Manifesti - storia e storie di creatività

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Introduzione: La pubblicità, lo sanno tutti gli addetti ai lavori, è una materia complessa e molte sono le variabili che determinano il successo o l’insuccesso delle marche e dei prodotti. Ce n’è una che è riconosciuta dai più come determinante. Si tratta della creatività. Questo vale per tutti i mezzi ma è ancora più importante per l’affissione. La scelta del marchio, del tono e dello stile con cui affrontare il proprio pubblico, rappresenta infatti per tutte le Aziende e per tutti i prodotti la grande sfida. L’affissione in questo senso ha una storia forte ed in Italia come all’estero, abbiamo perso il conto delle pubblicazioni e delle mostre dedicate ai manifesti. Spesso le immagini dei manifesti, il loro contenuto ed il modo di esprimerli sono utilizzati per leggere ed interpretare certi fasi della storia e della cultura. I manifesti sono stati interpreti del tempo e protagonisti della storia. Tutto ciò è assolutamente vero anche oggi ma certo la multimedialità in giro per il mondo sta un po’ togliendo interesse al manifesto pubblicitario. Questo accade soprattutto in Italia dove i creativi, che non mancano, sono molto concentrati soprattutto nella creazione degli spot televisivi che assorbono praticamente tutte le risorse del mercato. Per i manifesti spesso non ci rimane che accontentarci di qualche immagine tratta dal film o quando va meglio dell’ingrandimento di qualche immagine tratta dalla stampa. Non sempre va così, ma troppo spesso accade ed è legittimo domandarci se quello che sta accadendo sia una naturale evoluzione oppure se i manifesti possono tornare alla dignità dei tempi, neppure tanto distanti, in cui i grandi artisti li disegnava-


no regalando il successo e la fama agli stessi marchi che oggi sembrano averli dimenticati. Per affrontare questo tema abbiamo organizzato una Tavola Rotonda insieme ad una SocietĂ che la vede come noi, che come noi crede che il futuro si costruisca con la consapevolezza del passato. Si tratta della Porsche Italia, una grande azienda che ama lo stile e conosce la storia e che con noi intorno a questo tavolo contribuirĂ al dibattito sui manifesti e sulla storia che si portano appresso. Paolo Casti


Tavola Rotonda



FELICE LIOY - Direttore Generale UPA Un plauso agli organizzatori di questa Tavola Rotonda per averla voluta incentrare sulla creatività, elemento essenziale di tutta la comunicazione pubblicitaria di cui tuttavia, inspiegabilmente, si parla poco. Oggi invece se ne discute in una sede particolarmente prestigiosa, quella della Porsche, dove la creatività raggiunge vette straordinarie non soltanto nel design dei prodotti ma anche nei suoi messaggi pubblicitari. Quando si parla di bella pubblicità istintivamente si corre con la mente verso i grandi manifesti del passato e mi fa piacere di vedere che oggi alcuni di questi vengono esposti secondo una scelta precisa, che ha voluto privilegiare gli aspetti “dinamici” dell’affissione dei primi anni del ‘900 e di quella tra le due guerre. Mi auguro che questa mostra e questa Tavola Rotonda valgano a togliere molte incrostazioni mentali e a richiamare un po’ tutti, 9


in primo luogo le aziende e le agenzie, sull’enorme suggestione che può esercitare un manifesto creativo ed elegante. Di pubblicità se ne vede molta per le strade, talvolta troppa, ma raramente si è attratti da messaggi di elevato livello qualitativo e di efficacia, con quel pizzico di genialità che ti scuote e crea consenso, simpatia e ammirazione. La realtà è che realizzare una bella affissione è infinitamente più difficile di quello che generalmente si crede. E’ una sorta di sfida in cui molti si perdono e pochi riescono. L’auspicio di tutti noi è che, una volta migliorato il livello del mezzo, come si sta rapidamente facendo, per la pubblicità esterna si mobilitino i grandi talenti creativi. Se ci riusciremo, ne trarranno vantaggio le aziende, le agenzie, le imprese di affissioni e soprattutto migliorerà il volto delle nostre città. Le piazze e le vie diventeranno i luoghi di una mostra permanente e noi tutti vi passeremo con gioia e con stupore.

