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La documentazione dei lavori degli Antonelli e le mura di Santo Domingo

La documentazione dei lavori degli Antonelli e le mura di Santo Domingo. Un progetto per lo studio dei caratteri costruttivi dell’architettura militare dominicana

sandro ParrineLLo Professore associato presso il DICAr, Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Pavia

Il contributo apportato dalla famiglia Antonelli nella definizione dei caratteri costruttivi delle fortificazioni spagnole nel nuovo mondo è ben noto. Gli Antonelli, ingegneri militari italiani al servizio della Corona spagnola, pianificarono un teatro di fortezze disposto nel Mar dei Caraibi per difendere le colonie dalla minaccia dei pirati. Tale pianificazione caratterizzò in maniera determinante lo sviluppo dei sistemi urbani e delle infrastrutture che guidarono il processo insediativo nelle Americhe ma, nonostante l’importanza storica, non sono molte le informazioni che si hanno circa il contributo specifico che Battista Antonelli, la figura più rilevante in questo processo, apportò nella definizione delle fortificazioni di Santo Domingo. In molte occasioni nel ridisegnare il perimetro difensivo d’importanti città come Panama, Cartagena, Portobello, Veracruz, San Juan o L’Avana, l’opera dell’ingegnere militare italiano coincise con il definire morfologie significative che caratterizzarono l’intero impianto urbano e non solo il recinto difensivo. Dalla conformazione delle mura e delle batterie dipendeva non solo l’immagine con cui la città si presentava a chi vi arrivava, ma in generale la progettazione del recinto e del limite urbano riguardava in modo non secondario la conformazione del tessuto interno delle strade e delle piazze, disposte solitamente con una maglia regolare che trovasse nel proprio orientamento una più confortevole esposizione sia alle condizioni climatiche sia alle esigenze di comunicazione e di controllo direttamente dipendenti con il sistema difensivo. A questi aspetti deve poi sommarsi una necessaria conoscenza e un generale controllo dell’orografia, dei dislivelli e della qualità dei terreni su cui la città era edificata, aspetti dai quali dipendevano sia i caratteri costruttivi che riguardavano le fortificazioni sia, più in generale, l’intero sistema di infrastrutture di cui la città necessitava. Le strutture fortificate «alla moderna» si caratterizzano per il disegno di geometrie che conferiscono alle murature un andamento poligonale prevedendo un’inclinazione della cortina muraria sufficiente ad assorbire gli attacchi delle nuove armi di artiglieria che da poco erano comparse sui campi di battaglia. Se le teorie che riguardano tali modelli sono da ascriversi ai grandi teorici del rinascimento italiano e si possono datare verso la metà del xv secolo, è però nel corso del xvi secolo che tali considerazioni trovano la loro più ampia diffusione e la più proficua sperimentazione. Con la scoperta dell’America il campo di battaglia cambia aspetto e le difese delle coste, che la Spagna stava sperimentando nel Mediterraneo per proteggersi dalle minacce dei corsari barbareschi, trovano nei territori oltreoceano il più vasto campo di sperimentazione e di avanguardia. Nel corso degli anni a cavallo con la scoperta del Nuovo Mondo l’arte della guerra cambia faccia introducendo postazioni di artiglieria trincerata e possenti cannoniere in grado di sfondare le esili murature di stampo medievale. Tali sistemi, che riguardavano gli assedi da terra, non impiegarono molto tempo per far sì che fossero

Disegno della città coloniale ad opera dell’ingegnere militare Battista Antonelli. In evidenza i due progetti per lo sviluppo della cinta difensiva: il primo più ampio verso ovest, voluto dagli abitanti della città e il secondo, che riduce l’estensione del perimetro fortificato, ad opera di Battista Antonelli. Nella pagina precedente:

Immagini della Fortezza di Ozama, il più importante monumento fortificato di Santo Domingo e l’unica fortezza in stile medievale d’America, ripresa insieme alla limitrofa batteria bassa. La torre e la batteria descrivono, nel loro insieme, l’evoluzione del sistema difensivo lungo il fiume Ozama.

