Clic.hè #30 ANIMALI

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A ALI #30 ANIM


Editore Ass. Culturale Deaphoto Redazione Area Tematica Paolo Contaldo Responsabile Sabrina Ingrassia Redattore Giulia Sgherri Photo-editor Area Recensioni Diego Cicionesi Responsabile Sandro Bini Comunicazione Alberto Ianiro Webmaster Paolo Contaldo Grafica Niccolò Vonci Progetto grafico e impaginazione


#FAKE Andrea Buzzichelli I SOGNI DELLA DONNA GATTO – UN ARABESCO Duccio Ricciardelli ANIMALIA (LINNEUS, SYSTEMA NATURAE 1758) Gabriella Martino ANIMALS LOOKBOOK Leonardo Taddei A(NO)NIMALIA Mauro Raponi SOTTOBOSCO Roberta Baldaro LA ZONA ABITABILE Valeria Pierini


INTRODUZIONE ALLE IMMAGINI


di Paolo Contaldo “Diorama: vetrina nella quale elementi appartenenti al regno vegetale o al regno animale sono presentati in una ricostruzione dell’ambiente naturale”. In “fake” Andrea Buzzichelli ci parla di questa finzione ma anche del suo fascino irresistibile. Fotografare il “non vero”, lo scenario e perdersi nello stupore che genera. Si torna bambini, si diventa esploratori. “Da quel momento smisi di camminare ed entrai in uno stato profondo di meditazione e di arabesco mentale…” Bellissima notte, magica e surreale quella in cui ci conduce Duccio Ricciardelli. Siamo il gatto che guarda il gatto. Nella stereofotografia si cerca di realizzare un’ immagine che renda un effetto tridimensionale. Il doppio fotografico di Gabriella Martino ci regala profondità. Un’immersione sincera nella “Animalia”, luogo dove uomo e animali vivono prossimi e molto lontani. Mauro Raponi ci porta allo zoo. Ci fa sentire la durezza e l’A(NO)NIMALIA di questo luogo. Lo sguardo degli animali ci è negato, come a pareggiare il conto. Ottima occasione di riflessione sulla distanza sempre crescente tra uomo e natura. Leonardo Taddei segue quasi il discorso introdotto da Mauro Raponi. ANIMALS LOOKBOOK è un diario di questa sconfitta, di questa distanza. Animale e natura si trasformano in mero oggetto, delitto che si ripropone spesso in rappresentazioni kitsch e desolanti. La matita completa, popola e allarga. Quella di Roberta Baldaro in “Sottobosco” è una di quelle storie a confine tra reale e immaginato, tra fotografia e fiaba. L’umanità e l’animalità si inseguono e fondono nel lavoro di Valeria Pierini. Stati interiori che danzano incubi, sentimenti, emozioni e poi bambole figlie del mosso e inquieto.