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UMBERTO COLLESEI Direttore Master in Comunicazione d’Azienda UPA- Ca’ Foscari

Disegno o fotografia, colori e parole sono gli strumenti con cui comporre un manifesto. Un “quadro” che si deve gustare in pochi secondi, non sempre da un’angolatura favorevole. A differenza di un dipinto deve trasmettere non solo emozioni, ma anche un’idea forte; spesso ricondurre chi lo guarda alla storia di una marca, al mondo che evoca. Creare un manifesto sembra quindi un’impresa quasi impossibile. Si devono infatti nello stesso tempo dominare le regole dell’arte visiva, dimostrare rigore concettuale, comunicare attraverso sintesi espressive, manifestare stile, gusto e fantasia. Innanzitutto la creatività deve partire da una profonda comprensione della marca e del prodotto, dai tratti distintivi della sua identità. In secondo luogo deve fondarsi su una ricerca creativa di idee e sulla loro traduzione in disegni, colori, che esprimono con chiarezza e emotività come il comunicatore vive la marca, la sua identità e come la traduce in un messaggio immediatamente 11


leggibile e fruibile da parte del consumatore. La semplicità, la concisione, la coerenza tra messaggio e forma, ma anche tra messaggio, forma, supporto e contesto sono quindi i criteri guida che devono ispirare la creatività nei manifesti. Ad essi si deve affiancare la ricerca di esprimere idee, forme e colori in modo originale, distintivo. Come è noto, il giudizio del cliente non si ferma al messaggio, ma investe il mezzo che lo veicola e di cui è parte inscindibile. A questi due requisiti chiave della qualità nel caso della pubblicità esterna se ne aggiunge un terzo che attiene al suo inserimento nel contesto urbano e paesaggistico. L’eccesso di impianti, la collocazione non armonica, la mancanza di stile e di buon gusto rappresentano importanti fattori di disturbo per la comunicazione pubblicitaria fino a tramutarsi, nei casi più gravi, in disgusto. Il pericolo quindi non è solo quello di non essere “visti”, ma di essere rifiutati, comunque associati a valori negativi che non possono non intaccare il valore della brand equity. La qualità degli impianti da un lato permette alla comunicazione di produrre i propri effetti, creandole un contesto favorevole e aumentandone l’efficacia, dall’altro contribuisce a rafforzare la qualità dell’ambiente divenendo così un moltiplicatore di diffusione del messaggio. La qualità del manifesto riflette perciò anche la qualità degli impianti creando ulteriori difficoltà a chi vuole usufruire di tale mezzo: l’esigenza di ottenere livelli elevati di coerenza tra qualità del manifesto, del supporto e dell’ambiente in cui si inserisce. Di conseguenza, la creatività nell’esterna si somma a quella dei supporti e della scelta del contesto in cui questi ultimi sono inseriti. E’ proprio facendo leva su questi valori che un buon manifesto si impone all’attenzione del pubblico obiettivo, valorizza agli occhi dei clienti i contenuti materiali, immateriali e simbolici 12


dei prodotti e delle marche, collocandoli, con le loro peculiarità, nel mondo in cui essi vivono. Attraverso la comunicazione il cliente deve essere proiettato in un mondo di sogni; si devono alimentare miti e creare oggetti di culto. E’anche importante che il manifesto interpreti la cultura traendo spunti dall’arte pittorica e fotografica, divenendo nei casi più significativi e di maggiore successo oggetto esso stesso di collezione. La cultura della comunicazione trova perciò nel manifesto uno straordinario strumento capace di colpire in modo forte il consumatore, facendolo evadere con la fantasia, spesso per pochi attimi, dal mondo rumoroso e stressante in cui vive. Perché questo si avveri il manifesto deve essere concepito, prodotto e presentato con grande cura, con la passione di chi vuole comunicare con stile e classe, evitando il chiasso inutile, la volgarità, l’arroganza di chi pretende di lanciare un messaggio commerciale a spese dell’ambiente, del contesto urbano che il cittadino ha imparato ad amare e che vuole godere. Mi auguro che come ha fatto Franz Lenhart, e questa mostra lo testimonia, i creativi sappiano proporci dei manifesti che soddisfano la “mente”, ma che toccano il “cuore” con uno stile fresco e vivace, usando un linguaggio diretto, con tratti decisi e nello stesso tempo teneri e raffinati, connotando così in modo inequivocabile prodotti e imprese.