Attività di rilievo e documentazione del gruppo di rilevatori dell’Università degli Studi di Pavia e dell’UnphU-Universidad Nacional Pedro Henríquez Ureña, per lo studio del sistema difensivo coloniale di Santo Domingo. In particolare si riportano immagini del workshop condotto sul tracciato nord-est della città. riconfigurate le imbarcazioni in modo da poter ospitare a bordo tali sistemi di fuoco. Le nuove e grandi navi da guerra ospitavano numerose cannoniere ed erano queste le minacce prevalenti sia per le altre navi da trasporto che per i porti che contenevano le grandi ricchezze d’America e che andavano dunque resi sicuri. Nei periodi immediatamente successivi e attraverso un processo che coinvolgerà interamente il xvi secolo, l’evoluzione delle strategie militari videro mutare la balistica e in generale i modelli di offesa in virtù di pratiche di assedio che prediligevano un sistema più rapido, di movimento, riducendo dunque la dimensione delle armi, la portata e, soprattutto ai nostri fini, la traiettoria dei proiettili delle cannoniere. Dalla traiettoria della palla di cannone, dipendente dalla gittata e dunque dal punto in cui si faceva fuoco, era calcolata l’inclinazione delle cortine murarie. La scarpa delle mura alla moderna doveva essere il più perpendicolare possibile al colpo di cannone che, perforando la crosta della cortina, penetrava nella muratura per «spengersi» perdendo potenza e venendo assorbito dai profondi muri riempiti con materiale inerte. Le trasformazioni in cui opera la famiglia degli Antonelli riguardano tuttavia una prima fase, quella in cui si rendeva necessario aggiornare i sistemi difensivi ancora di stampo medievale con le nuove caratteristiche che configuravano la difesa alla moderna. In particolare, si richiedeva all’ingegnere che operava e sperimentava sul campo di definire quei modelli compositivi, di natura geometrica, efficaci a rendere sostenibile, anche in termini economici, quel necessariamente rapido passaggio e ammodernamento che consentiva alle città e al porto