#Fake Nel 2013 Andrea Buzzichelli si trova quasi per caso davanti ai meravigliosi diorami del Museo di Storia Naturale di New York. Difficile per un fotografo non restare rapiti da questi finti scenari che ricostruiscono minuziosamente alcune sezioni tipiche di ecosistemi naturali. Egli non può fare a meno di provare a isolare con la fotocamera l'intenzionalità tutta umana di progettare una finzione della realtà nel minimo dettaglio. Una situazione assurda e paradossale se pensiamo che questa maniaca e indiscreta attenzione scientifica per la natura vada di pari passo con la sua stessa distruzione, sempre da parte della specie umana. Alla fine risulta una serie d’immagini che paiono davvero reali, quasi fossero frutto di un reportage naturalistico, più che di una visita al museo. Ciò che colpisce è scoprire come altri fotografi, più o meno importanti, abbiano vissuto la stessa ipnosi. Ad esempio,è formidabile svelare la somiglianza con il lavoro di Hiroshi Sugimoto che per vari decenni ha lavorato su quegli stessi diorami. A scavare meglio si scopre una moltitudine di progetti che prendono in esame realtà simili in varie parti del mondo e che riflettono probabilmente la stessa fascinazione autorale. C'è una sindrome che potremmo definire "diorama victim". Questa ultima riflessione, ha portato Buzzichelli a conservare nel cassetto queste immagini per qualche anno. Che senso ha mostrare delle fotografie simili a quelle che già un autore importante ha realizzato? Tutto legittimo, finché qualche mese ha cominciato a pormi diversamente la questione. Come autore è giusto fotografare qualcosa che è già stato fatto? Devo necessariamente preoccuparmi che tale gesto possa rappresentare un omaggio a qualcuno? Io credo di no. Ciò che dovrebbe muovere un fotografo da sempre è la curiosità. Se vi è qualcosa che strega la nostra fantasia perché limitare la nostra immaginazione. Perché bloccarci davanti alla possibilità che qualcun altro possa aver vissuto un'esperienza intuitiva analoga. Quando un gesto è onesto, sano, e nasce da un’intenzione vera personale, allora non bisogna aver timore di condividerlo. Trovo allora interessante sviluppare invece che castrare quel denominatore comune che ha spinto autori diversi e in epoche diverse a dialogare. Certo l'insidia dell'imitazione esiste, non la nego, ma essa è un'operazione razionale e non più creativa. Alla buona creatività è meglio non porre confini. Steve Bisson , curatore fotografico

Andrea Buzzich


helli

Andrea Buzzichelli ha iniziato a fotografare negli anni '90. Da quel momento ha lavorato su numerosi progetti fotografici. La sua è una ricerca personale e non pretende di raccontare nulla oltre a ciò che osserva. Molti dei suoi scatti sono individuali e non si prestano facilmente a rientrare in categorie tradizionali o raggruppamenti di portafoglio. Vede la fotografia come un potente antidepressivo e non può vivere senza di essa. Principalmente coinvolto nella fotografia d'autore, negli ultimi anni ha sviluppato un forte interesse per la fotografia professionale, specializzata in fotografia di moda e pubblicità. Le sue opere sono state esposte in Italia e all'estero, in città come Firenze, Milano, Londra, New York e San Pietroburgo. Recentemente ha esposto come membro del "collettivo sinapsi" (www.collettivosynapsee.it) che ha creato e prodotto una serie di mostre in mostra in tutta Italia.















Andrea Buzzichelli ha iniziato a fotografare negli anni '90. Da quel momento ha lavorato su numerosi progetti fotografici. La sua è una ricerca personale e non pretende di raccontare nulla oltre a ciò che osserva. Molti dei suoi scatti sono individuali e non si prestano facilmente a rientrare in categorie tradizionali o raggruppamenti di portafoglio. Vede la fotografia come un potente antidepressivo e non può vivere senza di essa. Principalmente coinvolto nella fotografia d'autore, negli ultimi anni ha sviluppato un forte interesse per la fotografia professionale, specializzata in fotografia di moda e pubblicità. Le sue opere sono state esposte in Italia e all'estero, in città come Firenze, Milano, Londra, New York e San Pietroburgo. Recentemente ha esposto come membro del "collettivo sinapsi" (www.collettivosynapsee.it) che ha creato e prodotto una serie di mostre in mostra in tutta Italia.


Duccio Ricciardelli I sogni della donna gatto - un arabesco "Una sera tardi, stanco del troppo camminare per il centro buio e noioso, mi ricordai che un’amica mi aveva scritto che aveva comprato da poco una maschera in latex. Al mio arrivo nel suo piccolo e grazioso appartamento nel vicolo antico, mi accolse il suo gatto nero che mi fece subito ricordare il racconto di Poe. Vidi con sorpresa che al gatto piaceva stare dentro al lavandino della cucina come se fosse una sua vasca personale per starsene appartato a sognare animali e bestiari misteriosi. Quella notte parlammo principalmente di Julio Cortazar e di surrealismo. Il gatto nero ci osservava silenzioso come una Sfinge, in attesa di rivelarci il suo enigma più nascosto. Da quel momento smisi di camminare ed entrai in uno stato profondo di meditazione e di arabesco mentale.”.

