LIBERAMENTE ISPIRATO AL CAPOLAVORO DI ITALO CALVINO
MARCOVALDO LE AVVENTURE CONTINUANO
RACCONTI degli alunni della classe 2DLS con la prefazione del dott. GUIDO AFFINI
a cura di prof.ssa CHIARA MILAN prof.ssa GIOVANNA NICIFERO prof.ssa CINZIA NARDOIA I.T.I.S. “G. Cardano” Liceo Scienze Applicate Pavia
a.s. 2021-2022
Ringraziamo la Dirigente scolastica dott.ssa Giancarla Gatti Comini che ci ha sempre consentito, in piena fiducia, di sperimentare nuovi metodi didattici, di collaborare fra colleghi e di esprimere la nostra creatività come docenti.
a.s. 2021-2022
MARCOVALDO LE AVVENTURE CONTINUANO «Se una notte d'inverno un viaggiatore, fuori dell'abitato di Malbork, sporgendosi dalla costa scoscesa senza temere il vento e la vertigine, guarda in basso dove l'ombra s'addensa in una rete di linee che s'allacciano, in una rete di linee che s'intersecano sul tappeto di foglie illuminate dalla luna intorno a una fossa vuota, - Quale storia laggiù attende la fine? chiede, ansioso d'ascoltare il racconto». Italo Calvino
I.T.I.S. “G. Ca
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Coordinamento del lavoro Prof.ssa Chiara Milan Prof.ssa Giovanna Nicifero Editing digitale Prof.ssa Cinzia Nardoia
a.s. 2021-2022
Marcovaldo le avventure continuano…
Prefazione di Guido Affini
Sono nato nel 1963, lo stesso anno in cui Marcolvaldo fu dato alle stampe. Lo lessi, dodici anni dopo, in un’edizione Einaudi per le scuole medie, quella con le righe rosse. La stessa cornice che aveva Hemingway con il suo “Il vecchio e il mare” e Rigoni Stern con “Il sergente nella neve”. Con quelle righe, l’oggetto che avevo tra le mani diventava una scoperta: un libro importante che sarebbe riuscito a darmi qualcosa in più delle solite letture. La comicità, promessa da Calvino nel suo Marcovaldo, in realtà non era leggera e anche adesso non lo sarebbe: il protagonista dei venti racconti vive la normalità del quotidiano nelle sue ordinarie vicende e le stagioni e gli anni confermano solo i rapporti e le relazioni con un mondo, che oggi ci sembra attuale e lontano nello stesso tempo, uscito da un paio di decenni dal conflitto mondiale, in piena ripresa economica e con mille contraddizioni. Le avventure di Marcovaldo non sono eroiche e noi non siamo eroi. Ci immedesimiamo in quello che capita alla sua famiglia e diventiamo, con lui, lettori e protagonisti. Leggendo i racconti degli studenti del CARDANO, ho provato una profonda emozione, perché hanno attualizzato e confermato che c’è bisogno di raccontare il nostro mondo, teso tra il desiderio di meraviglia e le difficoltà del quotidiano. Un manifesto dolce e irrinunciabile.
Guido Affini cofondatore della libreria pavese Il Delfino, premiata nel 2010 con il Premio Andersen per la promozione della lettura e riconosciuta nel 2019 come Migliore libreria d’Italia con il Premio Luciano e Silvana Mauri. Affini collabora con la rivista Andersen e il Coordinamento delle librerie per Ragazzi, con il Festivalletteratura di Mantova e con il Festival di Cuneo Scrittorincittà per la parte di letteratura per ragazzi. Collabora con alcune biblioteche nella formazione alla letteratura soprattutto per adolescenti.
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Introduzione L’attività pluridisciplinare realizzata nella classe 2 DLS a cavallo di due anni scolastici, tra marzo e dicembre 2021, ha dato vita per opera degli studenti alle nuove avventure di Marcovaldo, personaggio insieme buffo e malinconico, inventato da Italo Calvino nel fortunato volume “Marcovaldo ovvero le stagioni in città” pubblicato dallo scrittore italiano nel 1963. Il lavoro ha preso avvio durante il difficile periodo della didattica a distanza. Si è partiti dalla lettura del famoso libro e dall’analisi del meccanismo ripetitivo di “ricerca – fraintendimento – delusione” sotteso alla narrazione, capace di provocare stupore nel lettore e di condurlo ad identificarsi nelle avventure tragicomiche del protagonista Marcovaldo, che invano cerca una via d’uscita dalla sua misera esistenza in una città di asfalto e cemento. La lettura e l’analisi si sono rivelate ben presto uno stimolo per l’immaginazione degli studenti, guidati a concretizzare e figurare nella mente spazi e luoghi, per diventare prima attenti osservatori del mondo, sia naturale che antropico, e poi abili narratori in grado di descriverlo. Una volta compresi i codici espressivi del testo di Calvino, agli studenti è stato proposto di costruire nuove e originali storie aventi come protagonista Marcovaldo e la sua numerosa famiglia, rimanendo fedeli al genere e al registro di partenza, ambientando le inedite avventure in una stagione e in un luogo precisi ma liberamente scelti. Ai ragazzi è stato infine chiesto di realizzare un disegno di piccole dimensioni che fosse sintesi della storia e aiutasse a immaginare i protagonisti in azione. Il lavoro di lettura e di produzione scritto-grafica è stato condotto attraverso la collaborazione delle docenti di Italiano prof.ssa Chiara Milan e di Disegno e Storia dell’Arte prof.ssa Giovanna Nicifero; la revisione testuale è stata realizzata dalla prof.ssa Chiara Milan; l’impaginazione tecnico-grafica è stata predisposta a cura della docente di Informatica prof.ssa Cinzia Nardoia.
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Sono nate così le 21 nuove avventure di Marcovaldo, tante quante gli studenti della 2 DLS che le hanno immaginate e scritte con impegno, in un periodo difficile della loro vita di adolescenti, costretti a sopportare le restrizioni e le paure della pandemia e nonostante ciò, o forse proprio per questo, più disponibili a sperimentare percorsi immaginativi ed emotivamente gratificanti.
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Primavera
POLLI GRIGLIATI di Tobia Traverso
Dall’inizio del boom economico, in città a tutti sembrava di avere poco tempo. Al mattino i pendolari inseguivano i tram per non arrivare tardi al lavoro e i genitori facevano lo slalom tra il traffico per accompagnare i figli a scuola; raggiunti gli uffici o le industrie, le persone lavoravano senza fermarsi per non rimanere indietro e non rischiare di rallentare la catena di montaggio. A fine giornata correvano a casa, preparavano la cena e poi andavano a dormire; così non trovavano mai il tempo per rilassarsi, per trascorrere un momento con i figli o per notare qualche particolare che li circondava. Tutti tranne Marcovaldo che, nelle sue giornate, trovava il tempo per osservare qualche fiore crescere o per ascoltare il cinguettio di un uccellino, sulle chiome di quei pochi alberi rimasti in città. Tra le cose per cui tutti avevano poco tempo c’era quella di mangiare. Ed è proprio per questo che i fast food si diffondevano con rapidità, per permettere ai lavoratori di sfamarsi quel poco che bastava, nel quarto d’ora concesso dal dirigente o dal capo dell’azienda. Marcovaldo osservava ogni giorno, verso l’ora di pranzo, l’intera popolazione di lavoratori dirigersi come una mandria al pascolo verso i fast food, dove decine di cartelli pubblicitari rivelavano offerte “incredibili”: 4 coscette di pollo al prezzo di 2, doppio hamburger e patatine a
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soli 5 euro; e così le friggitrici lavoravano a suon di ordinazioni, producendo tonnellate di patatine al giorno. Tanto che non c’era nemmeno il tempo di cambiare l’olio o di pulire la cappa, e nascevano così primi scandali riguardo questo tipo di alimentazione. I giornali parlavano di scarsa pulizia, di cibi scadenti, di ingredienti di bassa qualità; giravano anche voci che gli hamburger nei panini fossero pieni di sostanze per far ingrassare più in fretta gli animali o che nelle patate ci fossero più insetticidi che vitamine. Marcovaldo, a sentire queste informazioni, pensava a quanto fosse fortunato ad avere ogni giorno il pranzo già preparato da sua moglie Domitilla; allo stesso tempo, però, quelle grosse insegne che parlavano di hamburger succulenti, patatine croccanti e alette di pollo dorate, le sue preferite, gli facevano salire una gran voglia di seguire la massa di operai e impiegati. Da giorni pertanto, nella mente di Marcovaldo, cresceva l’idea di potersi preparare quei cibi saporiti per conto suo, senza ingredienti scadenti o friggitrici unte. Il suo intento era quello di trovare due polletti, farli ingrassare e poi cucinarli. A dir la verità aveva provato solo una volta a cucinare e quella sera erano finiti tutti al pronto soccorso, tranne Michelino che, una volta saputo che la cena l’avrebbe preparata suo padre, aveva finto di stare male. Di fatto il piano di Marcovaldo aveva due incognite: innanzitutto non aveva idea di dove trovare due polli e per di più, una volta trovati, non sapeva dove avrebbe potuto tenerli. Passò qualche giorno finché, una domenica pomeriggio, mentre Marcovaldo e i suoi figli stavano facendo un giro in città, sentirono in lontananza un rumore assordante, tanto che Filippetto, appassionato di film di guerra, credeva che lo stesse puntando un carro armato. Girata la curva, vide in realtà qualcosa di molto peggio: sembrava un veicolo da guerra con delle ruote alte quasi il doppio, tanto che i figli balzarono indietro spaventati; ma Marcovaldo spiegò loro che in realtà quello era un trattore, usato dai contadini nei campi. Quando Marcovaldo vide il trattore, gli vennero subito in mente due parole: fattoria e polli. Così iniziò a seguire il mezzo che, dietro di sé, aveva creato una fila di auto che sembrava interminabile. Dopo circa 200 metri svoltò a sinistra e proseguì lungo una via sterrata, costeggiata su entrambi i lati da un fossato. Sul fondo della via si poteva già intravedere un edificio di color giallo ocra che, per i bambini, sembrava qualcosa di strano, considerando che i palazzi e le case li avevano sempre visti grigi.
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Marcovaldo e i suoi figli proseguirono dietro al trattore per tutta la via fino a quando si fermò davanti alla fattoria del signor Olivo, un contadino un po’ all’antica, che detestava la città e i suoi abitanti e che perciò era sempre rimasto nella sua proprietà, ben distante dagli odori e dai colori cittadini. Quando quest’uomo scese dal trattore, Marcovaldo si accorse che ormai il sole stava per tramontare e gli chiese ciò di cui aveva bisogno: -“Sto cercando due galline, ne ha qualcuna da poter vendere?”- e il contadino con uno sguardo svogliato rispose: -“No, non ne ho; arrivederci”- ma dopo poco aggiunse: -“Ora che ci penso, due galline ci sarebbero”. Così Marcovaldo tornò a casa con una gabbia nella mano destra e una nella sinistra, senza sapere che Olivo gli aveva rifilato le galline solo perché non facevano uova da un po’ di tempo; in questo modo avrebbe risparmiato qualcosa sul mangime per i polli e oltretutto aveva preso gusto a ingannare un uomo di città. Non sapeva però che a Marcovaldo interessava ben poco delle uova, anzi i suoi piani erano completamente diversi. Quando tornò a casa, sua moglie Domitilla iniziò i soliti discorsi: “Ma sai quanti siamo in casa? Come puoi pensare che ci stiano anche due polli?” Marcovaldo, senza avere la minima idea di dove metterli, rispose: -“Non preoccuparti, staranno qui solo la notte”. Durante la notte dormì ben poco, sia per i polli che avevano chiocciato e sia perché aveva pensato a fondo a dove nasconderli e l’unico posto che gli era venuto in mente era il ripostiglio alla SBAV dove, fino a qualche anno prima, stavano i sacchi di carbone. Così il mattino dopo, al lavoro, portò con sé le due gabbie con i polli. Raggiunti i paraggi della ditta, spense il ciclomotore per non rischiare di attirare le attenzioni di qualche dipendente e, cercando di camminare silenziosamente, raggiunse l’entrata. Guardandosi intorno, non vide nessuno; attraversò senza fare rumore il corridoio dove stavano gli uffici del capo e, girando a sinistra, raggiunse l’entrata del ripostiglio. Una porta in ferro, ormai quasi del tutto arrugginita, dava accesso allo stanzino. Davanti a Marcovaldo stava un secchio, messo lì per raccogliere l’acqua piovana che, ormai da mesi, gocciolava dal tetto. Aprì la porta e una fuliggine si alzò dal pavimento, tanto che starnutì rischiando quasi di farsi scoprire. Appoggiò le gabbie a terra e, per un momento, ebbe quasi compassione di quei polli, che avrebbero dovuto stare rinchiusi in quello stanzino. Esso era illuminato solamente dalla luce fioca proveniente da una finestrella, che metteva in mostra sul pavimento qualche pezzo di carbone e sul soffitto alcune ragnatele che riempivano quel bugigattolo vuoto.
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Passò circa un mese e Marcovaldo, ogni giorno, durante la pausa pranzo, portava del mangime ai polli e, ora che erano ingrassati un bel po’, decise che era il momento di riportarli a casa. Varcata la soglia gli si avvicinarono i figli, che avevano atteso a lungo quel momento, tanto che ogni sera chiedevano notizie a Marcovaldo, che ogni volta rispondeva “stanno bene” e intanto pensava a quel giorno in cui avrebbe dovuto spiegare che quei polli aspettavano solo il momento di essere cucinati. Però, quel giorno, a vedere i suoi figli così felici, non ebbe il coraggio di realizzare il suo intento. E così, la stessa sera, scesero tutti in strada e, aprendo la gabbia, lasciò uscire i polli, i quali, una zampa dopo l’altra, si allontanarono piano piano. I bambini li stavano salutando quasi commossi e Marcovaldo capì di aver fatto la scelta giusta. La mattina dopo, al suo risveglio, aprendo la finestra, Marcovaldo venne investito da un odorino di pollo grigliato: nel giardino del vicino due polli stavano rosolando sul fuoco acceso.
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Primavera GITA SUL FIUME di Gabriele Lamonaca
Erano le cinque di un venerdì di una calda giornata di primavera inoltrata e Marcovaldo stava uscendo dalla ditta SBAV. “Per due giorni niente pacchi da scaricare” diceva tra sé e sé, mentre raggiungeva la fermata del tram che lo avrebbe riportato a casa. Il sole splendeva ancora; le fronde degli alberi verdeggianti, mosse da una leggera brezza per niente fastidiosa, attiravano come sempre la sua attenzione. Era proprio un bel tardo pomeriggio per cui Marcovaldo decise di approfittarne per godersi quel dolce calduccio di inizio primavera e si incamminò a piedi verso casa. Strada facendo pensò: -“Oh quanto sarebbero felici i miei bambini se potessero passare una bella giornata come questa all’aperto, in mezzo alla natura, magari sulle rive del fiume che dista solo pochi chilometri da qua!”. Così su due piedi decise che l’indomani avrebbe portato tutta la famiglia a fare una bella gita fuori porta. Arrivato a casa, comunicò alla moglie Domitilla il suo programma per il giorno dopo; lì per lì la moglie lo guardò con quel fare tra stupore e perplessità, poi accettò di buon grado l’idea. Di buon mattino, muniti di tutto l’occorrente, due vecchie coperte, un modesto pranzo e un pallone rattoppato, Marcovaldo e
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tutta la famiglia s’incamminarono verso il fiume. Quando uscirono di casa l’aria era ancora fresca, la grigia strada asfaltata sembrava più scura per l’umidità; non si vedeva in giro neanche una macchina, c’erano solo loro. Dopo aver percorso circa un chilometro, arrivarono al sentiero che li avrebbe condotti all’ambita meta. Il tragitto si rivelò per Marcovaldo una piacevole sorpresa, finalmente era immerso nella natura, poteva osservare la ricca e variegata vegetazione, ascoltare il cinguettio degli uccelli che popolavano la zona, vedere i leprotti in lontananza scappare alla vista dell’arrivo dell’allegra combriccola che avanzava chiassosa e allo stesso tempo meravigliata di quel mondo così lontano dalla solita routine. Dopo un paio di ore di cammino, arrivarono al fiume. La riva era ricoperta di ciottoli di varie dimensioni, solo a ridosso dell’acqua c’era una sabbia fine di un grigio scuro dovuto probabilmente agli scarichi industriali non molto distanti da lì, che spesso si riversavano nell’ acqua del fiume, la quale per lo stesso motivo non era cristallina, bensì aveva un colore simile al verde delle bottiglie. La corrente era abbastanza forte, perciò Domitilla avvertì i figli di non immergersi nel fiume perché c’era il pericolo che venissero trascinati via; potevano bagnarsi i piedi e le caviglie, non di più. Marcovaldo e la moglie sistemarono le due coperte a terra, poi si sedettero ad osservare i figli, mentre correvano e gridavano divertiti lungo la riva. La mattinata trascorse velocemente e arrivò presto l’ora di pranzo; Marcovaldo chiamò a raccolta i suoi sei figli: si sistemarono tutti sulle coperte ed iniziarono a mangiare i panini preparati dalla moglie con pane e mortadella e la frutta raccolta la sera prima da Marcovaldo dal vivaio del suo amico Giacobbe, ricco di ciliegi e peschi e altra frutta di stagione. Una volta finito di pranzare, i bambini tornarono ai loro giochi, Domitilla si alzò per fare una breve passeggiata, mentre Marcovaldo si distese al sole ad ammirare il cielo azzurro e le bianche nuvole che sembravano immense masse di cotone in lento movimento. Si sentiva davvero felice e rilassato in quello che per lui era un piccolo angolo di paradiso, lontano dalla monotonia dei colori sbiaditi della città. Rimase così a contemplare il paesaggio che lo circondava, quando il suo sguardo si fissò su una grossa chiazza colorata in mezzo al corso d’acqua; decise di andare a dare un’occhiata più da vicino a quello che da lontano pareva una splendida ninfea. Si spogliò e si immerse in acqua, convinto di avvicinarsi sempre più a ciò che aveva attirato la sua attenzione. In realtà la corrente lo stava trascinando dalla parte opposta e lui, una volta resosi conto di ciò, iniziò ad agitarsi. Al contempo Domitilla notò l’assenza del marito e osservò al centro del fiume due lunghe braccia dimenarsi freneticamente: erano quelle di Marcovaldo. Presa dal panico si mise ad urlare
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chiedendo aiuto; i figli, sentendo la madre, si spaventarono ed iniziarono a piangere. Con tutto quel trambusto ben presto si formò un piccolo gruppo di curiosi, ciascuno proponendo una propria soluzione per mettere in salvo il povero Marcovaldo. Alla fine prevalse la soluzione di un certo Pippo che nel frattempo si era immerso fino alle ginocchia per poter farsi sentire meglio dal malcapitato. “Ascoltami bene” - disse Pippo rivolto a Marcovaldo -“lo vedi quel grosso masso che fuoriesce dall’acqua?”. Marcovaldo annuì con la testa perché non aveva fiato per rispondere e l’uomo continuò: -“Bene, allora lasciati trasportare dalla corrente e, appena ti avvicini al masso, cerca di aggrapparti con tutte le tue forze; poi penseremo ad un modo per recuperarti”. Marcovaldo non era molto convinto, ma allo stremo delle forze fece esattamente come Pippo gli aveva suggerito. Tutti guardavano con il fiato sospeso verso il fiume, in attesa di vedere se Marcovaldo fosse riuscito ad agganciare il masso e fortunatamente ciò avvenne. Il piccolo gruppo di curiosi gridò di gioia, ma solo per un attimo perché Marcovaldo era ancora in mezzo al fiume e bisognava portarlo a riva. Poco distante da dove si trovavano gli osservatori, c’era una piccola imbarcazione abbandonata, messa in secca e munita di due vecchi remi. Fu un giovane ragazzo ad indicarla agli altri. Il caso volle che, in quello stesso gruppetto di curiosi, si trovasse Arcibaldo, un vecchio marinaio in pensione. Arcibaldo era abituato a navigare in acque ben più turbolente e, con l’aiuto del giovane ragazzo, mise in acqua la barchetta dirigendosi verso lo sventurato. Una volta raggiunto, gli porsero un remo grazie al quale lo issarono a bordo. Marcovaldo ringraziò per il salvataggio e ne approfittò per chiedere al vecchio marinaio di portarlo vicino a ciò che aveva visto da lontano e per cui si era immerso in acqua. Arcibaldo acconsentì. Marcovaldo con sua grande delusione vide che non si trattava di una gigantesca ninfea, bensì di un mucchio di buste di plastica, aggrovigliate tra loro. A quel punto i tre tornarono a riva; Marcovaldo era sano e salvo anche se ancora tremante per il freddo, ma soprattutto per la paura. Dopo tanto spavento, Domitilla corse incontro al marito, lo coprì con una coperta perché si scaldasse parlandogli dolcemente. Passarono un paio d’ore ed arrivò il momento di far ritorno a casa; il tragitto non fu sereno e spensierato come quello del mattino, perché la moglie passò tutto il tempo a rimproverare Marcovaldo. -“È pericoloso nuotare nei fiumi, lo sanno tutti; avevo avvertito i bambini invece avrei dovuto preoccuparmi di sorvegliare te” continuava a ripetere furiosa. Arrivati alla fine del sentiero, ripresero a camminare sulla grigia strada asfaltata da cui si levava un odore acre dovuto al passaggio delle automobili. Il sole iniziava a tramontare, il cielo a prendere il
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colore del crepuscolo, le luci dei lampioni ad illuminare le strade della città, mentre il povero Marcovaldo, abbattuto e imbarazzato per l’accaduto, tornava alla sua vita di sempre.
