro sono entrambi valori positivi, ma più contenuti rispetto alla corsa ai negozi nelle aree 1 (Nord Ovest) e 2 (Nord Est). Per quanto riguarda l’e-commerce, nella stessa settimana il trend delle vendite online di prodotti di largo consumo è stato del +56,8%, in accelerazione di circa 20 punti rispetto alle settimane precedenti. Successivamente, nel corso dell’ottava settimana del 2020, gli acquisti sono aumentati ancora, stavolta in relazione a due diversi effetti.

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Nello specifico, l’effetto stock ha portato a un aumento a doppia cifra di alcune categorie di drogheria alimentare a lunga conservazione – in particolare riso (+33%), conserve animali (+29%), pasta (+25%), derivati del pomodoro (+22%), sughi e salse (+19%).

Il secondo luogo, l’effetto classificabile come “prevenzione e salute” ha portato all’aumento delle vendite delle categorie dedicate alla cura della persona. A essere cresciuti sono infatti il comparto parafarmaceutico (+112%) e quello dell’igiene personale ( +15%). I dati Nielsen evidenziano anche l’incremento generale della vendita di prodotti vitaminici da inizio gennaio fino a metà febbraio: si parte dagli integratori alimentari, con un +17,1%, per arrivare a frutta fresca o pronta per il consumo, con un +10,1% L’incremento ha dunque interessato anche i reparti del fresco, come ben evidenziato dalla Coldiretti, che ha registrato un sensibile aumento nella vendita di frutta, verdura e carne nei mercati di Campagna Amica. Ciò nonostante, Federconsumatori stima che la crescita di domande (e di vendite) per le aziende alimentari sia addirittura maggiore, con dei picchi pari al 60/70%. Una situazione che sembra abbia messo in seria difficoltà i vari gestori nel settore, tanto che, in una nota del 28 febbraio, si riferiva che per affrontare l’anomala situazione era stato necessario mobilitare “tutte le risorse interne, adeguando i processi gestionali e operando in ambito logistico per velocizzare l’afflusso delle merci nei vari punti vendita”.

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Nell’illustrazione è rappresentato l’effetto stock dei beni di consumo, che ha portato a un aumento delle vendite in quarantena. Fonte dei dati in queste pagine: Nielsen eCommerce tracking, vendite online – Week 8 2020 vs. Week 8 2019.

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Nelle nostre case vengono buttati via 2,4 milioni di tonnellate di beni alimentari all’anno... ma il cibo è un dono prezioso, che non dovremmo mai sprecare. A livello di format distributivi, la crescita si presenta piuttosto omogenea. Il trend maggiore si registra nei supermercati (+8,69%), seguiti da ipermercati (+8,61%) e discount (+8,28%). Una crescita leggermente sotto la media interessa invece specialisti drug (+7,50%) e liberi servizi (+4,44%). Ulteriori dati a firma Nielsen rivelano poi che durante il periodo di clausura l’Italia è stata interessata da un boom degli acquisti di latte, prodotti UHT (+62,2%) e tonno in scatola (+56,0%), a conferma dell’insorgere di una sorta di generalizzata “sindrome dell’accumulo”. Su questa stessa linea, si sono fatte notare anche le performance record relative alla vendita di guanti per la casa (+362,5%), di detergenti (+49,7%) e di alcol (+169,2%), in un clima di grande paura verso il pericoloso “nemico invisibile” pandemico.

Sarebbe però sempre opportuno riflettere sui propri acquisti, ad esempio chiedendosi se quel che è stato comprato nella foga sia o meno davvero necessario. Il rischio è di non riuscire a consumare nei giusti tempi tutto il cibo accumulato, innescando una deleteria catena di sprechi.

Da un lato, l’emergenza e la conseguente psicosi possono rendere ardua una buona gestione degli approvvigionamenti da parte dei ristoratori, i quali (non potendo pianificare in modo realistico l’afflusso di clienti) hanno difficoltà ad attuare le pratiche necessarie a minimizzare gli sprechi. In secondo luogo, tutti questi acquisti eccessivi da parte della popolazione possono a loro volta portare a un’errata pianificazione della spesa. In entrambi casi, la pericolosa conseguenza è l’aumento degli sprechi, un risvolto che bisognerebbe sempre evitare. Non a caso, nonostante il periodo di crisi generale, continua a levarsi alta dal Banco Alimentare la richiesta di prestare comunque grande attenzione allo spreco alimentare, per non perdere di vista comportamenti virtuosi, nel rispetto del mondo e di tutti noi.

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Delle possibili conseguenze negative del rapporto fra consumi alimentari e crisi da Coronavirus si era del resto parlato anche prima dello scoppio dell’emergenza in Italia. A margine dell’edizione 2020 del festival del Giornalismo Alimentare, Milvia Panico (di Metro Italia) aveva infatti già espresso la preoccupazione che l’epidemia potesse incidere sullo spreco di cibo in vari modi.

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L’iilustrazione di destra rappresenta l’impennata delle vendite rispetto alle varie zone d’Italia. Nell’illustrazione in basso invece si mostra la crescita rispetto ai vari format distributivi.

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un fresco condominio di Redazione collaterale

Durante la quarantena, per molte persone è stato difficile uscire di casa anche solo per andare a fare la spesa. Proprio per rispondere a questa necessità, Enrico Pandian ha deciso di proporre la soluzione di FrescoFrigo, in modo da portare la spesa direttamente nei complessi residenziali del Social Village Cascina Merlata, presso Milano. FrescoFrigo è la startup italiana che ha sviluppato un nuovo concetto di retail, andando a posizionare cinque frigoriferi intelligenti, che occupano solo 1 mq e che sono accessibili 24 ore su 24, sette giorni su sette, per soddisfare le esigenze delle oltre 900 persone residenti nei 397 appartamenti del complesso. L’idea è stata quella di creare un vero e proprio retail, compatto e ben assortito, per permettere ai condomini di acquistare generi alimentari senza dover uscire dal complesso residenziale. In tal modo, si è cercato di aiutare le persone a rispettare le norme dettate dall’emergenza del Coronavirus e a evitare lunghe file ai supermercati, abbassando il rischio di contagio.

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L’assortimento presente all’interno dei FrescoFrigo è fornito da retail locali e prevede un product mix di cibi sani e freschi, che spazia da piatti pronti a frullati, da frutta a verdura, da bevande a salumi e formaggi, includendo ingredienti di base come uova, latte, pane e l’ormai quasi introvabile farina. I prezzi dei prodotti in vendita all’interno dei dispositivi FrescoFrigo risultano identici a quelli esposti nei tradizionali canali di vendita. Per sbloccare e aprire il frigorifero non basta che un’app. Difatti, dopo che i condomini hanno visionato i vari prodotti dalla vetrina frontale, è sufficiente scegliere gli articoli di cui si ha bisogno e, come ultimo passo, concludere l’acquisto semplicemente chiudendo la porta del frigo. Successivamente, sarà il sistema stesso a rilevare l’operazione e ad addebitare al cliente il costo dei prodotti scelti, in diretta connessione con il sistema di pagamento inserito sull’app al momento dell’iscrizione iniziale, attraverso dunque carte di credito o buoni pasto elettronici.

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A quanto pare, questa tecnologia non rimarrà un’esclusiva del Social Village Cascina Merlata. Infatti, i proprietari e gli amministratori di spazi condominiali con più di 200 residenti potranno a loro volta richiedere l’installazione di FrescoFrigo, in modo da avere accesso a “qualsivoglia necessità dalla mattina alla sera, spuntino notturno compreso, anche in pigiama e ciabatte”. “Dopo aver installato i frigoriferi intelligenti in numerose realtà italiane [...] ci siamo fermati a pensare come potevamo aiutare le persone in questo periodo di emergenza da Coronavirus. Cosí abbiamo messo a punto la nostra esperienza e capacità tecnologica, per portare alla gente il supermercato, dove acquistare i generi alimentari senza uscire dal proprio complesso residenziale, senza lunghe code, sentendosi tutti più sicuri” (Enrico Pandian, ideatore e fondatore di FrescoFrigo).


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novità in tavola

di Redazione collaterale Durante la quarantena sembra impossibile pensare di tornare a mangiare insieme ai propri amici nel ristorante preferito, per poi andare a ballare in un qualche locale notturno divertendosi fino all’alba... Nel mese di aprile, infatti, l’apertura dei ristoranti e dei locali è vista come un avvenimento ancora lontano. In Italia, la previsione è proiettata piuttosto verso la metà di maggio, secondo le disposizioni sancite dalle autorità. 104

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Durante i giorni di quarantena e di forzato isolamento, si è pensato molto a delle soluzioni atte ad agevolare le riaperture sicure dei ristoranti e, in generale, di tutti il luoghi legati al settore inerente l’ospitalità. Una delle novità più rilevanti emerse dal periodo in cui sono apparsi i primi casi in Lombardia e Veneto è la crescita del delivery, ancora utilizzato molto in Cina, nonostante la fine del lockdown. Tuttavia, per ovvi motivi questa non potrà essere l’unica soluzione adottata dalle imprese per salvarsi dalla crisi.

Accettare una nuova idea di ristorazione sarà un passo necessario e inevitabile per l’intero settore. La prima necessità riguarderà l’igiene, che cessa di essere solo diritto del cliente e dovere del ristoratore, divenendo invece un obbligo del cliente e, di conseguenza, un diritto del ristoratore. Se da sempre è normale aspettarsi che sale e bagni siano puliti e che il personale sia ben curato, con la riapertura il picchetto dei requisiti di igiene si alza ulteriormente. Anche il tema del distanziamento sociale diviene scottante. Aumentare le distanze significherà verosimilmente ridurre i coperti, con un conseguente aumento dei costi, che graverà inevitabilmente sull’utenza. Per attutire il colpo, si potrebbe cercare di agevolare il settore portando avanti insieme l’eccellenza del Made in Italy, impegnandosi nel valorizzare e prediligere i prodotti italiani. Così si aiuteranno i vicini, il portafoglio e la salute, grazie ai benefici offerti dai prodotti tipici della dieta mediterranea. Se i ristoranti sembrano poter avere a portata di mano soluzioni adatte per riaprire, i locali notturni navigano ancora in acque alte. Il grido d’allarme per il settore l’ha lanciato per primo Maurizio Pasca, presidente nazionale di Silb, sindacato che riunisce i locali da ballo italiani. Responsabilmente, questa categoria, offrendo servizi dove l’affollamento è inevitabile, è stata tra le prime a chiudere (già a febbraio).

Attualmente, quel che preoccupa di più è proprio la prospettiva di riapertura, che per alcuni potrebbe avvenire in forma totale soltanto nel 2021, causando una chiusura del 70% delle attività. Maurizio Pasca suggerisce comunque di provare a sfruttare l’emergenza come occasione di cambiamento, specialmente in relazione al fatto che la movida è spesso “sfuggita di mano”. Già prima della crisi c’era bisogno di sicurezza e progetti alternativi di divertimento, capaci di tutelare la serenità di tutti i cittadini. Intervenire è necessario, perché, dice Pasca, “nessuno pensa che i giovani staranno a casa per un anno. Saranno comunque preda dell’abusivismo commerciale delle feste clandestine”. La voglia di cambiare le cose passa da due strade diverse, ma tra loro legate. Da un lato, la creazione di un nuovo tipo di divertimento, più sicuro, più controllato e più idoneo al periodo. Dall’altro, l’armonizzazione tra il bisogno di quiete della comunità e un aiuto rapido e concreto a una categoria che ha bisogno di tutele già in fase 2, e non solo dal 2021.

Senza recitare de profundis ai locali o alla ristorazione, si può prendere atto che le trasformazioni possono essere occasioni. È infatti possibile sfruttare il momento attuale per chiudere il sipario su uno scenario oramai obsoleto, aprendolo su nuovi punti di forza e su una maggior inclinazione a evoluzioni socialmente positive. Per esplorare le possibilità che i locali avranno davanti nei prossimi mesi, abbiamo provato a simulare, passo dopo passo, l’esperienza di un pasto in un ristorante attrezzato in sicurezza. A seguire, ecco la nostra narrazione.