Duccio Ricciardelli nasce a Firenze nel 1976, dopo una laurea in Storia e Critica del Cinema si dedica alla fotografia di reportage e di scena, approfondisce in seguito i suoi studi sul cinema documentario presso il Festival dei Popoli di Firenze, cominciando a lavorare come operatore, assistente operatore e regista. Lavora per due anni a Roma come assistente di produzione presso la Fandango di Domenico Procacci. Ha diretto e fotografato due medio metraggi sperimentali realizzati entrambi sulle montagne del Trentino, "Ciadina" (2008) e "Schegge" (2009). Vince il premio Playmaker 2009 (FST Mediateca Toscana Film Commission -Play Arezzo) e con questo contributo realizza il suo terzo lavoro dal titolo "Viaggio a Planasia" (2010) documentario sulla situazione carceraria sull'isola di Pianosa. Nel 2011 produce e dirige il cortometraggio documentario "Chiodo e il fiume". Con il video "Vanitas" (2011) si aggiudica il contest di Video arte della Notte Bianca a Firenze 2011. Nel 2013 vince il Fondo Cinema della Regione Toscana con il documentario "Maldarno” (2012) del quale cura sceneggiatura e regia. Il suo ultimo documentario “Porto Sonoro” (2015) è stato prodotto dalla Genova Liguria Film Commission con una giuria presieduta dal Maestro Giuliano Montaldo. Giornalista pubblicista, nell'ultimo periodo la sua ricerca cinematografica si rivolge anche alla scrittura di soggetti e alla creazione di format e sceneggiature.











Animalia (Linneus, Systema naturae 1758) Gli animali, fratelli all'uomo ab initio, rimangono sconosciuti nei loro sentimenti e nella capacità di essere individui senzienti e coscienti; rimangono la parte vulnerabile, lesa, usata, del nostro antinomico rapporto con la natura. La parola latina animalis condivide l'etimo di anima, versione femminile di animus, spirito, fiato o respiro, dal greco aνεμος vento. L'anima è il principio presente in tutti gli esseri viventi, talmente ineffabile che gli antichi non seppero indicarla se non ricorrendo all'idea del vento, invisibile ma percepito per gli effetti che provoca. La parola rimane come traccia di un antico riconoscimento della contiguità e della comune appartenenza al mondo dei viventi.


Gabriella Martino

Biologa, lavora in un ospedale di Pavia. Ha iniziato il percorso fotografico da ragazza, come mezzo di relazione con le cose e il mondo, anche naturale. Da allora l'interesse per la fotografia non è mai venuto meno, essendo la sua pratica un mezzo di espressione irrinunciabile. Lavora sia con la pellicola, medio e grande formato, che in digitale. Dal 2008 s’interessa di tecniche di stampa non argentiche, principalmente platino/palladiotipia, ed è socia del “Gruppo Rodolfo Namias”. Ha tenuto corsi e conferenze sui processi non argentici, sul negativo digitale e sulla post produzione in camera chiara. Ora è docente del Corso Base di Fotografia presso la Civica Scuola d'Arte “Ar.Vi.Ma” di Pavia. www.gabriellamartino.com














Leonardo Taddei


ANIMALS LOOKBOOK Scattato nella provincia italiana nell'arco di sei mesi, ANIMALS LOOKBOOK è un'indagine sul rapporto fra l'uomo e l'animale, alla ricerca di quelle sinergie nascoste che fanno parte del nostro quotidiano, di situazioni grottesche che raccontano una realtà tragicomica. Un'indagine su una società dominata dall'essere umano in cui l'animale acquista un valore estetizzante, perdendo ogni traccia della sua identità ed esistendo solo in funzione dell'uomo.

Leonardo Taddei (Italia, 1995) vive a Castelfiorentino, un piccolo paese vicino Firenze. Durante i primi anni di studi superiori si appassiona alla fotografia ed inizia il suo percorso personale da autodidatta. Dal 2015 s’iscrive alla Libera Accademia di Belle Arti di Firenze con indirizzo Fotografia, dove ora frequenta il terzo anno.