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Primavera MARCOVALDO E LE BANCONOTE FALSE di Arianna Masi
La primavera era arrivata e come ogni anno i fiori stavano iniziando a sbocciare; il sole, che per molto tempo era sembrato quasi invisibile e pallido nel freddo cielo dell’inverno, risorgeva alto e brillava. I bambini tornavano ad uscire con i loro amici e le vie riprendevano a brulicare. I cittadini della rumorosa e affollata città vedevano questa nuova fase dell’anno come un momento di rinascita dopo il grigio inverno. Tutti tranne Marcovaldo, che non apprezzava la primavera per il caos e la frenesia con cui la gente accorreva nei negozi per comprare abiti e giacche leggere per il cambio di stagione, primizie succose e colorate da mettere sotto i denti o semplicemente si accalcava nei negozi per occupare un posto nella città. Marcovaldo di ciò era triste: le passeggiate in campagna per andare a raccogliere legna per la stufa, i ritorni al buio dopo il lavoro in fabbrica, le camminate al freddo tra le strade ghiacciate e i fiocchi di neve che cadevano dal cielo, non erano più possibili. Era un giorno di primavera, tiepido per la luce del nuovo sole, ma allo stesso tempo freddo all’ombra degli alberi, quando Marcovaldo decise di sistemare il giardino del suo condominio. Uscì dal portone del palazzo, diede un’occhiata nella sua casella della posta a cui arrivava raramente qualcosa, se non bollette
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da pagare. Mentre sistemava la cassetta rovinata e arrugginita, trovò dentro una banconota da mille lire; felice andò dalla moglie Domitilla e dai figlioletti dicendo: - “Oggi giornata fortunata miei cari! Ho appena trovato questa”. Filippetto e Michelino gli risposero: -“Papà che cos’è? La vogliamo anche noi, dove l’hai trovata?” Il padre rispose loro semplicemente: - “Monelli, questa è una banconota da mille lire e l’ho trovata in quella carcassa rovinata che c’è in giardino”. Marcovaldo, al primo impatto, non aveva pensato chi o cosa avesse portato lì quella banconota. I giorni seguenti a quel giorno fortunato furono piovosi; furono giorni di pioggia intensa, tanto che il lavoro svolto da Marcovaldo, nel famoso giorno fortunato, era stato sommerso dall’acqua insistente. Il padre di famiglia al ritorno dal lavoro era stanco e così una mattina, prima di dirigersi in ditta, disse ai suoi figlioletti di sistemare il giardino in cambio della banconota da mille lire. I figli, appena il padre mise piede fuori di casa, si armarono di pale, secchi, annaffiatoi e tutto ciò che poteva servire per sistemare quel piccolo pezzo di verde e si misero a sistemare il giardino. Il figlio più grande, Michelino, ripensando a dove il padre aveva trovato la bellissima banconota nel giorno fortunato, decise di dare una speranzosa occhiata nella vecchia ed arrugginita cassetta della posta. Eccola! L’aveva trovata! E dentro aveva trovato un’altra banconota da mille lire! Allora disse ai fratelli: - “Ragazzi correte! Eccone un’altra! L’abbiamo trovata!”. I fratelli esclamarono in coro: - “Wow! E dove l’hai preso quel bigliettone?”. Il fratello maggiore rispose di aver trovato la seconda banconota sempre nella cassetta della posta e propose di conservarla per farla vedere al padre appena fosse rincasato. Una volta che tutti furono d’accordo, la conservarono e la mostrarono a Marcovaldo la sera stessa, al ritorno dal lavoro. I giorni passavano e le banconote si accumulavano; Marcovaldo trovò delle banconote in città e, secondo una delle sue indagini, si rese conto che era più facile trovare quelle banconote nelle cassette della posta, piuttosto che in strada; così incaricò i figli di andar di casa in casa a cercare le banconote. Perciò disse: - “Allora ragazzi miei, ho una missione per voi; dovrete andare di casa in casa a raccogliere banconote dalle cassette della posta dei palazzi; però attenti, siate astuti e non fatevi rimproverare. Ci siamo intesi?” Tutti risposero di sì in coro ed annuirono con la testa, successivamente chiesero come mai invece di aspettare che le banconote arrivassero da loro, erano loro a dover cercare le banconote. Il padre spiegò che se fossero riusciti ad accumulare molte banconote, avrebbero potuto pagare le bollette che in quel mese avevano raggiunto una bella somma, maggiore rispetto ai mesi precedenti.
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I bambini si misero alla ricerca delle banconote e controllavano di cassetta in cassetta nella speranza di trovare qualcosa da portare a casa; ogni tanto si facevano scoprire e le persone dicevano loro: -“Ehi monelli, cosa cercate nelle cassette degli altri? Andate via!” I bambini, spaventati, prendevano quello che dovevano e scappavano. Le giornate passavano e i bambini tornavano ogni giorno a casa pieni di banconote; nel giro di qualche settimana, avevano trovato e portato a casa così tante banconote che ne potevano fare dei libri. I due coniugi decisero allora di andare a fare, per la prima volta dopo tanto tempo, la spesa in quello che era il posto di ritrovo dove i consumatori si recavano all’orario stabilito, cioè alle ore 18. Cercarono di non esagerare e di non farsi trasportare dall’entusiasmo, misero nel carrello nulla di più di quel che serviva, così da risparmiare il più possibile e conservare la maggior parte dei soldi per pagare le bollette. Detto fatto, Marcovaldo e Domitilla andarono in cassa pronti per pagare quello che loro stessi avevano messo nel carrello; in cassa stava lavorando la signora Beatrice, la moglie di un collega di Marcovaldo. La signora, bassa e secca, aveva in bocca una gomma da masticare e maneggiava i tasti con meravigliosa agilità; intanto con i denti produceva dei terribili rumori che innervosivano Marcovaldo. Una volta finito di passare tutti i prodotti e aver comunicato la somma da pagare, la commessa aspettava che Domitilla estraesse le banconote, mentre il marito riponeva i sacchetti colmi di prodotti nel carrello. Dopo aver consegnato i soldi alla cassiera, essa si mise a ridere. Marcovaldo e Domitilla la fissarono e poi si guardarono l’un l’altra, entrambi non capivano perché la signora ridesse e non accettasse i soldi. Successivamente esclamò: -“Spero che voi stiate scherzando! Mi spiace, ma non posso accettare queste banconote.” Marcovaldo le rispose: - “E perché no? Cosa non va? Mi sembrano delle banconote normalissime!”. Lei ribattè: - “E perché no? Cosa non va? Vi sembrano delle banconote normalissime? Signore, mi dispiace ma queste non sono delle vere banconote, sono dei buoni sconto da usare per comprare alcuni prodotti nel nostro supermarket. Non avete visto il retro della banconota? C’è scritto un’informazione sul buono.” Marcovaldo pensò subito di andare a riporre sugli scaffali tutto quello che avevano messo nel carrello con la scusa di essersi dimenticato alcuni prodotti. E così fece.
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Primavera DOLCI PRIMAVERILI di Kamila Zaiduloeva
Andando al lavoro, Marcovaldo notò un'aria piacevole in quella giornata. Poteva essere uguale a tutte le precedenti che erano trascorse davanti ai suoi occhi: giornate vuote, cariche di tonalità grigie, dove gli unici colori vivaci e lampeggianti erano dei semafori che comandavano il traffico e le persone. La spiegazione della sensazione piacevole, così insolita per Marcovaldo, poteva essere semplicemente il segnale dell’arrivo della primavera. Infatti durante questa stagione si avverte un’aria leggera, i raggi del sole caldamente colpiscono la pelle, il polline svolazza ovunque causando allergia a molte persone e le rondini cominciano a librarsi nel cielo pulito e sereno. Marcovaldo fu felice di sentire sulla sua pelle il caldo che tanto gli era mancato; dovunque la primavera dava colore alla città grazie al cielo azzurro e al sole abbagliante. Gli dispiacque parecchio dover lasciare l'aria aperta per recarsi al lavoro, ma non poteva fare altrimenti; quindi entrò nell’edificio grigio che attendeva di ospitare i lavoratori della ditta. Fortunatamente era sabato, avrebbe lavorato solo metà giornata e nel primo pomeriggio avrebbe potuto uscire e portare la sua famiglia alla scoperta della bella stagione, che in città non rendeva a pieno la sua bellezza.
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Le ore passavano faticosamente, all’uomo sembrò di vivere a rallentatore tale era il suo desiderio di uscire all’esterno e respirare la primavera, mista ai gas di scarico delle automobili. Poi notò i suoi colleghi muoversi da una parte all’altra in maniera frenetica; si rese finalmente conto che era arrivata l’ora di abbandonare il lavoro e tornare a casa. I suoi colleghi oggi sembravano particolarmente felici, forse anche loro vedevano le cose dal punto di vista di Marcovaldo. Uscito dall’edificio, il sole lo abbagliò, donandogli un sorriso spontaneo e sincero. Cominciò a camminare velocemente per raggiungere la sua meta al più presto, per poi riunire la sua famiglia. Arrivò a casa, dove trovò i figli e la moglie nell’unica stanza disponibile. -“Domitilla, Filippetto, Paolino, Michelino, Pietruccio, Isolina, Teresina” - cominciò a dire sorridendo ai presenti - “oggi faremo un giretto in famiglia”. I bambini, entusiasti della proposta, annuirono e cominciarono a creare movimento in quella piccola camera. La moglie Domitilla sembrò ugualmente felice di poter uscire con i suoi cari. Nonostante la limitata disponibilità economica, camminare e divertirsi insieme non creava problemi, dato che era gratuito. La famiglia uscì di casa e si incamminò, senza una destinazione specifica. Sottili fili d’erba, sul lato dei marciapiedi, decoravano le strade. I bambini, chi più chi meno, sembravano affascinati da questi piccoli dettagli e Marcovaldo ne fu immensamente contento. Non avrebbe voluto crescere i suoi figli nella tristezza della città industriale, ma sfortunatamente non poteva permettersi altro; perciò cercava di rendere felici i bambini con quel poco che riusciva a dare. Camminarono a lungo; Marcovaldo e Domitilla ascoltavano gli aneddoti scolastici dei propri figli, che sembravano non finire più. Immerso nel discorso e nei suoi pensieri, il padre della famiglia si scontrò per sbaglio contro una persona. Marcovaldo si scusò immediatamente con l’anziano che aveva appena colpito, ma il signore si dimostrò scocciato. “Guarda cosa hai fatto, non hai rispetto per gli anziani” - cominciò a urlare. Marcovaldo rimase sbalordito dalle parole dell’uomo che si ritrovava davanti, cercò quindi di risolvere la situazione. “La prego di scusarmi, non era mia intenzione scontrarmi con lei” - disse con tono sinceramente dispiaciuto. L’anziano non sembrò ascoltare le parole, continuò a lamentarsi e a rivolgersi con tono arrogante. I bambini interruppero i loro discorsi, incuriositi dalla situazione che si stava creando. Domitilla, non volendo far sentire ai figli le brutte parole del signore, disse loro di proseguire il percorso, senza allontanarsi troppo. Intanto la discussione continuava a crescere di volume, Marcovaldo si sentì profondamente deriso e cominciò a rispondere a tono. I bambini si tennero lontani dai due litiganti.
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- “Dei dolci!” - urlò Michelino, indicando con un dito una struttura alta e piena di piccoli cubetti di un colore rosa. Tutti i fratelli si girarono verso il punto indicato e sorrisero, guardandosi tra di loro e cercando di decidere cosa fare. “Sembrano deliziosi” affermò Teresina ispezionando con i suoi piccoli occhi quei pasti zuccherati. Mentre il litigio andava avanti, intensificandosi sempre di più, anche Domitilla cominciò a prendere parte alla discussione, difendendo suo marito dalle pungenti parole dell’anziano, che sembrava divertirsi a prendere in giro la coppia. - “Io salgo qui sopra” - affermò Pietruccio posizionando il piede sulla struttura sconosciuta. Tutti insieme cominciarono ad appesantire con il proprio peso quella non tanto grande costruzione, che sembrò piegarsi leggermente. Ma i bambini non si allarmarono della limitata stabilità e proseguirono l’arrampicata per raggiungere i dolci rosa tanto appetitosi. Finalmente Isolina riuscì a prenderne uno, lo ispezionò attentamente. Le parve un dolce lavorato dai migliori pasticceri della città. “Dolci gratis” - urlò Pietruccio, mordendo la prelibatezza. Ai bambini non sembrava di ricordare dei dolci di questo sapore, ma dato che non ne avevano mangiati praticamente mai, si fidarono e continuarono a divorare quel cibo rosato. Pian piano la struttura cambiava: se prima era prevalentemente decorata di rosa, ora aveva perso colore e volume. Marcovaldo, nonostante il litigio ancora in atto, si rese conto della scomparsa dei bambini; cominciò a preoccuparsi, interruppe la discussione momentaneamente per cercarli. Avanzò sulla strada insieme alla moglie, mentre l’anziano li seguiva continuando ad urlare. - “Papà! Vieni ad assaggiare questi dolci!”. Il padre si girò verso la direzione dalla quale proveniva la voce del figlio Paolino e sgranò gli occhi. I bambini erano adagiati sui rami di un povero ciliegio che stava fiorendo, unico albero da frutta in quella città. I bambini erano entusiasti di aver appena mangiato quasi tutti i fiori di quel ciliegio, sorridevano e ridevano, non rendendosi conto che quelli non erano dolcetti. Si era creata addirittura una folla di persone disgustate ai piedi dell’albero, che fotografa gli strambi individui che mangiavano fiori. “Non sapete nemmeno educare i vostri figli!” - accusò l’anziano. Marcovaldo si arrese alle provocazioni dell’uomo, e gli venne da piangere.
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Primavera
I LEPROTTI NEL CORTILE di Angelo Zarra
Marcovaldo sta tornando a casa dalla SBAV, la ditta dove lavora. E’ già primavera inoltrata; il cielo è dolcemente azzurro e soltanto qualche nuvoletta bianca vaga qua e là sospinta da un venticello leggero. Abituato a camminare sempre a naso in aria, con la mente pensa ai prati fioriti, alle margherite bianche, alle primule azzurrine, alle viole vellutate e ai bambini che le potrebbero cogliere per farne mazzetti da offrire alla mamma o alla maestra. Ma è solo l’immaginazione, non vive in campagna lui, intorno ci sono solo palazzoni e strade trafficate. Eppure nell’aria si sentono i profumi dei fiori: forse è la brezza che, dopo aver battagliato con i fumi industriali, spinge la primavera in città. All’improvviso sente degli strani lamenti provenire dal cortile di un grande caseggiato: due piccoli leprotti tentano di sfuggire dalle grinfie di un gatto. E’ una tarda serata di aprile e i piccoli leprotti, pensa Marcovaldo, sono usciti dalla loro tana in cerca di cibo o si sono allontanati dalla loro mamma e non riescono più a ritrovarla. Chissà quanta strada hanno percorso! Guardandosi intorno e non vedendo nessuno, Marcovaldo decide di scavalcare
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la cancellata. All’inizio pensa solo a salvare i leprotti dal gatto; poi decide di portarli a casa per assicurare alla sua famiglia un po’ di carne, ricordando i succulenti piatti che gli preparava la nonna quando era piccolo e il nonno andava a caccia di selvaggina. Quindi, salvati i leprotti dal gatto, si avvia verso casa e, invece di liberarli, decide di allevarli. Avrebbe coinvolto l‘intera famiglia nel suo progetto, soprattutto i suoi figli, non dicendo loro però le sue vere e reali intenzioni. - “Domitilla” - esclama aprendo la porta di casa - “procurami una scatola dove mettere questi leprotti!”- Subito accorrono tutti i sei figli, curiosi di vedere cosa avesse portato il loro papà. - “Che animali sono?”- dice la figlia Guendalina. - “Sono dei leprotti”- risponde Marcovaldo - “stavano diventando il pasto di un gatto randagio e li ho salvati!” - “Ma sono così piccoli...” - aggiungono Michelino e Pietruccio. Marcovaldo spiega ai figli che alleveranno i leprotti, non raccontando le sue vere intenzioni cioè di farli finire in padella. I ragazzi entusiasti della buona azione del loro papà, collaborano con euforia. - “Le lepri mangiano germogli e steli di piante; dobbiamo preparare un posto dove farle crescere, bisogna procurare loro del cibo quotidianamente e lasciarle tranquille” - ordina Marcovaldo. Così da quel giorno in poi i figli riempiono le loro giornate a cercare i germogli più teneri da dare ai leprotti: viene perlustrato ogni angolo della città per raccogliere qualsiasi tipo di vegetale. I due cuccioli, intanto, se ne stanno rannicchiati nello scatolone e, ad ogni tentativo di accarezzarli, scappano dall’altro lato. Giorno dopo giorno diventano sempre più grandi perciò lo scatolone viene chiuso con una rete per impedire agli animaletti di saltare fuori. Una sera i bambini, mentre sono impegnati a dare da mangiare ai leprotti, ormai cresciuti, sentono Marcovaldo in cucina chiedere alla moglie di cucinarli. Capiscono la vera intenzione del loro papà e, sentendosi ingannati, decidono di organizzare un piano.