di non essere eccessivamente esposti e minacciati, e ai cittadini di non provare una sensazione di pericolo, potendo così sentirsi liberi di sviluppare attività commerciali e di investire risorse e denari. Antonelli si trova così a dover modificare e ripensare i sistemi difensivi dei primi insediamenti costruiti lungo le coste americane, sviluppando un apparato organico che contempla la progettazione di nuovi complessi o la riedizione di fortezze già presenti, che vengono integrate da batterie, bastioni e perimetri difensivi più efficaci. Tuttavia, se si escludono le imponenti fortezze che probabilmente costituiscono il contributo più apprezzabile di tale sforzo progettuale condotto dall’ingegnere italiano, non sono molti i resti delle opere di Antonelli nelle Americhe che ci consentono di definire compiutamente e con facilità i suoi linguaggi o affrontare studi, anche di carattere geometrico, dai quali desumere le teorie applicate ai suoi modelli difensivi. È necessario specificare che la fondazione di Santo Domingo trova una sua caratterizzazione in virtù di due elementi: la presenza del fiume Ozama e la conformazione delle sponde, degli argini e delle coste nei pressi del fiume. Il primo insediamento sulla sponda orientale del fiume, nei pressi dell’attuale Capilla de Nuestra Señora del Rosario, fondato alla fine del xv secolo (1496-1498) fu fortemente danneggiato da un uragano e prontamente ricostruito, nel 1502, sulla sponda occidentale del fiume, dove s’incontra ancora oggi la Città Coloniale. Lungo tutto il perimetro del tracciato urbano una cortina difensiva naturale è costituita dalla scogliera che non consente un accesso diretto né al fiume né al mare. Grazie a questa conformazione e al tracciato di difesa naturale le mura della città furono fin dal principio concepite come un accessorio al naturale sistema difensivo. Le prime mura che caratterizzavano il perimetro della capitale dominicana erano probabilmente costituite da un susseguirsi di strutture miste con porzioni in legno alternate a elementi in muratura. Tale recinto manteneva ancora una conformazione strutturale che caratterizzava le opere difensive allestite per piccoli comparti urbani o comunque di rilevanza secondaria, di stampo tardo medievale, coeve alla Fortezza di Ozama. Il perimetro difensivo di Santo Domingo, costruito immediatamente dopo l’arrivo degli Spagnoli, fu quasi sicuramente non aggiornato e migliorato negli anni seguenti a causa della perdita d’interessi commerciali per l’isola, motivati dai grandi investimenti che si stavano invece operando sulle città e sul territorio della vicina Cuba. Tali mura, in modo analogo ad altri nuclei urbani, erano probabilmente non molto alte ma comunque sottili e con una cortina verticale. Queste lasciarono il posto a nuove mura basse e spesse ma soprattutto disegnate secondo tipologie geometriche in grado di resistere e deflettere i colpi delle cannoniere alloggiate sulle navi da guerra, per la difesa dal mare, e da possibili attacchi e incursioni che potevano avvenire, se pur con maggiore difficoltà, via terra. Questi nuovi impianti difensivi modificarono perennemente l’idea, la forma e l’immagine di molte città, italiane, europee e così pure del Centro America. La città con le sue fortezze doveva apparire imprendibile, scoraggiare qualsiasi pirata, e doveva rappresentare la potenza dell’impero. La difesa delle coste si caratterizzò per lo sviluppo di una rete di controllo costituita da torri e roccaforti, torrioni e batterie che ospitavano l’artiglieria necessaria a ostacolare le incursioni di pirati o nemici. In generale dunque l’ingegnere militare, prima di determinare il progetto di un sistema difensivo doveva compiere un attento rilievo non solo dell’orografia dei terreni, ma anche dei fondali, disegnando le curve batimetriche e quanto necessario

Immagine del Bastione dell’Invincibile durante l’attività di documentazione condotta con tecnologia laser scanner.

La vista della Torre del Homenaje dalla batteria bassa. In particolare lo spazio antistante la batteria è oggi separato dalla città e dal fiume da una più recente cortina muraria, costruita al principio del secolo scorso per conferire maggior monumentalità all’impianto militare della capitale.

Immagini di modelli tridimensionali del Bastione dell’Invincibile, della Fortezza di Ozama e del Forte de la Concepción. I modelli 3D sono stati realizzati mediante fotogrammeria Structure from Motion condotta attraverso l’uso di droni durante le operazioni di documentazione sul campo.