Mauro Raponi .

A(NO)NIMALIA La trasformazione del giardino zoologico in bioparco risale agli inizi del Novecento, quando le vecchie gabbie furono sostituite dai cosiddetti biomi, cioè ambienti che cercano di riprodurre l’habitat originale degli animali. Questi nuovi spazi furono progettati tenendo conto delle esigenze biologiche dell’animale e della sua fruibilità come attrazione. Per quanto sia alta la qualità del bioma, l’animale in cattività non può esprimersi secondo i suoi istinti primari come la ricerca del cibo, la difesa del territorio, l’interazione sociale e quindi la riproduzione. Tali istinti sono inibiti, repressi insieme alle altrettanto fondamentali situazioni di paura e stress innescate dai rischi e dalle conseguenze delle stesse attività primarie. L’etologo e artista inglese Desmond Morris scrive che gli animali selvatici “non possono permettersi di rilassarsi a lungo, e l’evoluzione ha provveduto perché non lo facciano. Hanno sistemi nervosi che aborrono l’inattività e li tengono continuamente sul chi vive” (Lo zoo umano, 1969). Bloccati in un isolamento coatto, nutriti, puliti e anche intrattenuti a scopo coreografico, questi esseri senzienti divengono corpi svuotati, simulacri di se stessi, animati solo dall’istinto di autoconservazione che il trauma troppo diluito di una reclusione morbida non riesce a infrangere. I nomi spesso vezzosi con i quali sono battezzati, utili all’identificazione e alla personalizzazione rivolta al visitatore-bambino, sono la contraddizione beffarda di un’esistenza piatta e anonima: “Lo zoo non può che deludere. Il suo scopo pubblico è dare ai visitatori l’opportunità di guardare gli animali. Eppure, in uno zoo, il visitatore non incontrerà mai lo sguardo di un animale. Al massimo, quello sguardo è un lampo passeggero.”. (John Berger, Perché guardiamo gli animali, 1977). L’animale si sottrae al voyeurismo umano, costretto al ruolo di attrazione vivente, sembra dissimulare, fugge, o vorrebbe farlo forse da se stesso. Se da una parte potrebbe apparire ingenuo proiettare sentimenti umani su esseri di cui, in effetti, non possiamo comprendere le percezioni, dall’altra non possiamo negare l’evidenza di certi comportamenti apatici o ripetitivi come segnali d’insoddisfazione e sofferenza, come riempitivi nevrotici di una quotidiana cattività: “l’animale cammina avanti e indietro, avanti e indietro fino a tracciare un solco con i suoi passi ritmici e sterili. Anche questo è già meglio di niente” (D. Morris, ibidem). Quel “niente”, che a noi suona come vuoto esistenziale, anche per l’animale deve essere riempito, anche per la sua breve memoria deve avere una sua durata. Il tempo è dunque la misura comune delle nevrosi animali e umane, è il grande contenitore che noi uomini siamo tanto indaffarati a riempire in ogni modo possibile, perché l’horror vacui è la maggiore insidia per la mente. L’animale-uomo fugge da sempre il vuoto, fugge il nulla sul quale basta soffermarsi un momento col pensiero per avvertire presto un’impasse intellettuale, un disagio che può farsi angoscia. Gli animali in cattività sembrano esprimere allora una “saggezza” che solo gli uomini possono cogliere. Il meccanismo articolato in cui viviamo noi oggi, fatto di desideri, emozioni, relazioni, movimenti, è la declinazione umana di “cattività”, sono il nostro bioma nel quale cerchiamo continuamente stimoli vitali per sfuggire al vuoto indotto dal livellamento culturale degli istinti, dall’idea che le nostre nevrosi sono la plausibile conseguenza di un’urbanizzazione troppo repentina rispetto alla nostra evoluzione biologica