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ENRICO FINZI - Presidente Astra-Demoskopea Le performances della pubblicità esterna sono, da alcuni anni, tra le più brillanti del mercato della comunicazione commerciale: solo la radio e il cinema – tra i mezzi “classici” – mostrano trends di crescita comparabili. I motivi di tale boom sono stati illustrati nell’ultimo rapporto realizzato per conto dell’Upa ed hanno a che fare, in misura rilevante, con il netto miglioramento dell’offerta dal punto di vista degli impianti (di crescente qualità, più selezionati e a volte belli, più controllati e meglio pianificabili e pianificati, ecc) e delle Concessionarie (più professionali d’un tempo, sempre più “concentrate” ed appartenenti a cospicui networks internazionali, più orientate a conoscere ed a soddisfare i bisogni dell’utenza, ecc). Ma un’altro grande motivo della vigorosa crescita dell’esterna ed in particolare delle affissioni, ha a che fare con il miglioramento della creatività e per cinque motivi. Il primo attiene alla cosiddetta “creatività dedicata”, o sia speci14


ficamente relativa al “mezzo” ed alle sue peculiarità: con progressiva diminuzione del ricorso a frames di campagne televisive e – a volte peggio – ad annunci pensati per i periodici ed i quotidiani, malamente pantografati per ricavarne un poster o un mega-poster. Oggi, finalmente, molte agenzie sono tornate ad investire in varie forme di creatività connesse ai singoli “mezzi”: il che, per l’esterna, vuole dire investire in un tipo di comunicazione con livelli diversi di fruizione (“al volo” e limitata all’immagine ed al massimo al claim se semplice e visibilissimo, “media” se un po’ meno veloce e permette qualche secondo di “consumo” più dettaglio, “lenta” se consente l’assaporamento e la lettura di testi più lunghi e più piccoli e/o di dettagli minori) ma tutti all’insegna – i tre suddetti livelli – d’una sostanziale essenzialità senza sonoro e senza movimento. Il secondo motivo concerne il diffondersi, seppur ancora inadeguato, della capacità dei creativi di costruire messaggi sintetici, secchi, icastici: ossia scarnificati e ridotti al minimo (di parole e di immagini) ma comunicanti assai proprio per le peculiarità del “mezzo”, che la grande maggioranza degli italiani sa e dice essere – se ben usato – di immenso impatto, di elevatissima memorabilità, di grande attrattività. Il terzo motivo riguarda, appunto, il dominante good will espresso dagli adulti (oltre il 20% dei 14 – 79 enni è fan dell’esterna ed un altro 30% la ama ed è esposto ad essa con regolarità): un favore che risulta sia dall’efficacia del “medium” (in sé ed in integrazione multimediale con la tv, la radio, la stampa ecc.), sia da altre sue caratteristiche riconosciute dalla gran parte dei nostri connazionali (l’allegra ed il conseguente effetto di arredo urbano, con tanti brutti quartieri e città intere resi più belli, colorati e vivibili grazie ad essa; l’esposizione prolungata ma non eterna; la gratuità; la libertà lasciata a chiunque di consumarla o no; il frequente rincontro “in giro”; la democraticità non discri15


minante; il travet ampio ma comunque mobile, attivo, dinamico, modernizzante; l’efficacia complessiva; ecc). Il quarto motivo, recentissimo, coinvolge internet ed i suoi 11 milioni circa di users attuali, i quali – dopo che hanno preso a “navigare” nella rete delle reti – dichiarano di aver ridotto tutte le esposizioni ai diversi “media” con tre sole eccezioni: il cinema, addirittura in lieve incremento; la radio e le affissioni, quasi per nulla penalizzate da tale innovazione diffusa, proprio per le loro connotazioni di integrazione con i Web (anzitutto in termini socio-culturali). Il quinto ed ultimo motivo sembra minore ma non lo è: l’esterna coinvolge ed appassiona, si fa notare (non intrusivamente) e fa discutere, proovoca, si ricorda; dunque ha un registro “intenso”, più valido se espresso con adeguata creatività, sempre motivante in quanto coinvolge passioni e non solo ragionamenti, parlando al cuore e non solo alla mente… E scusate se è poco!