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La sera successiva Marcovaldo torna dal lavoro tutto contento, sognando la bella cenetta; già s’immagina le cosce dei leprotti arrostite sul piatto. Giunto a casa, vede la moglie molto preoccupata; le chiede il motivo di questa ansia e lei risponde: - “I ragazzi sono spariti, non sono a casa e pure i due leprotti sono scomparsi!” Il marito allora la rassicura: - “Prima di chiamare la polizia, aspettiamo un po’ di tempo, magari sono andati a fare un giro e si sono scordati di avvertirci”. Ma Domitilla continua a non essere tranquilla, nonostante le parole del marito. Poco dopo Marcovaldo e la moglie, seduti a tavola in trepidante attesa, sentono la porta aprirsi e accorrono a vedere chi sia entrato. Appena vede i suoi ragazzi, Marcovaldo li rimprovera con una bella ramanzina perché non possono uscire senza avvertire lui o la mamma. Ma dopo il bel discorsetto, si accorge anche della sparizione dei leprotti. I bambini spiegano che avevano deciso di portarli fuori città e di lasciarli in un bosco dove avrebbero potuto vivere liberi e salvi dalle grinfie di Marcovaldo. Questi all’inizio si arrabbia perché gli era costato tempo e denaro nutrire quei due animali, ma alla fine è fiero della scelta dei suoi figli. Il problema di quella sera però emerge ben presto quando Domitilla annuncia che non c’è nulla da mangiare. Ma quello che è fatto è fatto perciò quella sera la famiglia salta la cena.
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Primavera
UN SOGNO IMPOSSIBILE di Federico Franchini
Un giorno soleggiato e fresco di primavera, Marcovaldo era in pausa pranzo durante la sua abituale giornata lavorativa alla SBAV, una ditta grande di Torino, seduto sulla sua solita panchina, all'ombra di un albero di ciliegio fiorito. Mentre leggeva pagine di giornale trovati qua e là, due voci di operai attirarono la sua attenzione e, senza distogliere lo sguardo, iniziò ad ascoltare la conversazione dei due. - "Hai sentito parlare dell'invenzione della nuova macchina che clona i documenti negli uffici?" - disse uno - "No! Di che cosa si tratta?" - "È una grande scatola nella quale devi mettere una qualsiasi cosa e te la riproduce identica su un foglio. È presente in molti uffici soprattutto in quelli più lussuosi, per esempio negli uffici del presidente della SBAV."
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Alla sera Marcovaldo, tornato a casa, iniziò a parlare alla moglie Domitilla e ai sei figli di questa nuova invenzione e, alle sue parole, la famiglia rimase a bocca aperta, soprattutto i bambini erano entusiasti. - "Se comprassimo quella macchina, potremmo clonare qualsiasi cosa!" esclamò Marcovaldo - "Sai che purtroppo non siamo abbastanza agiati economicamente per comprarla..." - aggiunse la moglie Dopo un momento di riflessione, a Marcovaldo venne un’insana idea. - "Lascia fare a me!" - rispose a Domitilla Appena arrivò notte fonda, Marcovaldo indossò la giacca in finta pelle, prese una torcia, una cuffia e uscì di casa di soppiatto. Salì sulla sua Ape Piaggio e si avviò verso la SBAV. Conosceva la ditta meglio della propria casa; rammentava ogni uscita ed ogni entrata segreta; sapeva dove venivano tenute le chiavi di scorta degli uffici e sapeva il codice per disattivare l'allarme. Lasciò il furgoncino dietro ad alcuni alberelli davanti alla fabbrica e camminò fino al retro della ditta. Tramite una porticina in legno, entrò all'interno. Poi corse fino al dispositivo dell’allarme e lo disattivò; successivamente si diresse nell'ufficio della segretaria che, molto sbadata, si dimenticava sempre di chiudere a chiave. Perciò aprì la porta senza problemi e si recò verso la scatoletta delle chiavi di riserva della ditta. Dalla scatoletta prese una chiave passepartout e una dell'ufficio del presidente. Salí le scale e si avviò verso la porta del presidente della ditta, l’aprí ed entrò. Iniziò a guardarsi attorno e a cercare la bizzarra scatola nera di cui avevano parlato i due operai. Dopo qualche minuto di ricerca, con scarsi risultati, notò un scatololone di cartone accanto alla scrivania; si avvicinò e, preso dalla curiosità, lo aprì. Marcovaldo saltò dalla gioia; all’interno trovò la famosa fotocopiatrice che cercava. La tirò fuori; passato qualche minuto ad ammirarla, la prese e pian piano si avviò verso l’uscita. Uscì dalla porticina, ma si dimenticò di rimettere tutto com’era prima. Si diresse verso il suo furgoncino Ape Piaggio, caricò la fotocopiatrice sul retro e si avviò verso casa.
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Tutti dormivano. L’intento di Marcovaldo era di fare una sorpresa alla famiglia, perciò appoggiò la fotocopiatrice sul tavolo in salotto e andò a letto. Durante la notte, pensò che cosa fotocopiare il mattino seguente. Gli venne in mente di fotocopiare banconote per diventare ricco. Appena sveglio, Marcovaldo riunì la famiglia in salotto. Quando videro la fotocopiatrice, rimasero esterrefatti. Domitilla chiese: - “Come hai fatto a comprarla, se costa così tanto?”. I figli, tutti emozionati, ripetevano: - “Quanto è bella!” - “Papà, quando la usiamo?” - “Papà, ma dove l’hai presa?” - “Papà, la posso usare?” A quel punto, Marcovaldo avviò la fotocopiatrice e, senza proferire parola, prese una banconota, la mise dentro alla macchina, schiacciò il tasto per fotocopiare e iniziò a stampare centinaia di banconote. La moglie dall’emozione si mise a piangere e i bambini erano contentissimi. Raccolte poi tutte le banconote sparse un po’ in tutta la stanza, Marcovaldo le mise dentro ad una valigetta. Indossò una giacca leggera, un paio di scarpe da corsa e, sul suo furgoncino, si recò all’agenzia di vendite e affitti di case più vicina. Già sognava di essere in una bella villa, luminosa e spaziosa, non fredda come la mansarda in cui viveva adesso. I suoi figli avrebbero avuto le loro camere, ci sarebbe stato un bel giardino con prato verde e tanti alberi fioriti ed anche un orto con verdure fresche che sua moglie Domitilla avrebbe cucinato. Il suo sogno stava per diventare realtà. Arrivato all’agenzia, Marcovaldo scelse una casa con più piani e con un grande giardino. Passò qualche giorno e andò a visitare la villa insieme alla famiglia. Varcata la porta d’ingresso, rimasero tutti a bocca aperta; nessuno di loro era mai entrato in una casa così spaziosa. I bambini iniziarono a correre per le stanze e a saltare sui letti morbidi; ognuno avrebbe avuto il proprio letto. Domitilla corse ad ammirare l’angolo cucina, moderno e accessoriato al massimo degli optional. - “Quindi vi piace?” - chiese Marcovaldo.
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- “Sì!” risposero in coro, contenti della casa. A questo punto Marcovaldo, soddisfatto, si girò verso l’agente immobiliare e con una stretta di mano confermò l’acquisto. Gli passò la valigia con i contanti e l’agente lasciò la casa. Marcovaldo prese il suo furgoncino Ape Piaggio e iniziò a traslocare alcune cose nella nuova residenza. Comprò mobili nuovi e confortevoli. Passarono un paio di giorni e la famiglia era felicissima di vivere nella nuova abitazione: per loro si era realizzato un sogno impossibile. Ma una mattina, mentre erano tutti a tavola per fare colazione, due poliziotti suonarono alla porta. - “Dovete abbandonare immediatamente questa abitazione, siete sfrattati per truffa” - intimò l’agente. A Marcovaldo venne un colpo! In un attimo si sentì cadere il mondo addosso. - “Ma noi non abbiamo truffato nessuno” implorò Marcovaldo. - “Le banconote che avete usato per pagare sono false, sono fotocopiate”ribattè il poliziotto. Senza lasciare parlare Marcovaldo, lo ammanettò e lo portò in questura. Dopo qualche indagine anche il furto della fotocopiatrice alla SBAV fu scoperto. Venne collegato a Marcovaldo: la fotocopiatrice era la stessa del presidente, dato che su di un lato c’erano incisi le sue iniziali e il marchio della ditta. Marcovaldo venne portato in tribunale e, dopo il processo con rito abbreviato, venne dichiarato colpevole di furto con l’aggravante di truffa e clonazione di banconote; venne condannato a 6 anni e 3 mesi di prigione senza possibilità di cauzione. Così la famiglia di Marcovaldo cadde ancora nella routinaria tristezza. Pioveva a dirotto quel giorno e, mentre Marcovaldo cominciava a scontare i suoi giorni in galera, la famiglia era chiusa nella piccola mansarda a raccogliere con i secchi la pioggia, che scendeva dal tetto lenta e continua.
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Estate
MARCOVALDO E L’INCONTRO RAVVICINATO di Federico Maiocchi
Era un sabato mattina, un meraviglioso sabato mattina. Il sole splendeva alto all’orizzonte, il cielo era d'un azzurro sgargiante e le nuvole galleggiavano spensierate. Per Marcovaldo era una giornata perfetta, sicuramente non sarebbe rimasto in casa tra quelle quattro mura che tanto lo opprimevano. Ma cosa poteva fare? Dove poteva andare?...queste erano le domande che lo affliggevano. Passò circa un‘ora camminando avanti e indietro per la stanza, in modo quasi schizofrenico, sembrava ormai aver perso il senno; fino a che un'idea gli passò per la testa, aveva trovato la sua ispirazione. Da buon amante della natura non poteva che essere una bellissima scampagnata tra i boschi sulle montagne vicine; ma questa volta sarebbe andato da solo, senza alcun membro della famiglia, né i suoi figli e neppure sua moglie. Nulla avrebbe dovuto distrarlo; voleva esplorare e tornare a casa la sera stessa con qualcosa di nuovo e sconosciuto. Poteva essere una pianta oppure una specie di insetto mai vista, avrebbe potuto anche tornare a casa a mani vuote, ma questo pensiero non lo scoraggiava, era deciso. Si cambiò, indossò una tuta mimetica per confondersi fra la vegetazione e delle galosce verde scuro, ormai vecchie ma
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affidabili contro le acque della paludi e degli stagni che avrebbe potuto dover affrontare. Prese il suo zainetto e, uscito di casa, si incamminò sulla strada centrale della città che, dopo pochi chilometri, lo avrebbe portato direttamente in collina e da lì verso il bosco. Camminando, Marcovaldo si guardava attorno e l’unica cosa che i suoi occhi riuscivano a notare era il grigio, il colore di una città industriale piena di asfalto e senza traccia di natura; nemmeno il più piccolo fiore si intravedeva sui cigli della via dopo che gli operai ci avevano lavorato giorni prima. La strada sembrava non finire mai e questo aiutò Marcovaldo ad aumentare il passo. In un batter d’occhio arrivò in campagna; ora si sentiva veramente sollevato, si era lasciato alla spalle la realtà cittadina ed era pronto ad entrare nella natura più selvaggia. Non aveva perso il suo scopo, sapeva benissimo che avrebbe dovuto trovare qualcosa di nuovo e sconosciuto prima del rientro a casa la sera stessa. Dopo un paio d’ore raggiunse il bosco: davanti a lui si piazzavano gli alberi, con immensi tronchi simili a imponenti colonne e con fronde maestose che incorniciavano l’ingresso in un nuovo mondo. La prima cosa su cui posò la sua attenzione furono gli aghi dei larici di fronte a lui; gli alberi sempreverdi lo avevano incuriosito sin da piccolo, Marcovaldo pensava che fossero le piante più forti della natura, che neanche l’inverno con il suo freddo poteva far seccare e mandare in letargo. Era ammaliato dalle forme di quelle foglie sottilissime e appuntite come solo un ago poteva essere, a suo parere un miracolo della natura. Ma non era questo ciò che cercava, e continuò il suo cammino come i grandi esploratori della storia fecero prima di lui. Era da poco passato il mezzogiorno, quando decise di fermarsi vicino ad un rigagnolo d’acqua per una sosta e per mangiare qualche provvista che si era portato nello zainetto. Il rumore dell’acqua aveva sempre portato quiete e spensieratezza in lui; amava la pioggia e i giorni in cui il cielo era in tempesta, non per uscire e camminare fra le pozzanghere, ma per sentire il ticchettio delle gocce battere sul tetto di casa. Mentre si gustava la buona focaccia prelevata in un angolo della sua dispensa, sentì un suono strano, qualcosa che aveva costretto l’acqua a scorrere in modo diverso e non con la solita andatura. Si voltò per guardare cosa l’avesse provocato e vide all’interno del rigagnolo un occhio rosso fuoco che lo fissava. Marcovaldo, preso alla sprovvista, balzò in piedi spaventato; quell’essere aveva un corpo nero e degli occhi torvi, si muoveva molto veloce in acqua. Forse era
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vicino, forse aveva trovato una creatura sconosciuta alla scienza, si immaginava già con un premio tra le mani ed un riconoscimento dai più grandi scienziati per la scoperta di quell’essere. Si avvicinò per afferrarlo oppure solo per vedere meglio la creatura, ma essa uscì dall’acqua e… era solo una salamandra, una piccola ed insignificante salamandra. Certo Marcovaldo non ne aveva mai vista una dal vicino, ma quella non era la scoperta che si aspettava e i suoi sogni svanirono all’istante. Affranto si aggirava nei boschi, aveva trovato qualche fiore o qualche cavalletta, anche una coccinella era passata sotto i suoi occhi ma nulla di veramente speciale. Il sole stava calando e Marcovaldo decise di avviarsi verso casa, non sapeva che di lì a poco avrebbe scoperto qualcosa di spettacolare… Camminando sulla strada del ritorno, si ricordò di aver dimenticato la sua torcia, un vero problema dato che ormai era completamente buio e nei boschi non c’erano certo i lampioni. Quasi come per magia, delle piccole luci gialle si accesero nella notte, come delle lampadine ad intermittenza. Ne spuntava una alla sua sinistra e poco dopo si spegneva, poi una a destra, poi una in centro dritto davanti a lui; poi un'altra ancora , un'altra ancora e si venne a creare un sublime gioco di luci. Marcovaldo capì subito che si trattava di lucciole e, anche se non era la scoperta che si immaginava, era contento di vedere finalmente dove metteva i piedi e ormai le buche e i ciottoli non erano più un problema. Fino a quando una luce enorme ed abbagliante spuntò nel cielo poco lontano da lui; Marcovaldo strinse le palpebre, i suoi occhi non erano abituati a tanto bagliore. Quando riuscì ad aprirli, vide al centro di questo faro luminoso una figura nera con sembianze umane e con le braccia spalancate. Il cuore in petto gli scoppiava dalla paura e dal terrore, una scarica di adrenalina gli attraversò il corpo e corse veloce nelle vene. Si nascose dietro un albero e si mise in ginocchio sperando che la figura non l’avesse visto, pensò subito che fosse un alieno con la sua astronave spaziale; sì, poteva esserlo, un alieno venuto dallo spazio per recuperarlo e portarlo sul suo pianeta. Marcovaldo spaziava tra la sua fantasia in cerca di risposte a quello che stava avvenendo, non poteva però affidarsi solo alla sua immaginazione, doveva andare a vedere, doveva scrutare con i suoi occhi quella creatura extraterrestre. In effetti sarebbe stata una scoperta incredibile, immaginava già il titolo sui giornali “MARCOVALDO E L’ALIENO” oppure “MARCOVALDO E LA SCOPERTA DEGLI EXTRATERRESTRI”.
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La paura lasciò spazio all’euforia ed alla curiosità; con un gesto di puro coraggio, Marcovaldo si voltò verso la figura che aveva iniziato a muoversi facendo gesti rotatori con le braccia. Immaginando che non conoscesse l’italiano, avrebbe dovuto farsi capire in qualche modo e così iniziò anche lui a muoversi in maniera scoordinata. La scena era incredibile: l’alieno e il povero Marcovaldo che si lasciavano trasportare in una danza tribale; i due continuavano a muoversi e Marcovaldo pensava di aver trovato il giusto modo per interagire. Poi la figura iniziò a sbattere i pugni contro i fianchi quasi in maniera scocciata, sembrando indispettita. Marcovaldo allora, capendo che la sua danza non era più ben accetta, decise di avvicinarsi ancora un altro po’, e poi ancora un po’; ormai era vicinissimo. Il bagliore si spense e Marcovaldo vide…. Maurizio, l’addetto elettricista del paese che stava cercando di aggiustare, con scarsi risultati, l’insegna luminosa della baita del vecchio Karl, il padrone della tenuta ai margini del bosco. Karl si accorse di Marcovaldo e lo salutò; Maurizio con il suo cacciavite da sopra il tetto fece lo stesso e gli disse di aver visto in lontananza un losco figuro che ballava nel bosco, mentre Karl confermava l’accaduto. Il nostro esploratore non poteva certo dire di esser stato lui che cercava di interagire con un alieno, non sarebbe stato creduto o sarebbe stato preso per matto, peggio di quanto fosse realmente. Allora, come un cane con la coda fra le gambe, ritornò a casa. I suoi figliuoli gli chiesero cosa avesse scoperto e quali creature meravigliose avesse incontrato sulla sua strada. Marcovaldo li fece stendere nei loro lettini, guardò verso il cielo fuori dalla finestra, osservò lo splendore delle stelle e di tutte le cose a noi sconosciute che si celano nello spazio. Sicuramente per quella sera non sarebbe mancata una bella favola della buonanotte, perché infine non è importante l’arrivo ma il viaggio.
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Estate
IL CAMPEGGIO di Emma Novarini
Era un pomeriggio d’estate molto caldo e l’aria che si respirava era afosa, quasi soffocante; mischiata all’inquinamento cittadino rendeva l’aria ancora più torrida. Tra i viali della città in cui Marcovaldo e la sua famiglia vivevano, i muri degli alti edifici di mattoni e cemento creavano una cappa di calore, che faceva sudare ogni passante. Quel giorno Marcovaldo, mentre passeggiava per le vie del centro, notò un signore di mezza età vestito in modo bizzarro che distribuiva dei volantini colorati all’angolo del marciapiede. Era un uomo robusto, abbastanza basso, con degli occhiali rotondi che sembrava avessero dieci lenti sovrapposte una sopra l’altra; era vestito con una giacchetta e dei bermuda beige, ai piedi indossava delle scarpe sportive. Marcovaldo, spinto dalla curiosità, si avvicinò e gli chiese informazioni. - “Mi scusi signore, che cosa sta distribuendo?”