per capire quali difese naturali sfruttare e poter ipotizzare al meglio le diverse strategie offensive alle quali il sistema di difesa doveva far fronte. Nei numerosi viaggi che hanno caratterizzato l’esperienza di Battista Antonelli nelle Americhe, in più occasioni l’ingegnere dovette rinunciare a visitare l’isola, nonostante la cedola reale di Filippo II, emessa nel 1586, nella quale il Re incaricava Battista di esaminare le coste per costruire nuove fortezze o prevedere il miglioramento di quelle esistenti. Tra i luoghi indicati dal Re vi era anche Santo Domingo ma l’ingegnere, arrivò sull’isola solo il 25 aprile del 1589, assieme all’ingegner Juan de Tejeda, tre anni dopo l’assedio di Drake. La capitale ospitava già la Fortezza di Ozama e vi era presente un progetto di allestimento delle mura per fortificare alla moderna il perimetro cittadino. Tuttavia, la capitale aveva già perso una gran parte della sua importanza politica e della sua prosperità commerciale e il recinto progettato per le nuove mura, oltre a risultare debole e inefficace, era anche molto lontano dal centro urbano. Chi lo aveva realizzato sicuramente pensò che la città avrebbe continuato la sua crescita allo stesso ritmo dei primi decenni del xvi secolo. Fu una previsione che non si avverò. Antonelli elaborò un nuovo disegno delle mura avvicinandole alla città e aggiungendo bastioni alterni lungo tutta la loro estensione, con l’aggiunta di roccaforti al fine di migliorare la precisione e distribuzione dei bastioni e delle cannoniere. La nuova cinta difensiva, più bassa, prevedeva un piccolo fossato esterno, connesso a un movimento di terra che minimizzava la presenza delle batterie amplificando l’effetto scenico dei bastioni. Il sistema del paramento, ornato da garitte di avvistamento, prevedeva una sequenza di bastioni, attrezzati per il tiro radente, e porte fortificate. Ciò che permane oggi di queste strutture sono alcune tracce, leggibili nell’impianto del sistema urbano di Santo Domingo, ma non è chiaro quale sia il contributo di Antonelli e quali siano invece i resti di batterie e sistemi difensivi sviluppati in epoche più recenti sfruttando il perimetro descritto dall’ingegnere italiano. La cinta proteggeva la città a nord-ovest dall’interno dell’isola, a est via fiume e a sud dalle incursioni via mare, appoggiandosi, dove presente, alla naturale parete rocciosa. La più antica costruzione militare, eretta dagli europei nella Repubblica Dominicana e ancora visibile, risale al primo decennio del 1500 ed è la Fortezza di Ozama. La struttura, costruita in prossimità della foce del fiume per la difesa dell’ingresso sud-est alla Città Coloniale, fu edificata per ordine del governatore spagnolo Nicolás de Ovando. La struttura nei secoli ha subito modifiche e ampliamenti, dovuti alle diverse destinazioni d’uso per cui era impiegata, ma la fortezza ha mantenuto inalterati i suoi caratteri medievali, divenendo nel 1990 Patrimonio Mondiale dell’Umanità insieme ai monumenti del centro storico coloniale di Santo Domingo. Il complesso si trova in posizione elevata rispetto al fiume, da cui è diviso da una cinta di pietra, ed è sovrastato dalla Torre del Homenaje (Torre dell’Omaggio), così chiamata perché dalla sua cima, 18 m, venivano salutate le navi che entravano in porto. La struttura, merlata, presenta spesse mura in pietra corallina con aperture a feritoia per l’uso dei fucili: alle sue spalle si apre un ampio giardino murato che la separa dall’edificato urbano, dal quale rimane accessibile attraverso la Puerta de Carlos III costruita nel 1797; mentre a destra della torre è collocata la batteria bassa, difesa superiormente dalle postazioni dei cannoni e oggi non visibile dal fiume. Negli anni cinquanta del secolo scorso infatti, secondo il gusto dell’epoca, il complesso fu chiuso ulteriormente, tramite un’opera di fortificazione in cemento, rimanendo separato dal fiume Ozama. Impiegato come prigione fino alla fine degli anni sessanta, il complesso fortificato è stato aperto al pubblico nel 1965, per la sua rilevanza quale monumento di architettura medievale. Dalla fortezza, seguendo il fiume, sono visibili tratti di mura e bastioni della Città Coloniale, che proseguono anche sul lato sud, lungo la costa. Queste porzioni non sono precisamente databili ed è possibile immaginare solo alcune delle modifiche, in termini di collocazione e di rifacimento, che vi sono state apportate nei secoli. Nel 1589, all’arrivo di Antonelli e Tejeda, Santo Domingo aveva già perso parte della sua importanza politica e commerciale a favore di nuovi porti del Pacifico, vanificando l’ampio recinto delle mura realizzato in previsione di un elevato ritmo di crescita urbana, fermatosi però ai primi decenni del xvi secolo. Antonelli

Nuvola di punti laser scanner del Bastione dell’Invincibile.