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DIEGO LOVISETTO - Marketing Manager Porsche Italia S.p.A. In oltre 50 anni la Porsche ha fatto molta strada, sempre come azienda piccola e soprattutto indipendente. Quest’ultimo aggettivo, nella moderna industria automobilistica, non è affatto scontato e smentisce la l'affermazione che una piccola impresa può garantire la propria sopravvivenza soltanto se incorporata in un grande gruppo. Per Porsche essere indipendente significa mantenere le caratteristiche di trasparenza, flessibilità ed esclusività. E significa continuare a trasmettere la filosofia del Marchio: così, di generazione in generazione, ha potuto nascere una vera ”Excitement Company” il cui fascino si trasferisce dai collaboratori ai clienti attraverso il programma completo dei prodotti e una comunicazione integrata e coerente. Grazie ad una costante applicazione di questi principi, Porsche è riuscita nel tempo a tutelare e consolidare la propria immagine ed il valore del proprio marchio. Al punto che l’immagine della marca Porsche è ai vertici in tutte le classifiche specializzate: • tra i propri Clienti, Porsche è la marca automobilistica che 17


vanta la maggior percentuale di “innamorati” (95%, fonte: Auto Motor und Sport) • tra i manager tedeschi, Porsche è stata valutata come l’azienda con la miglior immagine (fonte: Manager Magazin) • in un recente concorso la rivista Porsche “Christophorus” è stata valutata la migliore house magazine nel suo settore (fonte: werben & verkaufen) Sono risultati che si perseguono solo con una politica costante nel tempo rivolta alla tutela di un vero e proprio capitale, troppo spesso sottovalutato da molte aziende, quale è quello costituito dalla marca. Una politica che deve essere condivisa ed applicata da tutta la catena che dai vertici aziendali conduce a chi ogni giorno coltiva e costruisce il rapporto con il Cliente. Si tratta di una anello – quest’ultimo – di estrema importanza sul quale spesso si infrangono le grandi strategie che – redatte ai “piani alti” – non riescono però a produrre i risultati sperati. Molto spesso il problema sta nella condivisione degli obiettivi di fondo. La tutela del valore della marca è, pertanto, un delicato processo che parte proprio all’interno dell’azienda. Nella nicchia di mercato in cui Porsche opera, poi, questo discorso si fa ancora più cruciale. La nostra comunicazione si costruisce, infatti, soprattutto attraverso un approccio di tipo relazionale. Certo non dimentichiamo il peso delle nuove tecnologie, di internet, che anzi sono loro stesse parte del processo, ma teniamo conto del fatto che ci addentriamo in una società sempre più ibrida che, da un lato, è immersa sempre di più nel mondo virtuale dell’informazione e, dall’altro, ha ancora più bisogno di emozioni autentiche. Nonostante il ruolo sempre più importante di internet, per molti dei nostri Clienti il tradizionale processo di vendita che va dalla consultazione di un prospetto alla visita del concessionario Porsche e include l’obbligatorio giro di prova con l’auto continua ad essere fonte di piacere e di forti emozioni. Il successo dipende quindi dalla perfetta combinazione di tutti i 18