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- “Buongiorno! Sono Guglielmo, l’organizzatore del campeggio che si farà stasera a pochi isolati da qua. Iscrizione gratuita! Lei è interessato, per caso?” - “Piacere Gugliemo! Sono Marcovaldo e vorrei partecipare al campeggio insieme a tre dei miei figli.” - “Perfetto! Mi lasci i suoi dati. La aspetto stasera!” Aveva iscritto solo tre dei suoi figli maschi, i maggiori, perché Paolino e Teresa erano troppo piccoli per dormire una notte fuori casa, mentre a Isolina, la figlia femmina più grande, non piacevano molto queste gite nella natura. Dopo essersi iscritto e aver preso un volantino, Marcovaldo corse a casa per annunciare la grande notizia ai suoi figli. Appena arrivato gli corsero tutti incontro. - “Papà, papà, cosa hai fatto di bello oggi?” - “Ho una novità per voi: stasera andremo in un campeggio e passeremo la notte nel bosco! Ho iscritto Michelino, Pietruccio e Filippetto in questa avventura, dato che so bene i vostri gusti.” I tre bambini esultarono. Non avevano mai visto un bosco, dato che erano nati e vivevano in città; l’ultima volta che ne avevano cercato uno, lo avevano scambiato per dei cartelli stradali. Preparati gli zaini e preso tutto il necessario per l’avventura serale che li aspettava, uscirono e aspettarono il tram alla fermata sotto casa. Dato che il campeggio si trovava a pochi isolati dalla loro abitazione, il viaggio non durò molto. Era tardo pomeriggio, c’era ancora una buona luce quando arrivarono a destinazione: l’entrata del campeggio si trovava alla fine di una strada asfaltata che piano piano diventava sterrata e infine erbosa. Da qui partiva un piccolo sentiero, all’inizio del quale era presente un cartello di legno recante scritto con colori vivaci: “Campeggio Guglielmo”. Questo cartello indicava di proseguire per la stradicciola.
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Scesi dal tram, Marcovaldo e i suoi tre figli videro un gruppo di persone che si distribuiva lungo tutta la strada asfaltata, sterrata ed erbosa. Vicino al cartello si trovava Guglielmo che gridava a squarciagola per farsi sentire da tutti. - “Venite! Venite! Raduniamoci tutti qua, così poi procederemo insieme lungo il sentiero che ci porterà nel bosco!” I bambini di Marcovaldo, felici di vedere tutto quel verde, continuavano a contemplare il paesaggio con il padre. - “Papà, guarda che belli quei lunghi alberi!” - “Papà, guarda quante foglie che ci sono sui rami di quegli alberi!” Tutti camminavano lungo il piccolo sentiero che portava nel bosco. E intanto Marcovaldo e i suoi tre figli ammiravano ciò che li circondava: Marcovaldo si meravigliava dell’imponente altezza dei tronchi degli alberi; Michelino osservava i funghi presenti ai lati del sentiero; Pietruccio cercava di prendere le farfalle che gli volavano attorno; Filippetto, invece, raccoglieva i sassolini con forme strane che trovava lungo il percorso. Arrivarono finalmente alla piana erbosa nella quale si sarebbe tenuto il campeggio: era grande a sufficienza per ospitare le tende dei partecipanti e la poca luce del tardo pomeriggio bastava per far risaltare il verde brillante dell’erba del prato. Marcovaldo era entusiasta. Si guardava attorno e riusciva ad osservare la natura incontaminata che ormai era scomparsa dalla città. Per lui, un uomo di campagna che per lavoro era stato costretto ad andare a vivere in città, vedere la natura che lo circondava era una sensazione unica. Tutti si accamparono con le proprie tende in un posto scelto a piacere, attorno ad uno spiazzo nel quale si sarebbero riuniti per il falò. Marcovaldo, Michelino, Pietruccio e Filippetto si posizionarono con la loro tenda in una rientranza della piana, che era contornata da cespugli e da rami. - “Bambini, noi ci metteremo qui, così ci sembrerà di essere immersi nella natura!” - “Sì, che bello!” - “Fantastico!”
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Arrivò l’ora del falò e tutti si sedettero su dei tronchi attorno alla catasta di legna incendiata. Il clima era fresco perché era calata la sera; era arrivata un po’ di arietta e il calore e il bagliore scintillante del fuoco scaldavano l’atmosfera. Era la prima volta che i figli di Marcovaldo passavano una notte fuori casa. Dopo aver cenato con dei panini portati da casa e scaldati sul caldo falò, Guglielmo fece delle raccomandazioni ai presenti. - “Mi raccomando, se nella notte sentite dei rumori o dei passi di animali, non uscite per nessun motivo dalle tende e non attirate l’attenzione con movimenti bruschi o luci lampeggianti!” Detto questo, ognuno si ritirò nella propria tenda per prepararsi alla notte in mezzo al bosco. Michelino, Pietruccio e Filippetto dopo queste raccomandazioni cominciarono ad avere un po’ di paura. - “Papà, ma sei certo che nella tenda saremo al sicuro?” – chiese Michelino. -“Sì, tranquilli, avete sentito cosa ha detto Guglielmo, no? Basta fare attenzione ai movimenti.” I bambini si tranquillizzarono. Marcovaldo, per farli divertire un po’, propose loro un gioco. -“Bambini, che ne dite se prima di addormentarci ci raccontassimo delle storielle? Tanto non è ancora notte fonda e non tutti si sono addormentati.” I bambini accettarono. Cominciarono questo passatempo prima di addormentarsi, ma storiella dopo storiella arrivarono fino a tarda notte. Presi dall’entusiasmo, iniziarono ad alzare il volume della voce e a usare le torce per un maggiore divertimento. Intanto, fuori dalla loro tenda era già calata la notte buia del bosco. Quando i quattro si accorsero che stavano facendo le cose che aveva consigliato di non fare il capo campeggio Guglielmo, la paura crebbe in loro. -“State tranquilli bambini, ora smettiamo di fare rumore, di usare le torce e andiamo a dormire sereni” – disse sottovoce Marcovaldo.
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Lui e i suoi tre figli entrarono nei sacchi a pelo e chiusero gli occhi. Ad un certo punto, udirono un rumore. Questo rumore non si ripeteva costantemente, era come interrotto, come il verso di un animale selvatico. Un cinghiale? -“Papà…che cos’è questo rumore? Sto cominciando ad avere paura.” – disse Filippetto, scosso da un brivido. -“No, stai tranquillo, avrai sentito male. Io non ho sentito proprio niente” – gli rispose Marcovaldo, sussurrando. Marcovaldo diceva così solo per tranquillizzare i figli, ma dentro di sé tremava. Non aveva un grande coraggio e, al minimo sospetto, si pietrificava. All’improvviso si udì un fruscio di foglie proveniente dal cespuglio vicino alla loro tenda. -“Papà, mi sto davvero impaurendo. Non è che abbiamo esagerato con i rumori e adesso siamo circondati da animali feroci che ci vogliono mangiare?” – disse Pietruccio. - “Ma no! Quante fantasie che ti stai facendo!” – rispose al figlio spaventato. Si stavano quasi per addormentare, quando Marcovaldo vide un’ombra terrificante su un lato della tenda: le corna di un grande cervo! Per il terrore si alzò, uscì dalla tenda e gridò: - Aiuto! Aiuto! Siamo circondati da animali feroci che ci vogliono attaccare! I bambini di Marcovaldo, spaventati, si erano raggomitolati in un angolo della tenda. Intanto i partecipanti del campeggio si svegliarono di soprassalto, traumatizzati. - “Che cosa sta succedendo qui? Ma siamo matti? Chi ha urlato?” Tutti uscirono dalla proprie tende e, arrabbiati con Marcovaldo, andarono verso di lui. - “No, davvero! Non sto scherzando! Guardate!” – disse Marcovaldo, spiazzato.
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Andò dietro alla tenda e si rese conto che l’ombra delle corna di cervo che lo aveva spaventato non era che l’ombra di alcuni rametti di un albero, che messi insieme assumevano la forma delle corna di un grosso animale. Si rese anche conto che il fruscio di foglie che aveva udito suo figlio Pietruccio non era che il venticello notturno che si era alzato e che aveva mosso le foglie del cespuglio vicino alla loro tenda. - “No, vi posso spiegare! Aspettate…e cosa mi dite riguardo al verso di cinghiale che ha udito mio figlio Filippetto?” – chiese Marcovaldo alle persone lì presenti. Nessuno riusciva a spiegare quell’insolito rumore. Ad un tratto si accorsero che mancava all’appello uno dei partecipanti: il signor Amedeo, il più anziano dei presenti. Ci si chiedeva dove fosse finito quell’uomo. Poi si udì lo stesso suono sentito in precedenza dal figlio di Marcovaldo, ma ora proveniva dalla tenda del signor Amedeo. Si avvicinarono e con grande coraggio Marcovaldo aprì la tenda. Tutti si misero a ridere: quello strano rumore era il signor Amedeo che russava forte come un trombone. L’anziano all’improvviso si svegliò e si trovò la gente lì davanti a lui a guardarlo, stupita. - “Ma che cosa state facendo qui?” – chiese con voce rauca il signor Amedeo. Continuando a ridere, ognuno tornò nella propria tenda per recuperare il sonno perduto per colpa di Marcovaldo.
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Estate
L’ARCOBALENO di Elisa Laboranti
Era una tranquilla serata estiva quando all’improvviso il telefono squillò: nessun membro della famiglia aspettava una telefonata e, solitamente, le telefonate erano rare in casa di Marcovaldo; perciò tutti sussultarono dalle sedie a quel suono, mentre la cena era ancora in corso. Marcovaldo si diresse trepidante verso il telefono e alzò la cornetta: dall’altra parte dell’apparecchio una voce squillante lo sorprese: era Roberto, il suo amico d’infanzia. Con tono gentile ma vivace, gli chiedeva notizie della famiglia e invitava tutti a passare una settimana presso la sua tenuta ad Arquà Petrarca, sui Colli Euganei per svagarsi e assaporare del buon vino da lui prodotto. All’inizio Marcovaldo restò stupito: almeno una volta all’anno si sentivano, ma nessuno dei due era mai stato a casa dell’altro dopo che si erano sposati. Roberto sollecitò Marcovaldo ad accettare l’invito con la promessa che avrebbe trascorso una vacanza indimenticabile e così Marcovaldo disse di sì. Seduta a tavola, il resto della famiglia era in attesa di sapere chi avesse telefonato e la gioia fu grande quando appresero che erano stati tutti invitati a trascorrere una settimana a casa di Roberto. Dopo tanti anni un viaggio, un’avventura che rompeva la monotonia della loro quotidianità.
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Da subito pensarono ai bagagli da preparare, a cosa mettere nelle valigie e l’emozione era incontenibile. La partenza venne programmata per la settimana successiva e, nell’attesa, il tempo sembrava trascorrere lentissimo quasi come se si fosse fermato. Finalmente, il fatidico giorno arrivò. Tutti si diedero un gran da fare per caricare i bagagli in macchina, poi partirono verso l’agognata vacanza. Usciti dalla città, il paesaggio davanti a loro cambiò: il freddo e grigio cemento dei palazzi sembrava lontano, così come il trambusto del traffico col suo assordante rumore. Dai finestrini si vedevano distese di prati, frutteti e piante. Domitilla, la moglie di Marcovaldo, ammirava estasiata quel panorama e anche Marcovaldo gustava ogni sfumatura di colore della natura, mentre i figli giocherellavano sul sedile posteriore. Dopo quasi quattro ore di viaggio, arrivarono a casa dei loro amici. Furono accolti con grande entusiasmo da Roberto, da sua moglie Elena e dai due figli, Letizia e Francesco che rapirono la piccola tribù di Marcovaldo per condurla a giocare in giardino. Roberto era un uomo alto e snello, generoso, grande lavoratore, dedito all’azienda e alla famiglia; anche Elena era alta e snella, sempre sorridente, buona, cordiale e amante della natura. I loro figli sembravano aver preso sia l’aspetto che il carattere dei genitori: il maschio, di undici anni, era vivace, cordiale e amava stare in compagnia degli amici; la figlia vispa e loquace, era molto tenera. Roberto ed Elena accompagnarono i due amici nella stanza loro assegnata per riporre le valigie. Disfatti i loro bagagli e quelli dei figli, dopo essersi rinfrescati alla meglio, Marcovaldo e Domitilla ammirarono la meravigliosa stanza messa a disposizione: rispetto alla loro camera, era enorme, con arredi antichi e signorili, ma anche con un tocco di modernità ben combinato. Un grande mazzo di fiori, posto in un’anfora al centro del tavolo, inondava l’aria di un delizioso profumo. Tutto era semplicemente perfetto. Trascorse mezz’ora prima che marito e moglie raggiungessero gli amici in giardino. Insieme cominciarono la visita, a partire dal grande caseggiato che costituiva la dimora padronale, una meravigliosa costruzione rustica in mattoni a vista, con un bellissimo arco all’ingresso. Al termine della visita, la famiglia di Marcovaldo si diresse verso le stanze assegnate per cambiarsi, ma lungo il tragitto i bambini notarono la comparsa di un ponte colorato nel cielo. Ingenui, chiesero ai genitori il permesso di salirvi; Marcovaldo acconsentì alla richiesta e così si diressero verso quel magnifico ponte che sembrava vicino.
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L’entusiasmo si rafforzò e i bambini presero a correre a perdifiato per arrivare presto alla meta. Non avevano mai visto un ponte come quello prima d’ora, erano abituati a vedere solo ponti grigi fatti di cemento. La loro corsa sembrava non finire più perché più correvano e più il ponte si allontanava, come se non volesse farsi raggiungere. Nella loro immaginazione, fantasticavano di arrivare in chissà quale meraviglioso paese attraversando il ponte colorato, forse in un paese magico. Marcovaldo e Domitilla faticavano a tenere il passo dei figli e, anche se stanchi, la curiosità era così forte che correvano freneticamente senza fermarsi. Attraversarono il giardino di Roberto, tutta la sua tenuta e ancora non raggiungevano il ponte. La stanchezza cominciava a farsi sentire, persino nei bambini; la loro corsa divenne dapprima una camminata affrettata, poi un lento approssimarsi alla meta (almeno così a loro sembrava). Trascorse circa mezz’ora quando Filippetto disse: - “Papà, guarda, il ponte sta scomparendo!” e si bloccò di colpo. Anche gli altri componenti della famiglia si fermarono immediatamente come lui al vedere che davvero il ponte stava svanendo: aveva perso l’intensità dei suoi colori, appariva sbiadito e spezzato nella parte più lontana. - “Ma che assurdità è mai questa?” - disse Marcovaldo” - “Come è possibile?” L’avvilimento si abbatté su genitori e figli, che sconsolati decisero di tornare alla tenuta. Quando arrivarono, Marcovaldo raccontò l’accaduto a Roberto e a sua moglie, che, sorpresi dall’ingenuità degli amici, spiegarono loro che quello non era un ponte ma un arcobaleno, un fenomeno naturale che appare solitamente dopo un temporale o in altre particolari circostanze e che scompare in pochi minuti. Notando la delusione sui volti di Marcovaldo e dei suoi piccoli, Roberto li invitò ad andarsi a rinfrescare per raggiungerlo poi in salone, dove li aspettava una succulenta cena.
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Estate
IL MARE IN CAMPAGNA di Andrea Garetti
L’estate giungeva puntualmente nelle ultime settimane di giugno portando con sé la voglia di vacanza e di riposo, l’allegria e la dolce melodia delle onde che s'infrangevano sulla spiaggia. In uno di questi caldi giorni estivi Marcovaldo, stanco della vita quotidiana e sopraffatto dalla calura, decise di seguire le prescrizioni di Tarquinio, il medico di famiglia, che gli aveva consigliato di passare qualche giorno al mare in cerca di relax e refrigerio che avrebbero sicuramente fatto bene al suo stato di salute. Il medico aveva decantato le meraviglie del mare e dei suoi benefici, descrivendo paesaggi meravigliosi fatti di aria intrisa di salsedine, bianche spiagge e piacevole brusio delle onde. Marcovaldo partì alla ricerca del mare insieme ai suoi amici Pier Ugo, un giovane di circa trent'anni basso con i baffi e i capelli castani che cadevano nella parte frontale del viso e Gennaro, un anziano goffo e paffuto, che a malapena riusciva a reggersi sulla gambe, conosciuto per la capigliatura disordinata.
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I tre si allontanarono dalla città alla ricerca del delta del fiume che li avrebbe condotti, a detta della postina Cesira amante dei viaggi e della natura, al sospirato mare. Prima di tutto raggiunsero il fiume; lì furono aiutati da un gruppo di persone che, con le loro barche, si apprestavano a trascorrere una giornata di pesca e che offrirono un passaggio. Dopo qualche chilometro, Marcovaldo e i suoi amici videro un’enorme distesa di acque limpide di colore azzurro, alimentate dal fiume su cui stavano navigando, circondate da enormi alberi e da spiagge che stranamente in quel punto erano verdi. Tutto riconduceva alla descrizione fatta da Cesira e dal medico Tarquinio; anzi meglio: le spiagge ricoperte di erba evitavano che vi fosse polvere. Stupiti dal fatto che solo loro si fossero accorti di quell’angolo di paradiso, decisero che si sarebbero fermati. Il “mare” era esteso ma anche poco profondo, e i tre uomini si rinfrescarono, sdraiandosi nell’acqua, respirando l’aria intrisa di sale. La mattina seguente Marcovaldo decise di parlare al vicinato della scoperta fatta e di accompagnarlo alla zona esplorata. La strada era lunga, ma Marcovaldo e i vicini erano desiderosi di passare una vacanza al mare, stanchi della solita vita in città e sopraffatti dal calore di quelle giornate. Giunti sul posto, però, videro in lontananza dei trattori e delle macchine che spostavano montagne di granelli bianchi e cristallini dalle acque del mare verso un enorme magazzino di colore grigiastro, situato alle spalle di grandi alberi. Marcovaldo non diede molta importanza al fatto e approfittò delle azzurre acque per refrigerarsi, invitando i vicini a seguire il suo esempio. Intanto tra i trattori, impegnati a trasportare sale al magazzino, Rodolfo, il proprietario dell’azienda TERPLE (Trattori E Ruspe Per Le Evenienze), vedendo qualcosa muoversi sul terreno di sua proprietà, decise di chiamare con urgenza la polizia per dei controlli. Il compito venne affidato al maresciallo Quattrocchi, un uomo di circa sessant’anni, chiamato in questo modo per la sua scarsa vista. Conosciuto dai colleghi come colui che voleva proteggere la città a costo della vita, era molto legato al suo lavoro; ma durante il servizio non metteva gli occhiali per paura che il suo difetto visivo potesse essere causa di un trasferimento ad altra funzione, magari al chiuso di un umido e noioso ufficio. Arrivato sul luogo, Quattrocchi riuscì a intravedere delle ombre spostarsi nella zona indicata che sembravano degli enormi pesci di fiume spinti dalla corrente; fece per tirare fuori la pistola, prese la mira e ... boom. Sì sentì un rumore assordante, ma il colpo non partì perché quella era l’arma giocattolo di suo figlio Armandino che il maresciallo, senza occhiali, aveva scambiato per l’arma di servizio.
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Il maresciallo, stupito ma ligio a sacrificarsi per la patria, si avvicinò al luogo in cui aveva avvistato gli strani animali e vide uno di essi che si alzava in verticale sull’acqua. Pensando ad un’aggressione, prese la rincorsa e si tuffò come un tuffatore olimpionico sul pesce che risultò essere il povero Marcovaldo, il quale, travolto dal maresciallo, rovinò a terra trascinando l’agente con sé nell'acqua, per fortuna poco profonda. Entrambi ne ingoiarono una grande quantità, tanto che furono trasportati al pronto soccorso dell’ospedale, dove il medico Tarquinio, in servizio quel giorno, li sottopose d’urgenza ad una lavanda gastrica. Solo successivamente, ripresosi per mezzo delle cure mediche, Marcovaldo apprese dai verbali della locale polizia, che il luogo in cui si erano recati, pensando fosse il mare, in realtà non era altro che una salina di proprietà di Rodolfo, titolare della TERPLE, che li aveva anche denunciati per danni e violazione della proprietà privata.