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Ci siamo. Siamo alla porta d’ingresso. Ci avviciniamo e, senza toccare maniglie, ci ritroviamo subito all’interno della sala del ristorante. Abbiamo attraversato la soglia di una sliding door, di quelle che si aprono in automatico, senza bisogno di maniglie – che sono un concentrato di microbi assolutamente da evitare. Stiamo entrando. Dove muoviamo il primo passo? Su un tappetino, che al solo calpestio delle scarpe nebulizza del disinfettante. A proposito di gocce, se ora avessimo con noi un ombrello lo potremmo immediatamente riporre nel portaombrelli, che è di sicura e facile accessibilità. È invece assolutamente vietato giungere in sala e in prossimità del tavolo assegnato con i nostri soprabiti. Li lasciamo dunque al guardaroba, posizionato vicino all’entrata. Mai più vestiti a contatto con tavoli, sedie e schienali; niente più appendiabiti piazzati sulle pareti vicine! Il vano del guardaroba è invece propriamente allestito, con grucce tutte ben distanziate e sostanze disinfettanti nebulizzate, che si aggiungono a quelle liquide, collocate negli appositi dispenser. E cosí, con le suole delle scarpe pulite e ben disinfettate, i soprabiti riposti nel guardaroba e l’eventuale ombrello adagiato come si conviene nel portaombrelli, ci rechiamo al tavolo a noi assegnato, seguendo le indicaziono del maître o del cameriere in sala.

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E ora che si fa? Ci si avvicina subito al tavolo e si prende posto come al solito? No, nient’affatto! Infatti, nel pieno rispetto del diritto-dovere igienico, bisogna recarsi prima al bagno. Anche in questo spazio, sliding door, pulizia accorta e dei dispositivi sanitari idonei garantiscono l’igiene totale, impedendo, ad esempio, il contatto tra le mani e le manopole di rubinetti e di dispenser del sapone. Per asciugarsi le palme delle mani, è sufficiente un getto di aria calda emesso da una macchina situata accanto al solito disinfettante, sempre disponibile. Torniamo dunque al nostro tavolo, con una rassicurante e solare sensazione di pulito addosso. Intanto, tutti gli operatori attorno a noi continuano a muoversi di qua e di là con indosso i guanti e le mascherine. Allo stesso tempo, anche l’intera brigata al lavoro nelle cucine veste indumenti igienici e sanificati. Questo sarebbe il momento in cui il cameriere ci porge il menù, con la carta dei vini. Ma in questo nuovo contesto igienico, l’andirivieni di tali oggetti potrà essere sostituito da un menù nient’affatto cartaceo, ma configurato piuttosto come un servizio fruibile tramite il nostro smartphone. Siamo infatti entrati nel locale con i telefoni accesi e funzionanti, e tramite essi la tecnologia “beacon” (basata sul Bluetooth) ha permesso all’app del ristorante di riconoscere la nostra presenza, abilitandoci alla fruizione dei vari servizi.

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Ora invece le posate arrivano a tavola a tempo debito e i tavoli sono ben distanziati. Un assetto che non solo consentirà un lavoro più agevole ai camerieri, ma anche il transito di guéridon o simili, con cui si potranno avvicinare le posate al tavolo. Queste saranno prelevate nel medesimo istante da un contenitore asettico, venendo sistemate dinanzi a noi dal cameriere, sempre provvisto di guanti. Cosí anche calici, pane e tutto quel che occorrerà servire. Dal “predisporre in tempo anticipato” siamo passati al “disporre just in time”.

Il pasto è ormai concluso e dobbiamo alzarci da tavola, auspicabilmente lieti dell’esperienza appena vissuta. Andiamo al guardaroba, ci ricordiamo del nostro eventuale ombrello, salutiamo educatamente e scivoliamo fuori dalle sliding door, accomiatandoci. Ma cosa accade adesso intorno al tavolo lasciato libero? Lo staff inizia a sbarazzare tutto, facendo transitare il necessario in una plonge (area lavaggio) e liberandosi degli scarti. Segue la pulizia certosina di tavolo, sedute e pavimento. Le tracce del nostro passaggio nel locale vengono cancellate: il patto igienico è stato rispettato, per un’esperienza sana e positiva per tutti.

Una volta consumato il pasto, arriverà il momento di chiedere il conto. Niente più camerieri in andirivieni con fogli nel saldaconto, POS e carta di credito; niente più PIN digitati sulla tastierina e carte ritirate assieme a rotoli di ricevute cartacee. Troppe mani e troppi polpastrelli toccherebbero tutto! Da ora in avanti, si pagherà invece mediante lo smartphone, abilitato dalla stessa app d’ingresso. Tutto sarà veloce, immediato, “paperless” e – soprattutto – “touchless”.

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di Redazione collaterale

Con i nostri tempi, scegliamo cosa mangiare e cosa bere. Poi, una volta pronti, comunichiamo le scelte al maître o al cameriere. Nell’attesa dei piatti, ci mettiamo a osservare meglio la mise en place. Quanto è spartana! Ci tornano in mente i tempi pre-Coronavirus, con quegli allestimenti tutti così doviziosi, fatti di minimo quattro calici, otto posate e cosí via...

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food delivery come non lo avete mai visto

di Redazione collaterale Il periodo di crisi ha stimolato reazioni da parte di imprese e ristoratori, per supportare le varie realtĂ del territorio italiano, ampliando la rete del delivery e permettendo la prosecuzione delle attivitĂ , giungendo direttamente alle case dei clienti. 108

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Tra marzo e aprile, si è assistito a un inevitabile cambiamento delle abitudini alimentari degli italiani, costretti dall’emergenza a restare a casa e a lavorare da remoto. Ad esempio, tra bar e ristoranti chiusi, Just Eat – una tra le app più utilizzate nell’ambito del food delivery – ha registrato che in questo periodo ben il 60% degli intervistati ha ordinato cibo da asporto. Le impennate più rilevanti hanno riguardato, a quanto emerge dai dati, il gelato (al 133%) e gli ordini in formato famiglia e gruppi e poké (al 124%). Sono poi risultati in crescita anche i menù dedicati ai più piccoli e quelli per il pranzo. Non si può infatti scordare che, nonostante il lockdown in casa, per chi lavora non resta molto tempo per cucinare. Nei giorni di festa, invece, non cambiano le abitudini, tanto che si riscontra un aumento di birra e vino, per esempio. A darne notizia sono i dati di Winelivery, che nei primi 18 giorni di febbraio ha avuto un aumento delle consegne di alcolici del 240% a Roma, del 230% a Milano, del 220% a Bergamo. Ecco perchè sempre Winelivery (un servizio attualmente attivo a Milano, Bologna, Torino, Napoli, Roma, Catania, Firenze, Prato, Bergamo e Rimini) ha scelto di potenziare le proprie consegne garantendole in tempi di 30 minuti, e irrobustendo anche la sicurezza generale. Inoltre, il servizio ha aperto uno spazio dedicato ad aperitivi e snack, offrendo nuove opportunità per non far abbandonare agli italiani abitudini ormai consolidate, come il rito (e trend) dell’aperitivo.

Si tratta di soluzioni alternative e nuove, specificamente dedicate a chi sceglie, responsabilmente, di non uscire di casa. Anche a Roma si è provato a seguire le stesse orme del delivery, ad esempio con Homebeer, il primo servizio dedicato interamente alla consegna a domicilio di birra artigianale. L’attività – che effettua le consegne con degli scooter elettrici, dunque nel rispetto dell’ambiente – si basa su una piattaforma ideata e fondata da due giovani studenti romani, Andrea e Tommaso.

L’idea sorge dalla volontà di unire la qualità della birra artigianale delle birreria più vicine a casa alla comodità di gustarla sul proprio divano. Il tutto con il gradevole accompagnamenti di cibi selezionati proprio in base al tipo di birra scelta. Una simile strategia permette di offrire un servizio di delivery e di e-commerce non tradizionale, capace di far incontrare l’offerta di piccoli birrifici – spesso poco conosciuti e a conduzione familiare – e le domande di clienti esigenti o semplicemente alla ricerca di sapori nuovi.

Il delivery sta dunque venendo in soccorso di coloro che hanno difficoltà a fare la spesa o a prepararsi pasti completi in questa quarantena. Tra le misure di sostegno rientra anche l’iniziativa promossa da Menù, che coinvolge tutte quelle imprese, piccole e medie, appartenenti al settore della ristorazione (da ristoranti e pizzerie a macellerie e gastronomie) e al contempo in grado di garantire una consegna a domicilio in tutt’Italia, portando pasti pronti direttamente nelle case degli italiani. Con #ristoriAMOci a casa si promuove infatti la consegna a domicilio da parte dei produttori di generi alimentari e dei ristoratori, ormai obbligati a reinventarsi. L’iniziativa si accorda anche con la volontà di tutelare i cittadini dal contagio. Rodolfo Barbieri, presidente di Menù, ha a tal proposito affermato che “a fianco dei grandi nomi della ristorazione, ci sono migliaia di piccole e medie realtà che ce la stanno mettendo tutta per affrontare questa situazione, cercando di diversificare nella consegna a domicilio”. Inoltre, un aspetto ancora più importante è, sottolinea ancora Barbieri, “l’aiuto che insieme possiamo dare agli italiani, soprattutto alla popolazione più anziana e in difficoltà, mettendo a loro disposizione specialità alimentari e piatti buoni preparati dai tanti ristoratori, chef e gastronomi che stanno faticosamente continuando a lavorare con un servizio di consegna a domicilio”.

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Un’altra realtà che si è mossa in aiuto dei ristoratori è anche Ristoacasa.net, una piattaforma digitale già attiva, a disposizione di tutti gli esercizi (dai ristoranti ai vari bar, dalle gelaterie alle pasticcerie) che desiderano fornire agli utenti le informazioni necessarie a richiedere il servizio di consegna a domicilio (telefono, indirizzo, sito web, tipologia di cucina e fascia di prezzo).

A lato e nella pagina successiva, illustrazioni di Greta Anzalone

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Ma come si relazionano tutte queste iniziative con il timore del contagio provato dai cittadini? Secondo il 65% dell’utenza, il fatto che il fattorino indossi mascherina e guanti è – giustamente – essenziale. Risulta dunque indispensabile adottare ulteriori misure di sicurezza, sia per la tutela di chi ordina, sia, soprattutto, per tutti i ragazzi che effettuano migliaia di consegne ogni giorno. Sanificazione continua delle bag di delivery e disinfezione pre e post consegna sono solo alcune delle precauzioni che l’emergenza sanitaria impone. Di base, tutti i fattorini dovrebbero essere dotati di soluzioni alcoliche, mascherine e, naturalmente, di guanti monouso. Domino’s Pizza ha già da qualche settimana attivato una modalità per cui, dopo aver ordinato la pizza online sul sito o tramite l’app, si può richiedere il servizio contactless delivery, specificando se si preferisce la consegna alla porta o all’androne d’ingresso. In tal caso, a differenza di quanto accade per una consegna tradizionale, il driver appoggia i prodotti sullo scooter, se si sceglie la consegna all’androne, oppure davanti alla porta di casa al piano; poi si allontana e il cliente può ritirare il pasto.

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Anche il servizio Deliveroo ha lanciato una nuova funzionalità simile, consentendo di scegliere la consegna contactless quando si effettua l’ordine via app e sito dell’azienda. I rider, avendo verificato se il cliente ha selezionato tale opzione, possono posizionare la borsa termica aperta a terra, fuori dalla porta, e attendere che il cliente ritiri il cibo. Sempre per evitare contatti in fase di consegna, anche Just Eat ha attivato, per tutti gli ordini pagati con carta di credito o PayPal, la modalità di consegna contactless, imponendo l’ormai solita distanza interpersonale minima di un metro nello scambio. In tutto ciò, lo sviluppo del digitale nel settore sta rendendo sempre più manifesto il proprio potenziale, offrendo possibilità non ancora sufficientemente esplorate e messe a frutto. In Italia, ad esempio, pare sia soltanto un 18% del mercato a declinarsi anche in forma digitale. In questo senso, la pandemia in corso ha avuto l’effetto collaterale di spingere nuovi clienti e ristoratori ad avvicinarsi a soluzioni nuove, come appunto il take away digitale.