mezzi, dal classico annuncio pubblicitario fino alle strategie di Marketing dei concessionari. Solo così possiamo instaurare un vero dialogo con i nostri Clienti. Il concessionario si va facendo sempre di più un punto di informazione e socializzazione per i Clienti Porsche, i quali trovano nel possesso e nell’utilizzo della loro vettura continue occasioni d’incontro e di condivisione con nuove persone che condividono le medesime passioni e lo stesso stile di vita. In altre parole, un mezzo che sembra nascere per il piacere e la gratificazione del tutto personale, come l’automobile sportiva, potenzialmente in grado di dividere, diventa invece uno strumento che unisce. Attraverso la gestione di tutte le attività di comunicazione secondo una logica integrata e trasparente Porsche è riuscita a consolidare nel tempo il valore della propria marca. Mi sorge il dubbio se nelle aziende italiane sia sempre presente una tale consapevolezza. Ma veniamo ad un esempio concreto. Quanto sopra esposto non deve apparire una mera esercitazione filosofica. Tutt’altro. Gli aspetti pratici non mancano. Prendiamo la corporate identity, ad esempio. Le norme che regolamentano l’utilizzo del marchio Porsche vanno ben oltre le classiche indicazioni di tipo grafico. Partendo da una chiara esplicitazione dei valori che con ciò si intende trasmettere, ogni modalità di comunicazione viene disciplinata (disciplina che poi viene ovviamente applicata in modo rigorosamente teutonico!). • Advertising classico • Comunicazioni rivolte all’esterno • Comunicazioni rivolte all’interno • Logo • Caratteri e colori • Architettura d’esterni • Architettura d’interni • Internet 19


• Direct Marketing • Operazioni di co-Marketing sono solo alcuni esempi di modi di comunicare i quali trovano precisa e chiara disciplina nelle linee guida per la comunicazione integrata Porsche. Così al concessionario che intenda avviare una collaborazione con partner locali viene chiaramente indicato il sentiero su cui muoversi, non tanto e non solo per quanto riguarda il modo in cui stampare il logo su un biglietto d’invito, ma soprattutto con l’occhio rivolto ai valori che la marca con cui si intende cooperare porta con sé e al loro grado di corrispondenza a ciò che Porsche rappresenta e vuole rappresentare. Tutti cercano di avere un'immagine positiva, di evitare un'immagine negativa o comunque di crearsi un'immagine. Benché sia difficile definirne con esattezza il concetto, l'immagine ha sicuramente molto a che vedere con la stima, il riconoscimento, con la corporate identity e con l'identificazione della clientela. Detto delle logiche interne all’azienda, detto del ruolo fondamentale svolto dalla rete dei concessionari, non sarebbe, qindi, male dare un breve cenno anche sul ruolo svolto dal Cliente. Sì, perché il valore della marca passa anche per il Cliente che la sceglie. E il Cliente Porsche diventa spesso (il sondaggio citato ci dice nel 95% dei casi) un appassionato sostenitore della marca. Non a caso vi è una estrema attenzione per il fenomeno associazionistico dei Porsche Club. Ben prima che la logica dei club di marca si diffondesse a macchia d’olio, stimolata dagli uomini di Marketing, i club Porsche si costituivano spontaneamente per dare voce ai Clienti/sostenitori. Il Porsche Club Italia ha già festeggiato da tempo i suoi primi 40 anni e oggi sono circa un migliaio i soci dei Porsche club ufficiali in Italia. I quali organizzano autonomamente quasi 50 appuntamenti l’anno, certamente più degli eventi che la stessa Porsche Italia organizza. Voi capite dunque l’importanza della comunicazione che i Porsche club realizzano nel quadro della 20


comunicazione complessiva della marca Porsche. Quando penso a questa situazione, mi ritorna ogni volta in mente un commento del collega svedese che nel corso di una riunione dichiarò che lo staff che si occupava di Porsche nella sua azienda era di sole 5 persone. Ad una successiva richiesta mirata a capire quante persone gestissero per conto dell’importatore lo stand Porsche nel principale salone dell’auto in Svezia , la sua risposta fu: 15. E i 10 in più da dove saltano fuori? Semplice, allo staff di 5 persone si aggiungono 10 Clienti che si occupano (e vi assicuro molto volentieri) di gestire lo stand Porsche, trasformandosi per l’occasione in venditori. Per concludere, un’azienda senza immagine è come una barzelletta senza finale. Chi non ha un’immagine propria (leggi: chi non tutela il valore della propria marca) è noioso. E nel nostro ambiente l’effetto della noia è soprattutto mortale. L’immagine è il risultato di qualità, innovazione e tradizione. Ma allo stesso tempo è anche il fondamento per il successo duraturo del marchio. Per Porsche il valore della marca non è solo una conferma della propria identità, ma anche un fattore concorrenziale di primaria importanza. I marchi con una forte immagine riusciranno ad affermarsi più facilmente sui mercati mondiali. Costruire o difendere il valore della propria marca diventerà quindi uno dei compiti principali di ogni società.