Vista della nuvola di punti del Bastione collocato in prossimità dell’Ermita de San Antón. Il sito, non essendo riconosciuto come monumento dalla popolazione, versa in condizioni critiche: nella parte superiore è coperto da una vegetazione incolta e sono ben visibili tracce di un edificio che vi era stato costruito utilizzando il Bastione come basamento e poi crollato su se stesso. ripensò la cinta fortificata avvicinandola alla città e aggiungendovi bastioni per tutta l’estensione. In prossimità del Fuerte de San Gil la traccia della cinta piega verso nord proseguendo a tratti alterni e di questa rimangono la Puerta de la Misericordia e il Fuerte de la Concepción, insieme al segno delle mura che li legava, lasciato in vista sulla strada carrabile. Il Forte indirizza verso est, lungo l’attuale calle Juan Isidro Pérez, dove torna visibile la cinta in prossimità delle Ruinas de La Caridad. Un’accorta progettazione residenziale, intorno agli anni ottanta, ha permesso di mantenere intatta la porzione bassa di mura tra le rovine e San Miguel, uno spazio fortificato pentagonale a livello della strada, oggi reimpiegato come luogo di aggregazione sportiva pubblica. Nuovamente interrotto, il percorso fortificato torna visibile in prossimità dell’Ermita de San Antón, con l’omonimo bastione e una ricostruzione delle mura che conduce fino alla Catedral Castrense Santa Bárbara. Il progetto di fortificazione da Santa Barbara continuava fino al fiume Ozama, accompagnandone il corso con una cortina bassa, intervallata da porte e forti minori, oggi solo in parte mantenuti integri ma di cui è rimasta visibile la forma sulla strada. L’insieme di queste porzioni visibili permette ancora oggi di leggere il progetto originale, seppur con le necessarie accortezze dovute ai cambiamenti apportati nei secoli da eventi bellici, interventi umani e naturali. Ecco perché in tale contesto, dove il patrimonio storico architettonico è ancor più minato da calamità naturali e dove lo sviluppo turistico degli ultimi decenni ha messo a rischio la stessa esistenza di tali reperti, soventi demoliti per fare spazio a qualche albergo o all’ampliamento di un’infrastruttura portuale, una considerazione sullo sviluppo dei modelli dell’architettura fortificata diviene essenziale ai fini della ricerca che ha come obiettivo la valorizzazione del patrimonio storico architettonico. Per lo studio di tali modelli, geometrici e analitici, viene in aiuto il disegno che consente non solo di esplicitarne i caratteri attraverso la geometria descrittiva, ma permette di modellarne le forme esplicitando in questo processo tematiche costruttive oltre che producendo prototipi utili alla documentazione e alla valorizzazione del patrimonio. Il tema della modellazione, nel corso della storia della ricerca, ha sempre riguardato il tentativo di rendere «rea-