In molti casi è stato stimolato un mutamento radicale delle abitudini di consumo e business, con più attenzione proprio alle piattaforme virtuali. Un trend diretto all’innovazione, dunque, che ci si augura possa continuare a crescere anche in futuro. La speranza è di riuscire, anche in questo caso, a trasformare l’arduo momento di attuale difficoltà in un’occasione di fertile sperimentazione. Cosa che potrebbe avvenire, ad esempio, proprio esplorando più a fondo il grande potenziale di sviluppo della digitalizzazione nel mercato della ristorazione, finora non sufficientemente nutritosi delle innovazioni tecnologiche.

di Redazione collaterale

“Spesso il cibo rappresenta una coccola” prosegue il presidente di Menú “e mai come in questo momento si sente l’esigenza di confortarsi con qualche prelibatezza preparata da quelli che possiamo definire gli artigiani del gusto, ovvero i tanti bravi professionisti presenti in tutta la Penisola”. Anche per questo è stato attivato uno strumento (nato su iniziativa della Federazione Italiana Pubblici Servizi) che consente di individuare i locali che fanno delivery, inclusi quelli che hanno scelto di gestirlo con i propri mezzi, sfruttando le risorse umane aziendali ed evitando – per evidenti ragioni di economicità – di appoggiarsi a fornitori esterni. Nello specifico, tale servizio permette agli utenti di circoscrivere l’area di ricerca dei ristoranti e di individuare quelli situati a una specifica distanza dalla propria abitazione.

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tecnologia collaterale gioco positivo con Virus+ no gamer over per i videogame app pandemiche lavoro e formazione a distanza

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intervista

gioco positivo con Virus+ di Redazione collaterale Intervista ai tre creatori di Virus+, progetto che unisce l’aspetto ludico di un gioco arcade con la diffusione di messaggi e aspetti positivi emersi durante l’emergenza. 116

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Cos’è Virus+ e qual è l’obiettivo finale?

Virus+ è un browser game e un progetto comunicativo in cui abbiamo voluto unire l’aspetto ludico di un gioco arcade con la diffusione dei tanti messaggi e aspetti positivi che una situazione del genere, nonostante d’emergenza, ha creato.

Quando e come è nata l’idea del gioco?

L’ idea del gioco è nata a metà marzo 2020, dopo la lettura dell’ennesima notizia negativa. Da subito ci è piaciuto il concept di rendere “virale” qualcosa di positivo e “combattere” contro le cellule del virus, un modo giocoso per esorcizzare la paura e l’isteria che si stavano diffondendo nel periodo iniziale della pandemia e anche per intrattenere le persone durante lunghe giornate di quarantena. Così ci siamo messi subito al lavoro.

Come state portando avanti il progetto?

Per il momento ci stiamo occupando di apportare dei miglioramenti tecnici al gioco e stiamo continuando a lavorare sull’aspetto divulgativo e comunicativo. Avevamo previsto che con la fine della quarantena forzata e l’allentamento di alcune misure le persone avrebbero passato meno tempo davanti al computer, quindi per il momento non stiamo considerando ulteriori sviluppi in termini di gameplay.

Chi siete e cosa fate nella vita?

Noi siamo tre giovani professionisti del settore IT. Abbiamo sviluppato questo progetto sperando che possa intrattenere e divulgare la positività anche in un momento difficile come questo.

Quali sono state le fonti d’ispirazione?

Sicuramente il famoso gioco arcade Space Invaders per l’estetica generale e la modalità di gioco mobile. Per la modalità di gioco desktop la nostre fonte d’ispirazione primaria è stata Reacteroids, progetto open source che abbiamo modificato tenendo a mente il nostro concept.

Come avete cercato di far conoscere Virus+?

Abbiamo preparato un piano comunicativo per Facebook e Instagram, creando dei post e delle sponsorizzazioni apposite con cui comunicare l’essenza del progetto. Inoltre, ci siamo attivati anche contattando blogger e influencer e soprattutto coinvolgendo la Fondazione La Stampa - Specchio dei Tempi impegnata nel raccogliere donazioni e fondi per la lotta al COVID-19. Il progetto è stato accolto molto positivamente da tutte le persone con cui ci siamo interfacciati, arrivando al piccolo grande traguardo di una pubblicazione di un articolo proprio su La Stampa, che ci ha dato ancora più visibilità. Per il resto, abbiamo cercato di spammare il progetto il più possibile attraverso tutti gli strumenti possibili (Whatsapp, Telegram, LinkedIn e altri). Uno spam positivo, di nuovo. ;)

Luca Miniucchi è l’ideatore e il designer

dell’idea. Abituato da sempre a vedere il bicchiere mezzo pieno, ha pensato di creare Virus+ sperando che possa diventare virale e aiutare a raccogliere fondi per la terapia intensiva contro il COVID-19. E anche far divertire un po’ durante le lunghe giornate di quarantena.

Simone Filippo Antonicchio si è occupato

dello sviluppo del gioco. Contattato dal suo caro amico e collaboratore Luca si è dimostrato subito entusiasta per l’idea – non per niente viene definito “il gasato” dai suoi amici. In vera etica Hacker, gli piace contribuire nel suo piccolo ad aiutare il prossimo in questa situazione e sfrutta la sua arma migliore, la tastiera.

Brian Baldovino, detto Brax, il più giovane del trio, si è occupato nel suo piccolo di una parte dello sviluppo del progetto. Sempre disposto ad aiutare quando possibile con i suoi mezzi brandizzati con la mela.

Quali reazioni avete raccolto finora?

A livello di engagement con il sito web, i posts e i nostri contenuti abbiamo ottenuto ottime reazioni. Molti professionisti del settore, da designer a programmatori a project manager e a professionisti della comunicazione ci hanno fatto i complimenti per l’idea e per la sua realizzazione. In termini di numeri assoluti il progetto non è decollato come speravamo, ma era una cosa che avevamo messo in conto considerato il nostro budget ridotto. In generale comunque abbiamo avuto un riscontro positivo e tutte le persone che abbiamo raggiunto hanno reagito con entusiasmo e positività. :)

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no game over per i videogame di Redazione collaterale

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In un periodo in cui il mondo è bloccato a causa del Coronavirus, l’interesse verso l’intrattenimento videoludico è aumentato in modo esponenziale. Le misure di blocco applicate in molti paesi hanno influito sui mercati sia fisici che digitali. Dal canto suo, il mondo dei videogiochi sta avendo un ruolo fondamentale nell’aiutare le persone a distrarsi e a tenersi occupate. Si è notato, ad esempio, un forte aumento del numero di spettatori di Twitch, così come anche degli utenti simultanei su Steam. Parallelamente, durante la settimana tra il 16 e il 22 marzo i maggiori produttori di intrattenimento hanno visto un aumento del 63% rispetto alle vendite di partite registrate nelle settimane precedenti.

Giochi come Animal Crossing: New Horizons e Doom: Eternal hanno cavalcato questo lockdown, incrementando le vendite fisiche; in tutti i 17 mercati al dettaglio fisici, le vendite dei giochi sono aumentate del 82% su base settimanale. Le persone rimangono quindi molto attaccate all’aspetto materiale del mondo dei videogiochi. La pandemia sembra poi aver invertito la rotta delle vendite di alcune console: se con il debutto di PS5 e Xbox Series X si pensava ad un drastico calo nelle vendite di console della corrente, nell’arco di una settimana (sempre tra 16 e 22 marzo) si è invece registrato un aumento delle vendite di PS4, Xbox One e Switch del +155% (259.169 unità). Il campo dei download digitali rimane comunque dominante, con un ’incremento importante del +52,9% e 2,74 milioni di giochi, in 50 diversi mercati. In questi dati non sono comprese le vendite digitali di Animal Crossing: New Horizons e Doom: Eternal, ritenute le

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uscite più importanti di queste settimane (si noti che né Bethesda né Nintendo condividono le loro figure di download). Con il blocco attivato alcune settimane fa, quest’incremento di download risulta ancor più significativo. In Italia e in Francia sembrano essere diminuite le vendite fisiche, a fronte di un grande aumento di quelle digitali. Nel nostro Paese, infatti, durante la prima settimana di lockdown le vendite dei download digitali sono aumentate del 174,9%; anche se nella settimana successiva esse sono diminuite di poco, si è comunque rimasti sempre ben al di sopra della soglia di normalità che risulta relativa al territorio italiano. Durante il lockdown, il mondo dei videogiochi non ha quindi subito alcun game over, anzi. Le prossime settimane lasceranno certo emergere nuovi dati significativi a tal proposito, mettendo in luce come le persone stiano reagendo al blocco globale acquistando sempre più forme di intrattenimento digitale, fruibile dalle proprie case. D’altro canto, persino l’OMS si è infine spinto ad affrontare l’argomento, giungendo a consigliare l’uso dei videogiochi per meglio convivere con i cupi scenari di pandemia e quarantena.

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app pandemiche di Redazione collaterale Il periodo di pandemia che stiamo vivendo sta spingendo sempre di più le aziende verso lo sviluppo tecnologico di piattaforme e programmi per la cura e per l’intrattenimento.

Nel campo delle applicazioni da mobile, di recente l’attenzione si è spostata in particolar modo su quelle che potrebbero essere le ufficiali app “anti-pandemia”. Prima tra tutte, in Italia, svetta Immuni, nominata dal Governo e creata da Bending Spoons, nota software house milanese. In uscita a fine maggio, Immuni è stata criticata ancora prima che ne venisse spiegato l’effettivo funzionamento: il metodo di contact tracking è infatti stato argomento di discussione per via del rischio di “sorveglianza di massa” che ne potrebbe conseguire, mettendo in discussione (secondo i detrattori) anzitutto la privacy delle persone. Ma come funziona effettivamente l’app Immuni? I passaggi sono semplici. Di base, l’applicazione consente infatti di ricostruire i contatti tra le persone, dalle relazioni entro la cerchia dei conoscenti agli incontri casuali. All’interno di Immuni sono presenti principalmente due funzionalità: un tracciamento attraverso segnali

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Bluetooth di prossimità tra due telefoni e un diario clinico. La prima funzionalità serve per avvertire chi potrebbe aver avuto contatti con la persona contagiata, senza bisogno di raccogliere dati personali. Infatti, una volta installata l’app genererà un codice numerico non legato all’identitá, per poi compilare una lista dei codici delle persone con cui si è stati a contatto. Collegandosi periodicamente al sistema centrale, l’app andrà a controllare se fra i codici dei suddetti utenti rientrano individui infetti. Solo le autorità sanitarie potranno inviare l’allerta, e i positivi al test dovranno a loro volta volontariamente inoltrarla. In alcun caso mittente o destinatari sapranno da chi arriva l’informazione, né a chi è diretta, nel rispetto della privacy. È bene sottolineare che l’efficacia di Immuni sarà tuttavia reale solo se essa verrà diffusa tra almeno il 60% della popolazione, in modo da consentire un valido ed efficace monitoraggio del contagio.

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Non sono tuttavia solo le nuove applicazioni “anti-pandemia” a risultare utili per la società nel periodo attuale. Difatti, anche il settore del dating si sta velocemente riadattando, e numerose applicazioni di incontri hanno implementato le proprie funzioni. Tra queste figura Coffee Meets Bagel, che ha pensato di proporre agli utenti dei video incontri da 10 a 15 partecipanti, moderati da un rappresentante del gruppo. L’impostazione in stile speed date permetterà di mettersi in contatto successivamente con la persona verso cui si potrebbe aver nutrito un particolare interesse, scaturito durante il meeting virtuale. Prendendo atto del fatto che le videocall potrebbero risultare fondamentali per i futuri incontri, anche la app Once (che propone un solo contatto per 24 ore) ha sviluppato una nuova funzione live video, consentendo cosí ai propri utenti di continuare a interagire e conoscersi in piena sicurezza.


Sulla stessa linea si sono poi rapidamente messe in moto anche altre applicazioni del settore – da JWed a Bubble alla ben nota Tinder – per dare modo alle persone di conoscersi quanto più possibile, sempre tenendo conto della necessità di far rispettare le importanti norme sanitarie di distanziamento fisico e sociale. Risulta quindi ben evidente che – a partire dal tracciamento dei contatti, per giungere infine alle modalità di incontro a distanza – la tecnologia si sta ingegnando ed evolvendo, in modo da riuscire a offrire nuove soluzioni alle attuali criticità. La speranza è che queste stesse innovazioni possano poi aprire la strada a novità e sviluppi di rilievo anche in tempi post-pandemici, dando dunque un utile impulso ai futuri avanzamenti del settore tecnologico e della società intera.

