Chair Magazine 06

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Un viaggio onirico nelle opere della pittrice catanese.

L

ei è un’artista. Racconta favole, dipinge realtà. Una cantastorie su tela. Quello che immediatamente accade di fronte alle opere di Elisa Anfuso è che ti accompagnano per mano, lentamente, verso un mondo indefinito e intenso, fatto di simboli e favole. Ti trovi lì a respirare un non so ché di fantastico, forse anche il mondo di una donna disincantata che si rifugia in pensieri da bambina, i quali si increspano su carta abitata da alti papaveri, piccoli dolci, capelli che si intrecciano, favole che si schiudono, uccellini che spiccano il volo: il tutto incorniciato su tela. Danno vita all’immaginazione di ognuno, risvegliano déjà vu, domande, ispirazioni sopite. Le favole di cui si nutre questa artista sono intrise tuttavia di realtà; una realtà che si riversa sulle tele, spazi bianchi su cui creare, e pur si pone davanti agli occhi di chi non l’ha ancora affrontata: «E così Cappuccetto Rosso ci parla di quanto la fiducia ci renda ciechi e ci impedisca di vedere anche le cose più evidenti. E Alice vive la tragedia del sentirsi sempre inadeguata, troppo grande, troppo piccola, mai della giusta misura. Inadeguata persino nel mondo da lei stessa creato. I pericoli peggiori sono proprio dentro di noi. E ancora Karen, la bambina di “Scarpette Rosse” di Andersen ci insegna che ciò che tanto desideriamo non sempre è poi ciò di cui abbiamo bisogno e che può renderci felici». Gabbie, chiavi, sedie, piccole porticine chiuse dietro la realtà dove si mischiano linee e colori, oggetti e pensieri

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che scombinano i capelli e li intrecciano nel nome dall’arte. L’arte. Quell’arte che viaggia, veloce, su un doppio binario in un’atmosfera di colori vivi e caldi, dai toni del rosso a quelli del blu: la fantasia, ma anche la nuda realtà. Lei è fatta di sogni, ma anche di carne. E di pensieri. Pensieri che con abili mani leste da pittrice si materializzano in forme, pose, colori.

Dai suoi tubetti di colori ad olio si materializza ciò con cui lei si incontra e si scontra, tutto ciò che affascina e ciò che terrorizza. “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” scriveva Shakespeare, e di questa sostanza Elisa è impastata. Ama la fotografia, il cinema francese, il pianoforte, le illustrazioni di Egneus, le poesie di Patty Smith, il teatro dell’assurdo e quello Noh giapponese, la pittura preraffaellita, Piero della Francesca, Mantegna, Hayez, Van Eyck. Tutti mondi in qualche modo accomunati da un certo elemento onirico, simbolista più o meno manifesto e da una sorta di congelamento del tempo che sposta la realtà n un piano differente e sembra lasciarla lì, sospesa. Immaginate quattro mura vuote, bianche, fredde. Elisa, pennello e pensieri in mano, e la tela che prende vita al ritmo di sogni favole e realtà. I suoi quadri si riversano dentro stanze che riempie d’oggetti e simboli.


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