Mauro Raponi, nato a Roma nel 1966, ha formazione artistica e storico-artistica. Interessato da sempre alle immagini e ai linguaggi visivi, ha esplorato diversi ambiti creativi quali pittura, video e fotografia. Come fotografo ha realizzato alcuni progetti fotografici fra i quali Museo Unico (2016) e dal 2014 coordina laboratori fotografici presso l’associazione culturale Officine Fotografiche di Roma. Come regista dal 2001 al 2011 ha diretto l’intera serie del programma televisivo d’arte e cultura Passepartout, ideato insieme al critico Philippe Daverio per la Rai. Ha diretto e montato inoltre vari documentari d’arte fra i quali: JanFabre/Hermitage, sulla grande mostra dell’artista belga presso il museo di San Pietroburgo (2017); Padova - Città della comunicazione, per il comune di Padova (2015); La Reale Villa di Monza - Il restauro completato (2014); Il mestiere del costruire (2012) per Inarcassa; La Galleria d’Arte Marconi (2003); L’arte del collezionare - La Collezione Panza di Biumo, per il FAI (2001). Dal 2012 collabora con la coreografa e ballerina Benedetta Capanna realizzando video per coreografie di danza contemporanea. In passato ha svolto attività di critica d’arte collaborando con la rivista d’arte contemporanea Terzoocchio di Bologna, curando alcune mostre personali e collettive di pittura e scultura in spazi pubblici e privati.














Sottobosco Ho scattato le fotografie dentro casa mia, mentre dentro la mia pancia cresceva un bambino. Ho disegnato sulle fotografie mentre tenevo mio figlio in braccio. Gli insetti che sono solitamente raccapriccianti, seppur innocui, possano diventare ancor più mostruosi se le loro dimensioni sono dilatate. In realtà, questi esseri sono inoffensivi e si muovono a loro agio dentro casa: diventare madre è affascinante, eppure una minuscola creatura può far paura, la casa si fa “sottobosco” pronto ad accogliere entrambi. “Sottobosco” fa parte di “Posto nuovo”, un progetto iniziato nel 2011 e suddiviso in diverse narrazioni, in cui il disegno a matita si aggiunge alla fotografia, trasformando lo scatto da multiplo a esemplare unico. Il confine tra stampa e disegno, tra paesaggio esterno e interno, diventa labile e celebra l’aderenza tra reale e immaginato, a conclusione o origine del paesaggio, un “posto nuovo”.

Roberta Baldaro (Catania 1975) si occupa di fotografia e disegno, è docente a contratto presso le Accademie di Belle Arti di Roma, Catania e Urbino, vive e lavora a Cesena dal 2009. Le ultime personali sono “Acquoso”, per il Med Photo Fest di Catania e “Refurtive” da Wundergrafik a Forlì, Entrambe nel 2017. Tra le recenti collettive (2015/17), si segnala “Imago Mundi” a cura di Luca Beatrice, Cantieri Zisa di Palermo, “Heart” a cura di Filippo Pappalardo e Valentina Barbagallo, a Catania e “Stazione eretta” a cura di Mario Gorni, a Olbia. Tra il 2011 e il 2014, la personale “Posto nuovo”, nel circuito Collegate di Fotografia Europea, Galleria 8,75 di Reggio Emilia, le collettive “SiFest Off” a Savignano sul Rubicone (FC), “Premio Basilio Cascella” a cura di Alessandro Passerini, nel ferrarese, e “Padiglione Italia Accademie”, Biennale di Venezia, a cura di Vittorio Sgarbi.Nel 2010 è tra i vincitori di “I sensi del Mediterraneo”, a cura di Martina Corgnati, Hangar Bicocca, Milano, è selezionata per “The Waiting Room” dalla Fondazione March di Padova, è finalista a “Digitalia”, a cura di Paolo Rosa, a Padova, e “Video.it”, a cura di Mario Gorni, alla Fondazione Merz di Torino.Dal 2005 al 2009 espone per “Gemine Muse” a Catania, al “Festival Internazionale del Videoracconto”, presso la Fondazione Pistoletto, Biella, ottiene la menzione speciale a “Milano in digitale”, presso la Fabbrica del Vapore di Milano ed espone per “Urbana”, a cura di Olga Gambari, Biella.Del 2004 è la personale “Anancasmo” a cura di Vitaldo Conte e Fabrizio Nicosia, galleria Arte contemporanea, Catania.Tra i workshop “La fotografia pensa” con Guido Guidi, Cesena 2015, “Digitalia” con Paolo Rosa, Padova 2010, “ISIDEM” con Artur Zmijewski, Siracusa 2006 e “La Dimora dello Sguardo” con Antonio Biasiucci, Catania 2001.