le» una visione concepita «virtualmente», consolidando prototipi materici o matematici in grado di stabilire un fondamento scientifico a spiegazione dei più complessi fenomeni fisici e meccanici della natura. L’ingegneria, intesa in tutte le sue forme più complesse di studio e sperimentazione, trova imprescindibile l’uso di formulazioni matematiche e meccaniche e l’applicazione di linguaggi complessi, seppur universali, che trovano riferimento nella scienza del disegno. Questa necessità comunicativa, obbligata, ha oggi nuove possibilità di espressione nella sfera digitale, dove il linguaggio di programmazione riformula i principi strutturali del modello computazionale e della composizione in genere. Il tema ricorrente della «documentazione», intesa come esigenza di appropriarsi del patrimonio storico culturale, con particolare riferimento qui a quello architettonico, e quindi della propria identità culturale e della propria cultura, ha messo in evidenza come tali riflessioni teoriche e analisi più profonde sul patrimonio tangibile e intangibile siano in grado di esprimere, attraverso il disegno e l’esplicitazione di modelli, indipendentemente da quale sia la scienza che li governa, il substrato culturale necessario a inquadrare un determinato contesto. Lo sviluppo tecnologico che viviamo in questa era non solo sta condizionando le tecniche e le applicazioni dei processi documentativi, ma induce ad un generale processo di ripensamento sul significato più profondo della conoscenza e sulle molteplici declinazioni che da questa ne conseguono quando si parla di sistemi per lo sviluppo, la gestione e la valorizzazione del patrimonio. Nuovi sistemi di rappresentazione producono nuove aspettative legate alla comunicazione digitale, variando gli obiettivi e rinnovando costantemente la domanda, in termini analitici di esigenze conoscitive, anche in risposta di necessità più legate al carattere computazionale di interazione con i modelli stessi, capaci di fornire oggi risposte anche quantitative oltre che qualitative. Questo fenomeno sta orientando il mondo professionale e accademico ad aggiornarsi sulle pratiche di produzione di nuovi output, ottenendo prodotti multidata e complessi archivi d’informazioni in grado di rispondere, contemporaneamente, a molteplici finalità. La sempre più complessa gestione di flussi dinamici di dati che producono archivi digitali, legati all’utilizzo di tecnologie sempre più performanti, sta orientando la ricerca accademica verso lo sviluppo di sistemi di documentazione e modellazione che prevedano, associati ai modelli stessi, codici di calcolo al fine di programmarne attività e interconnettività tra i modelli e le banche dati digitali. Le informazioni raccolte nelle attuali attività di documentazione del patrimonio sono spesso sovrabbondanti rispetto agli obiettivi preposti e, in alcuni casi, non sufficienti a rappresentare compiutamente alcuni degli aspetti immateriali legati al valore culturale del patrimonio storico. Esiste, quindi, una forte esigenza di organizzare la struttura stessa della conoscenza in maniera che le tecnologie messe a nostra disposizione siano utilizzate selezionando i dati necessari per definire un quadro conoscitivo costituito da informazioni che, sotto forma d’immagini e modelli digitali, diventino strumenti aumentati e implementabili, generando informazioni dirette e sintetiche necessarie a produrre conoscenza. Un database informativo e interattivo, costituito dall’unione di modelli e metadati, diviene così lo strumento tramite il quale preservare la memoria storica del patrimonio culturale, sia esso un complesso architettonico, un sistema museale, o un bene immateriale. Il modello, del quale assume un ruolo fondamentale la componente metrica che lo determina e ne connota ogni aspetto di affidabilità, può divenire sia strumento per la gestione del bene in termini di programmazione di interventi a breve, medio e lungo termine, sia strumento di valorizzazione. I modelli digitali, configurandosi come vere e proprie estensioni dell’intelligenza umana, sembrano costituire un approfondimento delle caratteristiche e dei valori del patrimonio architettonico per definire sistemi di lettura sull’esistente e d’implementazione delle informazioni, capaci di mostrare attività direttamente connesse al patrimonio che assume quindi la duplice identità di reale e digitale. Il progetto di ricerca che l’Università di Pavia ha avviato presso Santo Domingo riguarda proprio la definizione, attraverso il rilievo, delle strutture fortificate esistenti, dei caratteri costruttivi del sistema difensivo dominicano, per comprendere quale sia stato il contributo, anche da un punto di vista tecnologico, dell’opera di Antonelli. Si tratta di una ricerca applicata che contempla anche aspetti pratici, legati a metodologie e pro-

cedure operative condotte direttamente sul campo, in grado di produrre nuove rappresentazioni del patrimonio culturale. In questo senso, il laboratorio DAda lab del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Pavia ha condotto una prima indagine con l’obiettivo di studiare i sistemi fortificati, la loro progettazione e lo stato dell’arte e di ottenere un database digitale del patrimonio tramite l’impiego di comprovati metodi e strumenti scientifici. Il pluriennale interesse per le opere di Antonelli, manifestato nelle attività di ricerca condotte nell’area del Centro America dal gruppo di studiosi dell’Università di Pavia inerenti alla documentazione del patrimonio, ha motivato la definizione di procedure di rilevamento specifiche per poter apprezzare al meglio i singoli bastioni e i tratti delle mura urbane, diverse in relazione alla morfologia di ognuno. Le ricerche, inerenti allo sviluppo di tecnologie per il rilievo e la rappresentazione architettonica e paesaggistica, all’attività di analisi per la definizione di strategie di sviluppo connesse alla conoscenza, alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio, hanno interessato alcune porzioni del sistema fortificato della città coloniale, scelte per la loro importanza storica e distribuzione, al fine di ottenere l’effettiva misurazione della cinta rimasta e poter operare un confronto con il progetto di Antonelli.

