Report Bes 2020

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Il benessere in Puglia tra pandemia e resilienza Report regionale 2020 sul BES (Benessere Equo e Sostenibile)

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Introduzione

Una società pugliese fragile che ha bisogno di buon lavoro e welfare

Quando la Cgil Puglia ha pensato a realizzare annualmente una valutazione dei progressi della società regionale attraverso una lettura del Bes Istat, con la presentazione del primo report a gennaio del 2020, non poteva prevedere l’esplodere di lì a poche settimane dell’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del Covid-19. Il conseguente tsunami sociale ed economico che si è abbattuto sul mondo intero ha reso quanto mai necessaria una lettura del Bes, a fronte della straordinarietà che il 2020 ha rappresentato per le comunità, per il mondo del lavoro, per le imprese. Non avremmo dovuto attendere la pandemia per riscoprire l’enorme valore sociale del lavoro, tornato centrale del dibattito pubblico, così come si è tornati a parlare di investimenti nella sanità dopo anni di tagli alle risorse, alle strutture e conseguente riduzione del personale. Ma questo è accaduto, scoprendo come le debolezze strutturali pre-esistenti hanno determinato un impatto differente nei territori, delineando ancora una volta un’Italia diseguale anche di fronte all’emergenza. Se sono emerse con forza le criticità del paradigma produttivo dominante, gli effetti della pandemia si sono dispiegati sul piano economico e sociale con maggiore drammaticità al Sud, a causa di un tessuto di imprese più debole, del mondo del lavoro più frammentato, di una popolazione più fragile. È fondamentale allora tener presenti le condizioni con cui la Puglia è entrata nella crisi pandemica: il 2019 era stato l’anno del recupero dopo la grande recessione, ma i dati già delineavano una condizione di povertà diffusa, di lavoro precario, di salari bassi, di una partecipazione femminile e giovanile nel mercato del lavoro disastrosa. E per quanto sia ancora difficile delineare lo shock complessivo determinato da una fase di emergenza non superata – con alcuni indicatori statistici relativi proprio a due anni fa – emerge una situazione in cui la Puglia è tra le regioni messe peggio quanto a gap tra occupazione maschile e femminile, dove gli scoraggiati e i Neet – i giovani che non cercano lavoro e non sono inseriti in percorsi di formazione – sono il 30 per cento, dove un lavoratore su quattro a termine è in questa condizione da oltre cinque anni, così come i lavoratori sovra-istruiti, mentre i dipendenti a bassa paga sono il 17 per cento. Emerge un quadro di strutturazione del mercato del lavoro in settori a basso valore aggiunto, che trascina bassa qualità di domanda di lavoro da parte delle imprese, che spinge soprattutto i giovani laureati e formati e cercare opportunità occupazionale in altri territori del Paese o all’estero. Con un sistema produttivo dimensionalmente caratterizzato dalla prevalenza di medie e piccole imprese, spesso senza know-how e disponibilità finanziare per investire in innovazione di processi e prodotti, sommati ad alcuni evidenti e da noi sempre denunciati limiti infrastrutturali, vanno messe a valore tutte le possibilità di investimento fornite dalle ingenti risorse rivenienti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e dalla programmazione 2021-2027 dei fondi strutturali per incidere sulla qualità del tessuto imprenditoriale e il miglioramento delle condizioni di contesto. Così come occorre investire nelle politiche per la salute e sulle reti di protezione sociale. Non è indifferente a quel quadro del mercato del lavoro il dato che vede in Puglia il 30 per cento delle persone essere a rischio povertà. Che significa spesso rinuncia alle cure – un dato che nella nostra regione aumenta -, così come vanno migliorati i servizi che permettono la conciliazione vita-lavoro, tra gli elementi più penalizzanti per le donne sulle quali ricade la maggior parte del lavoro di cura. Dei figli ma spesso anche di genitori anziani, che sul piano sanitario pagano carenze dell’assistenza territoriale e domiciliare, che vedono la Puglia essere sotto anche la media del Mezzogiorno. E così le donne con figli sono più svantaggiate nella ricerca di lavoro, e sono quelle più colpite dal lavoro part time.

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Il Bes dal 2016 è entrato nel Bilancio dello Stato per rendere misurabile la qualità della vita e valutare l’effet-to delle politiche pubbliche. La Cgil Puglia a gennaio di quest’anno ha lanciato la proposta di un “Patto per il lavoro e lo sviluppo sostenibile”, uno strumento operativo nel confronto tra Regione, Province, Città me-tropolitana, Comuni, Università, Enti di Ricerca, rappresentanza del mondo del lavoro, delle imprese, della cooperazione, che voleva essere assieme una sfida di partecipazione e democrazia e assieme un’assunzione collettiva di responsabilità nelle risposte da dare per migliorare la qualità della vita delle persone. Al netto della cabina di regia centralizzata decisa dal Governo per l’indirizzo delle risorse del Pnrr, siamo convinti che per superare una fase così drammatica per il Paese e la Puglia è necessario il reciproco riconoscimento dei ruoli e un sistema di relazioni per definire la condivisione di obiettivi e interventi. C’è tanto lavoro da fare e occasioni da cogliere, in una stagione di investimenti pubblici che non avrà eguali. Se non li utilizziamo al meglio, se non sciogliamo nodi non più rinviabili, se si prosegue sulla strada dell’arretramento del Pubblico e si insiste su impoverimento e precarizzazione del lavoro, condanneremo l’intero Paese e soprattutto le regioni del Sud alla catastrofe. Ci piacerebbe invece, nella lettura regionale del Bes del 2021 che faremo tra un anno, raccontare dei progressi compiuti dalla società pugliese. Pino Gesmundo Segretario generale Cgil Puglia

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IL BENESSERE IN PUGLIA TRA PANDEMIA E RESILIENZA Report regionale Bes 2020

IL BENESSERE IN PUGLIA TRA PANDEMIA E RESILIENZA a cura di Elisa MarianoBes ed 2020 Anna Villa Report regionale

a cura di Elisa Mariano ed Anna Villa

Elisa Mariano è coordinatrice della ricerca per la Fondazione "Rita Maierotti" Puglia e cultrice della materia presso la cattedra di Sociologia del Welfare dell’Università Sapienza di Roma. Anna Villa è dottoranda in Ricerca sociale applicata presso “Sapienza” Università di Roma Dipartimento di Scienze sociali ed economiche. Elisa Mariano è coordinatrice della ricerca per la Fondazione "Rita Maierotti" Puglia e cultrice della materia presso la cattedra di Sociologia del Welfare dell’Università Sapienza di Roma.

Anna Villa è dottoranda in Ricerca sociale applicata presso “Sapienza” Università di Roma Dipartimento di Scienze sociali ed economiche.



INDICE

LA SALUTE ....................................................................................................................................................... 11 . LA QUALITÀ DEI SERVIZI: FOCUS SULLA SANITÀ ............................................................................................ 13 IL LAVORO FRA CRISI PANDEMICA E FRAGILITÀ CONSOLIDATE.................................................................... 21 FOCUS: IL MERCATO DEL LAVORO NELLE PROVINCE PUGLIESI NEL 2020 ................................................. 29 FOCUS: CONDIZIONI ECONOMICHE E VULNERABILITÀ ............................................................................... 39 ISTRUZIONE E FORMAZIONE: LE LEVE PER UNA SOCIETÀ INCLUSIVA DALLA PRIMA INFANZIA ALL’ETÀ ADULTA ........................................................................................................................................................... 41 VERSO LA TRANSIZIONE DIGITALE, PERSONE E FAMIGLIE NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA ............... 49 FOCUS: RELAZIONI SOCIALI E PARTECIPAZIONE ALLA PROVA DELLA PANDEMIA....................................... 56 FOCUS: LE ASPETTATIVE PER IL FUTURO .................................................................................................... 58



Presentazione Introduzione di Elisa Mariano

Il rapporto Bes Puglia assume quest’anno una valenza particolare alla luce della straordinarietà che l’anno 2020 ha rappresentato per la comunità mondiale. Lo shock della pandemia, infatti, ha investito con inaudita violenza le nostra società facendo emergere con forza e crudezza tutte le criticità del nostro modello economico e sociale. Se, infatti, in tempi ordinari le fragilità del nostro Paese e del nostro Mezzogiorno erano sì evidenti, ma in qualche misura tollerate, con lo scoppio della pandemia queste sono divenute assolutamente intollerabili e ciò ha contribuito a far sì che fossero, finalmente, messi in discussione, almeno sul piano delle intenzioni, alcuni paradigmi che avevano ispirato scelte politiche e strategiche negli ultimi decenni. Ciò vale soprattutto per i temi della salute e dell’assistenza sanitaria, ora prepotentemente tornati centrali, dopo anni di tagli e ridimensionamenti, o per i mancati investimenti in ricerca ed innovazione, o per i ritardi sul piano delle infrastrutture, o ancora per le ataviche timidezze sul piano dell’investimento sociale e del welfare universalistico, che in questi anni hanno acuito gli enormi divari territoriali, di genere e di generazione che caratterizzano il nostro Paese. Proprio per questo abbiamo voluto dedicare il primo capitolo del nostro rapporto al tema della salute e della qualità e diffusione dei servizi socio-sanitari in Puglia e in Italia. Non solo perché il Bes si è arricchito, in quest’ultima edizione, di molti interessanti indicatori relativi a questi domini ma perché, come la lezione della pandemia ha reso evidente, la salute rappresenta la prima e più importante dimensione del benessere delle nostre società senza la quale non è possibile immaginare la crescita desiderata. La scelta di potenziare e rendere accessibile davvero il nostro welfare, dunque, investendo in infrastrutture sociali come sanità, servizi sociali, di conciliazione, formazione e nelle politiche attive è la sfida del futuro se vogliamo non solo tornare a crescere, ma anche generare benessere, buona occupazione, abbattere le disuguaglianze e garantire equità, coesione e sostenibilità. E’ questo il fil rouge che ci ha guidato nella scelta dei domini da analizzare e che, in qualche misura, unisce i capitoli di questo report, ciascuno dei quali approfondisce la condizione della Puglia rispetto a tematiche cruciali ed importanti come, appunto, salute, qualità dei servizi, istruzione e formazione, a cui quest’anno si è aggiunto un inedito affondo sul tema del digitale, sia dal punto di vista della diffusione di infrastrutture e dotazione di device, sia da quello dell’utilizzo da parte di persone e famiglie che delle competenze digitali, e un focus sulle relazioni sociali e la partecipazione così duramente messe alla prova dalla pandemia. Particolare centralità nell’impianto del report poi, è stata naturalmente dedicata ai temi del lavoro, alle sue trasformazioni a seguito della crisi dovuta alla pandemia, ed alle debolezze strutturali che affliggono il mercato del lavoro italiano e pugliese a partire da quelle legate, innanzitutto, al genere. L’ottica di genere, infatti, è stata mantenuta in tutta l’analisi effettuata. Infine, nel rispetto dello spirito del Bes, abbiamo analizzato le dinamiche dell’occupazione non solo sul piano della quantità, ma anche relativamente alle principali dimensioni che ne determinano la qualità come la stabilità, la retribuzione, la coerenza tra mansione e titolo di studio, andando ad osservare l’andamento di indicatori come la presenza di lavoratori a termine da lungo periodo, le basse paghe, il part-involontario, la sovraistruzione, i neet ed altri. Per alcuni di questi non è stato possibile avere il dato aggiornato al 2020, ma solo al 2019. Tuttavia abbiamo ritenuto importante offrirne comunque un’analisi poiché da un lato, tali indicatori, fanno riferimento a caratteristiche strutturali del nostro mercato del lavoro, dall’altro ci è apparso utile fotografare lo “stato dell’arte” rispetto

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ad aspetti rilevanti del mercato del lavoro nell’anno pre-pandemico per avere un’idea più chiara delle “condizioni” di fondo con cui la Puglia ha affrontato il disastro della pandemia. In linea generale, per introdurre il contesto entro cui l’analisi è stata svolta, possiamo certamente dire che l’Italia è arrivata allo scoppio della pandemia in una situazione di bassa e cattiva occupazione, soprattutto femminile e giovanile (in particolare tra i giovani qualificati). Rispetto alla crisi del 2008-2009 le differenze sono tuttavia molte. Innanzitutto possiamo dire che quella attuale è una crisi che colpisce sia la domanda, sia l’offerta di lavoro, ma soprattutto è strutturalmente diversa la dinamica che ne è scaturita. Una delle caratteristiche della flessione occupazionale del 2008-2009 fu il fatto di avere colpito maggiormente la componente maschile rispetto a quella femminile. La recessione, infatti, era stata particolarmente severa in alcuni comparti, come il manifatturiero e le costruzioni, dove la quota di occupati maschi è notoriamente molto più ampia rispetto alle donne. Di contro, a fronte di un vero e proprio tracollo dell’occupazione in questi due comparti (e nell’amministrazione pubblica) altri settori continuarono a guadagnare occupati, evidenziando un trend al rialzo che non risentì della crisi economica. Tra questi una particolare dinamica positiva riguardò proprio il comparto sanitario e quello dei servizi alle persone, il turismo e la ristorazione, tutti settori ad alta intensità di lavoro (ovvero a più bassa produttività) dove la componente femminile è tradizionalmente preponderante (sebbene penalizzata sul piano delle retribuzioni, anche causa del più alto ricorso al part-time, spesso involontario per carenza di servizi di conciliazione). La crisi determinata dalla pandemia, al contrario, ha picchiato duramente proprio sui servizi, in particolare i servizi alle persone e su quei settori che la crisi precedente aveva risparmiato, andando a colpire quei comparti che, insieme alla sanità ed all’istruzione e formazione, vedono impiegate la gran parte delle donne che hanno un’occupazione e che avevano sostenuto la crescita dell’occupazione femminile (anche se a bassi salari) negli anni precedenti. In questo senso se nel 2019 si è toccato il picco di occupazione femminile (9,9 milioni di occupate), il 2020 e il 2021 hanno segnato una brusca inversione di tendenza che ha portato alla cancellazione di quasi il doppio dell’occupazione femminile creata tra il 2008 e il 2019. A queste cifre va aggiunto l’ampio numero di donne che hanno mantenuto l’occupazione, ma a stipendio decurtato al 50% con il congedo Covid, scivolando in una condizione di ulteriore fragilità e vulnerabilità sociale. Insieme alla cospicua diminuzione delle occupate inoltre, come vedremo più avanti nel report, vi è un contestuale ed importante aumento delle inattive. Entrambi questi dati rappresentano segnali di una congiuntura particolarmente sfavorevole nei confronti di questo segmento di popolazione, che appare oggi più che mai vulnerabile ed esposto agli shock del mercato del lavoro. Ciò vale soprattutto nella nostra Puglia che, sul versante dell’occupazione femminile, presenta storiche debolezze che la pandemia ha acuito. Come vedremo, infatti, la nostra regione raggiunge nel 2020 non solo il triste primato dell’avere il più ampio gap di genere tra i tassi di occupazione maschile e femminile fra tutte le regioni italiane, ma presenta in alcune province come Foggia, ad esempio, un tasso di occupazione femminile imbarazzante, di circa 40 punti inferiore a quello medio europeo. E’ evidente come, da questo punto di vista, lo scenario sia non solo preoccupante, ma assuma i tratti della drammaticità, come anche l’Istat ha evidenziato. Lo shock pandemico, infatti, ha interrotto un trend occupazionale generale tutto sommato positivo che si era registrato nel nostro Paese dal 2015 in poi, e ad oggi non possiamo ancora dire quale sarà il quadro che avremo davanti nei prossimi mesi. Se è vero, infatti, che insieme alle donne ad essere stati più duramente colpiti sono stati i dipendenti a termine e gli autonomi, ossia quelle categorie che non hanno beneficiato del blocco dei licenziamenti stabilito