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lavoro e formazione a distanza: come mantenere la privacy di Sonia Intonti, ICT Legal Consulting Nessuno sa quali saranno i segni della normalità dopo il virus, ma è del resto difficile controllare il corso della nostra vita anche adesso, che siamo chiusi in casa e che crediamo di aver chiuso la porta a chiave a qualsiasi pericolo, indipendentemente da quelli che, ingenuamente, lasciamo entrare dalla finestra dei nostri dispositivi. 122

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È inevitabile che un’emergenza sanitaria globale abbia un impatto molto profondo sulla nostra vita quotidiana, soprattutto quando si verifica all’intensità di quella in corso, causata dal Coronavirus. Anche se per certi versi questo periodo potrebbe essere incarnato dal proverbio latino facere de necessitate virtutem (cioé “fare di necessità virtù”), poiché le restrizioni che ci vengono imposte per far fronte alla pandemia ci mettono di fronte a un aut aut per il quale o ci adattiamo o soccombiamo, d’altra parte anche queste abilità che la maggior parte di noi è costretta a sviluppare per non soccombere devono essere gestite in modo appropriato. Personalmente, credo che le opportunità che si stanno dispiegando siano ampie e le prospettive luminose: basti pensare alle infinite possibilità che si stanno aprendo e alle risorse che potremmo sfruttare in modi diversi, se solo fosse possibile fare di questo “lavoro a distanza” lo standard.

Pensate all’impatto positivo che questo potenziale “nuovo standard” potrebbe avere sulle famiglie, sulle madri single e su tutti gli studenti universitari che sono privi di possibilità economiche. Tuttavia, affinché queste possibilità diventino effettivamente la nostra realtà, dobbiamo raccogliere tutti gli strumenti materiali e intellettuali a nostra disposizione per poter garantire la sicurezza delle nostre informazioni e la protezione dei nostri diritti, compreso il diritto alla privacy. Entro la fine di marzo, a causa della crescente transizione del lavoro e della formazione nel mondo digitale, l’Internet Crime Complaint Center (IC3) dell’FBI ha visto un aumento significativo dei rischi informatici. In molti casi, i sistemi scelti per questi scopi sono stati messi a punto rapidamente per far fronte all’aumento della domanda e quindi spesso non tengono conto dei profili di sicurezza.

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lavoro e formazione a distanza

Il lavoro a distanza è un lavoro intelligente. Per ridurre la nostra esposizione ai vari rischi, ecco alcuni consigli importanti per la gestione del lavoro a distanza e della formazione. La riservatezza è un valore:

ricordatelo quando si tengono delle conversazioni o si utilizza uno schermo. Occorre distinguere l’ambiente familiare e l’ambiente di lavoro: fate attenzione a coloro con cui condividete la vostra casa, siano essi familiari o amici, quando condividete informazioni riservate sul lavoro. Cercate di mantenere le conversazioni dove è meno probabile che altri vi ascoltino e posizionate il vostro schermo dove è meno probabile che esso venga guardato.

Distinguere i dispositivi personali e i dispositivi professionali.

Soprattutto se dovete lavorare con dispositivi personali, tenete separati i dati della vostra organizzazione da quelli personali. Organizzate il vostro lavoro in modo da evitare la perdita o la cancellazione accidentale dei dati. Assicuratevi di non conservare i dati della vostra organizzazione più a lungo del necessario e, quando ve ne liberate, assicuratevi che non siano recuperabili. Idealmente, la vostra organizzazione dovrebbe avervi fornito una tecnologia sicura con cui lavorare, ma in alternativa assicuratevi di utilizzare tutti i mezzi accessibili di protezione dei dati: in particolare, il regolamento UE 679/2016 richiede di mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire il trattamento sicuro dei dati personali e, tra le altre cose, include la crittografia. Soprattutto se memorizzate o condividete dati personali, dovete utilizzare la cifratura e assicurarvi che la vostra soluzione di cifratura sia conforme agli standard attuali; utilizzate password forti. Sia che si utilizzi l’archiviazione online, un computer portatile o qualsiasi altra tecnologia, è importante utilizzare password che possano aiutare il vostro lavoro a rimanere sicuri.

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Siate particolarmente attenti all’apertura di link e allegati.

Non cliccate su link o allegati sconosciuti che affermano di fornire importanti aggiornamenti di COVID-19. Rilevare e-mail o messaggi falsi con intento criminale è diventato sempre più difficile, ecco perché è sempre più importante sapere a cosa prestare attenzione quando si ricevono e-mail – soprattutto quando esse sembrano cercare di aiutarvi a gestire le vostre emozioni o la vostra salute nei momenti di maggiore vulnerabilità, come questo. Il National Cyber Security Centre ha stilato un elenco di elementi cui è necessario prestare attenzione allo scopo.

Piattaforme di videoconferenza.

Se da un lato può essere noioso e ripetitivo discutere di attacchi criminali che possono essere in agguato tra le e-mail, dall’altro dovremmo invece soffermarci un po’ più a lungo sui vari rischi che possono sorgere quando si utilizzano le varie e numerose piattaforme di videoconferenza. Fortunatamente, la tecnologia ci sta aiutando a rimanere tutti connessi attraverso le piattaforme di videoconferenza e le app come nuovi modi di fare business, tenendo riunioni del personale e mantenendo i contatti con i colleghi. Ecco perché la tecnologia di videoconferenza deve essere trasparente, soprattutto in periodi come questo, quando viene utilizzata in modo eccessivo. Noi, in quanto utenti, abbiamo bisogno di sapere come vengono elaborati i nostri dati, oltre ad avere la possibilità di scelta e il controllo su di essi. Per questo motivo è fondamentale leggere l’informativa sulla privacy e assicurarsi di capire quali sono i nostri dati trattati, con chi sono condivisi, per quanto tempo sono conservati e per che scopi.


È inoltre importante sapere quali strumenti possiamo implementare per gestire la sicurezza delle nostre videoconferenze: tra questi, la limitazione dell’accesso ai meeting tramite password, il controllo di quando le persone possono partecipare al meeting, o il controllo di chi è autorizzato a condividere i loro schermi. Inoltre, è stato verificato che uno dei modi con cui si tenta un cyber-attacco è quello di offrire la possibilità di scaricare emulazioni di software, permettendo così l’introduzione di malware nei sistemi e l’intercettazione delle comunicazioni o il controllo dei dispositivi. Per evitare tali attacchi è importante verificare la fonte dell’offerta, per assicurarsi che sia affidabile e non essere fuorviati dal fatto che il prodotto è gratuito o economico. All’interno di questo scenario, va considerato che la “live chat” può essere utilizzata da persone malintenzionate per diffondere messaggi di phishing attraverso link o allegati. Ecco perché è importante non cliccare su quelli che non ci si aspettava o da piattaforme di incontri che non si riconoscono. L’Internet Crime Complaint Center (IC3) dell’FBI ha ricevuto più di 1.000 segnalazioni di truffe online a tema Coronavirus, e l’analisi che ne è seguita ha rilevato che i criminali informatici avevano condotto massicci tentativi di phishing, attacchi DDoS contro agenzie governative, attacchi di riscatto contro le strutture mediche, e che avevano anche creato dei siti web ingannevoli.

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tecnologia


L’apprendimento a distanza e il diritto dei bambini. Al tempo del Coronavirus, quando le scuole chiudevano legittimamente i loro cancelli come misura contro la diffusione del virus e per la protezione della salute, anche il diritto all’istruzione dei bambini più piccoli doveva estendersi ad altri spazi. Il cyberspazio.

Soprattutto in questo scenario, i fornitori di servizi Internet devono tenere presente che i bambini devono poter contare su una maggiore protezione quando sono online e che il trattamento dei loro dati personali non è diverso. Il GDPR, partendo dal presupposto che i bambini sono meno consapevoli dei rischi che si nascondono dietro il trattamento dei loro dati personali e quindi delle relative conseguenze, richiede misure di sicurezza più efficaci, informazioni sulla privacy più trasparenti e comprensibili, che “il consenso è dato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale sul bambino” e limiti più severi sia per la conservazione che per le tipologie di dati trattati.

Al fine di supportare sia scuole che famiglie nella scelta delle piattaforme più adatte per l’educazione online, è stato pubblicato da molti governi un elenco di opzioni di apprendimento a distanza. Inoltre, l’UNESCO ha pubblicato un elenco di applicazioni, piattaforme e risorse educative che considerano anche la protezione dei dati dei bambini. In ogni caso, i bambini dovrebbero essere sorvegliati quando usano Internet e le impostazioni di privacy e geolocalizzazione dovrebbero essere impostate in anticipo nel modo più protettivo per la sicurezza dei bambini. Allo stesso modo, anche le impostazioni dei cookie devono essere regolate in anticipo all’interno del browser a questo scopo. Inoltre, i controlli dei genitori potrebbero contribuire a bloccare o filtrare contenuti sconvolgenti o inappropriati. Potete installare il software di controllo parentale sui telefoni o tablet di vostro figlio e della vostra famiglia, sulle console di gioco, sui computer portatili e sull’Internet di casa. Tuttavia, è bene ricordare che le impostazioni tecniche dei dispositivi che i bambini sono invitati a utilizzare non solo per divertirsi ma anche per scopi educativi non possono certo sostituire l’educazione familiare su come navigare in Internet.

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di Sonia Intonti

Bilanciare due diritti umani fondamentali come il diritto all’istruzione e il diritto alla salute non è mai facile e ovvio, ma se cambiamo il nostro modo di guardare all’ “equilibrio”, e andiamo un po’ oltre per avere un quadro più ampio, ci rendiamo conto che bilanciare non è scegliere l’uno o l’altro, ma piuttosto trovare soluzioni per garantire entrambi in modi diversi. Ed è proprio qui che l’equilibrio dovrebbe trasformarsi in intuizione, per stabilire nuovi equilibri quando le condizioni cambiano.

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moda collaterale emergenza fashion 128 identitĂ e mascherine 136 la mascherina, oggetto quotidiano 146



emergenza fashion

di Redazione collaterale L’impatto della pandemia sul settore della moda non è stato indifferente. In un mercato dal valore globale di circa 2.300 miliardi di euro, le misure emergenziali imposte dal dilagare del virus hanno creato il caos. Senza fare alcuno sconto. 130

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allarme fashion

Il mondo del fashion arranca, in mezzo a una pandemia che sembra davvero aver inferto un duro colpo all’industria e al mercato della moda. Questo momento di grandissima crisi generalizzata sta provocando perdite molto preoccupanti, che costringeranno il settore a delle radicali trasformazioni. Tuttavia, sembra che purtroppo la moda non stia ancora davvero facendo alcunché. Come evidenzia Silvio Artero (Art Director, Visual Designer e docente universitario), anche se le cose dovranno certamente cambiare, attualmente non è ancora ben chiaro come di fatto tale cambiamento si verificherà. Sicuramente, a doversi trasformare dovranno essere in primis le modalità di produzione e di distribuzione del fashion. La pandemia di COVID-19 ha letteralmente paralizzato tutto il meccanismo del settore. Se nel mese di febbraio la chiusura delle fabbriche cinesi ha bloccato molti ordini delle aziende occidentali, progressivamente i grossi gruppi si sono visti costretti a cancellare ordini anche in conseguenza al sovraffollamento dei magazzini. Dal canto suo, dal 12 marzo anche l’Italia ha dovuto interrompere la propria produzione, subendo essa stessa la cancellazione di ordini di tessuti e abiti da parte di molti compratori stranieri. Non è però escluso che questo tetro scenario possa essere rianimato, nei prossimi mesi, proprio da un ritorno del Made in Italy. Quasi per una specie di contrappasso, dopo la passata distruzione di molte aziende italiane come

effetto della prevaricante presenza cinese sul mercato, il futuro potrebbe invece registrare una rivitalizzazione della produzione nostrana, con delle ripercussioni notevoli sull’intero panorama del settore fashion. Tuttavia, lo scenario attuale resta una sfida aperta. I mesi che verranno sembrano affollati di insidie, alle quali si potrà reagire solo attraverso grandi cambiamenti. I ritmi delle collezioni, ad esempio, sembrano già da ora destinati a subire un drastico ridimensionamento. Si consideri che che nel tempo la moda è balzata da un iniziale numero di due collezioni annuali all’eclatante cifra di ben otto collezioni all’anno. Tale ritmo forsennato risulta attualmente del tutto insostenibile: si dovrà evidentemente accettare di retrocedere a un minor numero di collezioni, allentando la pressione su una catena produttiva già in affanno. C’è del resto anche qualche stilista che propone di non rassegnarsi, ma di provare piuttosto a scorgere nella crisi contemporanea l’occasione per il ripensamento di un già critico sistema dei ritmi di produzione complessivi. Di questa necessità si è fatto portavoce l’illustre stilista italiano Giorgio Armani, che ha rilevato come “lo stato attuale delle cose, con la sovrapproduzione di capi e il disallineamento tra il tempo delle collezioni e quello della stagione commerciale, sia davvero assurdo”. Egli ha dunque proposto, invece, di “rallentare e di riallineare tutto, per poter definire un nuovo e più significativo panorama per la moda intera”.