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Estate
GIOCANDO CON LA LUNA di Ginevra Grumi
È tornata l'estate in città, il caldo comincia a farsi sentire, le giornate si allungano sempre di più e le notti sono un alternarsi di temporali e cielo sereno. Quando è sereno, il cielo verrebbe quasi voglia di dipingerlo: una distesa scura piena di puntini bianchi, sparsi senza un preciso schema e in mezzo la luna. La luna, che sembra quasi giocare agli occhi degli umani perché ogni notte si presenta con un aspetto diverso. Marcovaldo, in quel giorno di estate, stava lavorando alla SBAV e stava finendo di sistemare gli ultimi pacchi, prima della chiusura della ditta, che sarebbe durata tutto il week end di Ferragosto. Solitamente Marcovaldo passava il giorno di Ferragosto in città, mentre la sua famiglia andava in vacanza. Gli piaceva trascorrere quel giorno in città perché essa rimaneva deserta, per via delle ferie di tutti i cittadini che ricadevano sempre nei medesimi periodi. Questa volta, però, i suoi figli l’avevano convinto a partire e a passare due giorni al mare insieme. La famiglia di Marcovaldo, essendo piuttosto povera, non poteva permettersi una stanza d’albergo, quindi decise che avrebbe dormito in tenda.
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Appena tornato a casa Marcovaldo chiamò Michelino e Pietruccio: - “Bambini! Se proprio volete che venga con voi, dovrete accompagnarmi a comperare il necessario per dormire in tenda.” I bambini non si fecero ripetere la frase due volte, saltarono giù dalle sedie dove erano seduti a mangiare, salutarono e uscirono di casa. Il negozio che vendeva le attrezzature da campeggio era un po' lontano dall’abitazione di Marcovaldo e, mentre giravano per le strade, Michelino e Pietruccio videro un negozio di giocattoli. La cosa che attirò l’attenzione di entrambi tra la miriade di macchinine, puzzle e bambole, fu una semplice palla bianca. I bambini iniziarono a chiedere al padre di poterla acquistare, ma lui rispose: - “I soldi ci servono per la tenda e le attrezzature necessarie. Ma se avanziamo qualcosa, vi prometto che la compreremo”. Tra una smorfia e l’altra i bambini, che non credevano alla promessa fatta, arrivarono al negozio. I tre entrarono e si diressero verso il reparto camping, intenzionati a far risparmiare il padre perché non trovasse nessuna scusa per l’acquisto della palla. Intanto iniziò la ricerca della tenda. Marcovaldo valutò tutte quelle esposte: niente da dire, erano tutte molto belle e sufficientemente grandi. Considerando poi la sua numerosa famiglia, erano perfette. Il problema era però che tutte costavano troppo per il budget a disposizione. Sconsolato, Marcovaldo si diresse verso i sacchi a pelo e ne comprò otto; intanto ragionava su come risparmiare sull’acquisto della tenda, fino a quando non sentì delle voci. - “Papà, papà!” Si girò e vide i suoi figli correre verso di lui, mentre trasportavano una grossa tenda rossa. - “Bambini, dove l’avete trovata?” - “Era in mezzo alle merci scartate perché difettose”- disse Michelino. Marcovaldo era confuso e chiese: - “Ma allora perché l’avete presa?” - “Non ci sembrava così messa male, guarda tu stesso”. Effettivamente era ancora in buono stato. - “Avete ragione, ma sicuramente non ce la lasceranno. Se la volevano buttare, ci sarà un motivo”. - “Macché papà, se la buttano non la vogliono più. Anzi, pensa, magari non ce la fanno neanche pagare!”
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A quelle parole, Marcovaldo quasi si risvegliò e decise di prenderla. Andarono alla cassa e, come avevano intuito i bambini, non dovettero neanche pagarla. Pagarono solo l’attrezzatura. Sulla via del ritorno verso casa, i bambini saltellavano per la felicità perché avevano fatto risparmiare molti soldi al loro papà e quindi potevano comprare la palla tanto desiderata. Quando giunsero davanti al negozio dei giocattoli, Marcovaldo si ricordò della promessa fatta ai suoi figli e senza esitare comprò la palla. Giunti a casa, la moglie aveva già riposto in alcune buste i vestiti necessari per i due giorni di vacanza e tutti erano elettrizzati per la partenza imminente. La mattina la famiglia si svegliò presto; tutti si prepararono e uscirono di casa per andare a prendere il pullman che li avrebbe portati a destinazione. Dopo due ore di viaggio, arrivarono al mare. Scesero dal veicolo e, vista la bellezza del paesaggio, corsero in spiaggia intenti a rimanerci per le ore seguenti. I bambini, la moglie e Marcovaldo si divertirono molto. Passarono il pomeriggio a fare bagni, giocare con la palla che avevano comprato e a fare castelli di sabbia. Poi Marcovaldo guardò l’orologio del campanile della chiesa vicina e vide che erano le sei di sera. Decise allora di richiamare i figli e la moglie: - “Ragazzi, forza, è ora di andare a montare la tenda per la notte”. Non avevano un’idea precisa di dove accamparsi; ma durante il viaggio in pullman della mattina, Marcovaldo aveva adocchiato una grossa pineta e aveva iniziato a fantasticare su quanto sarebbe stato bello dormire lì. Disse quindi alla famiglia che sapeva lui dove andare e si diressero verso la boscaglia. Una volta arrivati rimasero sorpresi dalla grandezza e dalla bellezza del luogo e, quindi, acconsentirono a rimanerci. Marcovaldo, con l’aiuto dei bambini, montò la tenda, mentre la moglie andò al minimarket a comprare qualcosa per cena. Tornò con panini, salame e Coca Cola per festeggiare la magnifica vacanza che stavano trascorrendo. Finito di mangiare, raccolsero le carte e le bottiglie che avevano lasciato in giro e le buttarono nel cestino dei rifiuti. Dopo di che entrarono in tenda per dormire. Nessuno riusciva a trovare una posizione comoda per riposare e i bambini chiesero di poter uscire a giocare con la palla per un po'. Alla fine i due genitori, stremati, acconsentirono. Marcovaldo e Domitilla si misero a guardare il cielo stellato e la luna, che era piena ma nascosta tra i rami della pineta. I bambini, invece, giocarono a palla passandosela l’uno all’altro.
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Ad un tratto Michelino tirò la palla troppo in alto, ed essendo buio non capirono dove fosse finita. Avevano sentito però un fruscio di rami, intuirono così che la palla fosse finita su un albero. Ma quale? Alzarono le teste cercando su quale albero fosse, finché Isolina gridò: -“Eccola!” Tutti guardarono nel punto indicato ed effettivamente, tra i rami, c’era una palla bianca. Così, Paolino si arrampicò sull’albero per cercare di recuperarla. Ma il bambino comunicò: - “Non è qui”. I fratelli, increduli, lo guardarono storto. - “Ve lo giuro, qui non c’è!”. Paolino si guardò intorno e vide che aveva sbagliato albero, la palla era su quello dietro. Scese da dove si trovava e salì sull’altro albero. Ma arrivato al ramo dove l’aveva vista, si stupì più di prima. Anche lì non c’era! Si voltò nuovamente, e vide la medesima scena: la palla era su un albero, ma quello posteriore! Scese allora dall’albero per arrampicarsi sul successivo, ma anche lì la palla non c’era. Era come se la palla si stesse prendendo gioco di loro. I bambini ripeterono l’azione numerose volte: sali, scendi; sali, scendi…Finché Marcovaldo non li richiamò: - “Bambini, è tardi, andiamo a dormire”. Quindi Paolino scese dall’ultimo albero che aveva ispezionato e, sconsolato, tornò alla tenda insieme ai suoi fratelli. - “Perché quelle facce tristi bambini? E dov’è la palla?” chiese Marcovaldo. - “L’ho tirata troppo in alto ed è andata a finire su un albero; però ogni volta che ci sembra di aver trovato l’albero, in realtà si rivela tutto falso e la vediamo sull’albero dietro” - disse Michelino. Il padre non capiva il ragionamento fatto dai bambini. - “Ditemi dov’è la palla!” richiese il padre di nuovo. Michelino gli indicò la posizione della palla e Marcovaldo, rendendosi conto che quella che cercavano di prendere era in realtà la luna, si mise a ridere. I bambini ci rimasero male; prima la palla li prendeva in giro e ora anche il loro padre. - “Papà perché ridi?” - chiese Isolina. Marcovaldo rispose: -“Non preoccupatevi bambini, domani con la luce del sole vedrete che riusciremo a riprendere la palla”. Detto ciò, rientrarono in tenda e si misero a dormire. Il giorno seguente, la famiglia di Marcovaldo si svegliò di buon’ora e i bambini corsero fuori iniziando a girare per la pineta alla ricerca della loro bella palla
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bianca. Marcovaldo però gridò: - “Bambini venite, l’ho trovata!” Loro, a queste parole, si precipitarono dal padre chiedendogli dove l’avesse ripresa. - “Era là in fondo, vicino a un cespuglio”. - “Ma come ci è arrivata? Ieri era in mezzo agli alberi!” - disse Teresa. - “Non lo so; ma come vi ho detto ieri notte, grazie alla luce del giorno l’avremmo ritrovata”
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Estate
UNA GIORNATA AL MARE di Martina Pozzato
In quella bella giornata di sole la famiglia di Marcovaldo si radunò per la prima volta al mare. I gabbiani volavano e urlavano al cielo, le onde sbattevano dolcemente sugli scogli e Marcovaldo sembrava incantato ad ascoltare i suoni della natura marina. I ragazzi, abituati a stare in campagna o al fiume, erano incuriositi e si divertivano a fare castelli di sabbia o a giocare con l’acqua salata. Faceva veramente caldo per essere nelle prime giornate estive e questo non dispiaceva affatto, soprattutto se sdraiati sulla comoda e bella sdraio blu notte, che Marcovaldo non accennava a voler abbandonare. Michelino, Filippetto e Isolina stavano tornando eccitati dal padre per mostrargli le strane creature che avevano visto sugli scogli. - ”Papà! Papà!”- dissero Michelino e Filippetto, mentre lo scuotevano per cercare di riportarlo nel mondo dei vivi. - “Eh? Cosa?”- trasalì Marcovaldo, drizzandosi e cercando di mettere a fuoco le figure che aveva davanti.
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- “Devi venire a vedere cosa abbiamo trovato” - disse Isolina che fino ad allora se ne era stata immobile con un genuino sorriso sul viso. E così i bambini portarono il padre sugli scogli. Giunto vicino allo sperone roccioso, Marcovaldo non poteva credere ai suoi occhi: una serie di protuberanze distingueva quegli strani scogli. Si guardò un po' intorno e da lontano vide un uomo che li fissava incuriosito, mentre aspettava di tirare la lenza. - “Che cosa sono papà?” - disse Michelino che nel frattempo aveva staccato una di quelle strane creature dallo scoglio. A Marcovaldo quegli animaletti sembravano familiari, li aveva già visti da qualche parte ... Poi gli venne un’illuminazione: li aveva visti in un supermercato, si chiamavano lumece ...no no, lumache.. ecco. - “Si chiamano lumache e credo siano buone da mangiare, quindi perché non ne raccogliamo un po'?” - I bambini esultarono e così cominciarono a raccoglierne. All’inizio una decina, ma dopo averci preso la mano non riuscirono più a smettere, lo trovarono divertente; così passarono molto tempo a cercare e staccare le lumache dagli scogli. Le depositarono in un retino che avevano portato per la pesca e lo lasciarono in riva al mare, tenuto fermo da una serie di pietre che creavano una barriera alla risacca. - “Giusto il tempo per prepararsi e tornare a casa” - dissero. Si prepararono tutti e otto, tornarono sulla riva per recuperare il frutto del duro e divertente lavoro; ma quando furono lì, ciò che avevano preso era scomparso. Rimasero tutti sconcertati, Marcovaldo si chiese dove fossero andate: chi poteva aver rubato delle lumache di mare? Poi in lontananza vide l’uomo che fino a qualche ora prima li aveva fissati e, osservandolo, si rese conto che aveva un retino e un secchio con dentro pesci e conchiglie. Il primo pensiero di Marcovaldo fu che si trattasse di un ladro di conchiglie: il furbetto si era accaparrato il loro bottino per incrementare la sua cena; in un attimo fu tutto chiarissimo e in pochi secondi raggiunse il malcapitato. - “Ehi tu!” - disse Marcovaldo in tono minaccioso. L’anziano si girò e lo guardò con uno sguardo confuso. - “Sì?” - gli rispose in modo pacato, cosa che fece innervosire ancora di più Marcovaldo.
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- “Hai rubato le nostre lumache! Perché?” - gli chiese addolcendosi. - “Quelle che stavi raccogliendo prima?” - chiese l’uomo, mentre spostava lo sguardo da Marcovaldo al mare. - “Sì quelle” – affermò. Il pescatore lo guardò e poi scoppiò a ridere. - “Caro mio, quelle non erano lumache – disse, mentre prendeva qualcosa dallo scoglio - “Erano così, vero?aggiunse non smettendo di ridere. - “Sì. Perché stai ridendo?”. - ”Perché questi sono paguri, è ovvio che se ne siano andati. Non stanno lì ad aspettare di diventare la tua cena!” - ribadì - “...Paguri? E cosa sarebbero?” - “Esattamente questi animaletti; sono piccoli crostacei dotati di coda, in grado di afferrare conchiglie per farne una dimora e proteggersi dai predatori. E’ facile scambiare un paguro per una lumaca, se non conosci il mare!” Lo sgomento di Marcovaldo fu plateale: - “Anche il mare è pieno di ladri!! Bimbi torniamo subito a casa!”.
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Estate
LA GITA AL LAGO di Luca Caroppo
Dopo una settimana di lavoro, Marcovaldo e famiglia avevano deciso di andare a fare un picnic al lago non molto lontano dalla città. Mentre vi si dirigevano a bordo di un autobus, iniziarono a sentirsi le prime gocce provenienti da una grande nuvola di pioggia estiva. Per fortuna al termine del tragitto, la nuvola si stava già allontanando, ma si potevano ancora vedere le gocce che, cadendo sull’acqua del lago, formavano dei cerchi e increspavano la piatta superficie, mossa solo da una flebile brezza estiva; l’aria era più pulita grazie alla pioggia che aveva portato via tutto lo smog proveniente dalla città; si sentiva l’odore dell’erba bagnata dei pascoli tra le colline. Intanto Marcovaldo e famiglia si avviavano verso l’area per i picnic. Incrociarono lungo il percorso il vecchio signor Rizieri nell’intento di farsi una puntura con una vespa appena tirata fuori da un barattolo. Marcovaldo fu il primo a salutarlo con un “ehilà” un po’ avventato. Il signor Rizieri si girò di scatto terrorizzato, pensando fosse qualche malintenzionato, ma vedendo Marcovaldo si mise l’anima in pace e chiese cosa lo portasse da quelle parti. Allora i figlioli urlarono in coro: - “Per un picnic! “- e a quel punto toccò a Marcovaldo chiedere al signor Rizieri cosa ci facesse lì uno della sua età.
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- “Sto andando anche io a un picnic per festeggiare il trentesimo anniversario di matrimonio di un mio vecchio compagno di scuola” - disse Rizieri con la faccia ricoperta di tristezza al solo pensiero di andare ad un anniversario di matrimonio, visto che lui era solo da una vita. - “Allora vieni con noi “- disse uno dei bambini di Marcovaldo, mentre tutti gli altri facevano delle faccine desiderose di avere un po’ più di compagnia. Rizieri tutto felice acconsentì senza neanche chiedere ai genitori, che ormai non potevano più dire di no. Si incamminarono tutti insieme lungo il percorso delimitato da staccionate, su un sentiero che emanava odore di terra umida; la vegetazione era composta di cespugli ricoperti di bacche e di alberi, tra i quali si vedevano vari uccelli che si destreggiavano tra i rami in cerca di qualche insetto da mangiare. Quando arrivarono all’area picnic, trovarono molte persone, pochissimi posti liberi e un rumore tale che sembrava di essere in piena città nell’orario in cui tutti escono per far compere o per fare un giro con gli amici; in più si sentiva il verso delle papere e delle oche, che aspettavano impazienti che venisse loro offerto del cibo. Il signor Rizieri, Marcovaldo e famiglia si guardarono e, come un'entità unica, ebbero tutti la stessa idea: proseguire lungo il sentiero tra la vegetazione e la costa del lago. Dopo a malapena 5 minuti di cammino, il povero signor Rizieri non riusciva più a tenersi in piedi, così Marcovaldo per far bella figura si offrì di fargli da stampella. - “Guardate che bei funghi, ne prendiamo un po’ da mangiare?”- disse il signor Rizieri, mentre continuavano a camminare. Marcovaldo, a sentire quelle parole, rabbrividì e si girò di scatto verso il luogo indicato dall’anziano: c’erano dei funghi che spuntavano da dietro un cespuglio e quella scena gli sembrò tanto un déjà-vu che gli fece tremare le gambe per colpa dei brutti ricordi che gli scorrevano per la mente. Urlò: - “Non se ne parla proprio! E se fossero velenosi?” Ripresero la loro camminata più in fretta possibile per allontanarsi. Mentre parlavano di tutto quello che era successo dal loro ultimo incontro, si ritrovarono quasi alla fine di quel sentiero contorto. Dalle fronde degli alberi continuava sempre di più a passare la luce abbagliante del mezzogiorno di un giorno d’estate, mentre si lasciavano alle spalle pian piano il dolce fresco della boscaglia. Si ritrovarono in uno spazio aperto pieno di erba con ancora sopra le gocce di pioggia e vari denti di leone che disperdevano i semi, trasportati via dal debole vento; al centro di questa radura si trovava un tavolone con delle panche di legno grezzo. Subito si gettarono su quei sedili e lasciarono il cestino
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del cibo lì vicino, su un tronco tagliato. Mancava ancora un po’ di tempo prima dell’ora di pranzo; così, per divertirsi, pensarono di giocare ad un gioco in cui bisognava mimare il movimento di un animale, mentre gli altri dovevano indovinare. Quando toccò a Marcovaldo, decise di fare il gatto. - “Un coniglio! Un coniglio!” - esclamarono i bambini - “Ah ah, avete sbagliato tutti!” - disse Marcovaldo - “Ma no papà” - disse uno dei figli, indicando in un punto tra la vegetazione della foresta. Allora Marcovaldo si girò per guardare e, alla vista di due orecchie bianche, un muso scuro con un nasino rosa e un corpo ricoperto di pelo lattiginoso, fuggì immediatamente dietro alla moglie nella speranza che lo aiutasse. Ma ormai non ce n’era più bisogno visto che il coniglio, a causa dei movimenti fulminei di Marcovaldo, si era dato alla fuga. Finalmente venne l’ora del pranzo; Marcovaldo stava afferrando un panino e si preparava a tirargli un bel morso, quando da un’ estremità del pane vide uscire un’infinità di formiche. Lanciò via il panino e guardò gli altri che, per loro sfortuna, erano finiti nella stessa situazione. Tutti si recarono a guardare il cestino del picnic e notarono che, da un piccolo buco del tronco tagliato su cui era appoggiato, usciva una lunga fila di formiche come se fosse un fiume in piena diretto verso il cestino. Così anche stavolta l’avventura di Marcovaldo finì in una sventura. Tutti tristi, ritornarono a casa senza proferir parola sull’accaduto e con la pancia vuota.