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dal Governo, allora sarà soltanto alla fine del periodo di blocco che si potrà capire se, ed eventualmente quanto, l’occupazione permanente avrà tenuto rispetto alla crisi o se, invece, quanto sta già avvenendo per i lavoratori più precari, siano essi dipendenti o indipendenti, si realizzerà anche per quelli più tutelati. Gli interventi di salvaguardia (dal blocco dei licenziamenti, agli ammortizzatori sociali in deroga fino al Reddito di Emergenza che si è andato ad aggiungere al nuovo Reddito di Cittadinanza introdotto nel 2018), infatti, hanno soltanto tamponato l’emergenza occupazionale. La crisi da Covid-19 si è abbattuta su un Paese in cui, nel 2018, oltre 16 milioni di persone erano classificate come a rischio di povertà ed esclusione sociale, segnalando una questione sociale di enormi proporzioni che l’assenza prolungata di politiche dedicate ha acuito. Solo di recente, prima con il Reddito di Inclusione (REI) e poi con il Reddito di cittadinanza (RdC), anche l’Italia è arrivata a dotarsi di una politica nazionale di contrasto alla povertà. In ritardo rispetto alla gran parte dei paesi europei, nel giro di due anni, sono aumentati come mai prima i fondi destinati a contrastare il rischio povertà. Nel loro insieme queste misure hanno avuto un impatto positivo sul contrasto all’esclusione sociale. L’Istat ha stimato in 148 mila le famiglie in meno in povertà assoluta dall’entrata a regime del Reddito di Cittadinanza, per un totale di 447.000 persone. Si tratta di una riduzione importante che ha avuto effetti positivi anche sulla riduzione dell’intensità della povertà, ma certamente non basta perché accanto a questo è fondamentale tornare a far crescere l’occupazione. In tal senso non aiuta che le politiche attive del lavoro siano rimaste sostanzialmente inattuate ed il loro impianto rimasto deficitario. Da Luglio 2020 le condizionalità sono state riattivate, in un quadro tuttavia segnato da una crisi strutturale della domanda di lavoro per effetto della recessione innescata dalla crisi sanitaria. E’ difficile immaginare un ritorno alla normalità in tempi brevi. Soprattutto è difficile ipotizzare che le condizionalità, da sole, possano agevolare il reinserimento lavorativo, considerando le molteplici difficoltà che già in partenza scontano i percettori di sussidi nella ricerca di un lavoro: bassa qualificazione, assenza prolungata di una occupazione, più svariate forme di fragilità sociale e familiare. In una fase come quella che stiamo attraversando, la riorganizzazione delle politiche attive del lavoro e un’azione più interventista delle istituzioni (e della società con le istituzioni) può e deve sostenere la creazione di nuova occupazione in settori nei quali c’è una domanda potenziale di lavoro da sostenere. Dalla salvaguardia e tutela del territorio e dell’ambiente, ai beni sociali e culturali, alle produzioni e specializzazioni a più alto tasso di innovazione, ci sono settori che chiedono di essere governati dal punto di vista della domanda di lavoro. Tra questi c’è certamente anche quello della cura e dei servizi alle persone, in Italia sottodimensionati rispetto agli standard europei (soprattutto quelli dei paesi scandinavi), con gravi penalizzazioni sulle donne, sia per la minore disponibilità di servizi di conciliazione, sia perché ne rappresentano la gran parte degli occupati. Questo, come detto all’inizio, dovrebbe spingere a rilanciare gli investimenti sulle infrastrutture sociali e i servizi di welfare per sostenere l’occupazione femminile e anche creare lavoro e nuove reti d’imprese sociali soprattutto alla luce del fatto che l’occupazione nei servizi di welfare è cresciuta in tutta Europa a ritmi sostenuti negli ultimi anni. Per dare un’idea delle potenzialità del settore, basta ricordare che tra il 2008 e il 2018 nei servizi di welfare sono stati creati 2,3 milioni di posti di lavoro (+37,6% nell’assistenza residenziale; +19,9% nell’assistenza domiciliare). A tutti gli effetti il welfare territoriale è un serbatoio di nuova occupazione, da governare, non lasciare al sommerso o al welfare fai da te. Per molti di questi servizi i problemi riguardano semmai la pressione al ribasso nel costo del lavoro e il fatto che non sono accessibili a tutti, soprattutto in alcuni paesi (e tra questi l’Italia occupa una posizione di particolare svantaggio). La recessione innescata dalla pandemia ha impattato negativamente su questi settori, ma una volta riassorbita l’emergenza sanitaria è da qui tuttavia che bisogna ripartire se vogliamo ridare slancio all’occupazione femminile, in termini di conciliazione vita-lavoro e anche creazione diretta di nuova

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occupazione poiché l’Italia, ed il Mezzogiorno in particolare, ha molto terreno da recuperare rispetto alla gran parte dei paesi europei, dato il basso livello di occupati nei settori legati alla cura e alla sanità. Le dotazioni infrastrutturali del paese, infatti, risentono a tutti i livelli di un gap di investimenti assolutamente da colmare. Questo vale per ponti, strade e ferrovie, ma non di meno vale per le infrastrutture sociali: scuole, ospedali, strutture ad alta integrazione socio-sanitaria, asili, università che svolgono un ruolo cruciale nel rendere equa e sostenibile la crescita. A causa dei vincoli imposti dalle misure di contenimento fiscale, la quota di investimenti fissi sulle infrastrutture sociali è rimasto stagnante in questi anni, con ripercussioni negative sulla capillarità dei servizi, specie nelle regioni del Mezzogiorno, dove alla perdurante stagnazione economica si è aggiunto il peso di una crescente desertificazione sociale. La forte ripresa dell’emigrazione da queste regioni, soprattutto quella altamente scolarizzata, tra cui la nostra Puglia, non dipende solo dalla mancanza di adeguate occasioni di lavoro, ma è anche un problema anche di qualità della vita, di servizi e infrastrutture sociali scadenti o disperse sul territori, di diritti di cittadinanza e livelli essenziali delle prestazioni negati, soprattutto nelle aree interne. In questo senso, l’obiettivo di arrivare a una copertura dei servizi all’infanzia sul piano nazionale dell’83% (dall’attuale 25,5%), con la creazione di circa 622.500 nuovi posti entro il 2026 è ambizioso, ma fondamentale. Gli investimenti sulle infrastrutture sociali e sul welfare locale possono costituire, quindi, un volano per la crescita economica, tanto più nella fase di crisi che stiamo vivendo. Naturalmente le politiche sociali non possono certo sostituire le politiche industriali o gli investimenti per qualificare il tessuto produttivo, che devono restare un obiettivo prioritario, ma possono certamente contribuire a creare un ambiente favorevole alla transizione verso produzioni a più alto valore aggiunto, favorendo la crescita della produttività e la qualificazione del lavoro verso i settori più qualificati. Ma se è così, a maggior ragione abbiamo bisogno di politiche economiche che incorporano finalità sociali e di politiche sociali che siano in grado di produrre impatti economici, diretti e indiretti. Il PNRR italiano, appena approvato, con la sua enorme mole di risorse stanziate (tra prestiti e contributi a fondo perduto) di oltre 200 miliardi di euro, a cui vanno ad aggiungersi parte dei fondi di coesione all’interno del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, rappresenta un’occasione storica e straordinaria per trasformare e far progredire il nostro Paese. Le quantità di risorse stanziate sono, infatti, senza precedenti e, in ottemperanza alle linee guida europee, sono destinate a tre assi strategici: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale. Avremo così, per davvero, l’opportunità di ridurre i divari tra nord e sud e di tornare finalmente a crescere scegliendo una via alta alla competitività, non più basata su bassi salari, lavoro poco qualificato, welfare residuale. In questa importante sfida per il futuro una regione come la Puglia, per certi versi più avanzata di altre regioni del sud, potrà e dovrà certamente profondere tutte le proprie energie e forze, coinvolgendo a pieno enti locali, cittadini, stakeholders, parti sociali, associazionismo. In gioco c’è il futuro di tutti quanti noi. Elisa Mariano

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LA SALUTE La possibilità di vivere una vita lunga e in buona salute rappresenta un aspetto fondamentale per il benessere. Nel corso del tempo la speranza di vita, che rappresenta il numero atteso di anni che una persona vivrà al momento della nascita, in Italia è costantemente aumentata, tanto da collocare il nostro paese fra i più longevi dell’Europa e del mondo.

Valore ultimo anno disponibile

INDICATORE Speranza di vita alla nascita (anni, 2020) (a) (a)

Puglia

Mezzogiorno

82,1

82,2

Situazione rispetto all'anno precedente

Italia Puglia 82,3

dato stimato

Situazione rispetto al 2010

Mezzogiorno

Italia

Puglia

Mezzogiorno

Italia

=

-

=

+

=

-

+ migliorata – peggiorata = stabile

IN PUGLIA PERSI 1,2 ANNI FRA IL 2019 E IL 2020. CON LA PANDEMIA AZZERATI I GUADAGNI DI 10 ANNI Nel 2010 la speranza di vita era di 81,7 anni: nel 2019 si attestava a 83,2 anni, per un guadagno di 1,5 anni di vita in poco meno di un decennio. Nell’arco di tempo fra il 2010 e il 2019 la longevità è stata più elevata al Nord e al Centro, in cui si sono registrati valori sempre superiori alla media nazionale. Nel Mezzogiorno, al contrario, la speranza di vita fino al 2019 è stata sempre inferiore al dato complessivo. In questo scenario, che naturalmente non tiene conto dello shock pandemico di cui si parlerà di seguito, la Puglia si colloca nettamente al di sopra della media del Mezzogiorno attestandosi su valori in linea (e in alcuni anni leggermente superiori) a quello medio nazionale, a testimonianza di uno stato di salute dei suoi abitanti migliore rispetto al complesso delle regioni meridionali.

Speranza di vita alla nascita per ripartizione geografica e Puglia, in anni. Anni 2010-2020 (a). 84 83,5 83 82,5 82 81,5 81 80,5 80

2010

2011 Nord

2012

2013 Centro

2014

2015

2016

Mezzogiorno

2017

2018 Italia

2019

2020 Puglia

Fonte: Istat, Tavole di mortalità della popolazione italiana. (a) Dati per il 2020 stimati

Con la pandemia questo trend positivo si è bruscamente interrotto: nel 2020 si osserva infatti una diminuzione dell’indicatore in tutte le ripartizioni, meno accentuata al Centro e nel Mezzogiorno (ma si ricorda che in questa ripartizione la speranza di vita è più bassa). Naturalmente questa dinamica è dovuta al diverso grado di diffusione del Covid-19 nel territorio nazionale che, come noto, ha investito in misura 7 11


maggiore il Nord del paese. Quanto ha impattato la pandemia sulla speranza di vita? Secondo le stime preliminari, fra il 2019 e il 2020 a livello nazionale si è avuta una perdita di 0,9 anni di vita, valore che arriva a 1,6 anni al Nord (portando in questo caso il livello al di sotto di quello del 2010), si attesta su 0,5 al Centro e tocca il minimo nel Mezzogiorno con 0,3 anni di vita persi. Ampia la variabilità regionale, legata come già accennato alla differente geografia dei contagi: in Lombardia gli anni di vita persi arrivano a 2,5 mentre in Calabria non si registrano differenze. In questo quadro la Puglia registra una riduzione superiore a quella media nazionale e più elevata rispetto a quella del Mezzogiorno: gli anni di vita persi fra il 2019 e il 2020 sono 1,2 e la speranza di vita passa a 82,1 anni (erano 83,3 nel 2019), valore solo di poco superiore a quello del 2010 (82 anni) e inferiore a quello nazionale (82,3). Fra le regioni del Mezzogiorno un calo superiore alla media Italia si registra in Abruzzo e Sardegna. Differenze nella speranza di vita per ripartizione e Puglia, in anni. Anno 2020 (a). 1,2

1,1 0,6 0,1

-0,5

-0,1

-0,3 -0,9 -1,2

-1,6 DIFFERENZA RISPETTO AL 2019 Nord

Centro

DIFFERENZA RISPETTO AL 2010 Mezzogiorno

Italia

Puglia

Fonte: Istat, Tavole di mortalità della popolazione italiana. (a) Dati per il 2020 stimati

Differenze nella speranza di vita per regione, in anni. Anno 2020 (a). 2,5 2 1,5 1 0,5 0 -0,5 -1 -1,5 -2 -2,5 -3

DIFFERENZA RISPETTO AL 2019

DIFFERENZA RISPETTO AL 2010

Fonte: Istat, Tavole di mortalità della popolazione italiana. (a) Dati per il 2020 stimati

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LA QUALITÀ DEI SERVIZI: FOCUS SULLA SANITÀ La pandemia ha drammaticamente investito il nostro paese, riportando all’attenzione pubblica temi come la necessità di disporre di un sistema sanitario adeguato, che consenta a chi ne ha bisogno di potersi curare. La tutela della salute è un diritto fondamentale delle persone, come sancisce la Costituzione all’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”. Forse mai come in questo momento queste parole appaiono significative: nel nostro paese qualità, quantità, accessibilità ai servizi sanitari sono poco uniformi sul territori e le divergenze non solo fra Nord e Sud ma anche all’interno delle singole ripartizioni e regioni appaiono rilevanti. Tabella riepilogativa su una selezione di indicatori Bes del dominio Qualità dei servizi Situazione rispetto all'anno precedente

Valore ultimo anno disponibile INDICATORE Posti letto nei presidi residenziali socioassistenziali e socio-sanitari (per 10.000 abitanti, 2018) Anziani trattati in assistenza domiciliare integrata (%, 2019) (a) Emigrazione ospedaliera in altra regione (%, 2019) Rinuncia a prestazioni sanitarie (%, 2020) (b) (c) Medici (per 1.000 abitanti, 2019) (c) (d) Infermieri e ostetriche (per 1.000 abitanti, 2019) (c) (e) (a) variazioni rispetto al 2015 (b) variazioni rispetto al 2017 (c) dato provvisorio (d) variazioni rispetto al 2012 (e) variazioni rispetto al 2013

Situazione rispetto al 2010

Puglia

Mezzogiorno

Italia

Puglia

Mezzogiorno

Italia

Puglia

Mezzogiorno

Italia

36,4

38,6

69,6

=

=

+

+

-

=

2

2,6

2,7

9

10,9

8,3

+ +

+ =

= +

+ -

+ -

+ -

10,7

9

9,6

3,8

4,1

4

6

5,4

5,9

+ -

+ -

= -

+ + +

+ + +

+ +

+ migliorata – peggiorata = stabile

NEL 2020 PIÙ DI UN PUGLIESE SU DIECI RINUNCIA ALLE CURE Rinunciare alle prestazioni sanitarie rappresenta senza dubbio un rischio per la salute e il benessere delle persone. Il dato (provvisorio) sulla rinuncia a visite specialistiche (escluse le visite odontoiatriche) o accertamenti diagnostici (come ad esempio TAC, radiografie, ecografie…) nonostante il bisogno3, mostra nel 2020 un significativo aumento rispetto al 2019, invertendo la tendenza al miglioramento che si era registrata dal 2017 (primo anno disponibile). A livello nazionale si tratta di 1 persona su 10, un livello che supera anche quello del 2017. Al Nord, a fronte di un livello dell’indicatore solo di poco superiore a quello medio nazionale, si osservano variazioni consistenti fra il 2019 e il 2020: solo per fare qualche esempio, il dato è più che raddoppiato in Liguria, Emilia-Romagna e nelle Province Autonome di Trento e Bolzano. Le chiusure e le restrizioni imposte dal lockdown, più severe in questi territori, hanno certamente avuto un impatto sulla crescente rinuncia alle cure, anche se a oggi non è ancora possibile fare una valutazione. Al Centro si registra il valore più elevato e pari al 10,3% (6,9% nel 2019 e 8,5% nel 2017): a eccezione della Toscana, in tutte le altre regioni della ripartizione il dato supera quello nazionale, raggiungendo il picco nel Lazio (11,5%). Nel

Percentuale di persone che, negli ultimi 12 mesi, hanno dichiarato di aver rinunciato a qualche visita specialistica o a esame diagnostico (es. radiografie, ecografie, risonanza magnetica, TAC, ecodoppler, o altro tipo di accertamento, ecc.) pur avendone bisogno, a causa di uno dei seguenti motivi: non poteva pagarla, costava troppo; scomodità (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi); lista d’attesa lunga. 3

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Mezzogiorno il dato del 2019 è leggermente inferiore a quello nazionale. Sicilia (7,5%), Campania e Calabria (7,4%) sono le regioni in cui il dato è più basso. In Puglia si osserva al contrario un valore più elevato, pari al 10,7% della popolazione, e una variazione simile (+48% circa rispetto al 2019). Ad ogni modo, sia il dato del Mezzogiorno sia quello della Puglia mostrano segnali di miglioramento rispetto al 2017, contrariamente a quanto avviene a livello nazionale.