Il laboratorio di ricerca DAda lab ha messo a disposizione sistemi di rilevamento digitale (laser scanner e sfM Structure from Motion) per la creazione di banche dati 3D e lo sviluppo di sistemi informativi funzionali alla conoscenza delle caratteristiche dimensionali e costruttive dell’architettura storica. Il rilievo puntuale, la documentazione e le successive fasi di elaborazione condotte sull’area della Fortezza di Ozama, con particolare attenzione per l’edificio principale e la batteria bassa, permettono la lettura delle geometrie dell’architettura difensiva per la produzione di sistemi di rappresentazione e promozione del complesso monumentale. Operazioni diverse sono state svolte per l’analisi dei bastioni e delle porzioni di mura a nord-ovest della cinta (Ruinas de la Caridad, San Miguel e San Antón), mirando alla produzione di sistemi integrati per la protezione dell’eredità artistica e culturale, capaci di connettere nella rappresentazione digitale lo spazio urbano. Diversamente da quanto accade per la Fortezza di Ozama, i siti di Ruinas de la Caridad e San Antón non sono ritenuti monumenti dalla popolazione, che, non conoscendone il valore storico e architettonico, ne fa un uso improprio oltre che dannoso per il loro mantenimento. San Antón, insieme al tratto di mura che conduce alla Catedral Castrense Santa Bárbara, rappresenta forse il caso limite di questa situazione: il bastione è coperto nella parte superiore da un’incolta vegetazione, che non permette di leggerne l’effettivo stato conservativo e, là dove presenta aperture su livelli di quota differenti, è impiegato come deposito di materiale di scarto di varia natura e dimensione. Il bastione in un certo momento della sua storia è stato impiegato come fondazione di un edificio che vi è stato costruito sopra, poi demolito, del quale oggi restano evidenti tracce. Se il Bastión de Santa Bárbara è oggi oggetto di restauri che ne stanno in parte alterando il carattere, a poca distanza il tratto di mura a nord della città è abbandonato a se stesso divenendo luogo di risulta e di incuria. Una recinzione bassa, la presenza di luci notturne e un’effettiva manutenzione ordinaria del verde circostante riescono, seppur solo in parte, a dissuadere dal bivacco, e dalle sue conseguenze in termini d’igiene e decoro, presso il Fuerte de la Concepción sul versante opposto della città. Il Bastión de San Miguel, reimpiegato come luogo di aggregazione sportiva, costituisce un esempio positivo di integrazione delle fortezze con la città ma se da un lato, quello della strada, la muraglia è mantenuta ordinata e frequentata, non è possibile affermare lo stesso sul retro del bastione, che affacciando su corti interne risulta ben poco curato. La densità di corti ed edifici pubblici e privati nell’area dove insistono le Ruinas de La Caridad da un lato chiude la struttura, che non trova ampia visibilità, dall’altro, nonostante i superficiali rifacimenti nel tempo, ne assicura il mantenimento dell’originale geometria. La valenza della ricerca, oltre agli aspetti scientifici e culturali, ha avuto carattere anche formativo e didattico, per la partecipazione alle attività di misurazione degli studenti dell’Universidad Nacional Pedro Henríquez

Ureña (unphu). L’interesse nel proseguo di tali e nuove attività riguardanti la rappresentazione, lo studio e la conservazione del patrimonio architettonico, manifestato negli incontri con università, centri di ricerca e istituzioni pubbliche dominicane, trova fondamento nella volontà di sviluppo di futuri progetti bilaterali e di aperture di canali di ricerca che connettano, attraverso l’architettura, Santo Domingo all’Italia.

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