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Estate
LA VENTUNESIMA STAGIONE di Filippo Galbarini
Oggi Marcovaldo, laborioso operaio della SBAV, è molto felice: il caporeparto gli ha concesso un giorno di ferie. Contento, decide di portare la sua famiglia in campagna per una gita. Non conoscendo la strada va a comprare una mappa in un Centro di Informazioni turistiche che si trova dall’altra parte della città rispetto a dove abita. È una mappa che rappresenta le zone circostanti il centro urbano, ma è molto piccola e ripiegata in molteplici quadrati. Tornato a casa, la ripone sul tavolo vicino alla mappa del centro storico della città, ma lasciandola capovolta. Domitilla, pensando che le mappe fossero dei figli, le raccoglie e le appoggia su uno scaffale, mentre Marcovaldo va ad avvisare i ragazzi dell’imminente scampagnata. Il giorno dopo Marcovaldo cerca la cartina sul tavolo e, non trovandola, chiede alla moglie che gli indica lo scaffale. Marcovaldo ne afferra una senza controllare, perché erano in ritardo per la partenza, sfortunatamente quella che rappresenta solo il centro cittadino. Mentra guida, la consulta; perciò inizia a passare diverse volte davanti al supermercato che si trova dietro la sua via, gira vicino a casa sua, va a destra, va a sinistra. Va in giro per la città, passando davanti a monumenti, a musei e a piazze importanti che si trovano nel centro, senza rendersi conto dell’errore. Arriva in periferia, passa davanti a una fabbrica
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di palline da ping pong, davanti a un oratorio in rovina, di fronte a una chiesa gotica con alte vetrate e davanti ad un palazzo abbandonato. Solo dopo aver girato per ore in cerca della strada che lo avrebbe condotto in campagna, si rende conto dello sbaglio. Allora lo sbadato Marcovaldo e i familiari fanno ritorno alla loro abitazione e ripartono con la cartina stradale giusta. Finalmente arrivano in campagna, ma è già sera. Non riescono a vedere i campi di grano, i prati e i fiumi: è tutto buio e si sente solo il rumore delle auto che corrono sulla statale. Cercano un posto per la notte. Bussano ai pochi alberghi e B&B che incrociano, ma purtroppo è tutto chiuso a causa dell’ora tarda. I pochi che sono aperti li devono rifiutare perché sono al completo, a causa della festa del cetriolo gigante. Decidono, allora, di accamparsi per la notte sotto un maestoso albero dai lunghi rami in modo da essere riparati dal vento. Si avvolgono con una grande tovaglia che avevano portato per fare il pic nic, e usano come cuscini le bottiglie d’acqua. Si addormentano, ma arriva un poliziotto che li costringe ad andarsene. Marcovaldo, affranto, decide di tornare a casa. In fretta rimettono tutto nel bagagliaio e ripartono. A causa del buio, però, non riesce a leggere la mappa; si ritrovano così a vagare in mezzo alla campagna finché all’alba vedono degli edifici a loro familiari e capiscono di essere nei pressi della città, dopo aver vagato nei dintorni per ore. Rientrati in casa Marcovaldo guarda l’ora e corre subito a prendere il tram che lo porta al lavoro. C'è molto traffico e per questo il mezzo pubblico tarda ad arrivare. Il capo, scocciato, esige delle spiegazioni e Marcovaldo, sempre più triste, inizia a raccontare le peripezie della notte. Il capo, incredulo, lo punisce dimezzando la paga della giornata. Al rientro, le disavventure non sono ancora finite: manca Michelino, il figlio maggiore. Ipotizzano che si sia perso, mentre tornavano a casa; perciò corrono a cercarlo in campagna, ma senza trovarlo. Inutilmente continuano le ricerche per tutta la notte; solo il mattino successivo, lo ritrovano davanti a casa. Michelino si era perso lungo la strada del ritorno, ma aveva trovato un signore gentile che gli aveva indicato la strada per la città. Arrivato davanti a casa, però, non aveva trovato nessuno e aveva deciso di andare in cerca della famiglia: era andato davanti al supermercato, sul posto di lavoro di Marcovaldo, all’ospedale, al campo di bocce, nei vari parchi della città, inutilmente. Allora, triste, era tornato indietro e si era seduto davanti all’abitazione ad aspettare.
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Marcovaldo è molto dispiaciuto sia per Michelino sia per il ritardo, senza preavviso, al lavoro. Domitilla, allora, decide di andare a parlare con il direttore della fabbrica per sostenere la causa del marito. Il capo, ascoltata l’incredibile storia, decide alla fine di crederci. Anzi, dispiaciuto per la povera e numerosa famiglia, offre a Marcovaldo un aumento di stipendio.
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Estate
LA PISCINA DEL PERDONO di QuinLe Chen
Marcovaldo abita in una grande città industriale con tanti negozi di ogni genere con vetrine luminose ed esposizioni invitanti, ma accessibili, per i prezzi elevati, solo a persone benestanti. All’esterno del centro e lungo le strade diritte ed ortogonali che portano nella periferia, si vedono molti cantieri edili e quartieri popolari. Sono stati eretti palazzi, alcuni anche di dieci piani, nei quali sono andati a vivere famiglie numerose. I padri lavorano come manovali e operai nelle grandi industrie che producono macchinari, autoveicoli, elettrodomestici, trasformando ferro ed acciaio. Ma il lavoro è duro, ripetitivo e lo stipendio è basso e non permette una vita agiata. Il cibo, sulla tavola, è misurato e in alcuni casi anche non basta a riempire le bocche. Marcovaldo vive in città da qualche mese. Il suo appartamento è molto piccolo per la sua famiglia: infatti oltre a lui e alla moglie Domitilla, i figli sono sei. Marcovaldo lavora alla SBAV, dal lunedì al venerdì per otto ore al giorno e il sabato per mezza giornata; il lavoro è pesante e lo stipendio basta a malapena ad arrivare a fine mese.
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E’ estate e, come se non bastassero le fatiche in fabbrica, bisogna sopportare il caldo afoso della città. Marcovaldo dopo aver risparmiato qualche soldo, è riuscito a comprare un ventilatore da posizionare nella cucina, dove sono accalcati tutti, perché gli altri locali dell’appartamento sono una camera da letto e un bagno. Ma l’estate è troppo calda e gli abitanti della città accendono ventilatori e condizionatori: l’elettricità salta, la cabina del quartiere si guasta. Viene avvisata l’azienda che fornisce energia, ma essendo la settimana di ferragosto gli operai in servizio sono pochi perché molti sono in ferie. L’intervento di sistemazione è rimandato; quindi non si può usare il ventilatore, non si riesce a stare in casa perché c’è troppo umidità e le zanzare pungono. - “Mi sembra il giorno più caldo dell’estate” - dice Michelino muovendo la mano per farsi vento, ma suda comunque . - “Oggi è domenica. Dai, preparatevi che vi porto fuori per cercare un posto fresco” - propone Marcovaldo. - “Sììììì!” rispondono i figli con tanta felicità. Marcovaldo decide di andare ai giardini pubblici dove ci sono aiuole e alberi con chioma e foglie. Arrivati lì, trovano però gli alberi scheletrici perché un fungo li ha fatti ammalare. Per evitare di farli cadere sui passanti o sui frequentatori del parco, il Comune ha deciso addirittura di tagliarli. Allora Marcovaldo cambia meta. La famiglia prende il pullman e, dopo aver fatto circa mezz’ora di viaggio, giunge in campagna dove Marcovaldo ricorda un laghetto di acqua fresca e limpida. Al termine di un piccolo vialetto, pensano di essere arrivati a destinazione, ma davanti ai loro occhi appare solamente una larga buca senza acqua. Un anziano pescatore dice loro che è stato prosciugato perché una fabbrica lì vicino ha scaricato dei veleni. Riprendono il pullman per fare ritorno tristi a casa. Ma durante il tragitto, Marcovaldo si accorge di un enorme edificio con un grande cartello con la scritta “Piscina”. Per non deludere ulteriormente i figli, decide di portarli in piscina per la prima volta, nonostante abbia in tasca pochi soldi. Alla fermata, la famiglia scende. Davanti all’edificio trovano un cancello che delimita l’ingresso e, dopo aver pagato, lo varcano. Ai loro occhi appare un’immagine entusiasmante: c'è un percorso che conduce agli spogliatoi, poi vedono tre vasche di cui una dedicata ai bambini piccoli; sopra alle vasche ci
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sono gli scivoli per rendere più divertente i tuffi, e un grande prato verde con ombrelloni e lettini. Arriva anche il figlio della padrone di casa di Marcovaldo, un bambino viziato e piagnucolone che chiede ai suoi genitori se le persone povere possono entrare in piscina. Inizia un litigio con i figli di Marcovaldo, il litigio si ferma quando la padrona porta via suo figlio. Più tardi il bambino della padrona di casa perde il salvagente e rischia di annegare. La donna si mette a urlare, perché non sa nuotare neanche lei. I figli di Marcovaldo vedono la scena e chiamano il padre. - “Papà, papà vieni! Un bambino si agita nell’acqua! - Cercano il bagnino che però si è allontanato. Allora Marcovaldo non ci pensa due volte e, sentendosi invincibile come Superman, si tuffa. - “Dai papà, sei grandeeee!” - urlano i sei figli in coro. Marcovaldo raggiunge il piccolo e lo porta in salvo. La madre viene correndo, prende tra le braccia il bambino e ringrazia con le lacrime agli occhi. Poi invita la famiglia di Marcovaldo al bar della piscina e offre a tutti un bel gelato per mostrare la sua riconoscenza. Tutti si divertono e trascorrono qualche ora in amicizia e allegria, imparando che il valore di una persona non si misura dalla ricchezza.
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Estate
UN INCIDENTE DI PERCORSO di Christian Viola
Non era un’estate come tutte le altre, faceva molto più caldo rispetto al solito e come di consueto Marcovaldo insieme ai suoi familiari rimanevano gli unici in città. Era felice perché poteva ammirare la natura sopravvissuta al cemento e i pochi animali che si erano adattati allo smog urbano, mentre uscivano dalle loro tane. Ma stranamente quell’estate non lo fecero. - ”Papà, dove sono gli animali?”- chiesero in coro I figli che erano con lui per fare una passeggiata, a parte Teresa e Isolina che erano rimaste a casa. Il padre prontamente rispose: - ”Penso che siano rimasti nelle loro tane a causa del caldo eccessivo e credo che quest’estate li vedremo ben poco”. Qualche giorno dopo, inaspettatamente, arrivò una lettera dal cugino Gianluigi che lo incitava ad andare a trovarlo con la famiglia nel suo paese natale, che era anche il suo e si rese conto che erano trascorsi tanti anni dall’ultima volta che ci aveva messo piede. Oltre alla lettera, c’erano anche i biglietti per il pullman.
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Marcovaldo, felice della notizia, informò prima la moglie e successivamente i figli dell’invito e tutti furono d’accordo di accettare. Detto fatto: prepararono le valigie e partirono per un paesello di montagna di quasi 500 abitanti, immerso nella natura. Marcovaldo sentì la nostalgia di quei posti, di quegli odori; ricordò le fontane di acqua fresca e incontaminata della sua infanzia, le more e i lamponi che raccoglieva per strada quando raggiungeva i suoi compagni, l’orto della nonna, il latte di capra appena munto, i cavalli e gli asini che venivano giù dalla montagna… insomma: LA NATURA VIVENTE! L’indomani mattina partirono con il primo pullman della giornata. Ci sarebbero volute molte ore, ma poco importava; Marcovaldo col fresco del mattino e la testa fuori dal finestrino già assaporava la sua vacanza. In un batter d’occhio furono a destinazione. Quando arrivarono dal cugino, si salutarono abbracciandosi intensamente e facendosi le solite domande sulla salute, infine si accomodarono. Gianluigi era una persona abbastanza simile a Marcovaldo, forse un po’ più ordinaria e meno creativa, con un fisico ben allenato, conseguenza dei quotidiani lavori manuali. Gianluigi aveva preparato le stanze per gli ospiti, grandi e luminose; nella stanza di Marcovaldo c’era il lettone e due lettini per Pietruccio e Paolino, gli altri figli invece erano nella stanza accanto con due letti matrimoniali. La fame cominciava a farsi sentire e, dopo aver sistemato i bagagli, trovarono in cucina la tavola imbandita di cibi prelibati che non assaporavano da molto tempo. Gabriella, la moglie di Gianluigi, era una cuoca eccellente. Marcovaldo aveva già capito che avrebbe trascorso una settimana strepitosa. La giornata si concluse velocemente tra chiacchiere, risate, racconti nostalgici e in un attimo fu già ora di andare a letto. Il cugino si alzava alle 4 del mattino perché, essendo un pastore, andava dalle sue pecore in altura, ma sarebbe tornato in tarda mattinata per fare poi un giro con Marcovaldo, per fargli rivedere i bellissimi posti e i vecchi amici. L’indomani l’impaziente Marcovaldo si alzò presto, scese in cucina e trovò Gabriella intenta a preparare una invitante colazione: c’era il latte di capra appena munto che tutti gradirono molto ed una crostata di ciliegie ancora calda, che avvolgeva col suo profumo tutta la cucina. Alle 11 Gianluigi tornò, si preparò e finalmente l’intera compagnia uscì. Andarono in bottega a comprare il pane fatto in casa, nei bar a salutare i vecchi amici e nel pomeriggio in giro per luoghi
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di montagna. Anche i figli di Marcovaldo si divertirono molto e fecero amicizia con altri bambini del luogo. Marcovaldo notò che c’erano diversi pastori e contadini, molti praticavano l’allevamento e l’agricoltura. Era tutto genuino. Michelino si avvicinò al padre e gli disse: - ”Papà, perché questi bambini camminano scalzi?”- Marcovaldo rispose: - ”Anch’io quand’ero piccolo camminavo scalzo qui in paese e mi piaceva tanto andare nei boschi a piedi nudi.” Michelino allora esclamò: - ”Voglio provare a stare scalzo… domani lo farò!” Marcovaldo ricordò perché non metteva le scarpe da piccolo: ne aveva solo un paio! Le metteva soltanto per andare in chiesa e a scuola perché la gente nel paesello era povera ai suoi tempi; e poi era così bello camminare senza scarpe… e gli venne un’idea! Lo avrebbe fatto anche lui! Il giorno dopo, in una giornata caldissima, dopo aver fatto una bella colazione, uscì con i suoi figli, ma lui e Michelino non indossarono le scarpe. Il tempo era bello, il sole scaldava l’asfalto e, preso il pranzo al sacco, andarono in giro a lungo; si ritirarono solo alla sera. Si erano così divertiti, avevano camminato tantissimo! Michelino coi suoi amici aveva corso tutto il giorno, si erano inoltrati nei boschi, avevano visto pecore e capre, si erano arrampicati sugli alberi e, mentre pensava a tutto questo, Marcovaldo mise i piedi in una tinozza d’acqua fresca per rinfrescarli. - Ah!! - Si rese conto che i suoi piedi erano doloranti e pieni di vesciche. Dalla cucina si udì un urlo che era quello di Michelino con lo stesso acuto del padre. Domitilla corse dal marito informandolo che il figlio, dopo la bravata di stare tutto il sacrosanto giorno a piedi nudi, non riusciva più a camminare. Mentre lo raccontava, Marcovaldo mortificato era nelle stesse condizioni, non riusciva nemmeno ad appoggiare i piedi nella tinozza. Gli bruciavano, la pelle si staccava. La moglie si accorse del dolore del marito e si arrabbiò ancora di più, rimproverandolo. Oltre il danno la beffa! Come avrebbe trascorso le restanti vacanze? Nel frattempo Gianluigi in un angolo ridacchiava sotto i baffi vedendo il cugino, che ormai era diventato fragile e delicato dopo aver vissuto tanti anni in città e gli disse: - “Ricordi che ti era successo anche quando eri piccolo?” - trattenendo a stento le risate.
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- “Eh sì!” ricordò. Con fatica si asciugò i piedi, si sdraiò sul letto e lo stesso fece Michelino ancora piagnucolante. Con Domitilla che borbottava, Gabriella preparò degli impacchi a base di aloe e calendula, poi fasciò con delle garze i piedi sia del padre che del figlio. Che belle vacanze che avrebbero trascorso ora: a letto con i piedi fasciati e doloranti per gli ultimi 4 giorni che rimanevano!
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Estate LA PROFEZIA DEL BARBIERE di Chiara Bollani
E’ mattina quando Marcovaldo apre gli occhi al suono della sveglia. Alle 7.00 precise precise, si accorge che c’è qualcosa di diverso; si siede sul letto con indosso il pigiama preferito, quello a scacchi rossi e blu che tanto si intona con le calze regalate da Domitilla. Sua moglie borbottona ha dedicato lunghe serate di lavoro a maglia per finire in tempo per l’autunno due calzini scalda piedi al suo Marcovaldo, che così secco e lungo è sempre freddoloso. Con le gambe a penzoloni, cerca di far luce su quel suo strano percepire. Prova a mettere a fuoco ogni dettaglio che a fatica, visto il brusco risveglio, arriva al cervello intento a connettersi con il mondo; ma per ora è sicuro solo di una cosa, deve assolutamente sistemare il suono della sveglia. Il canto della gallina starnazzante proveniente dall’orologio appoggiato sul comodino di legno, verniciato di bianco e azzurro da sua figlia Teresa, lo fa innervosire. Non ricorda come mai il vecchio orologio, che una volta imitava il canto di un uccellino, ora emette un rumore indisponente; sicuramente è uno scherzo di Pietruccio o Michelino. Ma una cosa è certa, bisogna porvi rimedio. Calma, prima deve capire cosa non va; non vede nulla di insolito: le persiane sono aperte perché Domitilla si è già alzata; i raggi del sole, filtrati dai rami del grosso ippocastano del giardino, illuminano quel tanto che basta la stanza da poter distinguere la
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porta e poco più in là il vecchio comò di legno bianco, ricordo di una lontana zia di Domitilla che pare avesse la pelle ancora più bianca del suo mobile. Decide di alzarsi, forse un caffè può aiutarlo a fare chiarezza; ma mettendo i piedi a terra si accorge di avere i calzini un pochino umidi, le dita sono viscide e sembrano leccate da Paffy, il cane dei vicini, che ha la capacità di sbavare come nessun altro cane della città. Effettivamente fa caldo, più caldo di ieri sicuramente. I calzini sono di troppo, meglio levarli e, con un paio di giravolte ai piedi, anche le dita sono asciutte. - “Bene” - pensa Marcovaldo - “una fetta di pane con la marmellata e una buona tazza di caffè potrebbero aiutarmi a raddrizzare questa strana mattina; anche il mio lungo stomaco potrebbe smetterla di emettere suoni fastidiosi”. Ma in cuor suo, sa benissimo che non troverà nulla da mettere sotto i denti. Si alza, passa la mano fra i capelli come se volesse riordinare le idee, e le sue lunghe affusolate dita si ritrovano avvolte in soffici batuffoli di cotone. “Non posso avere il cotone in testa”- riflette Marcovaldo - “ma allora cosa sono, capelli? Ma cosa succede, come mai sono così lunghi? Cosa mi è accaduto questa notte?” Spaventato e un po’ a disagio, raggiunge Domitilla in cucina. La sua vecchia tazza senza manico appoggiata sul tavolo lo rincuora; vede il fumo lento salire verso il soffitto, ottimo segnale. “Non sarà un buon caffè”- pensa - “ma è quello di cui ho bisogno”. La moglie quasi non si accorge della sua presenza, e questo almeno per oggi non lo intristisce, non saprebbe come reagire alla risata di Domitilla, che di fronte alle stranezze proprio non si trattiene. E la risata contagiosa coinvolgerebbe i ragazzi e così, oltre al cotone in testa, avrebbe le guance paonazze dalla vergogna. Domitilla invece è già alle prese con le faccende di casa, con così tante bocche da sfamare è un gran lavoro ogni mattina inventarsi come arrivare a pranzo e a cena. Ora infatti è intenta a tagliare patate e carote, ottimi ingredienti per la minestra, un po’ magra forse, però sempre gradita. Dalla stanza accanto arrivano le voci dei suoi figli, sono svegli e pronti per una nuova giornata. - “Giusto, una nuova giornata; devo assolutamente affrontare il problema capelli”- e come per verificare se ciò che aveva sentito appena sveglio fosse realtà, avvicina la mano alla testa; ma ancora prima di toccare i capelli, la risata di Filippetto, nascosto dietro la sedia, conferma le sue paure: in testa ha una piantagione di cotone. Non c’è tempo da perdere, in cinque minuti è pronto ed esce di casa alla ricerca di una soluzione.