Persone che negli ultimi 12 mesi hanno rinunciato a prestazioni sanitarie pur avendone bisogno, per ripartizione e Puglia. Anni 2017-2020 (a). Valori percentuali. 12 11 10 9 8 7 6 5 4

2017 Nord

2018 Centro

2019 Mezzogiorno

2020 Italia

Puglia

Fonte: Istat - Indagine Aspetti della vita quotidiana (a) Dati per il 2020 provvisori Persone che negli ultimi 12 mesi hanno rinunciato a prestazioni sanitarie pur avendone bisogno, per regione. Anni 2019 e 2020 (a). Valori percentuali 16 14 12 10 8 6 4 2 0

2020

2019

Fonte: Istat - Indagine Aspetti della vita quotidiana (a) Dati per il 2020 provvisori

POCHI MEDICI RISPETTO ALLA MEDIA, IN CRESCITA GLI INFERMIERI La struttura della rete di offerta dei servizi sanitari e la dotazione di risorse umane rappresentano elementi chiave per garantire a tutti i cittadini uguale accesso alle cure. Per quanto riguarda la dotazione di risorse umane, il Bes 2020 prende in considerazione due nuovi indicatori relativi alla dotazione di medici e personale

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infermieristico rispetto alla popolazione. Complessivamente, il numero di medici praticanti (specialisti, medici di base e pediatri di libera scelta che svolgono la loro attività nel sistema sanitario pubblico e privato) in rapporto alla popolazione si mantiene relativamente stabile nel tempo: nel 2019 in Italia operavano 4 medici ogni 1.000 abitanti, con un gradiente territoriale che vede le regioni del Nord (3,8) meno dotate rispetto al Centro (4,5) e, in misura minore, al Sud (4,1). Fra le regioni con un numero di medici in rapporto alla popolazione elevato troviamo la Sardegna (4,8), il Lazio (4,7), la Liguria (4,6), l’Umbria (4,5), la Toscana (4,4). Il territorio pugliese purtroppo non è fra quelli più dotati di personale medico: con 3,8 medici ogni 1.000 abitanti si colloca fra le regioni meridionali più svantaggiate, con Campania, Basilicata e Calabria. Non consola che il dato sia più elevato di quello registrato in regioni come la Lombardia, il Veneto, il Piemonte, le PA di Trento e Bolzano. Considerando il personale infermieristico, i dati al 2019 mostrano differenze più ampie fra le diverse ripartizioni, a svantaggio del Mezzogiorno in cui operano 5,4 infermieri ogni 1.000 abitanti rispetto ai 6,2 del Nord e del Centro. Il Lazio, che primeggia per numero di medici, mostra una scarsa dotazione di personale infermieristico e ostetrico, pari a 5,6 ogni 1000 abitanti; ancora più basso il dato della Lombardia (5,5). Le prime tre regioni per numero di infermieri e ostetriche sono invece la PA di Bolzano, 7,7 ogni 1000 abitanti, il Molise a quota 7,6, che presenta anche una buona copertura di medici, l’Umbria con 7,3. In questo caso il dato pugliese di 6 infermieri ogni 1.000 abitanti supera non solo quello della ripartizione di appartenenza ma anche quello medio nazionale, pur partendo in questo caso da una situazione più sfavorevole nel 2013, anno di inizio della serie.

Disponibilità di medici e infermieri per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2013 e 2019 (a). Valori per 1.000 abitanti. 7 6 5 4 3 2 1

Medici

Puglia

Italia

Mezzogiorno

Centro

Nord

Puglia

Italia

Mezzogiorno

Centro

Nord

0

Infermieri e ostetriche 2013

2019

Fonte: IQVIA ITALIA - One-Key Database (medici) e Co.Ge.A.P.S. (Consorzio Gestione Anagrafica Professioni Sanitarie) - Banca dati Nazionale dei crediti ECM (Infermieri e ostetriche). (a) Dati per il 2019 provvisori

15


Disponibilità di infermieri per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2013-2019 (a). Valori per 1.000 abitanti. 6,5 6,3 6,1 5,9 5,7 5,5 5,3 5,1 4,9 4,7 4,5

2013

2014 Nord

2015 Centro

2016 Mezzogiorno

2017

2018 Italia

2019 Puglia

Fonte: Co.Ge.A.P.S. (Consorzio Gestione Anagrafica Professioni Sanitarie) - Banca dati Nazionale dei crediti ECM (Educazione Continua in Medicina). (a) Dati per il 2020 provvisori

CRESCONO I RICOVERI IN ALTRA REGIONE: EMIGRANO PER RICEVERE CURE OSPEDALIERE 9 PUGLIESI SU 100. Il tasso di emigrazione ospedaliera per acuti, che esprime una misura di quanto ci si sposti dalla regione di residenza per accedere alle cure ospedaliere, da un lato può essere letto come un segnale di sfiducia da parte dell’utente nella capacità delle strutture locali di rispondere ai bisogni di cura, dall’altro può essere indicatore di una carenza effettiva di strutture specialistiche, e dunque di una mancata risposta da parte della sanità regionale. Nel 2019 in Italia il valore dell’indicatore si attestava all’8,3%, in aumento rispetto al 2010 anche se con marcate differenze fra i territori. Nel Mezzogiorno il valore è più elevato rispetto alle altre ripartizioni, attestandosi al 10,9%. In Puglia, la quota di dimissioni ospedaliere che avviene in regioni diverse è più alta del livello nazionale e pari al 9% del totale, il doppio dell’emigrazione che si registra in Lombardia. Questo livello è tuttavia più basso di quello del Mezzogiorno nel suo complesso, penalizzato da una mobilità elevata soprattutto nelle piccole regioni come il Molise, dove il 28,6% dei ricoveri avviene in altra regione e in Basilicata, dove il dato è al 24,7%. Da tenere in considerazione anche il confronto con il 2010, che mostra un incremento dell’indicatore più elevato in Puglia sia rispetto alla media nazionale sia rispetto al dato della ripartizione di riferimento.

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Emigrazione ospedaliera in regioni diverse da quella di residenza per ricoveri ordinari acuti per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010 e 2019. Per 100 dimissioni di residenti nella regione. 12 10 8 6 4 2 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2010

Italia

Puglia

2019

Fonte: Istat - Elaborazioni su dati delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) del Ministero della salute.

Emigrazione ospedaliera in regioni diverse da quella di residenza per ricoveri ordinari acuti per regione. Anno 2019. Per 100 dimissioni di residenti nella regione. 30 25 20 15 10 5 0

Fonte: Istat - Elaborazioni su dati delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) del Ministero della salute.

UN’ASSISTENZA TERRITORIALE POCO CENTRALE NEL SISTEMA DI WELFARE PUGLIESE: SCARSI I POSTI NELLE STRUTTURE RESIDENZIALI, POCHI GLI ANZIANI TRATTATI IN ADI. Il tema dell’assistenza sanitaria legata alle cronicità e all’invecchiamento della popolazione è centrale nel dibattito sull’organizzazione dei servizi sanitari e sociali e sulla sostenibilità complessiva del sistema, che si trova a fronteggiare nuovi bisogni. In questo quadro, il Bes esamina sia l'offerta di strutture residenziali socioassistenziali che l’accesso alle prestazioni di assistenza domiciliare integrata. Questi due servizi rappresentano le forme principali di assistenza delle cronicità centrata sulla medicina del territorio e sulle reti assistenziali. I primi dati che presentiamo sono relativi ai posti letto disponibili nelle strutture residenziali socio-assistenziali ed includono tutte le strutture, pubbliche e private, che erogano servizi residenziali 13 17


(ospitalità assistita con pernottamento) di tipo socio-assistenziale e/o socio-sanitario. Tuttavia, questo modello di assistenza, proprio durante la pandemia, ha mostrato i suoi limiti soprattutto se pensiamo all’istituzionalizzazione degli anziani in strutture molto grandi e spersonalizzanti. Anche per questa ragione sarà utile verificare la diffusione del servizio di ADI. In linea generale, possiamo evidenziare forti distanze fra il Nord e il resto del Paese per ciò che attiene la dotazione di posti letto in strutture residenziali di assistenza. Nel 2018, infatti, la dotazione nelle regioni settentrionali si attesta su quasi 100 posti per 100.000 abitanti, superata in ben sette regioni (PA di Trento e Bolzano, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Liguria ed Emilia-Romagna) mentre a livello nazionale il dato non arriva a 70 posti. Il Mezzogiorno resta fanalino di coda: i posti sono meno di 40 ogni 100.000 abitanti, e la Puglia si colloca (anche se di poco) al di sotto di questa soglia, collocandosi agli ultimi posti fra le regioni con 36,4 posti disponibili in questo tipo di strutture. Un dato inferiore alla Puglia si riscontra soltanto in Campania, dove abbiamo meno di 20 posti letto ogni 100.000 abitanti. La dinamica non mostra segnali di inversione di tendenza: nell’arco di tempo fra il 2010 e il 2018, ultimo anno disponibile, i divari della Puglia con il Nord e il Centro non sono stati ridotti, anche se il trend è positivo al contrario di quanto registrato nel Mezzogiorno nel complesso.

Posti letto nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010 e 2018. Valori per 10.000 abitanti. 120 100 80 60 40 20 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2010

Italia

Puglia

2018

Fonte: Istat, Indagine sui Presidi socio-assistenziali e socio-sanitari. Posti letto nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010-2018. Valori per 10.000 abitanti. 120 100 80 60 40 20 0

2010

2011 Puglia

2012 Nord

2013

2014 Centro

2015

2016

2017

Mezzogiorno

Fonte: Istat, Indagine sui Presidi socio-assistenziali e socio-sanitari.

18

2018 Italia


Come anticipato, un elemento che va a misurare il livello di strutturazione di quei servizi territoriali che rappresentano il livello intermedio tra l’assistenza di base e quella ospedaliera, rispondendo alla diversificazione delle risposte sanitarie ai bisogni di salute, è quello dell’Assistenza domiciliare integrata (ADI). L’ADI rappresenta un insieme di attività mediche, infermieristiche, riabilitative e socio-assistenziali prestate al domicilio del paziente sulla base di un piano assistenziale individualizzato, integrate fra loro tramite un approccio multidisciplinare (clinico, organizzativo, gestionale), erogate con il fine di migliorare, mantenere o recuperare lo stato di salute o ottimizzare il livello di indipendenza, minimizzando gli effetti di handicap o malattie, incluse quelle terminali. I dati relativi agli anziani trattati in ADI non mostrano elevate differenze territoriali, segno di un generale e scarso investimento su questa forma di assistenza. Al Nord solo 3 anziani su 100 usufruiscono di tale servizio, nel Mezzogiorno 2,6 e nella ripartizione Centro il dato medio è 2,3. La situazione pugliese non è delle migliori: con solo 2 anziani ogni 100 trattati in ADI, infatti, la regione si colloca sotto la media Italia e Mezzogiorno, anche se è importante sottolineare che il trend degli ultimi 5 anni mostra una dinamica positiva con un dato che passa dal 1,4 del 2015 al 2 del 2019, una variazione superiore rispetto a quella riscontrata per l’Italia che nello stesso periodo passa dal 2,2 al 2,7.

Anziani (65 anni e oltre) trattati in assistenza domiciliare integrata per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2015 e 2019. Valori percentuali. 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2015

Italia

Puglia

2019

Fonte: Istat - Elaborazione su dati Ministero della Salute, Sistema Informativo Sanitario (SIS).

Anziani (65 anni e oltre) trattati in assistenza domiciliare integrata per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2015-2019. Valori percentuali. 3,5 3 2,5 2 1,5 1

2015 Nord

2016 Centro

2017 Mezzogiorno

2018

2019 Italia

Puglia

Fonte: Istat - Elaborazione su dati Ministero della Salute, Sistema Informativo Sanitario (SIS).

19



IL LAVORO FRA CRISI PANDEMICA E FRAGILITÀ CONSOLIDATE Se il 2019 era stato l’anno del recupero dopo la grande recessione, con un ritorno dei tassi di occupazione ai livelli del 2008, il 2020 rappresenta per il mercato del lavoro italiano uno shock ancora maggiore rispetto alla grande recessione di cui non è ancora possibile cogliere completamente l’entità. Nonostante il perdurare del blocco dei licenziamenti, il calo dell’occupazione registrato nel 2020 è, secondo le parole dell’Istat, senza precedenti: gli occupati (15 anni e più) sono 456mila in meno rispetto al 2019, corrispondenti a un calo del 2% piuttosto omogeneo fra le ripartizioni (al Nord e Mezzogiorno -2%, nel Centro -1,8%) e di questi 249mila sono donne, per le quali il calo è più intenso e pari al 2,5%. La pandemia, infatti, ha rappresentato un vero e proprio cigno nero per il lavoro femminile che è stato riportato indietro di almeno 4 anni evidenziando, così, anche la fragilità del traguardo raggiunto solo un anno prima. Nel 2019, infatti, il tasso di occupazione femminile nella classe di età 15-64 aveva toccato il 50,1%, certo sempre poco rispetto alla media europea dello stesso anno che era pari al 63%, ma nell’anno della pandemia è di nuovo crollato al 49%, ben 18,2 punti sotto quello maschile. Questo vero e proprio crollo è imputabile al fatto che ad essere stati colpiti dalla pandemia, più che il settore industriale, sono stati i servizi: cura, assistenza, ristorazione, turismo sono infatti i settori sui la crisi ha picchiato più duramente e questi sono anche i settori in cui a essere impiegate maggiormente sono soprattutto le donne, considerando anche istruzione e sanità circa 8 su 10. Non solo, questi sono anche i settori dove l’occupazione è instabile e precaria per definizione e dove si riscontrano più facilmente lavoratori a termine, che insieme alle donne sono stati i più penalizzati perché non hanno potuto beneficiare del blocco dei licenziamenti, part-time involontario, salari bassi. Allo stesso tempo particolarmente preoccupante appare, nell’anno pandemico, l’aumento degli inattivi (1564enni), ossia di coloro che non hanno un lavoro e non lo cercano. Sono, infatti, circa 567mila in più gli inattivi rispetto all’anno pre-covid, segnando un aumento del +4,3%. Di questi ben 310mila sono donne e 256mila sono uomini, rendendo evidente anche qui il pesante effetto che la crisi dovuta al Covid ha avuto in particolare sulle donne. Questo dato si accompagna, e va letto, contestualmente al calo della disoccupazione (-271 mila, -10,5%) che non deve sorprende se si considera che, durante l’ultimo anno, e in particolare nei mesi in cui le restrizioni si sono fatte più stringenti, la ricerca di un’occupazione (che per Istat definisce lo status di disoccupato) è stata difficoltosa quando non concretamente possibile. Le disoccupate donne diminuiscono di -140mila unità, pari al -11,4%. I dati evidenziati, lungi dall’essere un problema solo delle donne, rappresentano una vera e propria emergenza nazionale e come tali andrebbero considerati dai policy makers. Anche in Puglia gli occupati al 2020 sono calati, rispetto all’anno precedente, e sono circa 13mila in meno (di cui circa 3.700 donne pari al -0,8%): in termini relativi, la diminuzione nel complesso è pari al -1%, meno elevata rispetto alla media nazionale (-2%) e al Mezzogiorno (-2%). In termini assoluti, fra gli occupati pugliesi, a diminuire sono soprattutto gli uomini, a differenza di ciò che accade per l’Italia (-2,5% per le donne) e per il Mezzogiorno (-3%). Ma il calo delle donne, sebbene inferiore a quello dei maschi, spinge ancora più giù il livello dell’occupazione femminile pugliese, già tra i più bassi d’Italia. Come per il resto d’Italia, anche in Puglia la disoccupazione è diminuita, segno che molte persone hanno smesso di cercare lavoro. Nel 2020 le persone in cerca di lavoro sono poco meno di 200mila, in calo di oltre 16mila rispetto al 2019, pari al -7,6%. Infine, anche nella nostra Regione, nel 2020, si conta un aumento degli inattivi (fascia d’età 15-64), ossia di coloro che non lavorano e non cercano occupazione, di poco meno di 10mila unità, pari ad uno 0,8% in più in termini relativi rispetto all’anno precedente. Un tratto

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particolarmente interessante di questo fenomeno è che a essere aumentata è, per la quasi totalità, la componente maschile (+2,4%).