Tutte le foto presenti in queste pagine sono frutto di shooting realizzati via webcam dalla Redazione. Si ringraziano per la partecipazione Mathilda Zanetti e Michela Tosi Brandi.

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Dopo la crisi pandemica, il futuro del fashion si presenterĂ in vesti del tutto nuove... collaterale

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Come si sa, contemporaneamente al blocco della produzione la pandemia ha provocato anche la chiusura dei negozi fisici di mezzo mondo. A ciò si è legato un inevitabile e drastico crollo della domanda, su tutte le piattaforme. D’altronde, stando ad analisi di settore, le vendite online non sanno attualmente compensare quelle nei negozi fisici. A questo va poi aggiunto l’effetto del clima attuale di grande incertezza e difficoltà finanziaria: uno scenario in cui le persone sono, in generale, assai meno portate a voler comprare vestiti. Gli unici capi e accessori che continuano a vendere, seppur in forma ridimensionata, sono le categorie specifiche di leisurewear (look comodi), athleisurewear (look per l’attività fisica), orecchini (+40%) e abbigliamento intimo (+9%). Ma il segno resta comunque globalmente negativo. Del resto, “vestire è anche apparire”, riflette ancora Silvio Artero. La reclusione della società e il rispetto delle norme di social distancing non possono che scoraggiare la voglia delle persone di acquistare nuovi capi di abbigliamento. In una tale situazione, c’è anche chi suggerisce di sperare nel cosiddetto revenge spending, cioè la possibilità di una liberatoria impennata delle spese in seguito a un periodo di forte repressione. Tuttavia,

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stando alle riflessioni di molti analisti, tale reazione non basterà comunque a sanare tutte le ferite arrecate al mondo del fashion dall’attuale pandemia. E le sfilate? La crisi del Coronavirus è iniziata nel vivo della Settimana della moda di Milano, mentre le principali aziende italiane presentavano le collezioni autunno/inverno 2020-2021. Tra esse, molte manifestavano già messaggi cupi, ribaditi poi nelle sfilate parigine e culminati in esibizioni inquietanti come quella di Balenciaga, imperniata su dei toni apocalittici. La rapida diffusione del virus e l’applicazione globale di misure emergenziali hanno spazzato via quasi tutti gli eventi legati alla moda in programma. Le cancellazioni avvenute in questi mesi, come quelle delle sfilate cruise (tra aprile e maggio), hanno anticipato un destino comune: è ormai assodato che quest’anno sarà rinviata la sfilata di Pitti Uomo a Firenze, al pari della settimana italiana dedicata alla moda maschile (che da giugno è stata spostata a settembre). Ma non è escluso che il problema possa perdurare, segnando lo stesso crudo destino anche per le sfilate femminili, normalmente in calendario a settembre. Se poi tutti questi eventi dovessero tenersi online, come già sta avvenendo in alcuni casi, tutto lo scenario del fashion si


presenterebbe in vesti completamente nuove. In tal caso, sarebbe inevitabile muoversi nella direzione di una diversa organizzazione e pianificazione generale delle attività. La necessità di un cambiamento coinvolgerà anche tutte le pubblicazioni dedicate al fashion. Che aspetto avranno le riviste di moda che verranno pubblicate nel prossimo futuro? Allo stato attuale, è ancora possibile sfruttare servizi fotografici realizzati nei mesi antecedenti il lockdown. Ma che averrà se il distanziamento interpersonale si protrarrà ancora a lungo? Una strada percorribile potrebbe essere quella di usare delle illustrazioni. Proprio a gennaio 2020 (paradossalmente prima dell’outbreak di COVID-19) Vogue Italia ha fatto parlare di sé per aver rinunciato, per la prima volta nella propria storia, a usare delle fotografie. Al loro posto, la rivista ha dato spazio a disegni e illustrazioni, mettendo la creatività al servizio della sostenibilità. Una strategia creativa alternativa, cui potrebbe affiancarsi anche una nuova tendenza di settore, rivolta invece alla dimensione virtuale. In queste settimane è stata infatti sperimentata la realizzazione degli

shooting fotografici tramite FaceTime e altre piattaforme impiegate per le ormai routinarie video call. Questo trend risulta in costante ascesa, tanto che alla sfida si sono di recente prestate anche top model del calibro di Bella Hadid e della leggendaria Cindy Crawford. D’altronde, la dimensione dell’online sarà l’indiscussa protagonista di tutta una serie di trasformazioni imprescindibili per il settore del fashion. Attualmente, la qualità della presenza dei brand sul web non si può certo definire omogenea. In molti casi, essa funziona ed è efficace, ma in altri casi risulta piuttosto fragile e poco curata. Va infatti rilevato che alcuni grandissimi marchi non sono ancora sufficientemente maturi a livello di presenza esperienziale online. Al punto che non mancano casi di brand internazionali la cui ricercatissima esperienza in negozio risulta profondamente disallineata rispetto a una presenza web ancora molto modesta. L’attenzione dei grandi marchi di lusso si è finora molto concentrata sulla creazione di avvincenti esperienze di vendita nell’ambiente fisico dei negozi. Gucci, Louis Vuitton e molti altri esponenti dell’alta moda hanno sempre

Come saranno le riviste di moda che usciranno nei prossimi mesi?

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allarme fashion puntato su un seducente posizionamento dei propri negozi nelle grandi vie cittadine, allestendo studiatamente le proprie vetrine, in modo da far brillare l’estrema qualità dei capi. Una narrazione fisica avvincente, che tuttavia in svariati casi non è stata eguagliata dalle piattaforme deputate alla vendita online. In questo stravolto scenario pandemico, i marchi si sono trovati a dover affrontare richieste diverse da parte del mercato, modificando quindi i propri spazi di vetrine di marketing. In poche settimane, gli account social dei grandi brand del fashion si sono trasformati in ambienti digitali di intrattenimento dei fan, di sperimentazione e di altre attività collaterali. Al contempo, gli influencer e le celebrities, attori principali sulle piattaforme dei social network, hanno attirato ancor più l’attenzione del settore, confermandosi come notevoli vettori di influenza nelle vendite e nella promozione. Se la voce dei media è sempre stata un elemento chiave nelle Fashion Weeks, i vari influencer stanno ora più di tutti dimostrando il proprio peso nel settore moda. Stando alle analisi, essi rappresentavano già la seconda voce per MIV® (Media Impact Value, indice

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del valore delle attività di marketing), fornendo un MIV® più alto per singolo placement (dunque, a parità di pubblicazioni con la voce media, il loro MIV® complessivo risulta più elevato). Ora più che mai, i profili social degli influencer rappresentano nuove, importanti vetrine digitali per il settore del fashion. E chissà che una maggior attenzione alla fruizione globale degli showcase d’alta moda non finisca col rafforzare il carattere universale e interattivo del fashion in un senso completamente nuovo. Un futuro di grandi cambiamenti è l’orizzonte che l’emergenza globale del Coronavirus sta tracciando per il mondo della moda. Trasformazioni inevitabili, raggiunte a colpi di sfide e sacrifici, all’interno di uno scenario già fragile. La crisi attuale sembra aver portato alla luce nodi preesistenti, mettendo il settore davanti allo specchio e chiamandolo a un’autocritica in direzione trasformativa. Al fondo di tutto ciò sta la necessità di confrontarsi sempre con il contesto di società e attualità, senza mai perdere di vista la realtà.

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di Redazione collaterale

Del resto, come affermò la leggendaria Coco Chanel, “la moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti: la moda è nel cielo, nella strada… essa ha a che fare con le idee, con il nostro modo di vivere, con che cosa sta accadendo”.

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Quando indossiamo la mascherina, diventiamo tutti uguali, non c’è più bianco, nero, giallo, non c’è più gay, etero, trans. Le etichette lasciano posto al fatto che siamo tutti sulla stessa barca, in tutto il mondo. La mascherina va a togliere almeno la metà delle nostre espressioni facciali, la comunicazione verbale viene nascosta dalla mascherina. Gli occhi diventano la nostra bocca e le ciglia le nostre labbra.

di Martina Albanati 138

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Le foto in questa e nelle precedenti pagine sono state gentilmente concesse da Martina Albanati.

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La mascherina, oggetto quotidiano

Giulia Magnani – fashion designer originaria di Parma e trasferitasi di recente negli USA – che realizza capi unici fatti a mano, prestando particolare attenzione ai materiali, già nelle prime fasi della pandemia, si è interrogata sulla possibilità di realizzare delle mascherine in tessuto come alternativa green a quelle medicali, di tipo “usa e getta”. “La mascherina, fatta con due strati di 100% cotone, non protegge molto, ma è meglio di niente” dice Giulia “perché impedisce di toccarsi accidentalmente il viso. Inoltre, non è certificata come dispositivo sanitario ma può essere usata anche da chi la deve mettere

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per lavoro come copertura delle mascherine chirurgiche per farle durare più a lungo. Se si vogliono creare delle mascherine più resistenti, è preferibile usare due strati di un cotone 100% molto fitto e due strati interni di tessuto non tessuto. Nel caso in cui non si abbia a disposizione il TNT è meglio realizzare la mascherina con una tasca interna in modo da poter inserire un filtro. L’opzione migliore sarebbe avere uno strato esterno impermeabile ma traspirante, uno interno in cotone e un filtro al centro”. Per il lavaggio, Giulia consiglia di lavare la mascherina ad alte temperature, metterla in asciugatrice o stirarla col vapore, in modo da santificarla dopo ogni uso.

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cultura collaterale editoria italiana: crisi nella crisi la resilienza dei musei virtuali MAMbo in pillole note amare per la musica proiezioni del futuro

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editoria italiana: crisi nella crisi di Redazione collaterale Secondo le stime, dall’inizio del lockdown la filiera del libro in Italia sta soffrendo enormemente. Ma le radici del dramma sono in realtà ben più profonde e gettano ombre sul destino di un settore già fortemente in affanno. Non è purtroppo una novità che l’editoria italiana sia già da molto tempo in crisi. Quest’ultimo periodo di emergenza pandemica ha potuto soltanto ledere ulteriormente un settore già ferito, danneggiato negli anni da tutta una serie di fattori. Se nella settimana precedente l’esplosione dell’emergenza era stato registrato un -23% sul mercato nazionale dei libri, la chiusura delle librerie ha assestato l’ennesimo duro colpo, portando a un calo pari al -75% nelle prime settimane di lockdown. Una volta abbassata la saracinesca su quello che, in Italia, resta il canale di vendita principale, il blocco dell’intera filiera produttiva e distributiva si è rivelato inevitabile. Anche se alla data del 23 aprile (Giornata mondiale del libro e della lettura) sono oltre 14 le regioni italiane le cui librerie sono in fase di riapertura, la crisi resta un capitolo aperto e assai difficile. Ad essere stati travolti dal blocco totale sono infatti stati anche tutti gli eventi editoriali collaterali: dalla Bologna Children’s Book Fair al Bookpride di Milano

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al Salone del Libro di Torino, sono decine su decine le manifestazioni che si sono dovute rassegnare alle misure emergenziali di cancellazione o, più ottimisticamente, di rinvio. Al contempo, anche tutti gli altri spazi di diffusione della cultura sono stati costretti ad abbassare le serrande: non soltanto scuole e università, ma anche oltre 11.608 biblioteche. Una situazione drammatica, che ha frenato dialoghi, scambi e relazioni – tutti strumenti essenziali per un mercato ancora fortemente legato al passaparola, alla conversazione diretta, alle presentazioni pubbliche. All’inizio del mese di aprile, l’AIE (Associazione Italiana Editori) ha previsto che in prospettiva si pubblicheranno più di 23.000 titoli in meno rispetto al totale delle quasi 80.000 novità edite nello scorso anno. A questo si devono poi aggiungere le 12.500 novità in uscita che sono state bloccate, i 44,5 milioni di copie che non verranno stampate, e ancora i 2.900 titoli che non verranno tradotti.