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Incamminandosi verso il centro del paese, pieno di piccole botteghe, decide di percorrere il lato destro della strada; ci sono più alberi e sembra più protetto dagli sguardi dei vicini. Vero è che ha indossato un vecchio cappello con tanto di paraorecchie per nascondere la chioma, ma non vuole correre rischi. Non avendo avuto il coraggio di guardarsi allo specchio, forse si immagina qualcosa che non c’è, o forse la capigliatura è peggio di quello che è; quindi meglio evitare sguardi indiscreti. Deve raggiungere prima possibile la bottega di Armando, in fondo alla via. Armando a prima vista non sembra un barbiere perché, per essere uno che sistema barba e capelli, pare si sia dimenticato dei suoi. I pochi riccioli grigio cenere, che gli ricoprono la nuca, li tiene raccolti con uno spago in cima alla testa, come lo zampillo di una fontana, lasciando la faccia rossa e rubiconda in bella vista. Se poi si dà uno sguardo alla barba, si nota che, come i capelli, è raccolta con un filo grigio, mimetizzato alla perfezione tra i peli ispidi e lunghi che partono dalle orecchie e che, con una striscia sottilissima, raggiungono il mento e poi giù giù fin quasi alla pancia. E’ un uomo pacifico, canta spesso e, se la porta del suo negozio è aperta, lo si può sentire dall’altra parte del paese, perché il suo vocione rimbomba per i vicoli come una grancassa. Per fortuna non è stonato, però conosce solo due canzoni e sempre quelle canta. A volte, quando è super concentrato, tiene il ritmo con le forbici mentre spunta barba e capelli, suscitando nel malcapitato cliente un certo timore. - “Io non ho paura di nulla, posso cantare anche la marcia dei bersaglieri”- pensa Marcovaldo - “l’importante è che il barbiere sistemi quello che ho in testa”. Finalmente raggiunge la bottega; è ancora presto e non ci sono altri clienti, così si precipita all’interno, chiude la porta e, con un balzo degno di un felino, si accomoda sulla poltrona così velocemente che anche il buon Armando rimane senza parole. - “Buongiorno, carissimo Marcovaldo, come mai così di fretta?” - “Ho bisogno di sistemare i capelli” - risponde. Armando, ben felice di poter cominciare a tagliare e cantare, si avvicina al cappello con paraorecchie e, una volta sfilato dalla testa, rimane come incantato: fermo immobile, non riesce a fare altro se non ammirare ciò che vede.
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Sì, ho detto ammirare perché è proprio quello che fa, ammira la folta chioma di Marcovaldo quasi commosso. Armando ha ben presente il giorno in cui quell’omino secco secco e dalla strana capigliatura si era presentato al negozio dimostrando poca fiducia nelle sue capacità di interpretare i desideri, nell’acconciare barba e capelli, e rendere i clienti fieri di mostrare agli altri capigliature impomatate e barbe ben spazzolate. Marcovaldo, dal canto suo, sa benissimo di non essere un buon cliente; anzi a dire la verità non capisce perché si debba andare dal barbiere. Basta un paio di forbici e chi non ne ha un paio a casa? Si è seduto su quella poltrona solo una volta, per caso. Ma del resto a lui non importa farsi notare; anzi, più resta anonimo più si sente a suo agio; anche in fabbrica preferisce non apparire, non c’è nulla di lui di così interessante da mostrare agli altri operai. Ha un lavoro e meno male, ma la sua vita è una vita normale: perché attirare gli sguardi e i pettegolezzi degli abitanti della città? Ma torniamo al negozio. Marcovaldo è seduto e Armando incantato: cosa succede? Il barbiere rivive nella sua mente quello stesso giorno in cui Marcovaldo era entrato nel suo negozio per caso, involontariamente, incuriosito dalla voce profonda che proveniva dal fondo della via. Davanti alla bottega un gruppetto di persone ascoltava e provava a seguire il ritmo della canzone con le mani, oppure si cimentava nel canto. E così anche lui a spasso con Michelino si era ritrovato lì davanti, a battere il tempo con il piede; sicuramente un gesto involontario, ma inarrestabile. Così per non farsi notare nemmeno da Michelino che gli si era arrampicato sulle spalle per poter vedere meglio, batteva delicatamente il piede sul marciapiede. Ad un tratto il cantante barbiere grida – Avanti, che taglio facciamo?- e alla fine di quelle parole, senza capire come, Marcovaldo si ritrova a guardare se stesso riflesso nel grosso specchio davanti a lui. Non sa cosa dire e nemmeno cosa fare; pensa: - “Ora mi alzo, mi scuso, ringrazio e me ne vado. Che imbarazzo, cosa ci faccio qui?”. Ma il buon Armando è pronto: forbici affilate, pettine impugnato con la mano destra, attento alla richiesta del cliente: - “Prego mi dica pure, cosa facciamo? In realtà l’unica cosa che si dovrebbe fare è tagliare tagliare tagliare, ma sentiamo cosa desidera il cliente”. Silenzio. Dalla bocca di Marcovaldo non esce nulla. Sembra ammutolito. Lui non vuole sembrare, non vuole apparire; lui è Marcovaldo così come si sveglia la
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mattina e come va a letto la sera, non vuole tagliare e lucidare. Ma Armando è in gran forma questa mattina, le sue forbici volano fra i cespugli di capelli che invadono la testa di Marcovaldo e, in pochi minuti, ai piedi della sedia girevole, si raccolgono capelli in piccoli mucchietti ordinati che ricordano le tane delle formiche del giardino di casa. Dopo una ventina di minuti, Armando passa un ultimo giro di forbici e il miracolo è fatto. Anche Marcovaldo, che riprende a respirare, non si riconosce allo specchio; si sente leggero e profumato, proprio una bella sensazione. Sistemato il conto con Armando, si dirige verso casa; si è quasi scordato di dover andare a lavorare, ma oggi è una giornata così strana che anche il turno in fabbrica gli sembra una passeggiata. Camminando lungo il viale, questa volta dalla parte più soleggiata, si rende conto che, fuori dal suo mondo, ne esiste un altro che non è neanche così male e che vale la pena di scoprire. Arrivato a casa, saluta la famiglia e poi si dirige verso la fabbrica. Per caso ripensa alle parole che Armando gli ha detto appena prima di uscire dal negozio: “Ricorda Marcovaldo, con questo taglio di capelli potrai aspettare il canto di fine estate delle rondini, annuncio dell’imminente raccolta del cotone!” E alzando il naso all’insù vede una rondine volteggiare nel cielo azzurro. “Armando ha ragione, è ormai giunta la fine del mese di agosto e io ho tagliato il cotone” - pensa - “e ora ricordo, sono le stesse parole che mi aveva detto l’anno scorso”.
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Autunno
UNA VACANZA A META’ di Tommaso Rinaldi
Per la festa di Ferragosto, il circolo ricreativo della ditta in cui Marcovaldo lavora, organizza una lotteria, in cui il primo premio è un fine settimana in montagna per quattro persone. Marcovaldo non crede ai suoi occhi, il suo biglietto viene estratto: vince proprio il primo premio! Ma come può fare se il viaggio è solo per quattro persone e la sua famiglia è di otto? L’anziano presidente del circolo ricreativo, il signor Arturo, sempre elegante in giacca e cravatta, si offre di cambiare il pacchetto da quattro ad otto persone; ovviamente, al posto di un hotel a cinque stelle trova un agriturismo che può ospitare allo stesso prezzo tutta la famiglia , ma solo a fine novembre e per una notte. Arriva il giorno della partenza, prendono il pullman tutti e otto; ma il mezzo è costretto a fermarsi per più di due ore a causa di un incidente; così invece di arrivare per mezzogiorno, arrivano a destinazione alle quattordici, quando la cucina dell’agriturismo è ormai chiusa. La proprietaria, la signora Clotilde, con qualche chilo di troppo e di bassa statura, decide di offrire ai bambini cioccolata
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calda e biscotti, a Marcovaldo e alla moglie panini imbottiti con una bottiglia di vino rosso. Non avendo mai assaggiato il vino, ben presto Marcovaldo si sente euforico. Finito lo spuntino, vanno a sistemare i pochi vestiti nelle camere e chiedono alla signora Clotilde dove poter fare una passeggiata prima della cena tanto attesa. La signora dà le indicazioni per un sentiero vicino, consigliando però alla famiglia di non tornare tardi perché in serata è previsto brutto tempo. Marcovaldo non dà tanta importanza all’avvertimento poiché il cielo è limpido, senza una nuvola e il sole è tiepido. Il sentiero, in mezzo a pinete e cespugli di biancospini, lascia spazio a radure erbose dove i bambini possono correre e giocare. Tra un pino e l’altro, sbirciando tra le fronde fatte da migliaia di aghetti, si possono osservare le vette delle montagne coperte dalle prime nevicate. Presi dall’allegria, non si accorgono che il sole sta tramontando e che il cielo si sta rannuvolando, finché un vento freddo li convince a tornare all’agriturismo. La signora Clotilde aveva ragione e gli otto si mettono a camminare di gran lena verso il rifugio. Intanto cominciano a scendere i primi fiocchi e i più piccolini si lamentano per il freddo. Quando arrivano all’agriturismo, uno strato di neve ha già coperto tutto il paesaggio. Finalmente vedono le fioche lanterne poste all’ingresso del rifugio ed entrando nel cortile si accorgono delle luci nella stalla, dove il signor Carletto, il marito della signora Clotilde, sta mungendo le mucche. Incuriositi, i figli di Marcovaldo entrano a guardare; Carletto offre loro del latte appena munto e ancora tiepido, denso e profumato, che gustano con molto piacere. I bambini, stanchi per la lunga camminata, sono presi dalla sonnolenza e, complice il latte appena bevuto, si addormentano anzitempo tra le lenzuola dei confortevoli letti. Marcovaldo può cenare da solo con la moglie, finalmente gustare un pasto caldo e abbondante senza il vociare dei figli. Fuori intanto imperversa la bufera. La sala da pranzo è piccola ma accogliente con un caminetto acceso, che diffonde nella stanza un buon tepore; Marcovaldo e Domitilla felici si perdono a guardare le lingue rossastre del fuoco muoversi come marionette tra gli schiocchi dei tizzoni che ardono. Sul piano del camino sono appoggiati, uno di fila all’altro come scolaretti diligenti, degli animaletti scolpiti nel legno; sulla parete sporgono teste imbalsamate di caprioli e camosci; contro il muro sono
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collocate panche intagliate con motivi floreali e piene di cuscini ricamati. Marcovaldo e Domitilla si siedono in attesa della cena, ma arriva la signora Clotilde con aria abbattuta, dicendo: - ”Mi dispiace tanto, ma c’è stato un guasto in cucina e non abbiamo potuto preparare pasti caldi. Vi posso offrire salumi e formaggi con una buona bottiglia di vino.” Marcovaldo e Domitilla si consolano bevendo il vino e finendo la bottiglia. La coppia si addormenta sdraiata sulle panche e la signora Clotilde li copre con una soffice coperta, mentre il fuoco si spegne lentamente. Il mattino seguente si svegliano indolenziti e infreddoliti e, come se non bastasse, devono accontentarsi di una colazione fredda perché i fornelli non funzionano ancora. Fuori il paesaggio è completamente cambiato, è tutto bianco; anche il cielo è diverso, ha un colore lattiginoso che si confonde con il resto. Ovunque domina il silenzio perché la neve attutisce i rumori. I bambini contenti vorrebbero costruire un pupazzo, ma non hanno l’abbigliamento adatto; inoltre è ora di ripartire perché il viaggio premio volge al termine. Marcovaldo dà una mano a Clotilde e Carletto a spalare la neve per poter accedere al sentiero e giungere alla fermata del bus, mentre i ragazzi si divertono a tirarsi grosse palle di neve. Tutti prendono un bel freddo e si inzuppano abiti e scarpe. Durante il viaggio di ritorno si sentono già gli starnuti e i colpi di tosse: Marcovaldo e la sua famiglia passeranno i giorni seguenti a letto tra suffumigi e tachipirine…
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Autunno
MARCOVALDO AL PARCO AVVENTURE di Samuele Taffurelli
Marcovaldo non aveva molti amici in città, se non un vecchio compagno che conosceva dai tempi della scuola, Elio. Elio veniva dalla campagna ma era benestante, perciò per il compleanno di Marcovaldo decise di regalargli una vacanza per ritornare a contatto con la natura. Anche a Elio mancava la natura e sapeva che all’amico sarebbe piaciuto il suo dono: perciò avrebbe acquistato dei biglietti per andare in un Parco Avventura, uno per Marcovaldo e uno per lui. Cosa c’era di meglio di un’intera giornata da trascorrere divertendosi con varie attrazioni, immersi in un bosco? Arrivò il momento della consegna del regalo. Marcovaldo lo aprì; all’inizio sprizzava gioia da tutti i pori, ma poi contorse la faccia, quindi Elio gli disse: - “Che c’è, non ti piace?”. L’amico rispose: - “No, è un regalo bellissimo, ma… i bambini? Sai, non ho molti soldi e non posso permettermi di comperare i biglietti per tutti loro e mia moglie!”.
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Il compagno lo interruppe: -“Tranquillo, i ragazzi non pagano, e tua moglie senza di voi avrà finalmente una giornata di riposo.” Marcovaldo ci pensò su un attimo, poi sorrise e disse: - “Allora andremo al Parco Avventura!”. Arrivò il giorno, decisero di andarci di mercoledì perché per le strade c’era meno traffico e pensavano che anche al parco ci sarebbe stata poca gente; infatti era così, non c’era nessuno. Marcovaldo disse: - “Sembra che abbiamo il parco tutto per noi, questo posto è stupendo!”. Li circondavano alberi con foglie arancioni, gialle, verdi, i colori meravigliosi dell’autunno, un vero piacere per gli occhi. C’erano laghetti alimentati da ruscelli e cascate, i prati erano di un bellissimo verde bottiglia. Gli scoiattoli si rincorrevano fra i rami alla ricerca di ghiande e noci per prepararsi all’inverno, gli uccelli cinguettavano e alcuni insetti svolazzavano sui fiori perché la temperatura era ancora mite. Intanto Elio, Marcovaldo e la sua famiglia arrivarono nei pressi di una fune di metallo fissata agli estremi di due colline, mentre a terra videro degli strani oggetti che si agganciavano alla corda appesa. Elio disse: - “Questi servono per scivolare sulla corda e arrivare dall’altra parte”- indicando due seggiolini. Poi pensò che mancasse qualcosa; ma dato che non se lo ricordava bene, si convinse che non fosse nulla di importante. Il primo a voler provare a lanciarsi fu Marcovaldo. Prese la rincorsa ma, quando arrivò il momento dello stacco, Elio urlò: - “FERMO! MANCA L’IMBRAGATURA!” Marcovaldo all’ultimo momento piantò i piedi a terra e riuscì a fermarsi, poi con uno sguardo fulminò il suo amico e con tono non proprio amichevole gli gridò: “Stavo per morire per colpa tua!!!” e tremante per la paura e per l’agitazione si fece indietro. Non rinunciò al lancio, ma obbligò Elio ad andare per primo, dopo aver stretto accuratamente l’imbragatura. Elio si buttò; all’inizio urlò per l’emozione, poi si guardò intorno e vide la scarpata; si sentiva volare: era una sensazione indescrivibile e, quando arrivò alla fine, voleva farlo di nuovo. Dopo di lui fu la volta di tutti i bambini, la maggior parte sembrava divertita, ma Paolino non voleva buttarsi e Marcovaldo non riuscì a convincerlo, quindi si fecero tutta la scarpata a piedi. Il povero Marcovaldo alla fine non riuscì a lanciarsi.
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Quando arrivarono dall’altra parte non trovarono il resto della compagnia perché era andata a bere in un chioschetto lì vicino. Dato che non vedevano nessuno, fu Elio a prendere le bibite al suo interno e a servirle: era un chiosco di legno che ricordava una piccola baita di montagna. Finalmente arrivarono Marcovaldo e il figlio che, dopo la lunga camminata lungo la scarpata, erano ansimanti. Videro gli altri bere e mangiare; Marcovaldo disse: - “Elio ci passi dell’acqua?” Elio rispose: - “Qui non c’è più niente, mi dispiace!”. Allora Marcovaldo con una velocità fulminea prese la bottiglia di Filippetto e quella di Teresa, che stava mangiando un panino; mentre a Elio e a Pietruccio rubò un panino: uno lo tenne per sé e uno lo diede a Paolino. Andarono verso un'altra attrazione, dove incontrarono un agente che venne loro incontro dicendo: - “Voi cosa ci fate qui?!? Non vedete che il parco è chiuso?!?!? Forza andate via o sarò costretto a portarvi con me!”. Marcovaldo stupito dalle sue parole rispose: - “Chiuso? Ma come chiuso?” Elio pensò ad alta voce: “In effetti non abbiamo mai incontrato nessuno”. Il poliziotto serio e autoritario li cacciò. Marcovaldo, durante il ritorno, fece la conta dei figli: - “Paolino c’è, Pietruccio c’è, Teresa c’è, Michelino… MICHELINOOO!! Dov’è Michelino?” Fecero tutta la strada al contrario urlando il suo nome, ma non potevano attraversare la scarpata con la corda perché era inclinata, quindi tornarono indietro a piedi. Arrivarono le 19:00 e Domitilla, preoccupata perché era tardi, chiamò Marcovaldo che le rispose. - “Pronto, chi parla?”. -“Come chi parla! Sono Domitilla! Dove vi siete cacciati, vi aspettavo per le 17:30?” Lui allora rivelò: - “Ti dovrei dire una cosa... è che… abbiamo perso Michelino…”. La moglie ridendo disse: - “Ma Michelino è qui con me, stamattina stava male ricordi? E poi non hai notato subito che non c’era?”. Allora lui, sollevato da un grande peso, rispose: - “No, non l’avevo notato, adesso torniamo a casa”.