L’OCCUPAZIONE NEL FRAMEWORK BES L’analisi dell’occupazione nel BES considera il tasso di occupazione relativo alla fascia di età 20-64 anni. Per questa fascia di età, infatti, esiste uno specifico obiettivo della strategia Europa2020 che punta a portare il livello almeno al 75%. In Italia nel 2020 il tasso di occupazione per questa fascia d’età è pari al 62,6%, dunque ancora molto lontano dal target. Ciò vale sia a livello nazionale sia considerando le ripartizioni, ed anche a prescindere dallo shock indotto dalla pandemia. Vediamo quindi, la dinamica del tasso di occupazione nelle diverse ripartizioni italiane e in Puglia secondo l’indicatore BES (20-64enni). L’unica regione italiana in cui l’obiettivo è stato raggiunto e superato è la provincia autonoma di Bolzano, inoltre la pandemia ha inflitto certamente una battuta d’arresto a un trend per questo indicatore che, negli ultimi anni, aveva mostrato una dinamica positiva segnando una crescita costante. Il dato nazionale del 2020, infatti, è più basso di circa un punto percentuale rispetto al 2019. La caduta è stata più elevata al Nord: in questa ripartizione infatti, il tasso di occupazione è sceso di 1,4 punti percentuali, passando dal 72,9% al 71,5%. Il tasso di occupazione nella ripartizione Centro, invece, è il 67,4% (sempre per le persone fra 20 e 64 anni). La differenza fra i tassi del 2019 e del 2020 è in linea con il dato nazionale, con un calo di circa un punto percentuale. Nel Mezzogiorno, come è prevedibile, il tasso si riduce al 48% anche se, tra il 2019 ed il 2020, mostra una diminuzione più contenuta e pari a 0,5 punti (era al 48,5% nel 2019) rispetto alle altre ripartizioni geografiche. Nonostante questa dinamica di breve periodo, lievemente meno negativa per le regioni meridionali, i dati menzionati mostrano divari territoriali nei livelli occupazionali ancora molto ampi, e questo è particolarmente vero se si guarda alla dimensione di genere. Il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno è ancora paurosamente basso e si attesta al 35,1%. Se lo confrontiamo con il tasso di occupazione maschile, nella stessa ripartizione, la differenza è di ben 26 punti percentuali, mentre il confronto con il dato relativo alle donne residenti al Nord, dove il 63,3% lavora, è ancora più impietoso e vede un distacco fra i due tassi di oltre 28 punti percentuali. Nel 2020, inoltre, le donne del Mezzogiorno, che già faticano a entrare nel mercato del lavoro, hanno subito in misura maggiore l’impatto della crisi pandemica: il tasso di occupazione per le donne meridionali, già di per se basso, è sceso in misura maggiore rispetto a quello dei coetanei maschi (-0,7 punti percentuali contro -0,4 dei maschi in termini assoluti). Anche al Centro si osserva una maggiore vulnerabilità delle occupate (-0,4 punti in meno per gli uomini e -1,3 per le donne) e ciò si traduce in un allargamento del divario di genere anche a livello nazionale. Nel 2020, infatti, la forbice fra i tassi di occupazione maschili e femminili in Italia è di circa 20 punti percentuali, più elevata di quella media europea. In Puglia nel 2020 il tasso di occupazione nella fascia dei 20-64enni è pari al 50% (Italia 62,6%): cioè lavora una persona su due. Quello pugliese è un tasso di occupazione fra i più bassi d’Italia con un gap rispetto al livello medio nazionale di ben 12,6 punti percentuali e distante da quello europeo oltre 22 punti (72,3%). Si osservano livelli più bassi di quello pugliese soltanto in tre regioni: Sicilia e Campania (al 44,5%) e Calabria (44,4%). Proprio per questa ragione non consola il fatto che il tasso della Puglia sia superiore di 2 punti percentuali rispetto a quello medio del Mezzogiorno, che è trascinato in basso dai dati drammatici delle tre regioni citate. La scarsa performance occupazionale della regione è imputabile ai bassissimi livelli di partecipazione femminile al mercato del lavoro: il tasso di occupazione maschile, infatti, è pari al 64,8%, un valore non molto inferiore a quello medio nazionale (fra i 20-64enni maschi è in Italia al 72,6% e in Europa al 78%), che raggiunge, quasi, i livelli del Centro (sempre relativi al totale). Quello femminile, al contrario, si attesta al

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35,5% (52,7% Italia, 66,7% Europa) ed è solo di poco superiore a quello complessivo del Mezzogiorno (35,1%). In Puglia, infatti, si registra il più elevato gap di genere tra gli occupati dell’intero Paese, con ben 29,3 punti di differenza fra i tassi di occupazione maschile e femminile. Un gap che perdura nel tempo, mitigato in ambito regionale soltanto dal rallentamento del tasso di occupazione maschile rispetto a quello femminile.

Tasso di occupazione della popolazione di 20-64 anni per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010, 2019 e 2020. Valori percentuali 80,0 70,0 60,0 50,0 40,0 30,0 20,0 10,0 0,0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2020

2010

Italia

Puglia

2019

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro

Tasso di occupazione della popolazione di 20-64 anni per sesso, UE27, Italia e Puglia. Anno 2020. Valori percentuali 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Totale

Maschi EU27

Italia

Femmine Puglia

Fonte: Eurostat database e Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro

23


Tasso di occupazione della popolazione di 20-64 anni per sesso, ripartizione geografica e Puglia. Anno 2020. Valori percentuali 90,0 80,0 70,0 60,0 50,0 40,0 30,0 20,0 10,0 0,0

Nord

Centro

Mezzogiorno Totale

Maschi

Italia

Puglia

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro

Tassi di occupazione maschili e femminili della popolazione di 20-64 anni in Puglia. Anni 2010-2020. Valori percentuali 70 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Maschi

2016

2017

2018

2019

2020

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro

La questione di genere rappresenta, quindi, una chiave di lettura imprescindibile per comprendere i divari che caratterizzano il mercato del lavoro italiano e quello pugliese in particolare. Divari che corrono anche lungo altre dimensioni come quelle territoriali (fra il Nord e il Sud del Paese), che neanche un elevato titolo di studio riesce a livellare; quelle generazionali, con la particolare difficoltà dei giovani soprattutto ad inserirsi nel mercato del lavoro, quelle connesse ai carichi di cura ed alla conciliazione che riguardano prevalentemente le donne, le quali, proprio per questa ragione tendono ad essere espulse più facilmente dal mercato del lavoro. Anche i bassi livelli di istruzione incidono sulla possibilità di trovare un’occupazione, penalizzando i poco qualificati. Questo alimenta un mercato del lavoro, anche nella nostra regione, che si distingue per precarietà e basse paghe. Per queste ragioni, oltre al livello dell’occupazione, che rappresenta un indispensabile fattore per la crescita, e a quello della mancata partecipazione al lavoro, abbiamo ritenuto importante considerare in questo report anche gli aspetti inerenti la qualità del lavoro che viene creato osservando, ad esempio, l’incidenza di lavori

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precari e a bassa paga, la presenza di part-time involontario e la sovraistruzione, che sono solo alcuni tra gli indicatori che il Bes offre per misurare il benessere dei lavoratori. Questi indicatori, pur se aggiornati al 2019, e non come altri al 2020, ci consentono di tracciare un quadro delle condizioni del nostro mercato del lavoro nell’anno che precede la pandemia. Questo ci appare comunque utile al fine di focalizzare quelle criticità strutturali del nostro mercato del lavoro che la pandemia può aver acuito e che vanno riconosciute per poter essere affrontate e superate, con politiche pubbliche nazionali e regionali mirate, al fine di avviare una ripresa post-pandemica che sia il più equa e inclusiva possibile.

Tabella riepilogativa su una selezione di indicatori Bes del dominio Lavoro e conciliazione Valore ultimo anno disponibile INDICATORE

Situazione rispetto all'anno precedente

Situazione rispetto al 2010

Puglia

Mezzogiorno

Italia

Puglia

Mezzogiorno

Italia

Puglia

Mezzogiorno

Italia

Tasso di occupazione (20-64 anni) (%, 2020)

50,0

48,0

62,6

=

-

-

+

=

+

-

MASCHI

64.8

61,1

72,6

-

FEMMINE

35.5

35,1

52,7

= =

= -

-

= +

+

= +

Tasso di mancata partecipazione al lavoro (%, 2020)

29,9

33,5

19,0

=

+

=

=

-

-

-

MASCHI

24,3

28,1

16,0

-

FEMMINE

38,2

41,0

22,7

Rapporto tra i tassi di occupazione (25-49 anni) delle donne con figli in età prescolare e delle donne senza figli (%, 2019)

= +

+ +

= =

+

+

=

74,5

66,8

74,3

=

+

=

+

+

+

Occupati in lavori a termine da almeno 5 anni (%, 2019)

25,9

23,5

17,1

-

+

+

-

+

+

Dipendenti con bassa paga (%, 2019)

17,0

16,2

9,5

+

+

+

+

+

+

Occupati sovraistruiti (%, 2019)

24,5

25,6

24,9

-

-

-

-

-

-

Part time involontario (%, 2019)

13,3

14,8

12,2

+

-

-

-

-

-

+ migliorata – peggiorata = stabile

25


MANCATA PARTECIPAZIONE AL MERCATO DEL LAVORO La lettura di questo particolare indicatore del Bes è a nostro avviso interessante poichè amplia la definizione di disoccupazione. Esso, infatti, non si limita a considerare soltanto quanti cercano attivamente lavoro, ma anche quanti pur non cercandolo attivamente, sarebbero disponibili a lavorare qualora se ne presentasse l’opportunità. In una certa maniera potremmo parlare di persone “scoraggiate”, includerle nel calcolo ci restituisce una fotografia dell’offerta di lavoro insoddisfatta più puntuale ed ampia di quella del classico tasso di disoccupazione. In generale, la geografia della mancata partecipazione nella fascia di età dei 15-74enni fotografa ampi dualismi territoriali che affliggono da sempre il nostro Paese. Il Mezzogiorno, infatti, presenta un ampio svantaggio rispetto alle regioni del Centro e del Nord, con un tasso di mancata partecipazione che è oltre tre volte quello del Nord e di quasi 15 punti percentuali superiore a quello medio italiano. L’indicatore nel complesso ha mostrato segnali di miglioramento dal 2014 al 2019 senza differenze di segno fra le diverse ripartizioni, pur restando su livelli superiori rispetto a quello del 2010. Questa dinamica positiva nel 2020 si arresta: se in Italia si osserva nel complesso una sostanziale stabilità della mancata partecipazione, con un livello di 19 persone su 100 (18,9 nel 2019), al Nord e al Centro si osserva un peggioramento. In particolare, nel 2020 il dato relativo al Nord supera di 0,7 punti percentuali quello del 2019, attestandosi al 10,8%; al Centro si osserva un aumento della mancata partecipazione più contenuto e pari a 0,3 punti (15% il tasso nel 2020). Nel Mezzogiorno il livello è al 33,5%, anche se in questo caso continua il trend positivo degli anni precedenti (-0,6 punti rispetto al 2019). In Puglia, la mancata partecipazione al lavoro, è pari a circa il 30%, quasi 11 punti in più rispetto al dato nazionale. Un tasso, ad esempio, quasi 5 volte più elevato di quello che si osserva nella PA di Bolzano e circa il triplo di quello dell’Emilia-Romagna e del Veneto. Il territorio pugliese resta, dunque, a pieno titolo nel gruppo delle regioni più svantaggiate, anche se stacca di molto Campania, Calabria e Sicilia: quest'ultima, in particolare presenta un tasso di mancata partecipazione del 38,4%. Va tuttavia evidenziato un trend positivo per la Puglia poiché questo indicatore è in calo dal 2014 e diminuisce più rapidamente rispetto al dato complessivo del Mezzogiorno. Se guardiamo la dinamica per genere, possiamo notare che per le donne il livello di mancata partecipazione è molto elevato e si attesta, nel 2020, al 38,2%. Un dato alto seppur inferiore rispetto al meridione, ripartizione penalizzata dall'elevatissima mancata partecipazione delle donne campane, calabresi e siciliane (in queste regioni i livelli di mancata partecipazione sono sopra al 45%), ma molto più alto della media Italia che, per la componente femminile, è pari al 22,7%. In Puglia si segnala un leggerissimo miglioramento del tasso femminile rispetto al 2019, anche se i divari regionali restano molto ampi: è di quasi 31 punti percentuali la differenza rispetto alla PA di Bolzano, di 27 quella con la Valle d’Aosta e di circa 26 quella con L’Emilia-Romagna. Confrontando i livelli con quelli abruzzesi, i migliori della ripartizione meridionale, si osserva una forbice di 13,3 punti. Fra i maschi, invece, la mancata partecipazione in Puglia è al 24,3% (+0,1 punti rispetto al 2019), anche in questo caso è più alta della media nazionale, ma più bassa rispetto al complesso delle regioni meridionali. Senza entrare nel dettaglio delle distanze con le regioni top performer, va comunque sottolineato un gap con l’Abruzzo di 10 punti.

26


Tasso di mancata partecipazione della popolazione di 15-74 anni per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010, 2019 e 2020. Valori percentuali 40,0 35,0 30,0 25,0 20,0 15,0 10,0 5,0 0,0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2020

2010

Italia

Puglia

2019

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro

Tasso di mancata partecipazione della popolazione di 15-74 anni per sesso, ripartizione geografica e Puglia. Anno 2020. Valori percentuali 45,0 40,0 35,0 30,0 25,0 20,0 15,0 10,0 5,0 0,0

Nord

Centro

Mezzogiorno Totale

Maschi

Italia

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro

27

Puglia


Tasso di mancata partecipazione della popolazione di 15-74 anni per sesso in Puglia. Anni 2010-2020. Valori percentuali 50 45 40 35 30 25 20

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Maschi

2016

2017

2018

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro

28

2019

2020


FOCUS: IL MERCATO DEL LAVORO NELLE PROVINCE PUGLIESI NEL 2020 INDICATORE

FG

BA

TA

BR

LE

BAT

Puglia

Tasso di mancata partecipazione (2020, %)

37,9

23,1

31,1

30,9

33,7

30,7

29,9

33,4

17,7

22,6

25,8

27,6

26,3

24,3

45,4

30,6

43,6

38,0

42,2

38,6

38,2

-

MASCHI

-

FEMMINE

Fonte: Rilevazione Istat sulle Forze Lavoro 45,2

50

44,8

42,1

45

38,1

40 35

38,7

BAT

Puglia

31,4

29,7

26,7

30 25

39,6

25,1

26,2

25,5

24,2

BR

LE

BAT

Puglia

18,7

20 15 10 5 0

FG

BA

TA

M

2020

INDICATORE

FG

BA

TA

BR

LE

F

2019

FG

BA

TA

BR

LE

BAT

Puglia

Tasso di occupazione 20-64 (2020, %)

42,6

56,8

49,1

50,4

47,2

46,1

50,0

-

MASCHI

57,5

71,6

66,0

62,7

60,7

63,1

64,8

-

FEMMINE

28,1

42,5

32,4

38,1

34,1

29,5

35,5

Fonte: Rilevazione Istat sulle Forze Lavoro

80 70

71,0 62,8

59,9

64,9

62,0

64,4

65,2

60 42,0

50 40

41,8 33,1

31,6

28,5

30,4

35,6

30 20 10 0

FG

BA

TA

BR M

LE

BAT

Puglia 2020

FG 2019

29

BA

TA

BR F

LE

BAT

Puglia


INDICATORE

FG

BA

TA

BR

LE

BAT

Puglia

Tasso di inattività (2020, %)