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oberta Baldaro












Valeria Pierini


La zona abitabile La zona abitabile è per definizione l’unica in grado di ospitare la vita nelle forme a noi note e quindi anche l’umanità per come la conosciamo. L’umanità comprende non solo aspetti visibili e tangibili ma anche immateriali che a volte distinguono e altre accostano l’umanità e l'animalità. Nell’interiorità, questi due aspetti si fondono creando il sostrato dell’esistenza. Sogni, incubi, sentimenti, emozioni, rapporto col sé, col corpo, col sesso, sono i cardini dell’esistere. Il progetto si compone di parti distinte e si presentano qui due sezioni ancora inedite che s’ispirano alle pulsioni e immaginano una vita governata da queste: -sé/unconsciusness: la rappresentazione di stati interiori e diversi tra loro, e non necessariamente manifesti-metafore della coscienza e dell’esistere umano. -umano/freak: esseri irrequieti, meravigliosi e strani, come bambole, spiriti evanescenti, consapevoli della loro estraneità, che accettano di mostrare e accettare la loro inquietudine, il loro mondo a volte oscuro, a volte fiero e fantasioso di pizzo, tulle e ombre.

Valeria Pierini (Assisi, 1984) è un artista fotografa umbra laureata in comunicazione di massa. La sua ricerca artistica si muove traendo ispirazione dalla letteratura e dalla filosofia analizzando temi forti quali quelli del sogno o del doppio della ricerca interiore e della memoria. Parte del suo lavoro prevede spesso la partecipazione delle persone come punto di partenza e canovaccio per la realizzazione delle sue foto ('Io Tra di Voi', The Dreamers', ’Topografia di una storia' e l'ultimo 'Who am I', progetto speciale in collaborazione con il festival di teatro 'Strabismi' di Foligno).Ha esposto in numerose collettive e personali in Italia e all’estero, tiene workshop in associazioni e scuole e i suoi lavori sono stati selezionati in molti concorsi e festival ampiamente pubblicati. 'Tabula rasa' è il suo primo libro, uscito nel 2016. Dal 2016 è inoltre impegnata nella realizzazione di 'Topografia di una storia', progetto site specific dedicato alla città di Foligno.