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Marcovaldo richiamò tutti, giunsero all’uscita, poi salirono in macchina e partirono verso casa. Arrivarono a casa per le 20:30, assetati, affamati e molto stanchi; ma questa giornata sarebbe rimasta per sempre impressa nelle loro menti.
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Autunno
MARCOVALDO E IL BOSCO VERTICALE di Federico Casa
È una serata di autunno. Il cielo è cupo e buio, si sente sulle strade il fruscio delle foglie orami ingiallite, secche schiacciate dalle automobili e dai passanti che rientrano a casa dalle loro famiglie per cenare tutti assieme: chi davanti a un piatto di zuppa calda, chi si abbuffa per la pesantissima giornata di lavoro. Ma poi, immancabilmente, c’è lui. Marcovaldo, seduto sulla sua solita panchina, mentre si lamenta della pessima stagione perché ogni due per tre c’è la nebbia, talmente fitta che non si riesce a vedere al di là del proprio naso. Si intravedono a malapena le insegne luminose dei negozi che stanno per chiudere, le luci dei pochi bar aperti alla sera e dei lampioni. Dopo pochi attimi, guarda il suo orologio che gli era stato regalato dal nonno per la comunione; è in ritardo per la cena da un suo caro amico, Galeazzo. Dovevano mangiare la pizza fatta in casa. Si affretta perché la fame inizia a farsi sentire, il suo stomaco a brontolare. Si alza dalla panchina e si avvia verso l’abitazione di Gale, che abita in un appartamento con le piante che calano dai balconi.
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Dopo cinque minuti di marcia, Marcovaldo si perde come un pesce fuori dall’acqua. Allora decide di attuare una strategia per trovare il palazzo: andare a tastoni e, prima o poi, sarebbe riuscito a sentire le piantine che scendevano dai balconi. Strategia che risulta fallimentare. Inizia così la ricerca. I primi tentativi vanno a vuoto, sente solamente gli alberi lungo i marciapiedi, i lampioni e le ringhiere che delimitano i giardini delle case. I successivi vanno anche peggio. Tocca i lampioni, i cani randagi, gli idranti, le ringhiere. Nel silenzio totale delle vie della città, si sente un gran botto. BOOM! Scoppia a piovere e Marcovaldo, in un tratto di strada in pendenza, scivola picchiando la testa tanto da disorientarsi, quasi da perdere i sensi. Ciò complica la situazione. Sono passate ormai due ore da quando si è alzato dalla panchina per raggiungere il suo amico. All’improvviso Marcovaldo esclama: - “ Non ne posso più, se non lo trovo torno a casa mia!” Dal tono si intuisce che è piuttosto scioccato e anche innervosito. Ma all’improvviso urla di gioia e di felicità: - “Finalmente, finalmente!” - dice Marcovaldo - “l’ho trovato, l’ho trovato” - ripete - “ho trovato la via di Gale, finalmente! Non ne potevo più di girare a vuoto per la città come un povero senzatetto; voglio entrare per asciugarmi e gustarmi una bella pizza”. È così felice che entra a testa bassa. Nota le foglie giallastre a terra quasi del tutto sfaldate dall’acqua piovana, ma non fa caso al lastricato viscido per la pioggia. Il buio della notte si diffonde a macchia d’olio e Marcovaldo non distingue il percorso; la pazienza sta terminando, mentre inizia a toccare qualsiasi cosa lo circondi. Le pareti del corridoio, appena superata l’entrata, sono dei cespugli, ma per le tenebre della notte non riesce a capirlo. D’un tratto si ramificano in un incrocio a T; decide di percorrere prima la strada di destra che però lo porta in un vicolo cieco. Tornato indietro, prende la strada di sinistra che lo conduce ad una ulteriore transizione, questa volta però a Y. Tocca del fango a terra, camuffato dalle foglie. Puah! Che porcheria è mai questa? Dopo questo urlo, cattura l’attenzione di una figura con giubbotto catarifrangente e torcia che rompe il silenzio .
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- “Cosa sta facendo signore? Non ha visto che è chiuso?” domanda. Marcovaldo, incredulo, gli risponde: - “No, non ho visto, non vedo nulla. Non sono al bosco verticale?” Il guardiano gli punta la torcia sugli occhi e con aria stupita gli risponde. - “Bosco verticale? Qui non c’è nessun bosco verticale! Questo è solamente un labirinto della City Escape di via Messori, che tra l’altro chiude alle 19:00. E poi perché ha sulla bocca del fango?” Marcovaldo, sconvolto, stenta a crederci. Il guardiano gli dice di non muoversi, lo raggiunge, lo porta fuori dal labirinto di peso, gli raccomanda di fare più attenzione di sera e di guardare dove sta andando. Ormai è mezzanotte e lui è distrutto psicologicamente. Tenta per l’ultimissima volta la ricerca della casa di Galeazzo; ma passano ancora parecchie ore. Finalmente, ai primi bagliori dell’alba, raggiunge l’agognato palazzo. Si avvicina ai citofoni e inizia a suonare. Galeazzo infuriato per essere stato svegliato alle cinque del mattino, lo fulmina con gli occhi come un leone pronto ad agguantare la sua preda e, trattenendo dentro di sé tutta la rabbia, gli risponde con il tono più garbato possibile che la pizza è finita da un pezzo! Marcovaldo si dirige a casa, stravolto dopo la lunga e faticosa nottata; si stende sul letto, fino a quando... DRIIINN!! E’ la sveglia. Senza più alcuna forza in corpo, si deve alzare e ricominciare una nuova impegnativa giornata.
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Inverno
UNA VACANZA ROCAMBOLESCA di Sofia Garibaldi
Dopo un anno lavorativo notevolmente prosperoso all’azienda SBAV di cui era dipendente, Marcovaldo e la sua famiglia sarebbero finalmente riusciti a godersi una tranquilla vacanza in montagna. Marcovaldo, tornato dal lavoro, annunciò la notizia alla famiglia. I figli, naturalmente, erano entusiasti poiché sarebbe stata la loro prima volta fuori casa e assillavano i genitori impazientemente, insistentemente. - “Vogliamo partire! Quando partiamo? Quando andiamo? Forza papà, forza mamma, adesso!“- ripetevano. Marcovaldo e la moglie Domitilla, stremati dai figli, decisero di prendere due bagagli e salire sul primo treno diretto in Svizzera, senza pensarci due volte. Anche questa era una prima volta per loro; non era di certo bellissimo quel poco spazio occupato da tanta gente, ma il paesaggio di certo compensava: dai finestrini si alternavano grigie città, fin troppo conosciute, a distese verdi delle campagne, rigogliose e brillanti. Un colore del tutto nuovo.
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Dopo qualche ora arrivarono nel tardo pomeriggio in territorio svizzero, in una stradina in mezzo alla neve, in mezzo al nulla. Solo in lontananza si poteva scrutare una graziosa e modesta casetta di montagna in legno chiarissimo, con finestre piccine. Il camino, in mattoni rossi e fumante, dava una sensanzione di calore che contrastava dolcemente il vento all’esterno. Tutt’intorno vi era una distesa bianca per chilometri e chilometri che si arrampicava anche sulle imponenti pendici nello sfondo; era candida, bianchissima e rifletteva i raggi del sole splendente. D’un tratto, però, Domitilla sbottò: - “Marcovaldo! Sbadato di un uomo! E adesso dove andiamo? Quale sarà il nostro tetto? Non hai neanche prenotato un appartamento o un hotel! Cosa pensi di fare?” Marcovaldo arrossì, essendosi accorto di aver commesso un gravissimo errore. Dapprima cercò di dare la colpa ai figlioli poiché erano stati troppo insistenti e non gli avevavo dato il tempo di organizzare per bene, ma la moglie naturalmente li difendeva. Non avendo più via di scampo, Marcovaldo esclamò: - ‘’Cara moglie, cari figli, è tutto sotto controllo; era già in programma passare una notte in mezzo alla natura! Non vorrete rinunciare a dormire e sognare sotto il cielo stellato tra le nevi ghiacciate, in questa meravigliosa cornice? Domani, all'arrivo dei nuovi turisti, chiederemo informazioni’’. Così fecero. Si accamparono e intanto scese il tramonto. Era davvero molto bello: la neve sullo sfondo e anche sotto i loro piedi rifletteva il rossastro del cielo e prendeva tutte le sfumature del giallo e dell'arancio. I bambini alla fine erano contenti e la moglie quasi ringraziava il marito. Ma la notte fece in fretta a scendere e gli animi cambiarono velocemente. Il paesaggio mozzafiato non era più tale, non più colorato e splendente: il buio aveva reso la distesa di neve completamente nera, fittissima. La casetta in lontananza non era più graziosa, era inquietante così come le imponenti montagne nello sfondo. I bambini ovviamente erano spaventati e nessuno quella notte chiuse occhio. La mattina, fortunatamente, portò più serenità; il paesaggio era di nuovo luminoso e tranquillo, ma diverso da come lo immaginava Marcovaldo: dei nuovi turisti neanche una traccia. I bambini iniziavano ad avere fame e si lamentavano anche per la stanchezza, conseguenza della notte passata in bianco. La moglie era furiosa e cercava di calmare i figli. Dopo ore ed ore i turisti arrivarono. Così Marcovaldo si lanciò a chiedere informazioni per un hotel lì vicino, ma tutti si giravano indispettiti dall'altra parte. Non ne comprendeva il motivo: non c'era nessuno che lo degnasse di una parola.
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Marcovaldo era molto confuso, ma decise comunque di aspettare l'arrivo di qualche buon’anima. Giunsero altre persone, dopo molte ore. Marcovaldo accorse precipitosamente a chiedere informazioni ma anch'essi si giravano, ignorandolo o rispondendo a monosillabi, con versi strani ed incomprensibili. Marcovaldo ritornò da Domitilla che era ancora più furiosa di prima. Erano tutti affamati, non potevano più stare lì. Si incamminarono verso il nulla, non avevano idea di dove andare. Durante il cammino i poveri bambini subirono le litigate tra la madre e il padre- “Non è possibile! Sei sempre il solito! Come puoi essere così distratto da non procurarci nemmeno un tetto e del cibo?!” - “Domitilla! Non dare tutta la colpa a me! Potevi aiutarmi, per me organizzare le vacanze è del tutto nuovo!”. E ancora Domitilla che ribatteva, e ancora Marcovaldo che rispondeva. Arrivarono in un rifugio tra un grido furioso e l’altro, ed entrarono. Non era molto accogliente: sembrava quasi abbandonato, le pareti erano in legno scuro, apparentemente vecchio e trascurato. Pochi tavoli, ma tutti vuoti. Era un luogo triste, ma il profumino di cibo che usciva dalla cucina non poteva fermare l’acquolina della famiglia. Forse, qualcuno avrebbe dato loro informazioni su dove passare la successiva notte. Marcovaldo chiese da mangiare e da bere, ma il responsabile sembrava non ascoltare le sue parole. Fece lo stesso Domitilla, ma lei con fare furioso, irritando l’uomo che andò in cucina guardando storto la famiglia. Provarono a chiamarlo, ma del tutto invano. Non potevano più aspettare, e se ne andarono. Si incamminarono per la seconda volta nel vuoto e, ancora tra un grido e l’altro dei genitori, i bambini notarono una seconda baita. Era più carina: curata e accogliente. Le finestre davano vista alle montagne ben visibili e a gruppi di alberi innevati: doveva essere molto piacevole sedersi per un buon pasto.
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Entrarono e fecero le stesse richieste precedenti. Anche questa volta la commessa non rispondeva e li guardava con occhi vuoti. Marcovaldo iniziò ad irritarsi e si rivolse alla signorina: - “Insomma! Mi scusi, ma perché in questo paese nessuno risponde? Ho parlato a tanti, ma nessuno mi degna di una risposta! Cosa devo fare?”. Lei, infastidita, fece cenno a tutti di andarsene dal locale. Non sapevano più cosa fare, finché non videro l’unico uomo che sembrava capirli, data l’aria smarrita che mostrava entrando nella stessa baita. Marcovaldo lo fermò e disse: - “La prego buon uomo, mi dica che almeno lei capisce ciò che sto dicendo”. Il signore, sorpreso, rispose: - “Grazie al cielo! Sì, la capisco. Che fortuna avervi incontrato! Non so più cosa fare, nessuno mi risponde, tutti sembrano infastiditi da me. È capitato anche a voi?”. Aveva una voce molto sollevata e sorpresa. Era un uomo alto, esile e con una barba piuttosto folta; le sue espressioni trasmettevano stanchezza e fame. Sicuramente era nella stessa situazione di Marcovaldo, che annuì. - “Certo! Anche a noi è successo! Siamo turisti, ma non è così che dovremmo essere trattati! Che strano…” con voce irritata da ciò che era capitato. Il signore si presentò: -“Piacere, Santo Pazienza!”. -“Piacere, Marcovaldo. Questa è la mia famiglia. Forza, incamminiamoci per trovare un buon hotel”. Dopo un bel po’ di strada e di chiacchiere, i due scoprirono di avere molte cose in comune: anche per quel signore era la prima volta in vacanza e, come Marcovaldo, non aveva una buona situazione economica. Il tragitto risultò completamente deserto, finché trovarono un hotel. Entrarono. Era apparentemente lussuoso e curato in ogni dettaglio. Strano per quella zona. Nella reception, due divani rossi molto comodi si affacciavano su un camino acceso. Vi era un tavolo imbandito, colmo di cibo e i bambini vi si precipitarono. Cercarono di chiedere informazioni, pregando che qualcuno finalmente rispondesse, ed effettivamente il responsabile li capì.
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Marcovaldo chiese: - “Buon uomo, ci può dire perché nessuno in questo paese ci rivolge la parola? Siamo stati ignorati per tutto il giorno. Lo sa, non è un bel modo per trattare i turisti. Di questo passo, non verrà più nessuno!”. L’albergatore disse che era naturale che nessuno rispondesse: sono turisti in un paese estero, pochissime persone parlano la loro lingua e, di conseguenza, non possono rispondere. Marcovaldo capì; ma come poteva saperlo, non era mai andato in vacanza, figuriamoci all’estero! Come poteva sapere che esistevano altre lingue! Sollevato, pensando di aver risolto tutto, chiese immediatamente una camera. Il signore, però, fece capire di essere infastidito dai bambini che si stavano abbuffando di cibo, e che non era assolutamente il caso di accogliere tali persone maleducate. Anche lui, quindi, fece cenno di andarsene. Marcovaldo non poteva assolutamente farsi scappare quell’hotel, così si gettò con un tuffo dall’altra parte del bancone e afferrò la prima chiave capitatagli sotto mano, costringendo l’albergatore ad acconsentire al loro soggiorno. Disse alla famiglia e al signor Santo Pazienza di sbrigarsi e di seguirlo, ma la chiave apriva solo la porta del sottotetto. Si chiusero lì sopra, senza più via di fuga; videro subito delle grosse telecamere e delle persone che riprendevano il paesaggio, che effettivamente si vedeva benissimo. I registi stavano aspettando degli attori per girare e, pensando fossero loro, li inclusero nel documentario in corso di realizzazione, che avrebbe dovuto mostrare che i turisti amavano la Svizzera e che essa aveva molte risorse da offrire. La famiglia non rifiutò l’invito, anche perché sarebbe stata pagata. Registrarono tutto il giorno, fino al tramonto. Tra un buffet e l’altro, si stava proprio bene. Avevano trovato il paradiso, dopo tutte quelle peripezie. La fortuna, però, durò poco, poiché il giorno successivo si presentarono sul set i veri attori e i registi dovettero registrare di nuovo. Infuriata, la compagnia spedì a casa Marcovaldo e la famiglia, mentre i due genitori dovettero fare gli straordinari per molto tempo per ripagare le perdite dei tecnici del set.Dopo quell’esperienza Marcovaldo rinunciò per un pezzo ad andare in vacanza…
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Sommario Prefazione di Guido Affini ................................................................................................................... 1 Introduzione........................................................................................................................................ 3 Primavera POLLI GRIGLIATI di Tobia Traverso...................................................................................................... 5 GITA SUL FIUME di Gabriele Lamonaca .............................................................................................. 9 MARCOVALDO E LE BANCONOTE FALSE di Arianna Masi ................................................................. 13 DOLCI PRIMAVERILI di Kamila Zaiduloeva ........................................................................................ 17 I LEPROTTI NEL CORTILE di Angelo Zarra .......................................................................................... 21 UN SOGNO IMPOSSIBILE di Federico Franchini ................................................................................ 25 Estate MARCOVALDO E L’INCONTRO RAVVICINATO di Federico Maiocchi ................................................ 29 IL CAMPEGGIO di Emma Novarini ..................................................................................................... 33 L’ARCOBALENO di Elisa Laboranti ..................................................................................................... 39 IL MARE IN CAMPAGNA di Andrea Garetti ....................................................................................... 43 GIOCANDO CON LA LUNA di Ginevra Grumi..................................................................................... 47 UNA GIORNATA AL MARE di Martina Pozzato .................................................................................. 53 LA GITA AL LAGO di Luca Caroppo .................................................................................................... 57 LA VENTUNESIMA STAGIONE di Filippo Galbarini ............................................................................ 61 LA PISCINA DEL PERDONO di QuinLe Chen ....................................................................................... 65 UN INCIDENTE DI PERCORSO di Christian Viola ................................................................................ 69 LA PROFEZIA DEL BARBIERE di Chiara Bollani ................................................................................... 73 UNA VACANZA A META’ di Tommaso Rinaldi ................................................................................... 79 Autunno MARCOVALDO AL PARCO AVVENTURE di Samuele Taffurelli .......................................................... 83 MARCOVALDO E IL BOSCO VERTICALE di Federico Casa .................................................................. 87 Inverno UNA VACANZA ROCAMBOLESCA di Sofia Garibaldi .......................................................................... 91
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LIBERAMENTE ISPIRATO AL CAPOLAVORO DI ITALO CALVINO
MARCOVALDO LE AVVENTURE CONTINUANO
RACCONTI degli alunni della classe 2DLS con la prefazione del dott. GUIDO AFFINI
Gli alunni della 2 DLS frequentano il LICEO SCIENTIFCO DELLE SCIENZE APPLICATE, percorso che fornisce competenze avanzate negli studi afferenti alla cultura scientifico-tecnologica, con particolare riferimento alle Scienze matematiche, fisiche, chimiche, naturali e all'informatica e alle loro applicazioni. Guida lo studente ad approfondire le conoscenze e le abilità e a maturare le competenze necessarie per seguire lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica e per individuare le interazioni tra le diverse forme del sapere, assicurando padronanza dei linguaggi, delle tecniche e delle metodologie relative, anche attraverso la pratica laboratoriale.
a cura di prof.ssa CHIARA MILAN prof.ssa GIOVANNA NICIFERO prof.ssa CINZIA NARDOIA
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