Sempre al 23 di aprile risale poi l’ennesimo drammatico dato, che evidenzia come, a livello nazionale, oltre il 70% degli editori stia già mettendo in atto o programmando la cassa integrazione. Tutti sintomi di una crisi dagli effetti incendiari, aggravata dal parallelo colpo incassato dall’editoria indipendente, il cui crollo del fatturato è stato, a marzo, del 68%. Al punto che, secondo l’ADEI (Associazione degli Editori Indipendenti), il mercato librario indipendente (una fetta del 46,5% dell’intero mercato di settore) ha perso nel mese d’inizio del lockdown una cifra pari a ben 60 milioni di euro. Anche se alcune librerie indipendenti si sono subito attivate, ad esempio mettendosi in rete con alcune iniziative lodevoli come la consegna a domicilio di LibridaAsporto, la situazione resta profondamente grave e difficile. Segnali di speranza in questo cupo scenario sembrano provenire quantomeno dall’area dell’editoria digitale. Il numero di download dei

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materiali a supporto della didattica, per esempio, è ultimamente salito: dal 24 febbraio al 17 aprile, circa uno studente italiano su tre ha scaricato almeno un ebook scolastico (dati AIE), mentre dal 24 febbraio al 7 aprile sono stati scaricati dalle piattaforme di editori scolastici ben 4,4 milioni di materiali digitali. Oltre a ciò, non mancano esempi reattivi di strategie difensive, come l’offerta di ebook a titolo gratuito o scontato, in modo da fidelizzare i clienti e riuscire a recuperare terreno. Vanno poi segnalate anche iniziative nuove, come per esempio la creazione di Microgrammi, una collana ad hoc lanciata dalla storica casa editrice Adelphi. Si tratta, nello specifico, della pubblicazione di una serie di piccoli ebook con racconti o saggi autoconclusivi, tratti da libri che dovevano uscire e che non sono stati invece più pubblicati. Sempre in ambito digitale, non è venuto a mancare l’interesse dei lettori nei confronti dei bestsellers di turno. Tra i titoli di punta in questo periodo, si possono citare

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di Redazione collaterale

A proposito di niente, la discussa autobiografia del leggendario Woody Allen, pubblicata in data 23 marzo, ma anche The Ballad of Songbirds and Snakes, l’attesissimo nuovo capitolo della saga di Hunger Games, in uscita il 19 maggio in contemporanea mondiale. Altre opere editoriali attualmente al centro dell’attenzione dei lettori sono anche le storie dello scrittore cileno Luis Sepulveda, la cui recente scomparsa è stata effetto proprio delle fatali complicanze dell’infezione da Coronavirus. Oltre ai casi letterari e ai bestsellers del periodo, in questi mesi si sono fatti notare anche i cosiddetti instant-books. Si tratta di un fenomeno molto contingente, basato sulla pubblicazione di titoli dedicati proprio al tema della pandemia in corso. Alcuni esempi sono Virus, un libro in divenire del noto filosofo Slavoj Žižek, ma anche Nel contagio, un saggio dello scrittore italiano Paolo Giordano. Sempre fortemente legati alla situazione attuale, ma con una diversa finalità, sono poi anche i progetti editoriali di carattere benefico. Tra essi, spicca ad esempio l’antologia ebook intitolata Andrà tutto bene, i cui proventi saranno destinati all’Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo. In questo difficile scenario, emerge dunque come editori e librai abbiano comunque cercato di accendere luci di speranza per l’avvenire, tentando di reagire con proposte e strategie nuove. Parallelamente, non sono mancate reazioni e iniziative tramite i social, gli unici canali di dialogo ancora aperti al pubblico in tempo di lockdown generalizzato. Sulle pagine di queste piattaforme sono fioriti molti vitalistici tentativi di far emergere dal buio le voci di librerie, biblioteche, autori ed editori. Tutti questi segnali di vita fanno ancora sperare. L’auspicio è che il futuro dei libri e dell’editoria possa essere dunque inaugurato da un incipit decisamente migliore.

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la resilienza dei musei virtuali di Redazione collaterale Viaggio virtuale alla scoperta dello stato resiliente e resistente dei siti culturali e dei musei di tutto il mondo, che restano in attività anche a porte chiuse.

Nei primi mesi del 2020, i musei e le gallerie di tutto il mondo si sono svuotati improvvisamente. In un batter d’occhio, la desolazione ha preso il posto di calche e folle, desertificando indistintamente tutti i luoghi della cultura. In questa nuova e difficile situazione, è stato necessario che la tecnologia facesse un passo avanti per colmare il vuoto. Se infatti il potenziale di collezioni online, tour virtuali e campagne social è sempre stato evidente, mai come ora la preziosità di queste strategie alternative manifesta il proprio incalcolabile valore. A sancire il diritto a una vita culturale attiva è la stessa Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, per cui “ogni individuo ha diritto di prender parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici”. E se la necessità di arginare la diffusione di COVID-19 ha giustamente imposto cautela e provvedimenti, emerge ora con evidenza l’importanza di un ripensamento delle modalità di fruizione dei vari beni culturali.

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In Italia, le limitazioni si sono presto dovute tramutare in una totale chiusura dei siti deputati. Presi alla sprovvista, i musei italiani sono stati così costretti a correre contro il tempo per reinventarsi tramite programmazioni alternative online e campagne di comunicazione s ocial. A fornire un sostegno in questa direzione sono state sia strategie di promozione nazionali - sotto l’ombrello degli hashtag #museichiusimuseiaperti e #laculturanonsiferma – sia iniziative più specifiche e originali. Tra quest’ultime, meritano di essere ricordate le video-pillole create ad hoc dal MAMbo di Bologna con 2 minuti di MAMbo, ma anche il Decameron in streaming della Triennale di Milano, il progetto Cosmo Digitale del Castello di Rivoli, le #storieaportechiuse del Museo della Scienza di Milano e tante altre ancora. Spostandosi più a sud nello Stivale, si incontrano poi le iniziative del MAXXI di Roma per #iorestoacasa e il programma digitale di Madre door-to-door, ideato dal museo Madre di Napoli per portare l’arte a domicilio via web.

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Ciò nonostante, un efficace spostamento nella dimensione digital richiede delle risorse e degli strumenti adeguati. Sebbene alcuni musei siano riusciti a portare avanti la traslazione con relativa naturalezza, altri si sono trovati a fronteggiare maggiori difficoltà, a riprova di differenze sostanziali nella gestione dell’esposizione online. Del resto, certe esperienze virtuali non si possono improvvisare così, di punto in bianco. Ciò vale, ad esempio, per la simulazione delle visite museali online – opzione che, purtroppo, è ancora poco diffusa nel nostro Paese. A tale mancanza si è cercato di sopperire anche attraverso la collaborazione con alcune piattaforme esterne, tra le quali spicca Google Arts and Culture. Quest’ultima è divenuta in breve il contenitore e distributore di un’enorme varietà di contenuti museali, provenienti dalle collezioni di tutto il mondo. Si è cosí resa possibile la fruizione virtuale dell’immenso patrimonio artistico custodito in istituzioni eminenti come il MoMA di New York, il Musée d’Orsay di Parigi,

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il Rijksmuseum di Amsterdam, il Guggenheim di Bilbao e tanti altri. Non sono poi mancate proposte ancora più particolari, come l’originale virtual tour offerto dal British Museum di Londra, che ha dato vita a un’esperienza immersiva coinvolgente, tramite un’efficace progettazione grafica e sonora. In questo panorama in piena e continua evoluzione, anche la comunicazione e la divulgazione dei contenuti culturali stanno sperimentando nuove strade. In Italia, ad esempio, una proposta originale (e per alcuni quasi “irriverente”) è sorta nientemeno che nell’austera solennità delle Gallerie degli Uffizi. A fine aprile, infatti, è stato annunciato l’ingresso dell’istituzione sulla piattaforma giovanile di Tik Tok, con il nome di @uffizigalleries. Le Gallerie hanno cosí deciso di tentare la via dell’autoironia, producendo brevi video dal taglio scherzoso, funny

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trend che si è confermato positivo anche ad aprile. Tanto che, secondo Semrush, in questi primi due mesi di quarantena la ricerca museo virtuale ha registrato un aumento del 1.275%. All’improvviso, i musei hanno bucato gli schermi dei nostri dispositivi, raddoppiando la propria presenza digitale e avvicinandosi a nuove fasce di pubblico. In conclusione, si può dire che – tra idee innovative e lateral thinking – la cultura ha dimostrato di voler reagire alla crisi mettendo da parte ogni timore di sperimentarsi e di sperimentare. In un ecosistema in cui l’emergenza ha portato alla luce difficoltà e contraddizioni purtroppo preesistenti, si sono infatti levate voci resilienti e resistenti. Da ciò sono nate iniziative di vario tipo, legate però da un comune denominatore: l’intenzione di continuare a diffondere bellezza, arte e conoscenza.

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di Redazione collaterale

e talora persino bizzarro. A esserne protagonisti sono i grandi capolavori della storia dell’arte, tra cui opere di Michelangelo Buonarroti, Piero della Francesca, Tiziano. Nei musei italiani soffia il vento del cambiamento, come confermano anche le analisi statistiche. Nel 2019, su un campione di 476 musei italiani il 76% non aveva un piano strategico d’innovazione digitale e solo un’istituzione su due aveva un sito navigabile da mobile. Ma dall’8 marzo 2020 le cose sono cambiate, perchè il digitale è diventato il solo strumento a disposizione per mantenere aperte le istituzioni e interagire col pubblico. Tanto che, stando a un’indagine svolta nel corso del mese di marzo, in questo periodo si è registrato un autentico picco di post sugli account social dei musei. Parallelamente, anche i follower sono aumentati, sull’onda di un

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intervista

MAMbo in pillole

di Redazione collaterale Intervista a Lorenzo Balbi, direttore artistico del MAMbo, il Museo d’Arte Moderna della città di Bologna. 158

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In Italia e nel mondo, la crisi pandemica ha costretto gli spazi museali e tutte le aree culturali a fronteggiare nuove sfide. Le risorse e le idee messe in campo sono state molte e di varia natura. Per avere una visione più definita della situazione, a fine maggio la Redazione collaterale ha intervistato Lorenzo Balbi, il direttore del MAMbo. In risposta al DPCM dell’8 marzo 2020, il MAMbo ha deciso di lanciare l’iniziativa 2 minuti di MAMbo. Di cosa si tratta?

2 minuti di MAMbo è l’iniziativa che abbiamo messo in campo per non spegnere l’impegno che abbiamo preso nel continuare a portare la cultura nelle case, sperimentando nuove modalità di comunicazione e linguaggi visivi. Il progetto prevede l’implementazione di nuovi contenuti video girati con una tecnologia basica, lo smartphone, dentro al museo oppure da remoto, accompagnati dall’hashtag #smartMAMbo. Quattro gli ambiti tematici su cui, a rotazione consecutiva, sono incentrate le varie clip: la mostra temporanea AGAINandAGAINandAGAINand (conclusasi il 3 maggio), che indaga il tema del loop, della ripetizione e della ciclicità nella contemporaneità attraverso le opere di sette tra i più noti artisti contemporanei (Ed Atkins, Luca Francesconi, Apostolos Georgiou, Ragnar Kjartansson, Susan Philipsz, Cally Spooner, Apichatpong Weerasethakul), la collezione permanente del MAMbo, il Museo Morandi e il Dipartimento educativo del MAMbo, che vede la partecipazione di artisti, curatori, critici, musicisti e altri, con dei brevi video di approfondimento.

Quest’iniziativa, questo “effetto collaterale” d’emergenza, è stata per voi un’occasione di sperimentazione. È stato difficile trovare strategie nuove?