APPLEBY

Mattia Zoppellaro

RECENSIONI

a cura di Tina Miglietta


APPLEBY Mattia Zoppellaro è autore di”Appleby“, libro fotografico edito da Contrasto che ci immerge nel mondo fantastico e originale degli Irish Travellers. Mattia ambienta il suo lavoro in una particolare cittadina del Westmorland (Nord Inghilterrra), lungo il fiume Eden, chiamata appunto Appleby. E’ qui che ogni primo giovedi di giugno si svolge una particolare fiera dove migliaia di rom, gipsy e Irish travellers si incontrano per comprare e vendere cavalli e celebrare la loro cultura. Per questa gente è anche l’occasione di entrare in società, ritrovare vecchi amici e trovare addirittura moglie e marito. Gli Irish travellers sono un gruppo etnico nomade che ha conservato intatte nel tempo le proprie tradizioni culturali anche se le loro origini sono dubbie . Alcuni ritengono che essi discendano da antichi proprietari terrieri irlandesi, altri addirittura sostengono che siano stati condannati a vagare in eterno senza una dimora fissa perché discendenti dall’artigiano che forgiò i chiodi con cui fu costruita la croce di Gesù. Per realizzare questo progetto nei dettagli, Mattia ha partecipato alla fiera di Appleby per cinque anni consecutivi. ‘’Ero a un rave party con la mia fidanzata e stavo passeggiando, quando ad un certo punto qualcuno mi dà un buffetto sulla testa. Mi giro ed era un ragazzino molto simile a quello della copertina del libro . Io rispondo con un atteggiamento di sfida che non mi appartiene e vengo assalito da due/tre suoi amici che mi prendono a calci e pugni e mi rubano il portafoglio. Dopo qualche ora, ancora scosso da questa cosa e seduto perciò in disparte, vedo lo stesso ragazzino che mi si avvicina di nuovo e mi porge il portafoglio. Lo apro e vedo che non manca neanche un penny. Il bambino, con un accento veramente assurdo, mi dice – scusaci, penso che ti abbi ano scambiato per un altro ragazzo‘’ Cosi Mattia si innamora di questa realtà cosi diversa dalla nostra, diventa amico di quel bambino che gli apre le porte della sua roulotte e del suo mondo . Viene invitato più volte a bere, mangiare, chiaccherare, ridere, cantare, aspettare l’alba da lui e dai suoi amici. L’ultima sessione di scatti risale al 2016 e poter fotografare gli Irish travellers e il loro mondo non è stato poi così semplice . Per guadagnarsi la loro fiducia e amicizia, Mattia si è recato alla fiera, stampando e regalando loro le fotografie fatte durante la giornata. Così questa gente ha iniziato a fidarsi di lui, permettendogli di portare a compimento questo importante progetto. Mattia ha pubblicato diverse fotografie degli Irish travellers su riviste italiane e straniere tra cui ‘’Il Venerdì di Repubblica”, ‘’Io Donna’’, ‘’Le Courier National ‘’, ‘’Sunday Time magazine ‘’ e su altre riviste internazionali di settore. L’autore ha così potuto realizzare ciò che aveva pensato anni prima : un ritratto evocativo e non troppo esplicito di questa gente, molto diverso dal classico saggio , in cui le immagini sono alternate a testi che sembrano dialogare con esse


APPLEBY La stesura finale di ‘’Appleby’’ è stata possibile grazie all’aiuto prezioso di Roberto Koch e Alessandra Mauro di Contrasto e, per la parte grafica, di Marco Callegari. Il mese scorso è stata realizzata una mostra allo Spazio Forma di Milano e altre mostre sono in programma a breve. Tutto ciò è stato il tema della trasmissione radiofonica Parole di Luce , andata in onda il 15 novembre scorso , condotta da Sandro Bini e Martin Rance e a cura di Novaradio e Deaphoto. Mattia Zoppellaro nasce a Rovigo nel 1977. Si diploma in fotografia allo IED di Milano nel 2001 e dopo aver lavorato per due anni nel dipartimento di fotografia di Fabrica, si trasferisce in Inghilterra dove collabora con riviste musicali e case discografiche . Si appassiona di reportage sociali (gypsies irlandesi, homeless di Hackney), di costume (cerimonie religiose, Fiera del sesso) e sui movimenti giovanili (rave parties europei, punk messicani ). Attualmente vive tra Milano e Londra . Ha fotografato molti personaggi famosi e i suoi lavori sono stati pubblicati da numerose riviste internazionali, tra cui ‘’Sunday Time magazine ‘’, ‘’Rolling Stones’’, ‘’El Pais Semanal’’, ‘’Financial Times Weekend’’ , ‘’Velvet di Repubblica’’, ‘’Max’’, ‘’NME’’, ‘’L’Espresso’’, ‘’Vanity Fair’’, ‘’Les Inrockuptibles’’. Tina Miglietta nasce nel 1966 a Livorno. Ha vissuto in diverse parti d’Italia ed è tornata da poco nella sua città natale. E’ appassionata di fotografia come specchio per le emozioni intime e nascoste e come arte per dare ad esse nuovi colori e forme. Ricerca la naturalezza delle sfumature che possano rasserenare e mettere a tacere i rumori della mente



LAVO Prossimo tema deadline 15 marzo 2018

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