47,6

41,4

49,1

46,9

47,9

50,8

46,2

-

MASCHI

31,4

28,0

31,4

33,3

34,8

35,6

31,6

-

FEMMINE

63,9

54,5

66,4

60,2

60,5

66,1

60,5

Fonte: Rilevazione Istat sulle Forze Lavoro

65,2

70

65,1 54,3

60

60,9

65,1

55,5

60,0

50 40

31,7

30

32,3

31,7

32,7

33,8

TA

BR

LE

BAT

26,7

30,6

20 10 0

FG

BA

M

Puglia 2020

FG

BA

TA

2019

BR

LE

BAT

Puglia

F

RAPPORTO FRA TASSO OCCUPAZIONE DONNE CON FIGLI/SENZA FIGLI In Italia essere madri comporta ancora, purtroppo, uno svantaggio nel mercato del lavoro. Prendendo in considerazione il rapporto fra i tassi di occupazione delle donne nella fascia di età fertile, cioè fra i 25 e i 49 anni, con figli in età 0-6 e senza figli i dati del 2019, gli ultimi per cui è disponibile il dettaglio regionale, mostra segnali di miglioramento. Il dato nazionale è pari al 74,3%: questo vuol dire che mancano circa 25 punti al raggiungimento della perfetta uguaglianza rappresentata dall’annullamento del gap occupazionale per motivi legati alla cura dei figli piccoli. Se a livello nazionale si tratta di una forbice comunque molto ampia, il dato mostra una dinamica positiva sia rispetto al 2018, in cui il valore era di 73,8%, sia nell’arco del decennio (nel 2010 era 71,6%), e questo vale per tutte le ripartizioni geografiche. Particolarmente degna di attenzione è la situazione a livello territoriale, che riproduce purtroppo i consueti divari: il valore al Centro e a Nord supera quota 80 (81,7 e 81,1 rispettivamente) e scende a 66,8 nel Mezzogiorno, che però recupera terreno rispetto al 2010, con un incremento di +4,8 punti. In questo scenario la Puglia mostra una dinamica migliore rispetto al Mezzogiorno: il valore dell’indice pugliese al 2019 (74,5%), in questo caso, è in linea con la media nazionale nonostante uno svantaggio più ampio nel 2010, 60,9% è infatti il dato al 2010 in Puglia, 71,6% quello nazionale. Naturalmente occorre sottolineare che questo indice non considera i livelli degli indicatori ma il loro rapporto: affermare che il dato pugliese è in linea con quello nazionale non equivale ad affermare che il livello di occupazione delle donne con o senza figli in età prescolare sia lo stesso nelle due aree di riferimento, vuol dire piuttosto che il gap fra 25 30


chi ha figli piccoli e chi non ne ha è sullo stesso livello. Come visto in precedenza, infatti, la Puglia presenta tassi di occupazione femminile molto bassi e questo elemento non può essere trascurato. Analisi più recenti, che si riferiscono al secondo trimestre 2020, e dunque tengono conto anche della crisi pandemica, sono state svolte nell’ambito del rapporto nazionale Bes 2020 e, sebbene non siano disponibili informazioni al dettaglio regionale, meritano di essere menzionate per aggiornare e precisare il quadro. Nel periodo considerato il rapporto fra i due tassi si attesta sul livello 74,3: il tasso di occupazione è del 71,9% per le donne senza figli e del 53,4% per quelle che ne hanno almeno uno nella fascia 0-6 anni. Concentrando l’attenzione sul Mezzogiorno, in questa ripartizione si osservano le maggiori difficoltà occupazionali per le donne con figli piccoli, che presentano un tasso di occupazione pari al 34,1%, mentre per le donne senza figli questo si attesta al 50,5%, dando vita a un rapporto fra i due tassi di 67,5, stabile rispetto allo stesso trimestre del 2019.4 Rapporto tra i tassi di occupazione (25-49 anni) delle donne con figli in età prescolare (0-5) e delle donne senza figli per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010 e 2019. Valori per 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2019

Italia

Puglia

2010

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro. Rapporto tra i tassi di occupazione (25-49 anni) delle donne con figli in età prescolare (0-5) e delle donne senza figli in Puglia. Anni 2010-2019. Valori per 100 100 95 90 85 80 75 70 65 60 55 50

2010

2011

2012

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

Per completare il quadro, al Centro è 84,4, in aumento (+1,5) e nel Nord è 79,6, in diminuzione (-2,8). Secondo l’Istat, inoltre, la nascita dei figli comporta in molti casi anche l’abbandono della carriera lavorativa da parte delle madri. Fra le donne non nubili di 25 anni e più, infatti, l’11% ha interrotto il lavoro in seguito alla nascita di un figlio (quota che sale al 17% nel caso i figli siano 2 e al 19% se sono 3 o più). Questa decisione di interrompere il lavoro per motivi di conciliazione coinvolge sia le lavoratrici giovani sia le più anziane. 4

31


LAVORATORI A TERMINE DA OLTRE 5 ANNI Come sappiamo un’elevata presenza di lavoratori in lavori a termine rappresenta, potenzialmente, una maggiore vulnerabilità nel mercato del lavoro, soprattutto se la condizione di precarietà si protrae nel tempo. Inoltre i dati nazionali sul calo degli occupati nell’arco del 2020 evidenziano come la crisi pandemica abbia avuto un impatto molto più forte sui lavoratori a termine che presentano differenti, e perlopiù minori, livelli di tutela rispetto ai permanenti. Il dato qui riportato sugli occupati in lavori a termine da almeno 5 anni fa riferimento al 2019 e dunque non tiene conto della crisi innescata dallo scoppio della pandemia; esso consente, tuttavia, di tracciare un quadro delle fragilità che dovranno essere prese in considerazione nel prossimo futuro, quando sarà il momento di pensare alla ripresa. In Italia nel 2019 la quota di lavoratori dipendenti impegnati in lavori a termine da almeno 5 anni (che include quelli con contratto a tempo determinato e i collaboratori) si attesta al 17,1% del totale dei lavoratori a termine, in calo sia rispetto all’anno precedente sia rispetto al 2010 (17,7% e 19,7% rispettivamente). Si osserva una certa variabilità nelle diverse ripartizioni: al Nord il valore più basso (il 12,6%, era il 15,7% nel 2010), al Centro si arriva al 16,9% (2,9% rispetto al 2010, la variazione più bassa fra le ripartizioni) e al Mezzogiorno si raggiunge il valore massimo di quasi un lavoratore su 4 (23,5%, -3 punti percentuali in meno rispetto al 2010). La Puglia, in questo scenario rappresenta un’eccezione. Nel 2019 infatti i precari di lungo periodo sono 1 su 4. L’indicatore aumenta sia rispetto al 2010 sia rispetto al 2018 e si attesta ben al di sopra della media nazionale e del Mezzogiorno, pur partendo nel 2010 da un livello più basso rispetto al complesso delle regioni meridionali. Più nel dettaglio la persistenza nella precarietà aumenta ininterrottamente a partire dal 2016, anno in cui il valore era del 19,4%, arrivando nel 2019 al 25,9% (+6,5 punti percentuali). Si tratta di una crescita che coinvolge maschi e femmine, più sostenuta per i primi rispetto alle seconde. Il livello pugliese è inferiore soltanto a quello registrato in Sicilia, dove i dipendenti a termine da almeno 5 anni sono il 31,8% del totale. Il gap è massimo con Lombardia (16 punti la differenza), Veneto (15,2), Piemonte (14,1). Guardando la dimensione di genere, a livello nazionale si osserva nel 2019 una leggera prevalenza di occupati a termine da almeno 5 anni fra le donne (17,3% contro il 16,9% dei maschi) e questo vale per tutte le ripartizioni. Anche in questo caso la Puglia rappresenta un’eccezione, in virtù di una quota di lavoratori “stabilmente” a termine più elevata di quella delle lavoratrici e, soprattutto, di quasi il 31% superiore rispetto al 2010. Nel complesso i precari di lungo corso fra il 2010 e il 2019 aumentano di quasi il 20%. Questo incremento è un segnale particolarmente sfavorevole per il territorio pugliese, soprattutto se si considera che la dinamica a livello nazionale e nella ripartizione di riferimento va in direzione opposta (-13,2% e -11,3% le variazioni 2010-2020 in Italia e nel Mezzogiorno). Occupati in lavori a termine da almeno 5 anni per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010 e 2019. Valori percentuali 30 25 20 15 10 5 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2019

Italia

2010

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

32

Puglia


Occupati in lavori a termine da almeno 5 anni per sesso, ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010 e 2019. Valori percentuali 30 25 20 15 10 5

Maschi

Puglia

Italia

Mezzogiorno

Centro

Nord

Puglia

Italia

Mezzogiorno

Centro

Nord

0

Femmine 2010

2019

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

Occupati in lavori a termine da almeno 5 anni per sesso in Puglia. Anni 2010-2019. Valori percentuali 30 25 20 15 10 5 0

2010

2011

2012

2013

2014

Maschi

2015

2016

2017

2018

2019

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

LAVORATORI A BASSA PAGA Se la stabilità del lavoro rappresenta un requisito perché il mercato del lavoro sia meno frammentato e le carriere lavorative più stabili, un elemento non meno importante è quello di un’adeguata retribuzione, necessaria non soltanto per determinare i livelli attuali di benessere economico, ma anche quelli futuri e garantire il mantenimento di un tenore di vita adeguato al momento del pensionamento. L’incidenza dei lavoratori dipendenti con bassa paga (cioè quelli con retribuzione oraria inferiore a 2/3 di quella mediana) va a rilevare questo aspetto (si osservi che il riferimento è all’individuo e non va confuso con i working poor per cui la dimensione di riferimento è quella familiare). Secondo gli ultimi dati annuali, in Italia nel 2019 l’incidenza dei lavoratori dipendenti con bassa paga è pari al 9,5% del totale, la dinamica mostra nel complesso un miglioramento sia rispetto al 2018 sia al 2010 che vale per tutte le ripartizioni e la Puglia (fa eccezione il Centro che nel 2018 presentava un livello leggermente inferiore a quello del 2019). Si osservano

33


i consueti divari territoriali: nel Mezzogiorno il livello è oltre il doppio di quello del Nord (16,2% e 6,4% rispettivamente) mentre il dato Centro si colloca poco al di sotto di quello medio nazionale (9,2%). La Puglia con un’incidenza del 17% supera il Mezzogiorno: si segnala tuttavia che rispetto al 2010 questa è diminuita in misura maggiore sia nel confronto con l'Italia sia con il Mezzogiorno. In termini assoluti infatti la distanza con il dato nazionale diminuisce, passando da poco meno di 10 punti percentuali nel 2010 a 7,5 nel 2019. La bassa retribuzione ha una evidente connotazione di genere, sebbene la forbice fra maschi e femmine sia più o meno ampia nelle diverse ripartizioni. In Puglia, una regione che abbiamo già visto presentare grandi divari, le lavoratrici sono più penalizzate e il gap fra il 2010 e il 2019 è diminuito si, ma in misura molto limitata, scendendo a 8,3 punti percentuali (erano 10 nel 2010).

Dipendenti con bassa paga per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010 e 2019. Valori percentuali 25 20 15 10 5 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2019

Italia

Puglia

2010

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

Dipendenti con bassa paga per sesso, ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010 e 2019. Valori percentuali 30 25 20 15 10 5

Maschi

Femmine 2010

2019

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

34

Puglia

Italia

Mezzogiorno

Centro

Nord

Puglia

Italia

Mezzogiorno

Centro

Nord

0


Dipendenti con bassa paga per sesso in Puglia. Anni 2010-2019. Valori percentuali 30 25 20 15 10 5 0

2010

2011

2012

2013

2014

Maschi

2015

2016

2017

2018

2019

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

PART TIME INVOLONTARIO L’utilizzo di forme di lavoro part-time è generalmente concepito come strumento di flessibilità e conciliazione dei tempi di vita. Nella sua componente involontaria, però, l’indicatore consente di tracciare un quadro relativo agli occupati che hanno un rapporto di lavoro a tempo parziale non per scelta, ma per mancanza di un lavoro full-time, mostrando dunque un aspetto inerente la qualità del lavoro molto importante. Quello del part-time involontario è infatti un fenomeno particolarmente rilevante per il mercato del lavoro italiano e in particolare per le donne: nel confronto europeo, la quota di lavoratori con questo tipo di contratto in Italia è oltre il doppio della media Ue e il divario fra i livelli di part-time involontario delle donne italiane ed europee arriva a quasi 13 punti percentuali nel 2019. I dati relativi all’Italia mostrano un aumento di questa forma di lavoro rispetto al 2010: l’incidenza del part-time involontario è cresciuta fino al 2015, anno a partire dal quale resta stabile, attestandosi nel 2019 al 12,2%. La variabilità non è particolarmente accentuata fra le ripartizioni: si passa dal minimo del 10,5% del Nord al massimo del 14,8% nel Mezzogiorno, al Centro la percentuale di lavoratori a tempo parziale involontario è del 13%. Come già osservato, questo fenomeno riguarda più da vicino le donne: nella media nazionale l’incidenza per i maschi è 1/3 rispetto a quella delle donne. In Puglia il livello di part time involontario si attesta al 13,3%, inferiore a quello registrato nel Mezzogiorno. Questo vale sia per la componente maschile, per cui il valore è del 7,8% contro il 9,2% del complesso delle regioni meridionali, sia per quella femminile che si colloca su un’incidenza del 23,1% in Puglia a fronte di un valore corrispondente per il Mezzogiorno del 24,3%. Questo risultato è dovuto a una dinamica per il territorio pugliese più favorevole nel 2019, in cui il tasso di part time involontario è diminuito rispetto al 2018 di 0,7 punti percentuali, il 5% in meno, di segno diverso rispetto a quella registrata in tutte le ripartizioni e a livello nazionale in cui la quota è aumentata. Sebbene questo risultato non permetta alla Puglia di accorciare le distanza dalle regioni più virtuose, le assottiglia rispetto al Nord, riportando il gap fra le due ripartizioni sullo stesso livello del 2010.

35


Part time involontario per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010 e 2019. Valori percentuali 16 14 12 10 8 6 4 2 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2019

Italia

Puglia

2010

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro. Part time involontario per sesso, ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010 e 2019. Valori percentuali 30 25 20 15 10 5

Maschi

Femmine 2010

2019

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro Part time involontario per sesso in Puglia. Anni 2010-2019. Valori percentuali 30 25 20 15 10 5 0

2010

2011

2012

2013

2014

M

2015

2016

2017 F

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

36

2018

2019

Puglia

Italia

Mezzogiorno

Centro

Nord

Puglia

Italia

Mezzogiorno

Centro

Nord

0


SOVRAISTRUZIONE La sovraistruzione misura la percentuale di occupati che possiedono un titolo di studio superiore a quello che serve per svolgere la propria professione, anche in questo caso si tratta di un indicatore che coglie un elemento legato alla qualità dell’occupazione e in particolare al sottoutilizzo del capitale umano. Questo aspetto rappresenta un elemento che può ostacolare il pieno dispiegamento del potenziale produttivo di un territorio e può generare fenomeni di emigrazione qualificata e di brain drain che in effetti riscontriamo sia dall’Italia verso l’estero, sia dalla Puglia verso altre regioni italiani e non solo. Nel 2019 in Italia la sovraistruzione continua a crescere: questo trend prosegue pressoché ininterrotto dal 2004 in tutte le ripartizioni territoriali e la Puglia non fa eccezione. Restringendo l’analisi agli ultimi 10 anni, rispetto al 2010 il tasso è passato dal 17,8% al 24,5%: quasi ¼ degli occupati pugliesi risultano, dunque, sovraistruiti, con una variazione che assume un’ampiezza diversa a seconda del genere e che vede fra i maschi aumentare la quota di sovraistruiti del 42,9% (dal 16,3% al 23,3%) mentre fra le femmine “solo” del 28,5% (dal 20,7% al 26,6%). Il livello complessivo che si osserva in Puglia inoltre è più basso rispetto a quello del Mezzogiorno di 1,1 punti percentuali e risulta 0,4 punti al di sotto del valore medio nazionale. La maggiore presenza di sovraistruzione si osserva infatti al Centro, dove raggiunge quota 27,3%, mentre il valore più basso si registra al Nord (23,6%). Guardando le differenze di genere, ancora una volta le donne risultano più spesso occupate in lavori per cui è richiesto un titolo di studio inferiore a quello conseguito: a livello medio nazionale le donne sovraistruite superano di 2,8 punti percentuali i colleghi uomini. In Puglia il dato sulle differenze fra maschi e femmine relativo al 2019 è superiore sia alla media Italia sia del Mezzogiorno e si attesta su 3,3 punti percentuali: nell’arco del periodo 2010-2019 questa forbice oscilla da un minimo di 2,2 punti di differenza nel 2018, a un massimo di 5,4 punti percentuali nel 2013.