Per noi non è stato difficile trovare nuove strategie per sperimentare questa nuova iniziativa, anzi è stata un occasione, seppur forzata, per potenziare le nostre strategie di comunicazione. I nostri spazi social (Facebook, Instagram) sono concepiti come ulteriori spazi del museo. Lo dimostra anche l’iniziativa partita subito la prima settimana di chiusura dei musei (dal 24 al 30 febbraio 2020) con lo streaming live dell’opera Bonjour di Ragnar Kjartansson, seguita subito dopo dal format 2 minuti di MAMbo, che per noi è diventato un inedito racconto articolato in diversi appuntamenti affidati ognuno a una voce diversa, in cui il web e i social vengono utilizzati come spazi di espressione per un paio di minuti di approfondimenti, di commenti e di curiosità su un tema o su un’opera.

L’iniziativa vi ha aperto all’engagement di nuovi tipi di pubblico?

L’iniziativa ha sicuramente rafforzato l’engagement con il nostro pubblico abituale e avvicinato a nuovi pubblici, grazie al coinvolgimento e alle testimonianze che personaggi appartenenti ad altri ambiti culturali ci hanno dedicato. Inoltre, per ampliare le possibilità di conoscenza a tutti i possibili pubblici, i video erano supportati dalla pubblicazione di ulteriori materiali e documenti di approfondimento.

Come avete gestito la fascia di pubblico costituita dagli utenti più piccoli?

A loro abbiamo dedicato una clip a settimana in collaborazione con il Dipartimento educativo, realtà d’eccellenza nel campo della mediazione e didattica dell’arte che per 2 minuti di MAMbo si è misurata con una nuova sfida di approccio alle opere, ideando e proponendo kit didattici per attività da fare a casa e che prendevano spunto dalle opere indagate nei video.

Vi piacerebbe che il progetto perdurasse anche oltre la quarantena?

Con la riapertura dei musei, lo scorso 19 maggio, 2 minuti di MAMbo sta continuando con un nuovo format: tre, invece di sei, video ogni settimana, che alternano ospiti e approfondimenti sulla collezione permanente MAMbo e sull’arte di Giorgio Morandi.

Come ha giustamente detto in una “pillola” di MAMbo Alessandro Bergonzoni, questa “è solo la fine del modo, non del mondo”. La sperimentazione di questi nuovi “modi” vi porterà ad attuare dei cambiamenti nella gestione generale, anche dopo l’emergenza?

Per ovvi motivi il MAMbo, così come tutte le istituzioni culturali in Italia, si è immediatamente attivato nel proporre nuovi modi di fruizione. Per noi è stato un potenziamento di pratiche già consolidate. Ad esempio, il canale Youtube del MAMbo era già attivo da diversi anni: quel che abbiamo fatto è stato semplicemente sfruttare al massimo i canali di cui già disponevamo, creando contenuti che non fossero estemporanei ma che potessero diventare per noi prezioso materiale

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d’archivio. Tutti i video clip che abbiamo raccolto, e che stiamo ancora raccogliendo e pubblicando, per noi sono e vengono trattati come un patrimonio da valorizzare e conservare: testimonianze reali in un momento di sospensione.

Come vedete la situazione di altri istituzioni come il MAMbo, nel panorama italiano? La crisi ha fatto emergere difficoltà e problemi specifici, come avvenuto in altri settori?

Sicuramente l’emergenza ha fatto emergere la grande precarietà delle professioni che ruotano attorno alle professioni culturali. Quello che è emerso è la carenza di tutela verso numerose categorie di lavoratori del settore, e tra queste aggiungo anche quella degli artisti. Queste sono tutte motivazioni che ci hanno spinto nell’ideazione del Nuovo Forno del Pane: un progetto con cui il Comune di Bologna e il MAMbo si assumono un ruolo di maggiore responsabilità sociale a sostegno di categorie particolarmente colpite dalla crisi legata alla pandemia, che nel museo hanno sempre visto un punto di riferimento con cui confrontarsi nell’ambito delle loro pratiche, e che possono ora, con questo progetto, trovare uno spazio di lavoro formando una vera e propria comunità creativa.

Pensate che l’attuale assenza forzata potrà essere di stimolo al ritorno “postpandemico” negli ambienti artistici, da parte degli spettatori?

Per finire, una domanda un po’ provocatoria. Qualcuno ha affermatto, in questi giorni, che “senza visitatore, a porte chiuse, non c’è museo”. Che ne pensate?

Su questo non sono d’accordo. Non penso che il “visitatore” sia solo colui che paga un biglietto. Come già accennato precedentemente, il MAMbo utilizza i propri profili social e il web come estensioni dello spazio espositivo, motivo per il quale tutti coloro che ci seguono, commentano o condividono i nostri post per me possono essere considerati “visitatori”. I musei possono fare molto anche a porte chiuse, si tratta solo di cambiare mentalità su tempi e modalità di fruizione. Con questo non voglio assolutamente dire che i musei debbano rimanere chiusi, tutt’altro: dico solamente che confinare il concetto di museo soltanto entro uno spazio fisico è riduttivo.

di Redazione collaterale

Rispondo ribaltando un po’ il senso della domanda e spiegandovi come il MAMbo ha deciso di reagire alla situazione proprio per stimolare questo ritorno del pubblico, ma non solo negli ambienti artistici. Ritengo che ogni crisi diventa anche occasione di svolta per sfruttare le potenzialità di revisione, cura e progettazione di nuove idee. È vero che la pandemia ci ha privati del pubblico, ma non per questo la cultura si deve fermare: anzi, deve lavorare più intensamente per trovare nuove forme di rapporto con il pubblico. L’assenza forzata

ci ha spinto ad una profonda riflessione e analisi sul ruolo del museo, che per noi si è materializzato con una riconfigurazione museale. Lo scorso 4 maggio abbiamo lanciato il progetto Nuovo Forno del Pane, rivolto in primis agli artisti, ma che allo stesso tempo rimodula l’attività di mediazione, quale elemento fondante di un nuovo rapporto con il pubblico: in uno scenario di orari di apertura ridotti e stringenti norme di sicurezza, si supererà la tradizionale dinamica guardasala/visitatore per andare verso la relazione mediatore/persona. Nel contesto del centro di produzione e degli studi d’artista che vedranno la luce nel museo, l’attività del nostro Dipartimento educativo sarà ulteriormente valorizzata in termini progettuali, con proposte basate sul “fare” arte, che coinvolgeranno gli artisti presenti in sede, i professionisti e gli addetti del settore, con un approccio non esclusivamente basato sulle opere ma anche e soprattutto sulle pratiche, sul processo, sulla relazione e sull’uso di laboratori e di materiali a disposizione.

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note amare per la musica di Redazione collaterale Fortemente colpito dagli effetti della crisi pandemica, anche il mondo della musica è costretto a interrogarsi sul proprio futuro, facendo i conti con un bilancio per ora molto amaro. Tuttavia, resta forte la volontà di reagire ad alto volume.

Anche il settore degli eventi musicali sta accusando il durissimo colpo della pandemia e delle relative misure di contenimento. In Italia, con il decreto del 4 marzo 2020, il Governo ha sospeso manifestazioni, eventi e spettacoli di qualsiasi natura, sancendo così la chiusura di locali, teatri, palchi e palazzetti. Questo scenario desolante si è presto diffuso coralmente in tutto il mondo, suscitando forte preoccupazione nell’intero settore. Stando alle analisi riferite dalla rivista di economia Forbes, a causa della crisi attuale l’industria musicale potrebbe perdere fino a 5 miliardi di dollari. E solo nel nostro Paese, le stime di Assomusica (Associazione Italiana Organizzatori e Produttori Spettacoli di Musica

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dal vivo) fanno presente che a fine maggio saranno in totale ben 4.200 gli eventi saltati, e a fine stagione estiva le perdite saranno equivalenti a circa 350 milioni di euro, per il solo settore del live. A tale cifra andranno poi sommate anche tutte le perdite legate all’indotto – che l’Associazione stima aggirarsi attorno ai 600 milioni di euro – e i gravi danni dovuti al mancato versamento dei diritti d’autore per le mancate attività dal vivo. Parallelamente, anche le vendite di settore hanno subito un drastico calo, con un crollo del 70% degli acquisti di CD e vinili tra marzo e aprile (dati FIMI) e una tendenza negativa anche sul fronte digitale, a causa di una inevitabile contrazione delle novità in uscita.


Il bilancio del 2020 – per cui si prevede un contraccolpo pari a 100 milioni di mancati ricavi – si aggrava ancor di più se si osservano le catastrofiche conseguenze sul fronte dell’occupazione di settore, che vede centinaia di migliaia di operatori musicali strappati alla propria attività lavorativa. In questi mesi, infatti, lezioni, produzioni e registrazioni si sono fermate, e anche il circuito dei festival è stato demolito dalla cancellazione di manifestazioni grandi e piccole in tutto il mondo. Uno scenario inquietante, in cui le note dominanti sono per ora solo degli enormi punti di domanda. Questi interrogativi riguardano, ad esempio, il futuro dei concerti e degli eventi musicali live. Stando a un’indagine anonima dedicata proprio a questo tema, il 75% dei 15.000 partecipanti al sondaggio si dichiara completamente convinto che non si tornerà ad assistere ai live prima del prossimo anno.

E mentre il desiderio di partecipare fisicamente agli eventi musicali dal vivo resta fortissimo, l’ipotesi degli show interamente in streaming non piace, al punto che solo un 1,6% del campione sarebbe disposto a pagare per usufruirne. Del resto, l’esperienza di un concerto è fatta di emozioni uniche, che sembrano giustamente essere del tutto irriducibili a uno schermo. Certo è che, nonostante tutte queste difficoltà, il settore musicale non ha affatto perso la voglia di farsi sentire. Alcuni artisti stanno approfittando dello stop per registrare nuove composizioni (magari invitati proprio da etichette discografiche, come nel caso della Lost Map Records) e altri stanno reagendo con collaborazioni online. Sono poi emerse anche soluzioni originali e inedite – dal video Astronomical che il rapper Travis Scott ha pubblicato come performance digitale su Fortnite, al primo concerto norvegese drive-in, realizzato da un gruppo hip hop che ha scelto di esibirsi in un parcheggio. Alcuni artisti si sono lasciati ispirare proprio alla situazione.

“...I’m a ghost Living in a ghost town I’m going nowhere Shut up all alone So much time to lose Just staring at my phone Every night I’m dreaming That you will come and creep in my bed Please let this be over Not stuck in a world without end...”

Il cantautore canadese Neil Young, ad esempio, ha deciso di pubblicare una nuova versione di Shut It Down, dedicandola alla pandemia da Coronavirus. Sulla stessa linea si è mosso anche il gruppo musicale degli OneRepublic, che ha pubblicato a fine marzo il brano Better Days, composto dal frontman Ryan Tedder durante la quarantena, per lanciare un messaggio di speranza per il futuro. A inizio aprile risale invece l’uscita di Level of Concern, nuovo pezzo dei Twenty One Pilots, che è stato creato e registrato a distanza, durante il lockdown. Il duo statunitense si è impegnato a donare una parte dei proventi a Crew Nation, un fondo che viene in aiuto delle persone che lavorano ai concerti e ai tour, duramente colpite dalla crisi. Della distanza parlano poi anche i leggendari Rolling Stones nel proprio nuovo singolo Living in a ghost town, scritto nel 2019 e divulgato in questo stesso periodo per via della risonanza con la desolazione urbana imposta dalla quarantena. Il brano veicola un messaggio forte e in poche righe sa riflettere la comune percezione di un tempo sospeso tra il ricordo e l’attesa, in una dimensione colma di surreale straniamento.

A lato, una strofa tratta dal testo del nuovo brano Living in a ghost town, dei mitici Rolling Stones.

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Dal confinamento nascono e si diffondono anche gli innumerevoli contributi in streaming di quei cantanti e musicisti che hanno deciso di esibirsi online dalle proprie abitazioni. A passarsi il testimone dalle rispettive case sono stati, ad esempio, i colossi della musica che hanno partecipato all’epocale One World: Together At Home, una speciale staffetta musicale che ha visto protagonisti i volti più noti dello star system internazionale.

Anche in Italia le iniziative musicali a scopo di beneficenza non sono mancate. Tra esse, hanno fatto da cassa di risonanza sia gli eventi mainstream come la staffetta televisiva della Musica che unisce (a favore della Protezione Civile) sia progetti più alternativi come la raccolta di Distance Will Not Divide Us, realizzata da alcuni artisti della scena elettronica italiana per sostenere le attività dello Spallanzani di Roma.