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MAURIZIO SALA - Direttore Creativo Armando Testa Creatività verso affissione è come dire motori verso Formula Uno: da una categoria generale alla sua più difficile manifestazione. Come per vincere in pista, per realizzare una buona affissione servono bravura e coraggio. Bravura significa sapersi destreggiare fra i pericoli del segno barocco o confuso, dell’immagine senza sintesi che perde il confronto con gli altri cartelloni e non viene notata, o che si mimetizza fra i tanti segnali della strada con buona pace della marca e dell’investimento speso. Di quanti manifesti ci ricordiamo, fra le centinaia che ogni anno debuttano ogni 15 giorni intorno a noi? Bravura è per questo capire che al di là di qualunque teoria, di qualunque impeccabile ragionamento da meeting, il manifesto ha a che fare primariamente con l’occhio e con le sue regole percettive. Non si scappa: il tempo d’attenzione è intorno a un paio di 22


secondi, devi catturare lo sguardo e dire quello che devi dire in quel lasso di tempo o poco più. Inoltre devi farti ricordare. Pochi manifesti superano questa prova. Sicuramente potrebbero essere di più se quando li si crea o quando li si approva si tenesse sempre conto del fatto che il passante -come dice il nomepassa e va, con altro per la testa che i nostri messaggi da guardare. La prima regola è colpire la sua attenzione, la seconda è colpire la sua attenzione. E qui si arriva alla seconda qualità necessaria: il coraggio. Coraggio di non farsi tentare dalla voglia di dire di tutto e di più, di sovraccaricare l’affissione con due-tre messaggi diversi e complementari. Di riempirla di scritte, scrittine, marchi e marchietti, numeri verdi e quant’altro, perché in questo modo qualunque esercizio di sintesi sarebbe impossibile. Purtroppo moltissimi manifesti soccombono in questo modo, per il troppo peso delle informazioni. Coraggio, perciò, di scegliere una sola cosa da dire e dirla. Chiaro e forte, con la massima sintesi possibile e il più alto tasso di creatività raggiungibile. Il premio è un manifesto che funziona. Di cui la gente parla anche dopo che è tornata a casa. Un segno che in pochi giorni fa il giro della città o del paese e che ridà alla marca –moltiplicato n volte- ciò che la marca ha investito. Ecco tutto. Vorrei ora lasciarvi con le parole di un grande personaggio, autore di manifesti indimenticabili e fondatore di una grande scuola di creatività che è oggi anche l’agenzia n° 1 in Italia: Armando Testa. “Il manifesto è l’immagine di un’azienda nel suo presente e nel suo passato. Se riuniamo in una stanza gli affissi di un’azienda possiamo giudicare in una sola occhiata la sua evoluzione in un secolo. Oggi che si parla tanto di corporate image si può comprendere ancora di più come, dalla scritta del nome ad ogni sua 23


presenza figurativa, l’immagine sia importante per una marca. Vi sono imprese note in tutto il mondo proprio per la cura continua e all’avanguardia della propria immagine. La gioia del bel manifesto va al di là della pubblicità, è una manifestazione di stile aziendale, un capitale visivo che si costruisce nel tempo. Un manifesto brutto è senza storia e senza futuro. Domani non resterà nulla in mano”.

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Progetto e coordinamento grafico Paolo Casti Elaborazioni grafiche e impaginazione Ilaria Bettini Composto con carattetri Times NewRomanPS Stampato su carta Sirio White 130 g Carta di copertina Sirio White 200 g Fotolito e stampa Gruppo Immagine Verona Finito di stampare Verona, Maggio 2001



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