Occupati sovraistruiti per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2004-2019. Valori percentuali 30 28 26 24 22 20 18 16 14 12 10

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 Nord

Centro

Mezzogiorno

Italia

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

37

Puglia


Occupati sovraistruiti per sesso, ripartizione geografica e Puglia. Anno 2019. Valori percentuali 35 30 25 20 15 10 5 0

Nord

Centro

Mezzogiorno Totale

Maschi

Italia

Puglia

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

Figura 33. Occupati sovraistruiti per sesso in Puglia. Anni 2010-2019. Valori percentuali 28 26 24 22 20 18 16 14 12 10

2010

2011

2012

2013

2014

Maschi

2015

2016

2017 Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

38

2018

2019


FOCUS: CONDIZIONI ECONOMICHE E VULNERABILITÀ Valore ultimo anno disponibile

INDICATORE

Puglia

Mezzogiorno

Italia

Rischio di povertà (%, 2019)

30,4

34,7

20,1

Grande difficoltà ad arrivare a fine mese (%, 2019)

10,3

15,3

8,2

Sovraccarico del costo dell'abitazione (%, 2019)

8,3

11,7

8,7

Rischio di povertà

Grande difficoltà ad arrivare a fine mese

7,2

8,2

7,7

7

Puglia

Nord

Puglia

Italia

7,5

Italia

22

Mezzogiorno

15,1

Centro

Nord

Puglia

Italia

Mezzogiorno

11,4

17,4

Centro

26,5

18,7

13,8

Centro

10,7

27,4

Mezzogiorno

31,9

Nord

35 30 25 20 15 10 5 0

Sovraccarico del costo dell'abitazione

2010

Nel 2019 il rischio di povertà in Puglia è pari al 30,4%. La percentuale di persone con un reddito equivalente, inferiore o pari al 60% del reddito equivalente mediano è di 10 punti più elevata rispetto all’Italia, ma inferiore a quella registrata nel Mezzogiorno. Il valore è di 3 punti percentuali più elevato rispetto al 2010. La quota di persone che dichiarano di arrivare a fine mese con grande difficoltà è al 10,3%, valore più alto di quello medio nazionale (8,2%) e inferiore a quello del Mezzogiorno. È diminuita in Puglia di oltre 10 punti percentuali rispetto al 2010. Il sovraccarico del costo dell’abitazione, che si verifica quando il costo totale dell’abitazione in cui si vive rappresenta più del 40% del reddito familiare netto, è meno frequente in Puglia: la percentuale di persone che dichiara un sovraccarico è all’8,3%, il dato nazionale è all’8,7% e quello del Mezzogiorno all’11,7%.

39



ISTRUZIONE E FORMAZIONE: LE LEVE PER UNA SOCIETÀ INCLUSIVA DALLA PRIMA INFANZIA ALL’ETÀ ADULTA L’istruzione e l’educazione hanno un ruolo fondamentale sia come strumenti di emancipazione, crescita civile, culturale e partecipazione attiva dei cittadini alla società, sia come fattori di espansione delle capacità produttive e di crescita economica di un territorio. Istruzione fin dalla primissima infanzia e formazione lungo tutto l’arco della vita sono una leva elettiva per il miglioramento delle condizioni di vita e di sviluppo di una comunità: le persone più istruite hanno maggiori e migliori chance sul mercato del lavoro, che si traducono in una minore esposizione alla vulnerabilità economica, vivono più a lungo e in condizioni di salute migliori, si fidano maggiormente degli altri. In questo scenario, il contesto italiano presenta forti ritardi rispetto all’Europa e ai paesi OCSE, che la pandemia del 2020 ha riportato sotto i riflettori: la chiusura delle scuole e la necessità di impostare nuove forme di didattica a distanza hanno fortemente acuito sia le diseguaglianze legate allo status socio-economico (che influisce in particolare sulle competenze dei giovani) sia quelle connesse alle dotazioni territoriali. Il contesto pandemico ha, infatti, messo in luce alcune caratteristiche infrastrutturali e di qualità dei sistemi educativi su cui sarà necessario programmare, negli anni a venire, un investimento senza precedenti. Le ingenti risorse stanziate nel Recovery Plan for Europe varato dall’Ue per rispondere alla pandemia vanno in questa direzione: è su questo piano che si gioca il futuro delle giovani generazioni e del Paese. Tabella riepilogativa su una selezione di indicatori Bes del dominio Istruzione e formazione

INDICATORE

Valore ultimo anno disponibile Puglia

Mezzogiorno

Italia

Situazione rispetto all'anno precedente Puglia

Mezzogiorno

Italia

Persone con almeno il diploma (2552 54,4 62,6 64 anni) (%, 2020) (a) Laureati in discipline tecnico14,5 14,2 15,1 scientifiche (STEM) (%, 2018) (b) Uscita precoce dal sistema di 17,9 18,2 13,5 istruzione e formazione (%, 2019) Giovani che non lavorano e non 29,4 32,6 23,3 studiano (NEET) (%, 2020) Bambini di 0-2 anni iscritti al nido 26,5 22,6 28,2 (%, 2019) (a) Il dato è riferito al secondo trimestre di rilevazione, le variazioni sono calcolate sul trimestre corrispondente (b) Anno 2010 non disponibile. Il confronto è rispetto al 2012

Situazione rispetto al 2010 Puglia

Mezzogiorno

Italia

= + -

= + +

= + +

+ + +

+ + +

+ + +

+ +

+ +

+

+

+

+

(c) + migliorata – peggiorata = stabile

ASILI NIDO Come è noto l’inserimento in un percorso di istruzione fin dalla primissima infanzia ha raggiunto una valenza strategica nel corso degli ultimi due decenni: fin dagli anni 2000, in cui era in vigore la Strategia di Lisbona, è stato stabilito un obiettivo sui servizi all’infanzia da raggiungere entro il 2010 relativo a un livello di offerta di posti in queste strutture che coprisse il 33% dei bambini in età 0-2 anni, in modo tale che potesse frequentare 1 bambino su 3. Sono molti i motivi per cui questo tipo di servizio è fondamentale per il benessere, con effetti diretti e indiretti che si dispiegano nell’intero arco del corso di vita: i bambini che ne fruiscono sviluppano infatti migliori abilità e capacità cognitive e più in generale si riducono le diseguaglianze di opportunità, si favorisce la partecipazione (soprattutto femminile) al mercato del lavoro attraverso una migliore conciliazione vita-lavoro. Infine, un incremento della domanda di questi servizi può tradursi in un significativo aumento occupazionale nel settore. In sintesi, si tratta di un investimento con rendimenti elevati su cui, non a caso, si sta concentrando anche il dibattito su PNRR italiano.

41


Il dato considerato nell’ambito del Bes guarda l’accesso ai servizi dal lato della domanda, misurato attraverso la quota di bambini nella fascia 0-2 anni iscritti al nido. L’indicatore mostra un costante aumento a livello nazionale e in tutte le ripartizioni: nel 2019, calcolato come media sul triennio 2018-2020, è al 28,2% circa 5 punti al di sotto del target europeo. Il Centro è l'unica ripartizione in cui l'obiettivo è raggiunto fin dal 2018, con il 35,3% dei bambini di 0-2 anni iscritti al nido nel triennio 2018-2020: in questa ripartizione l’obiettivo è raggiunto in Toscana (42,6%) e nel Lazio (33,8%). Segue il Nord, con meno del 30% di bambini iscritti nel complesso, ma l’obiettivo è stato raggiunto in quattro regioni (PA di Trento, Valle d’Aosta, Veneto ed EmiliaRomagna). L’incidenza di bambini iscritti è più bassa nel Mezzogiorno, ma la dinamica dell'indicatore mostra una crescita più sostenuta rispetto a tutte le altre ripartizioni: i bambini iscritti al nido sono più che raddoppiati nel 2019. La Puglia si colloca fra le regioni meridionali in cui si registrano valori più alti rispetto al complesso delle regioni meridionali (Sardegna e Molise fanno meglio ma restano sotto il target): il territorio pugliese, in particolare, mostra una quota di bambini iscritti che è più che triplicata dal triennio 2009-2011 a quello 2018-2020, che rappresenta la variazione più elevata fra tutte le regioni italiane nel periodo considerato. In Campania, Calabria e Basilicata i bambini che fruiscono del nido sono invece meno di 1 su 5. Vale la pena osservare che il basso livello della domanda si associa alla scarsità di posti offerti che, nonostante in aumento, non raggiunge il target di un bambino ogni tre e si attesta nell’anno educativo 2018/2019 al 25,5% dei bambini fino a 2 anni (24,7% nell’anno educativo precedente). Le regioni in cui i livelli di bambini iscritti sono più elevati sono quelle in cui l’offerta è maggiore: i livelli di copertura più alti (considerando gli asili nido tradizionali, i micronidi, le sezioni primavera e i servizi integrativi per la prima infanzia) si registrano infatti nelle regioni già citate: Valle D’Aosta (45,7% di posti disponibili), Umbria (42,7%), Emilia Romagna (39,2%), Toscana (36,3%) e nella Provincia Autonoma di Trento (38,4%). In Puglia l’offerta di servizi socioeducativi per la prima infanzia copre il 16,8% dei bambini, più elevato di quello del Mezzogiorno. Bambini 0-2 anni iscritti al nido per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2009/2011 e 2018/2020 (a). Media mobile a tre termini. Valori percentuali 40 35 30 25 20 15 10 5 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2018-2020

Italia

2009-2011

Fonte: Istat, Indagine Aspetti della vita quotidiana (a) Dato anni 2018/2020 provvisorio.

42

Puglia


Bambini 0-2 anni iscritti al nido per regione. Anni 2018/2020 (a). Media mobile a tre termini. Valori percentuali 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0

2018-2020

2009-2011

Fonte: Istat, Indagine Aspetti della vita quotidiana (a) Dato anni 2018/2020 provvisorio. Figura 36. Bambini 0-2 anni iscritti al nido per ripartizione e Puglia. Anni 2009/2011-2018/2020 (a). Media mobile a tre termini. Valori percentuali 40 35 30 25 20 15 10 5 0

2009-11

2010-12

2011-13

Nord

2012-14 Centro

2013-15

2014-16

Mezzogiorno

2015-17

2016-18 Italia

2017-19

2018-20 Puglia

Fonte: Istat, Indagine Aspetti della vita quotidiana (a) Dato anni 2018/2020 provvisorio.

PERSONE CON ALMENO IL DIPLOMA L’innalzamento del livello d’istruzione rappresenta un obiettivo prioritario nella società della conoscenza poiché consente ai sistemi-paese di accrescere il capitale intellettuale, cioè la dotazione di competenze e saperi che determinano il potenziale di innovazione e crescita nelle economie globalizzate. I livelli di istruzione della popolazione in età 15-64 anni rappresentano lo stock di capitale umano che il sistema paese nel suo complesso e, scendendo di dettaglio, le realtà territoriali hanno a disposizione per sostenere crescita e sviluppo. I livelli di istruzione medi italiani non sono nel complesso particolarmente elevati, con un divario rispetto alla media europea pari 16 punti percentuali per le persone in possesso di un titolo di studio almeno pari al diploma (dati relativi al II trimestre 2020). In ambito nazionale si osservano differenze a livello

43


territoriale non irrilevanti. Se infatti nel complesso la quota di persone nella fascia di età 15-64 anni con almeno il diploma è del 62,6% nel II trimestre del 2020, al Mezzogiorno questa scende al 54,4%. In Puglia il divario col dato nazionale è ancora più ampio e pari a oltre 10 punti percentuali: solo 52 persone su 100 possiedono almeno un diploma, un valore molto distante da quello medio osservato nelle regioni del Nord e del Centro, rispetto alle quali il gap si attesta su 14,2 e a 16,2 punti percentuali rispettivamente. Le donne nel complesso presentano livelli di istruzione più elevati rispetto ai coetanei uomini, con un gap che a livello nazionale è di circa 5 punti percentuali: in Puglia questo divario di genere è molto più ridotto e pari a 1,8 punti. La dinamica relativa al II semestre nel periodo 2010-2020 mostra una variazione della quota di donne con un titolo dal diploma in su più favorevole per la Puglia rispetto alla media nazionale e allineata a quella delle regioni meridionali: in particolare per le donne pugliesi nell'arco di tempo considerato il dato aumenta di 8,4 punti percentuali, corrispondenti a una variazione del +18,9% di pari entità rispetto a quella del Mezzogiorno (+18,3%, la variazione media per l’Italia è del +16,5% fra le femmine). Anche la dinamica per i maschi pugliesi è più favorevole, anche se di poco, rispetto a quella degli italiani nel complesso (+12,1% contro +11,9%), ma in questo caso è inferiore a quella registrata per i maschi nel Mezzogiorno (+13,4%): ciò si traduce in un leggero allargamento della forbice fra maschi e femmine nel II trimestre 2020, che nello stesso periodo del 2019 era nulla. Persone di 25-64 anni con almeno il diploma per ripartizione e Puglia. II trimestre 2010, 2019 e 2020. Valori percentuali. 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2020

2010

Italia

Puglia

2019

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro. Figura 38. Persone di 25-64 anni con almeno il diploma per sesso, ripartizione e Puglia. II trimestre 2020. Valori percentuali. 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Nord

Centro

Mezzogiorno Totale

Maschi

Italia

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

44

Puglia


Persone di 25-64 anni con almeno il diploma per sesso in Puglia. II trimestre 2010-2020. Valori percentuali. 54 52 50 48 46 44 42 40

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Maschi

2016

2017

2018

2019

2020

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

ABBANDONI E NEET La dimensione relativa all’abbandono scolastico e alla presenza di giovani NEET va a integrare quanto rilevato sul livello di istruzione, individuando alcune criticità per le fasce di età più giovani che inevitabilmente si ripercuotono sul mercato del lavoro, lo sviluppo territoriale e i livelli di benessere attuali e futuri. Il fenomeno dell’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione è particolarmente rilevante per le sue ricadute sulle disuguaglianze: le analisi effettuate nell’ultimo rapporto Bes mostrano, infatti, un peso rilevante dello status socio-economico dei ragazzi nel determinare la scelta o meno di abbandonare gli studi. I tassi di abbandono scolastico precoce sono dunque molto rilevanti come driver di una maggiore vulnerabilità delle persone nell’arco della vita, e in quanto tali il loro monitoraggio è parte della strategia Europa2020. L’obiettivo che i paesi dell’Ue sono chiamati a raggiungere è quello di portare l’incidenza per i 18-24enni che abbandonano gli studi al di sotto del 10%. Nel 2019 il tasso di abbandoni precoci per l'Italia si colloca al 13,5%, ancora al di sopra dell'obiettivo europeo, con una maggiore frequenza fra i giovani maschi in tutte le ripartizioni. Il target è stato quasi raggiunto nel Nord e al Centro, con livelli di abbandono precoce rispettivamente del 10,5% e del 10,9% (inferiori al 10% le quote per le donne). Resta critica la situazione del Mezzogiorno con il 18,2% dei giovani fra 18 e 24 anni che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione senza conseguire un titolo almeno superiore. In questo quadro la situazione pugliese mostra segnali contrastanti. Nel periodo 2010-2019 il 17,9% dei giovani in età 18-24 interrompe il proprio percorso formativo, una quota più bassa anche se di poco di quella del Mezzogiorno. Anche la dinamica di medio periodo è più favorevole rispetto al complesso delle regioni meridionali, con una variazione del -24,2% (-18,4% nel Mezzogiorno), più accentuata per gli uomini in cui il dato diminuisce di quasi il 30%, corrispondente a quasi 6 punti percentuali in meno rispetto all'anno di inizio della serie. Se però si guarda la variazione rispetto al 2018 il dato aumenta anche se di poco. Andando a scomporre questa dinamica fra i generi emerge un aumento per le femmine di quasi 1,5 punti percentuali nell'arco di un anno, opposta rispetto a quella dei coetanei maschi che invece resta in calo (-0,6 punti). Questo si traduce in una diminuzione nel medio periodo del divario di genere che però non denota un miglioramento generalizzato dell'indicatore, e che merita di essere tenuto in considerazione anche alla luce di quanto emerso relativamente alla situazione femminile nel mercato del lavoro pugliese.