L’evento, trasmesso in diretta televisiva sabato 18 aprile, è stato curato nientemeno che da Lady Gaga, che ha raccolto la partecipazione di star mondiali tra cui Paul McCartney, Eddie Vedder, Elton John e Stevie Wonder. “È molto importante pensare a livello globale e sostenere l’Organizzazione Mondiale della Sanità per frenare la pandemia e prevenire i futuri focolai”, ha detto Lady Gaga, confermando che la raccolta fondi andrà a sostegno delle attività di soccorso contro il COVID-19.

In questa stessa direzione si sono mosse anche la techno di The Italian Resistance – Music Against The Virus (in favore della Croce Rossa) e la proposta formulata con il nome di We Stay Home, realizzata tramite dei set casalinghi di dj volontari in free download in cambio di una libera donazione alla Fondazione per la ricerca Humanitas. E dunque, nonostante l’amarezza del momento, anche il mondo della musica reagisce. E cosí dalle grandi band di fama internazionale fino ai piccoli cori locali, gli artisti e gli appassionati di tutto il mondo continuano a tenere vivo il ritmo della creatività, senza mai perdere la voglia di suonare assieme.

Le iniziative musicali hanno continuato a battere il ritmo, provando a sovrastare il silenzio assordante di questo periodo di lockdown e cupa crisi globale. 164

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di Redazione collaterale Immersi in una sospensione narrativa che ci sembra infinita, proviamo a vivere l’attesa immaginando il futuro del cinema a partire da idee e sperimentazioni in presa diretta. 166

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Le luci che si abbassano, il profumo tiepido di popcorn, l’emozione trepidante dell’attesa... Silenzio in sala, finalmente inizia il film. Ebbene sí, tra le attività d’intrattenimento che più mancano in questo periodo d’emergenza pandemica rientra a pieno titolo proprio il cinema. Difatti, nonostante i servizi sostitutivi, nulla sembra essere realmente in grado di rimpiazzare l’emozione unica di vedere un film immersi nella magica atmosfera di un’autentica sala cinematografica. A causa della quarantena, recarsi al cinema è ora impossibile. Al punto che, per saziare la fame di storie e intrighi, siamo piuttosto costretti a improvvisarci moderni voyeur, rivolgendoci agli schermi dei nostri dispositivi o ai vetri delle nostre finestre. E cosí, confinati in casa, ci caliamo tutti nei panni di Jeff nel film La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock. Ma la “cinenostalgia” resta, ed è inevitabile domandarsi cosa accade e cosa accadrà all’universo della cinematografia.


proiezioni del futuro

Come confermano produttori, registi, attori e analisti, la situazione che stiamo vivendo è del tutto senza precedenti. Chiusi in casa per via della quarantena, gli spettatori sono obbligati a tenersi ben alla larga da multiplex, teatri e sale cinematografiche, cercando dunque conforto in servizi di streaming come Amazon Prime Video, il neonato Disney+ e, ovviamente, l’ormai classico Netflix. Tanto che, nel caos del crollo generale del mercato di settore, è proprio la società di Los Gatos ad aver mantenuto il segno positivo, con un rialzo del 12,5% delle proprie azioni da inizio 2020. Un vantaggio che potrebbe crescere se la crisi pandemica dovesse peggiorare (e con essa le misure d’emergenza), ma che si trova comunque già a dover fare i conti con i tanti rinvii che hanno interessato l’intera produzione di nuovi contenuti filmografici.

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Se infatti già nei mesi scorsi le serie televisive e i film girati in Oriente hanno subìto i primi ritardi, la minaccia del contagio ha presto spinto molte produzioni a rivedere tutti i piani d’azione. Il COVID-19 ha portato scompiglio nel panorama delle nuove uscite in sala, provocando il rinvio dell’uscita di film come No Time to Die, The French Dispatch, Fast & Furious 9, Mulan, Jungle Cruise, Black Widow (e, a catena, tutti gli altri prodotti targati Marvel), Top Gun: Maverick, Ghostbusters: Legacy e molti altri ancora. Una lista lunga e desolante, che lascia con l’amaro in bocca miliardi di spettatori e cinefili in tutto il mondo. Ad alleviare almeno parzialmente lo sconforto sono solo annunci di uscite (esclusivamente) on demand e in streaming, come nel caso dei film di Emma, The Hunt, Guns Akimbo e Artemis Fowl.


Confinati in casa per la quarantena, ci sentiamo tutti un po’ come Jeff nel film La finestra sul cortile (1954) di Alfred Hitchcock. Anche noi, come il protagonista, ci troviamo a saziare la nostra curiosità scrutando il mondo dalla finestra o dallo schermo.

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Qui sopra, James Stewart nei panni di Jeff nel film La finestra sul cortile..

ÂŤI spent six weeks sitting in a two-rooms apartment, with nothing to do but look out the window at the neighboursÂť Jeff, Rear Window, 1954

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In questi mesi, stanno sorgendo molte nuove proposte per cercare di conciliare l’entertainment pubblico e l’osservanza delle norme sanitarie d’emergenza. Ultimamente, l’attenzione dei media è stata attirata in particolar modo dall’idea di riportare in voga i drive-in...

Notizie amareggianti provengono anche dal mondo dei festival del cinema, costretti in moltissimi casi a dare forfait. Primo fra tutti il Festival di Cannes, inizialmente in previsione per il periodo dal 12 al 23 maggio: quest’anno il prestigioso evento è stato rinviato per la prima volta dalla propria fondazione, rischiando oltretutto di non riuscire sottrarsi a una completa cancellazione. Del resto, da Trento a Taormina, da Monaco a Cracovia, l’Europa intera è stata rapidamente contagiata da annullamenti o posticipi di rassegne e festival cinematografici più o meno noti. Anche il resto del mondo non sembra offrire rosee prospettive in merito, tanto che persino il Tribeca Film Festival e il noto evento SXSW hanno dovuto rinunciare alle proprie manifestazioni pubbliche. Ciò nonostante, è giusto segnalare che il Tribeca ha comunque deciso di distribuire online alcune pellicole indipendenti (fruibili dagli addetti ai lavori), offrendo parallelamente la possibilità di visionare in realtà virtuale 15 film della sezione Cinema360. Dal canto suo, anche SXSW ha scelto lo streaming, ma in modo diverso e limitato, dando comunque piena conferma della cancellazione totale dell’edizione 2020. Oltre alle possibilità offerte dai servizi in streaming, in questi mesi stanno emergendo varie proposte di nuove soluzioni volte conciliare l’entertainment pubblico e il rispetto delle norme sanitarie d’emergenza. Ad attirare l’attenzione dei media è stata soprattutto l’idea di rispolverare i drive-in, dando agli spettatori la possibilità di guardare i film dall’interno delle proprie autovetture. Stando alle fonti, il primo cinema drive-in della storia sorse nel 1933 in New Jersey, su iniziativa di un certo Richard Hollingshead. I posti a disposizione consentivano a un massimo di 400 veicoli di assistere alle proiezioni, che venivano riprodotte – al modico costo di soli

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25 centesimi di dollaro – su uno schermo largo 12 metri e alto 5. Suscitando sempre maggior interesse, i drive-in si trasformarono presto in un vero e proprio simbolo dell’entertainment novecentesco a stelle e strisce, entrando a far parte della cultura popolare, anche su impulso di film cult come Grease e American Graffiti. I primi a cercare di riportare alla luce la suggestiva scenografia dei drive-in sono stati proprio gli statunitensi: è infatti stata recentemente divulgata la notizia che nella città di Schertz, in Texas, sono stati organizzati degli improvvisati cinema drive-in, che hanno registrato subito un sonoro sold-out. L’iniziativa ha riscosso molto successo in termini di pubblico e visibilità, tanto che qualcuno vi ha scorto un’interessante opzione per far rivivere l’esperienza delle serate al cinema nel rispetto del social distancing. Nel frattempo, gli spazi drive-in sono stati protagonisti di un piccolo boom anche in Germania – e non soltanto per gli spettacoli cinematografici, ma anche per concerti e altre occasioni di intrattenimento pubblico. Stando alle fonti, oltre 30 drive-in hanno aperto su suolo tedesco dall’inizio della pandemia, portando il totale nazionale a ben 50 unità. E ogni evento organizzato in questi spazi sta raccogliendo sempre un ampio successo in termini di affluenza e di popolarità. Non manca però chi preferisce frenare gli entusiasmi, parlando piuttosto di una moda del tutto passeggera. Secondo gli scettici, infatti, è alquanto difficile immaginarsi che proiezioni viste attraverso appannati parabrezza possano davvero avere un ruolo rilevante nel futuro del cinema. Sembra invece più probabile che nei mesi estivi che ci attendono si possa assistere a un revival delle arene cinematografiche all’aperto, nel rispetto di tutti gli appositi protocolli di protezione e sanificazione.

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In queste pagine, alcuni still tratti dal film de La finestra sul cortile. Qui a lato, gli attori Grace Kelly e James Stewart sul set.

Tutte queste ipotesi sono ora al vaglio anche in Italia, dove le istituzioni culturali sono al lavoro per immaginare gli scenari futuri e mantenere viva la natura pubblica dell’intero sistema dello spettacolo. In molte città italiane sono già state suggerite delle alternative per conciliare eventi pubblici e norme sanitarie d’emergenza, anche se il clima resta incerto. Intanto, da Napoli ad Alghero, da Bologna a Milano, tutt’Italia si sta lasciando ammaliare dal ritorno in auge dei drive-in. Tanto che, anche sotto le Due Torri, tra le varie proposte formulate per non privare la città delle amate rassegne cinematografiche estive figura proprio l’ipotesi di un cinema drive-in, da situare in un ampio spazio aperto, posto entro il perimetro urbano. Sempre a Bologna, poi, si sono fatte notare di recente anche le suggestive proiezioni riprodotte in occasione della Festa della Liberazione e della Festa dei Lavoratori. Durante questi eventi, Piazza del Nettuno è stata infatti animata da frammenti tratti dalle pellicole di The Forgotten Front e Modern Times. Parallelamente, la collaborazione tra l’associazione di Kinodromo e il festival di Ce l’ho Corto sta portando sui muri di via San Petronio Vecchio una selezione di cortometraggi per la versione bolognese della rassegna del Cinema da Casa. Quest’ultima iniziativa è stata lanciata per la prima volta a metà marzo, su impulso del festival cinematografico di Alice nella Città. L’idea del Cinema da Casa è partita da Roma ma si è ben presto diffusa in tutto il mondo, trasformando le facciate dei palazzi in degli immensi e schermi cinematografici. Come suggerisce lo slogan di questa bella iniziativa, tutti noi abbiamo – anche a distanza e nonostante l’isolamento – la possibilità di aprire le finestre e di usare come schermi i nostri spazi di vita quotidiana.

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di Redazione collaterale

Si può dunque dire che, mescolando un po’ di voyeuristica curiosità al coraggio di formulare nuove idee, possiamo ancora creare legami inediti tra immagini, storie e persone... tenendo così viva la magia del cinema.

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epilogo

primavera 2020


Primavera 2020 Tempo fuori dal tempo. Tutto fermo, immobile, pietrificato. Eppure tutto in movimento. Sensibilità dilatata ed effetti collaterali. Senso di attesa infinita nell’aria sospesa. E poi, in un solo soffio, tutto di nuovo scorre.

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Š2020 Progetto studentesco

co-studio

Anzalone Greta, Canini Alice, Piovesan Giovanni, Rasotto Isabel e Trocchi Denise

contatti

Instagram: @collaterale.magazine Info: collaterale.magazine@gmail.com

collaboratori

Albanati Martina Artero Silvio Balbi Lorenzo Cogo Lydia Florini Maria Cristina Intonti Sonia Tosi Brandi Michela Trocchi Valter Virus+ Zanetti Mathilda

ringraziamenti

La Redazione ringrazia tutte le persone intervistate e tutti coloro che hanno collaborato al progetto, tra cui Andrea Guccini, docente di Art Direction presso IAAD Bologna.

diritti

Ogni diritto relativo alle immagini e ai testi riprodotti è riservato, senza finalità commerciali e di lucro.




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