Rcd 2013

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-- come, infine, non basti l’atteggiamento ansiosamente protettivo da parte dei genitori, che viene riconosciuto come eccessivo da tutti i quattro panel intervistati; mentre bisognerebbe investire di più le risorse economiche, psicologiche, assistenziali della famiglia di origine secondo una modalità meno “protettiva” e molto più “promozionale”, attraverso, ad esempio, un sostegno fornito all’uscita dalla famiglia per sperimentare l’esercizio della mobilità territoriale e professionale come per favorire la spinta verso l’imprenditorialità. La seconda strategia richiede di concepire “politiche di sistema” e non – come spesso accade – politiche frammentate che, pur moltiplicando i sostegni forniti ai giovani, rendono difficile l’interpretazione del percorso di accesso alle opportunità offerte. Se si tratta di affrontare non solo la difficoltà quantitativa (poca domanda, molta offerta), ma anche quella qualitativa (squilibrio tra qualità professionali richieste e qualità professionali disponibili), ma soprattutto l’estrema flessibilità delle prestazioni che ai giovani si richiede, bisogna saper ricomporre il quadro delle politiche complessive: quelle del lavoro, quelle della formazione, quelle del welfare di accompagnamento. Tale convincimento risulta molto chiaramente percepito dagli stessi intervistati dei quattro panel, quando sottolineano come “non sia giusto chiedere la flessibilità ai giovani che entrano nel mondo del lavoro, senza che diventino flessibili anche i sistemi di collocamento, i sistemi formativi e il sistema pensionistico” (con un accordo degli intervistati che tocca l’81,6% per gli studenti, l’85,6% per i genitori, l’85,9% per i docenti e l’89,4% per i responsabili associativi). In altre parole – sottolinea il Rapporto – abbiamo bisogno di dar vita a una “flessibilità bilanciata” che sappia mettere in gioco tutte quelle trasformazioni che servono dal lato dei sistemi di offerta, che siano in grado di accompagnare le tante forme di lavoro atipico che oggi i giovani debbono affrontare. Questo deve avvenire sul piano contemporaneo di un’adeguata flessibilità, applicata: -- ai servizi formativi (e della relativa certificazione); -- ai servizi di orientamento professionale e personale; -- ai canali di collocamento come pure di ricollocamento dopo aver eventualmente perso il lavoro precedente; -- all’anticipazione delle esperienze di lavoro, in tutte le forme possibili, già durante il periodo formativo, poiché – come è stato sottolineato da tutti gli intervistati nelle indagini contenute nel presente testo –, vivere anche temporaneamente dentro un’azienda aiuta a capire meglio come funziona il mondo del lavoro e le sue regole; -- all’acquisizione anche di quelle competenze definibili come soft skills, cioè quelle legate ai comportamenti, agli atteggiamenti, alla capacità di relazione con le persone, le quali risultano particolarmente utili per realizzare un buon ingresso nella vita attiva. La terza strategia deriva immediatamente da quanto appena ricordato: serve cioè una cura particolare della relazionalità applicata a tutti i livelli. Lo “scambio” lavorativo, sia

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7° rapporto sulla classe dirigente/2013


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