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Uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010 e 2019. Valori percentuali 25 20 15 10 5 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2019

Italia

Puglia

2010

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

Uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione per genere in Puglia. Anni 2010-2019. Valori percentuali 35 30 25 20 15 10 5 0

2010

2011

2012

2013

2014

Maschi

2015

2016

2017

2018

2019

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

La mancanza di prospettive spinge troppo spesso ai margini della società le giovani generazioni, che si trovano nel nostro paese in una particolare condizione di fragilità. La pandemia ha acuito una situazione già di per se sfavorevole: nel 2020 in Italia i giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano (i NEET) sono oltre 2,1 milioni, +97mila rispetto al 2019. Il tasso medio nazionale si attesta al 23,3%, superando di 1,1 punti percentuali quello del 2019 (+5% la variazione percentuale). L'aumento dei NEET non è stato uniforme su tutto il territorio nazionale ma ha ricalcato piuttosto la geografia della pandemia che, specie in quelle regioni dove le restrizioni hanno interrotto la ricerca di lavoro (quindi al Centro-Nord), ha causato un incremento più forte della dell’inattività. Al Nord il valore è pari al 16,8% dei giovani e aumenta in valore assoluto di 2,3 punti percentuali (+16% circa): la variazione relativa della quota di 15-29enni NEET supera il 20% nella PA di Bolzano e in Umbria (+27,8% e +23,8%) dove è particolarmente alta la crescita per i maschi (+45,2% e +32,6% rispettivamente). Di minore entità ma comunque doppia rispetto a quella media nazionale la variazione al

46


Centro (+9,9%) in cui circa 1 giovane ogni 5 è fuori dal circuito lavorativo, dell'istruzione e della formazione. Il dato sulla dinamica dei giovani esclusi deve però essere letto alla luce del fatto che i livelli restano comunque più bassi nelle regioni centro-settentrionali. Al Mezzogiorno, infatti, i NEET si attestano su poco meno di un giovane su 3: il 32,6% dei 15-29enni meridionali sono in questa condizione, anche se in leggero calo rispetto al 2019 (-0,4 punti). Punte molto elevate si registrano in Sicilia (37,5%), Calabria (34%), Campania (34,5%). In Puglia nel 2020 i giovani NEET sono oltre 192mila, pari al 29,4% dei giovani, un valore leggermente inferiore a quello del 2019 (29,7%). La quota di NEET resta più bassa rispetto alla ripartizione di riferimento, ma più alta di quella media nazionale. La dinamica di medio periodo rispetto al 2010 segnala un incremento superiore al valore italiano: in questo orizzonte temporale la quota di NEET aumenta di oltre un punto percentuale, passando in Italia dal 22% del 2010 al 23,3% nel 2020. L'aumento è pari a +8,4% al Nord, +17,8% al Centro e "solo" 6,2% nelle regioni meridionali. Nello stesso periodo anche il dato pugliese aumenta, ma con un'intensità più bassa (+2,1%). Infine, in un’ottica di genere si può osservare che se gli abbandoni precoci sono più frequenti fra i maschi, la condizione di NEET è invece più frequente fra le femmine, probabilmente a causa di elevati livelli di scoraggiamento nella fascia delle giovani donne anche in presenza di livelli di istruzione più elevati. In Puglia il picco nella quota dei giovani NEET si osserva nel 2013 sia per i maschi sia per le femmine: oltre a presentare valori mediamente più bassi le variazioni mostrano un miglioramento nel periodo 2013-2020 più consistente, anche se di poco, per i maschi. Di conseguenza la forbice fra i giovani e le giovani è leggermente aumentata.

Giovani di 15-29 anni che non lavorano e non studiano (NEET) per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010, 2019, 2020. Valori percentuali 35,0 30,0 25,0 20,0 15,0 10,0 5,0 0,0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2020

2010

Italia

2019

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

47

Puglia


Giovani di 15-29 anni che non lavorano e non studiano (NEET) per sesso, ripartizione geografica e Puglia. Anno 2020. Valori percentuali 40,0 35,0 30,0 25,0 20,0 15,0 10,0 5,0 0,0

Nord

Centro

Mezzogiorno Totale

Maschi

Italia

Puglia

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro. Giovani di 15-29 anni che non lavorano e non studiano (NEET) per sesso in Puglia. Anni 2010-2020. Valori percentuali 36 34 32 30 28 26 24 22 20

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Maschi

2016

2017

2018

Femmine

Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro.

48

2019

2020


VERSO LA TRANSIZIONE DIGITALE, PERSONE E FAMIGLIE NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA Nella società della conoscenza e dell’informazione la tecnologia rappresenta un punto cardine su cui fare leva per garantire una maggiore inclusione sociale. Gli aspetti su cui concentrare l’attenzione sono molteplici. La diffusione di reti ultra veloci per la connessione a Internet rappresenta un fattore fondamentale per la crescita e lo sviluppo delle potenzialità di un territorio. Questo vale sia per le imprese sia per le famiglie: un livello di infrastrutturazione digitale elevato è oggi un requisito inalienabile per un recupero di competitività dell’intero Paese che passi attraverso l’innovazione e che metta in gioco interessi e attori diversificati. Nel 2020 la necessità di queste infrastrutture di connessione si è rivelata ancor più strategica: dalla DAD allo smart working, dalla comunicazione alla prenotazione dei vaccini, solo per citare alcuni aspetti, la rete è diventata fondamentale per la gestione dell’emergenza sanitaria. Anche la possibilità di disporre in famiglia di adeguati dispositivi di connessione rappresenta una questione essenziale, soprattutto per rispondere alle esigenze emerse durante la pandemia. In Italia, soprattutto nel Mezzogiorno, ci si connette alla rete principalmente attraverso gli smartphone, che però risultano inadeguati rispetto a necessità più complesse come la didattica o il lavoro a casa. Nel corso di quest’ultimo anno si è creata una forte sovrapposizione fra le esigenze di chi studia e di chi lavora: nelle famiglie più svantaggiate con dotazioni meno adeguate (o semplicemente meno numerose) questo ha creato forti difficoltà, acuendo le diseguaglianze anche nell’accesso al diritto all’istruzione. La dotazione è solo una faccia della medaglia. L’opportunità di sfruttare appieno il potenziale della società dell’informazione è possibile, infatti, solo se i cittadini possiedono adeguate competenze digitali, se ciò non si verifica, anche il mezzo digitale rischia di amplificare le diseguaglianze. Come noto, l’Italia è ancora indietro rispetto agli altri paesi europei nello sviluppo di una economia e società digitali, come testimoniano le analisi annualmente svolte dalla Commissione Europea attraverso il Digital Economy & Society Index (DESI): le competenze rappresentano proprio uno degli aspetti su cui il nostro paese ha accumulato grandi ritardi e su cui in futuro occorrerà quindi investire per colmare i gap con l’Europa, anche investendo le risorse del PNRR. Tabella riepilogativa su una selezione di indicatori Bes relativi alla transizione digitale (vari domini del Bes)

INDICATORE

Valore ultimo anno disponibile

Situazione rispetto all'anno precedente

Situazione rispetto al 2010

Puglia

Mezzogiorno

Italia

Puglia

Mezzogiorno

Italia

Puglia

Mezzogiorno

Italia

24,4

26,8

30

+

+

+

..

..

..

59,8

59,5

66,7

+

+

+

+

+

+

Competenze digitali elevate (%, 2019) (b)

18,0

17,2

22,0

..

..

..

Utenti regolari di internet (%, 2020) (a)

61,9

63,4

69,2

+

+

+

+ + +

+ + +

+ + +

-

+

+

+

+

+

..

..

..

+

+

+

Copertura della rete fissa di accesso ultra veloce a internet (%, 2019) Disponibilità in famiglia di almeno un computer e della connessione a Internet (%, 2020) (a)

Comuni con servizi per le famiglie 25,2 15,6 25,1 .. .. .. interamente on line (%, 2018) (c) Imprese con vendite via web a clienti finali 9,9 13,8 11,5 (%, 2020) (d) Occupati con competenze digitali complessive di base o elevate (20-64 anni) 44,7 45,8 52,9 .. .. .. (%, 2019) Lavoratori della conoscenza (per 100 16,6 17,6 18,5 occupati, 2020) (e) (a) Dato provvisorio (b) Dato 2010 non disponibile, variazione calcolata rispetto al 2015 (c) Dato 2010 non disponibile, variazione calcolata rispetto al 2012 (d) Dato 2010 non disponibile, variazione calcolata rispetto al 2013 (e) Il dato è riferito al secondo trimestre di rilevazione, le variazioni sono calcolate sul trimestre corrispondente

+

49

+

+


Le variazioni relative sono considerate positive se superano o sono uguali all’1%, positive se inferiore i o uguali al -1%, stabili fra -1% e +1%. Si considera la polarità dell’indicatore. (…) dato non disponibile

+ migliorata – peggiorata = stabile

IL DIVARIO INFRASTRUTTURALE Nel 2019 il 30% delle famiglie italiane risiede in una zona in cui sono disponibili connessioni veloci o ultraveloci: nel 2018 erano il 23,9%. Fra le ripartizioni tuttavia i divari sono ancora ampi: il Nord si colloca su un livello pari a quello nazionale e stabile rispetto al 2018, mentre al Centro, in cui si osservano i risultati migliori, questa quota si attesta al 35% circa con il Lazio che sfiora il 50%. Da sottolineare il fatto che in un solo anno la quota di famiglie servite da connessioni di nuova generazione è aumentata in questi territori di oltre 11 punti percentuali nel complesso (+49,6%). Il Mezzogiorno, con una crescita di 11 punti percentuali (corrispondenti a una variazione del 70% circa) sta recuperando lo svantaggio rispetto al resto del paese: le famiglie coperte dal servizio in questo caso passano dal 15,8% del 2018 al 26,8% del 2019. Anche la Puglia ha accresciuto notevolmente la quota di famiglie coperte da Internet veloce: nel 2018 solo il 13,5% delle famiglie era servito di questo tipo di connessioni, percentuale che sale al 24,4% nel 2019 (+81% circa la variazione percentuale) e che colloca la regione fra le più connesse del Mezzogiorno insieme alla Campania, che presenta però un vantaggio di oltre 16 punti percentuali (40,8% nel 2019) e la Sicilia, rispetto alla quale invece il gap è molto più basso (29,6% la quota di famiglie servite nel 2019). Se nel confronto con le regioni meridionali la situazione della Puglia resta tutto sommato positiva, il divario con le regioni top è molto alto: la quota di famiglie coperte da Internet superveloce nel Lazio, la regione con il valore più elevato, è circa il doppio di quella pugliese.

Famiglie che risiedono in una zona servita da una connessione di nuova generazione ad altissima capacità per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2018 e 2019. Valori percentuali. 40 35 30 25 20 15 10 5 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2019

Italia

2018

Fonte: Istat - Elaborazione su dati Agcom

50

Puglia


Famiglie che risiedono in una zona servita da una connessione di nuova generazione ad altissima capacità per regione. Anni 2018 e 2019. Valori percentuali. 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0

2019

2018

Fonte: Istat - Elaborazione su dati Agcom

DOTAZIONI DELLE FAMIGLIE Avere disponibilità di connessione internet e di un pc è stato essenziale nel corso del 2020, specialmente nelle famiglie con bambini e ragazzi che hanno dovuto far fronte alle esigenze della didattica a distanza. Ad oggi non è ancora possibile capire l’entità del mancato accesso all’istruzione e, tantomeno, l’impatto su competenze e dispersione scolastica: tuttavia è stato chiaro fin dall’inizio della pandemia che le vulnerabilità dei segmenti di popolazione più svantaggiati potrebbero diventare più profonde. Nel 2020 in Italia 2 famiglie su 3 hanno a disposizione almeno un computer (sono inclusi i tablet) e la connessione a internet: si tratta del 66,7% del totale, in aumento rispetto al 2019 di 1,6 punti percentuali. L'indicatore è in costante aumento e nell'arco di un decennio la quota nel complesso è salita di quasi 15 punti percentuali (+28,8%). Nel 2020 il Centro supera il Nord con il 70,7% delle famiglie, grazie a una crescita nell'arco di un anno più elevata; fanalino di coda fra le ripartizioni il Mezzogiorno: il divario infrastrutturale e condizioni socio-economiche più sfavorevoli si combinano nelle regioni meridionali, determinando una minore diffusione degli strumenti digitali fra le famiglie. In questo quadro la Puglia si colloca nella media della propria ripartizione con un valore solo di pochi decimali superiore: sono dotate di pc e connessione il 59,8% delle famiglie, 11 punti percentuali in meno rispetto al Centro e 10 rispetto al Nord. Se nei livelli la regione non eccelle, la dinamica mostra invece un incremento più forte rispetto alla media nazionale e a quella delle ripartizioni sia nel confronto col 2019 (+8,1% la variazione) sia rispetto al 2010 (+37,8% la variazione), anche se in modo poco costante e più lento negli ultimi anni. Ciò ha consentito alla Puglia di recuperare il gap rispetto al Mezzogiorno. Tuttavia la distanza dalle regioni in cui le famiglie risultano dotate di strumenti tecnologici come le PA di Trento e Bolzano, il Friuli-Venezia Giulia, l'Emilia-Romagna, il Lazio, che presentano livelli superiori al 70% delle famiglie, resta elevata e superiore a 13 punti percentuali e in alcuni casi mostra un allargamento nel 2020 rispetto al 2010.

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Disponibilità in famiglia di almeno un computer e della connessione a Internet per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010-2020 (a). Valori percentuali. 75 70 65 60 55 50 45 40

2010

2011 Nord

2012

2013

2014

2015

Centro

2016

Mezzogiorno

2017

2018 Italia

2019

2020 Puglia

Fonte: Istat - Indagine Aspetti della vita quotidiana (a) Dato anno 2020 provvisorio. Disponibilità in famiglia di almeno un computer e della connessione a Internet per regione. Anni 2010 e 2020 (a). Valori percentuali. 80 70 60 50 40 30 20 10 0

2020

2010

Fonte: Istat - Indagine Aspetti della vita quotidiana (a) Dato anno 2020 provvisorio.

IL DIVARIO DI COMPETENZE Nel corso del tempo l’accento sulle dimensioni del divario digitale si è spostato dal solo concetto di dotazione anche su quello delle competenze necessarie all’utilizzo delle tecnologie. Lo sviluppo di tali competenze in un paese come l’Italia, caratterizzato da livelli di istruzione più bassi e grandi disparità, rende necessario rimuovere tutte le barriere di natura economica, sociale, demografica, territoriale, di genere. Il livello di competenze digitali delle persone è monitorato attraverso un indicatore che misura il livello raggiunto in alcune attività nei 4 ambiti del “Digital competence framework” (informazione, comunicazione, creazione di contenuti, problem solving). I livelli si articolano su una scala che va da 0 (corrispondente a nessuna competenza) a 2 (livello soprabase). A partire da questa articolata definizione, il numero di persone con competenze digitali elevate corrisponde alla percentuale di quelle che presentano il livello 2 in tutte le attività considerate. Nel 2019, a livello medio nazionale, il 22% delle persone di età compresa fra i 16 e i 74 anni

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dichiara di possedere competenze digitali elevate: sono ben 9 i punti percentuali di differenza con il valore medio Ue27, un livello che nessuna regione italiana raggiunge. Il confronto con il dato del 2015 mostra un incremento in tutte le ripartizioni, anche se la crescita sembra piuttosto lenta e non sembra sufficiente a raggiungere i livelli europei: nel complesso il valore aumenta solo di 2,7 punti in un quinquennio. Al Nord la percentuale più alta: qui i 16-74enni con competenze digitali elevate sono 1 su 4, un livello comunque inferiore a quello medio europeo. Il dato per la Puglia è pari al 18% e presenta luci e ombre, attestandosi su un livello di poco superiore alla media del Mezzogiorno, anche se più basso di quello osservato in Sardegna e Abruzzo (23% e 21,5% rispettivamente). Sono invece 10 i punti di distacco rispetto alla Valle d’Aosta e alla PA di Trento. In Puglia si segnala tuttavia una dinamica più rapida nella crescita dell’indicatore, che aumenta rispetto al 2015 di circa 5 punti percentuali (+37%).

Persone di 16-74 anni con competenze digitali elevate per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2015 e 2019. Valori percentuali 30 25 20 15 10 5 0

Nord

Centro

Mezzogiorno 2019

Italia

Puglia

2015

Fonte: Istat - Indagine Aspetti della vita quotidiana

Persone di 16-74 anni con competenze digitali elevate per regine. Anni 2015 e 2019. Valori percentuali 30 25 20 15 10 5 0

2019

2015

Fonte: Istat - Indagine Aspetti della vita quotidiana

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UTILIZZATORI DI INTERNET L’uso regolare di internet, definito come la quota di popolazione di 11 anni e più che ha utilizzato la rete almeno una volta a settimana nell’arco di tre mesi, si attesta in Italia al 69,2%. L’uso frequente di Internet è cresciuto a un ritmo sostenuto nell’ultimo anno, risultato questo senz’altro determinato dalla pandemia che ha “costretto” molte persone a un uso più frequente, quotidiano, della rete: l’aumento è di 2,5 punti percentuali rispetto al 2019 e di oltre 25 punti nel confronto col 2010. Nel leggere il dato, un aspetto di cui è importante tenere conto è legato all’età: è noto che l’utilizzo del web è più elevato nelle fasce di età più giovani. I frequent user sono, infatti, i giovani che fanno da traino alla domanda: sempre nel 2020, nella fascia di età compresa fra 20 e 24 anni, il dato supera il 90%. Guardando le differenze territoriali, al Nord e al Centro, la quota di utilizzatori è superiore al 70% e la dinamica rispetto al 2010 e al 2019 ricalca quella nazionale in termini assoluti. Resta purtroppo ampio il ritardo del Mezzogiorno, con una forbice di circa 9 punti percentuali rispetto al Nord. Per quanto riguarda il gap di genere, questo va a favore della componente maschile: gli utilizzatori frequenti uomini sono in Italia il 72,9% e superano le donne di poco più di 7 punti percentuali nel 2020; il valore è leggermente più basso nelle regioni meridionali e si è dimezzato rispetto al 2010. Nel confronto regionale le differenze sono ampie: le prime tre regioni per utilizzatori di Internet sono la PA di Bolzano (78,2%), l’Emilia-Romagna (74,5%) e il Lazio (73,7%) mentre fra le ultime tre figurano proprio la Puglia (61,9%), la Calabria (61%) e la Basilicata (60,7%). La situazione pugliese è caratterizzata dunque da gap importanti con le regioni più performanti. La dinamica mostra comunque un miglioramento sia rispetto al 2019 sia al 2010, anche se intermittente: la variazione percentuale rispetto ai due anni di riferimento è stata più alta della media nazionale e della ripartizione, con valori pari rispettivamente al +6,5% e al +69,1%. Particolarmente rilevante in questo caso la dinamica nella sua componente femminile, per cui l’indicatore arriva quasi a raddoppiare fra il 2010 e il 2020, passando dal 30,6% al 59,1%, la variazione più positiva del periodo insieme a quella campana.

Utenti regolari di internet per ripartizione geografica e Puglia. Anni 2010-2020 (a). Valori percentuali 75 70 65 60 55 50 45 40 35 30

2010

2011 Nord

2012

2013 Centro

2014

2015

2016

Mezzogiorno

2017

2018 Italia

Fonte: Istat - Indagine Aspetti della vita quotidiana (a) Dato anno 2020 provvisorio.

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2019

2020 Puglia


Utenti regolari di internet per sesso in Puglia. Anni 2010-2020 (a). Valori percentuali 70 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Maschi

2016

2017

2018

Femmine

Fonte: Istat - Indagine Aspetti della vita quotidiana (a) Dato anno 2020 provvisorio.

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2019

2020


FOCUS: RELAZIONI SOCIALI E PARTECIPAZIONE ALLA PROVA DELLA PANDEMIA Valore ultimo anno disponibile

INDICATORE

Puglia

Mezzogiorno

Italia

Persone su cui contare (%, 2020) (a)

77,5

80,8

81,6

Soddisfazione per le relazioni familiari (%, 2020) (a)

24,8

26,6

33,1

(a) Dati provvisori

83.4

Nord

Puglia

Italia

Mezzogiorno

Centro

37.1

Persone su cui contare

28.3

33.4

26.1

Soddisfazione per le relazioni familiari 2020

33.5

Puglia

81.5

Italia

81.9

Mezzogiorno

80.9

Centro

81.5

Nord

100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

2019

Nel 2020, nonostante le restrizioni imposte dalla pandemia, in Italia la quota di popolazione che dichiara di avere parenti, amici o vicini su cui contare è pari all’81,6%, elevata e piuttosto stabile rispetto al 2019. Al contrario in Puglia la quota che dichiara di avere persone su cui contare mostra un calo rispetto al 2019 ed è inferiore rispetto alla media nazionale e al Mezzogiorno: il dato del 2020 è al 77,5%. I pugliesi di 14 anni e più che sono molto soddisfatti delle relazioni familiari e amicali sono circa 1 su 4, gli italiani 1 su 3. Il dato scende rispetto al 2019.

INDICATORE Partecipazione civica e politica (%, 2020) (a)

Valore ultimo anno disponibile Puglia

Mezzogiorno

Italia

54,7

52

62,5

(a) Dati provvisori

Durante il 2020 in Puglia poco più di 1 pugliese su 2 ha svolto attività di partecipazione civica e politica (come parlare di politica, informarsi, partecipare on line), una quota in aumento rispetto al 2019, ma inferiore rispetto all’Italia (62,5%). La partecipazione aumenta fra tutte le ripartizioni: con la pandemia la necessità di informarsi è indubbiamente cresciuta. I maschi partecipano di più rispetto alle donne, sia in Puglia sia in Italia. Nell’arco del periodo 2011-2020 le donne pugliesi hanno incrementato la loro partecipazione, soprattutto nel 2019. Viceversa gli uomini partecipano meno rispetto al 2011: di conseguenza il gap fra i generi si è ridotto.

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INDICATORE Valore ul2mo anno disponibile Puglia Mezzogiorno Italia Donne e rappresentanza poliRca a livello locale (%, 2020) 13,7 15,8 22 40 30 20 10 0

2012

2015 Nord

Centro

Mezzogiorno

2020 Italia

Puglia

• Nel 2020 in Italia la percentuale di donne eleHe nei Consigli regionali è al 22%. La strada verso la parità nei luoghi della rappresentanza poliRca è ancora lunga nel Paese e sopraHuHo in Puglia: con le ulRme elezioni regionali del 2020 la quota è salita dal 9,8% al 13,7%. • Se nel 2012 il livello era al di soHo del 5%, il valore al 2020 è comunque inferiore a quello medio della riparRzione, e molto distante da quello di regioni come l’Umbria (38,1%), il Veneto e la Toscana (35%), l’Emilia-Romagna (32%). Nel Mezzogiorno, la quota di eleHe più alta è nel Molise, al 28,6%.

(a)

DaR provvisori

INDICATORE Valore ul2mo anno disponibile Puglia Mezzogiorno Italia AEvità di volontariato (%, 2020) (a) 6,2 6,3

9,5

La pandemia ha ridoHo di molto la partecipazione dei pugliesi alle aEvità di volontariato: soltanto il 6,2% delle persone di oltre 14 anni nel 2020, al Nord sono circa il doppio. TuHavia erano l’8,7% nel 2019, un valore più alto di quello del Mezzogiorno e del Centro. Le donne e gli uomini pugliesi nel 2020 partecipano in egual misura al volontariato, anche se l’indicatore oscilla nell’arco dei 10 anni. Per le donne l’aumento dal 2017 al 2019 è stato consistente e ha determinato dal 2018 un sorpasso rispeHo agli uomini. Nel 2019 la quota di volontarie era pari a quelle della media nazionale: con la pandemia il valore è crollato.

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FOCUS: LE ASPETTATIVE PER IL FUTURO Valore ultimo anno disponibile

INDICATORE

Puglia

Mezzogiorno

Italia

Soddisfazione per la propria vita (%, 2020) (a)

43,1

40

44,5

Soddisfazione per il tempo libero (%, 2020) (a)

67,7

65,9

69,4

(a) dato provvisorio

30,1

26,1 12,5

Giudizio positivo sulle prospettive future

Centro

Nord

Puglia

Italia

Mezzogiorno

Centro

12,4

11,2

12

11,1

Puglia

29,1

Italia

30,7

Mezzogiorno

30,6

Nord

40 35 30 25 20 15 10 5 0

Giudizio negativo sulle prospettive future 2020

2019

35

Giudizio positivo sulle prospettive future M

30 25 20

Giudizio positivo sulle prospettive future F

15 10

Giudizio negativo sulle prospettive future M

5 0

2012

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

Nonostante la pandemia, i pugliesi nel 2020 sono più ottimisti rispetto al 2019, il dato aumenta ed è in controtendenza. Sia in Italia sia nel Mezzogiorno, infatti, si osserva un calo di coloro che hanno un giudizio positivo sulle prospettive future rispetto al 2019. Anche nel breve periodo 2012-2020 il dato pugliese migliora di più, nonostante partisse da un livello più basso nel 2012 sia rispetto all’Italia sia rispetto a tutte le ripartizioni. Sebbene il livello di coloro che invece hanno un giudizio negativo sul futuro sia un po’ più alto del Mezzogiorno e un po’ più basso dell’Italia; questo dato rispetto al 2012 diminuisce di molto, più della media Italia e in linea con il Mezzogiorno. Questo trend può essere collegato alla crisi 2012-2013 superata la quale comincia ad aumentare la quota di quanti ritengono che la loro vita migliorerà e comincia a calare la quota di quanti ritendono che peggiorerà, anche se il calo dei pessimisti è più forte dell’aumento degli ottimisti che crescono a partire dal 2016. Se guardiamo al genere, invece, possiamo dire che le donne ottimiste, nell’arco di tempo considerato, aumentano meno degli uomini e nel 2020 continuano a essere più ottimisti gli uomini.

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ELENCO E DEFINIZIONE DEGLI INDICATORI COMMENTATI Speranza di vita alla nascita: La speranza di vita esprime il numero medio di anni che un bambino che nasce in un certo anno di calendario può aspettarsi di vivere. Posti letto nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari: Posti letto nelle strutture residenziali socio-assistenziali e socio-sanitarie per 1.000 abitanti Anziani trattati in assistenza domiciliare integrata: Percentuale di anziani trattati in Assistenza domiciliare integrata sul totale della popolazione anziana (65 anni e più). Emigrazione ospedaliera in altra regione: Rapporto percentuale tra le dimissioni ospedaliere effettuate in regioni diverse da quella di residenza e il totale delle dimissioni dei residenti nella regione. I dati si riferiscono ai soli ricoveri ospedalieri in regime ordinario per "acuti" (sono esclusi i ricoveri dei reparti di "unità spinale", "recupero e riabilitazione funzionale", "neuro-riabilitazione" e "lungodegenti"). Rinuncia a prestazioni sanitarie: Percentuale di persone che, negli ultimi 12 mesi, hanno dichiarato di aver rinunciato a qualche visita specialistica o a esame diagnostico (es. radiografie, ecografie, risonanza magnetica, TAC, ecodoppler, o altro tipo di accertamento, ecc.) pur avendone bisogno, a causa di uno dei seguenti motivi: non poteva pagarla, costava troppo; scomodità (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi); lista d’attesa lunga. Medici: Medici praticanti per 1.000 abitanti Infermieri e ostetriche: Infermieri e ostetriche praticanti per 1.000 abitanti Tasso di occupazione (20-64 anni): Percentuale di occupati di 20-64 anni sulla popolazione di 20-64 anni. Tasso di mancata partecipazione al lavoro: Rapporto tra la somma di disoccupati e inattivi "disponibili" (persone che non hanno cercato lavoro nelle ultime 4 settimane ma sono disponibili a lavorare), e la somma di forze lavoro (insieme di occupati e disoccupati) e inattivi "disponibili", riferito alla popolazione tra 15 e 74 anni. Occupati in lavori a termine da almeno 5 anni: Percentuale di dipendenti a tempo determinato e collaboratori che hanno iniziato l'attuale lavoro da almeno 5 anni sul totale dei dipendenti a tempo determinato e collaboratori. Dipendenti con bassa paga: Percentuale di dipendenti con una retribuzione oraria inferiore a 2/3 di quella mediana sul totale dei dipendenti. Occupati sovraistruiti: Percentuale di occupati che possiedono un titolo di studio superiore a quello maggiormente posseduto per svolgere quella professione sul totale degli occupati. Rapporto tra i tassi di occupazione (25-49 anni) delle donne con figli in età prescolare e delle donne senza figli: Tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con almeno un figlio in età 0-5 anni sul tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni senza figli per 100. Part time involontario: Percentuale di occupati che dichiarano di svolgere un lavoro a tempo parziale perché non ne hanno trovato uno a tempo pieno sul totale degli occupati. Rischio di povertà: Percentuale di persone a rischio di povertà, con un reddito equivalente inferiore o pari al 60% del reddito equivalente mediano sul totale delle persone residenti. Grande difficoltà ad arrivare a fine mese : Quota di persone in famiglie che alla domanda “Tenendo conto di tutti i redditi disponibili, come riesce la Sua famiglia ad arrivare alla fine del mese?” scelgono la modalità di risposta “Con grande difficoltà”.

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Sovraccarico del costo dell'abitazione: Percentuale di persone che vivono in famiglie in cui il costo totale dell'abitazione dove si vive rappresenta piu' del 40% del reddito familiare netto. Bambini di 0-2 anni iscritti al nido: Bambini di 0-2 anni iscritti al nido (per 100 bambini di 0-2 anni) Persone con almeno il diploma (25-64 anni): Percentuale di persone di 25-64 anni che hanno completato almeno la scuola secondaria di II grado (titolo non inferiore a Isced 3) sul totale delle persone di 25-64 anni. Uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione: Percentuale di persone di 18-24 anni con al più il diploma di scuola secondaria di primo grado (licenza media), che non sono in possesso di qualifiche professionali regionali ottenute in corsi con durata di almeno 2 anni e non inserite in un percorso di istruzione o formazione sul totale delle persone di 18-24 anni. Giovani che non lavorano e non studiano (Neet): Percentuale di persone di 15-29 anni né occupate né inserite in un percorso di istruzione o formazione sul totale delle persone di 15-29 anni. Copertura della rete fissa di accesso ultra veloce a internet: Percentuale di famiglie che risiedono in una zona servita da una connessione di nuova generazione ad altissima capacità (VHCN). Disponibilità in famiglia di almeno un computer e della connessione a Internet: Percentuale di famiglie che dispongono di connessione a internet e di almeno un personal computer (inclusi computer fisso da tavolo, computer portatile, notebook, tablet; sono esclusi smartphone, palmare con funzioni di telefonia, lettore di e-book e console per videogiochi). Competenze digitali elevate: Persone di 16-74 anni che hanno competenze avanzate per tutti e 4 i domini individuati dal "Digital competence framework". I domini considerati sono: informazione, comunicazione, creazione di contenuti, problem solving. Per ogni dominio sono state selezionate un numero di attività (da 4 a 7). Per ogni dominio viene attribuito un livello di competenza a seconda del numero di attività svolte 0= nessuna competenza 1= livello base 2 =livello sopra base. Hanno quindi competenze avanzate le persone di 16-74 anni che per tutti i domini hanno livello 2. Utenti regolari di internet: Percentuale di persone di 11 anni e più che hanno usato internet almeno una volta a settimana nei 3 mesi precedenti l’intervista. Persone su cui contare: Percentuale di persone di 14 anni e più che hanno parenti, amici o vicini su cui contare (oltre ai genitori, figli, fratelli, sorelle, nonni, nipoti) sul totale delle persone di 14 anni e più. Soddisfazione per le relazioni familiari: Percentuale di persone di 14 anni e più che sono molto soddisfatte delle relazioni familiari sul totale delle persone di 14 anni e più. Partecipazione civica e politica: Percentuale di persone di 14 anni e più che svolgono almeno una attività di partecipazione civica e politica sul totale delle persone di 14 anni e più. Le attività considerate sono: parlano di politica almeno una volta a settimana; si informano dei fatti della politica italiana almeno una volta a settimana; hanno partecipato online a consultazioni o votazioni su problemi sociali (civici) o politici (es. pianificazione urbana, firmare una petizione) almeno una volta nei 3 mesi precedenti l'intervista; hanno letto e postato opinioni su problemi sociali o politici sul web almeno una volta nei 3 mesi precedenti l'intervista. Donne e rappresentanza politica a livello locale: Percentuale di donne elette nei Consigli Regionali sul totale degli eletti. Attività di volontariato: Persone di 14 anni e più che negli ultimi 12 mesi hanno svolto attività gratuita per associazioni o gruppi di volontariato sul totale delle persone di 14 anni e più.

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Giudizio positivo sulle prospettive future: Percentuale di persone di 14 anni e più che ritengono che la loro situazione personale migliorerà nei prossimi 5 anni sul totale delle persone di 14 anni e più. Giudizio negativo sulle prospettive future: Percentuale di persone di 14 anni e più che ritengono che la loro situazione personale peggiorerà nei prossimi 5 anni sul totale delle persone di 14 anni e più.

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ANNOTAZIONI


ANNOTAZIONI





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