Tendenze Ascesa e caduta dei fashion blogger inghiottiti dal sistema-moda _ p.20-21
Anniversari “Guy Debord è stato un genio”. Intervista a Paolo Liguori _ p.18-19
Digitale Il deep web, la parte oscura della rete dove neanche Google arriva _ p.8-11
Portrait Il sindaco Beppe Sala: i miei piani per i giovani e per le università _ p.14-15
Anno XIV | Numero 1I | Giugno 2017 | www.masterx.iulm.it
Periodico del master in giornalismo dell’Università IULM Facoltà di comunicazione , relazioni pubbliche e pubblicità
MasterX Periodico del master in giornalismo dell’Università IULM Facoltà di comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità
STREGATI DALLE
SERIE
Come e perché la nuova fiction tv sta conquistando il pubblico di tutto il mondo. Italia compresa
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MasterX Supplemento di LabIULM GIUGNO 2017 - N° 2 - ANNO 14
Diretto da: STEFANO BARTEZZAGHI (responsabile) e IVAN BERNI
SOMMARIO
In questo numero
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Progetto grafico: ADRIANO ATTUS In redazione: Giorgia Argiolas, Carlo Maria Audino, Chiara Beria, Lorenzo Brambilla, Angela Briguglio, Angelica Cardoni, Michela Cattaneo Giussani, Eugenia Fiore Bennati, Laura Gioia, Andrea Ienco, Federica Liparoti, Eleonora Nella, Massimo Sanvito, Cecilia Tondelli, Daniele Zinni, Marcello Astorri, Sara Bernacchia, Gianluca Brigatti, Emanuele De Maggio, Federico Graziani, Matteo Macuglia, Andrea Madera, Alberta Montella, Francesco Nasato, Matteo Novarini, Giulio Pinco, Carolina Sardelli, Federico Spagna, Matia Venini Leto, Michele Zaccardi.
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GIUGNO 2017
Da Dallas a 1993 Un genere in continua espansione che sta conquistando anche l’Italia. Intervista allo sceneggiatore Luca Rossi: “Gli Usa? Un altro mondo”
Deep web Un viaggio nel mondo sommerso di Internet
Global University Chronicle News in pillole dalle università di tutto il mondo. A Durham si studia Harry Potter Gli eSport si affacciano negli atenei
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Comitato scientifico: Mario Negri (Presidente), Paolo Liguori (Vicepresidente), Stefano Bartezzaghi, Gianni Canova, Mauro Crippa, Andrea Delogu Docenti: Roberto Andreotti (Giornalismo culturale) Adriano Attus (Art Direction e Grafica Digitale) Federico Badaloni (Architettura dell’informazione) Camilla Baresani (Scrittura creativa) Ivan Berni (Storia del giornalismo e Deontologia) Marco Brindasso (Tecniche di ripresa e luci) Marco Capovilla (Fotogiornalismo) Piera Ceci (Giornalismo radiofonico) Marco Boscolo (Data Journalism) Andrea Delogu (Impresa editoriale-TV) Cipriana Dall’Orto (Giornalismo periodico) Luca De Vito (Riprese e montaggio) Giuseppe Di Piazza (Giornalismo Periodico) Lavinia Farnese (Social Media Curation) Guido Formigoni (Storia contemporanea) Giulio Frigieri (Infodesign e mapping) Riccardo Iacona (Videogiornalismo) Bruno Luverà (Giornalismo e società) Caterina Malavenda (Diritto penale e Deontologia) Matteo Marani (Giornalismo sportivo) Marco Marturano (Giornalismo e politica) Pino Pirovano (Dizione) Andrea Pontini (Impresa multimediale) Roberto Rho (Giornalismo economico) Giuseppe Rossi (Diritto dei media) Alessandra Scaglioni (Giornalismo radiofonico) Gea Scancarello (Storytelling digitale) Claudio Schirinzi (Giornalismo quotidiano) Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia) Vito Tartamella (Giornalismo scientifico) Fabio Ventura (Grafica e informazione) Marta Zanichelli (Publishing digitale)
Serie tv
Tor, Bitcoin e crittografia: le parole chiave per capire la rete oscura. Intervista a Carola Frediani: il confine tra il legale e l’illegale è molto sottile
Registrazione: Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002 Stampa: RS Print Time (Milano) Master in Giornalismo Università IULM Direttore: Stefano Bartezzaghi Coordinatore didattico: Ivan Berni Direttore laboratorio digitale: Paolo Liguori Tutor: Sara Foglieni
EDITORIALI
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Portrait Intervista a Giuseppe Sala Il sindaco di Milano si racconta a tutto tondo: dalla comunicazione alle università passando per giovani e progetti futuri per la città. L’ex manager di Expo ha un modello a cui si ispira: “Vorrei somigliare a Obama”.
Altroconsumo Una storia vincente che non dipende dalla pubblicità Intervista al segretario generale: “Vogliamo cittadini consapevoli”
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Guy Debord I cinquant’anni del suo capolavoro “La società dello spettacolo” Paolo Liguori commenta la “bibbia” del situazionismo e racconta il suo ‘68
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Fashion Blogger Influencer che condizioneranno il giornalismo? L’impero di Chiara Ferragni
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Connessioni social
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Sharing World
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Iulm News
Novità da Facebook e dintorni L’Isis lancia il suo primo social Like & Unlike di Guido di Fraia
Il mondo della condivisione Airbnb si scopre esattore Pane & Sharing di Gea Scancarello
Stefano Bartezzaghi
Ivan Berni
Direttore Master in Giornalismo IULM
Coordinatore Master in Giornalismo IULM
LA SPERANZA È UN ITALIANO MENO ABULICO
PER I GIGANTI DEL WEB CI VUOLE L’INFORMATION TAX
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Nel corso di un evento sulla lingua italiana, i giornali hanno ripreso un’indagine – per la verità molto artigianale – attorno ad alcune parole della lingua italiana il cui significato non viene compreso da studenti del primo anno di università. Sono parole come “abulico” e “pusillanime”. Nella seconda classe del master di giornalismo della Iulm, nel mio corso di “Critica del linguaggio giornalistico” ho allora fatto un esperimento. Ho chiesto ai masteristi: “Ognuno di voi immagini di essere a un desk, di dover passare l’articolo di un collaboratore e di trovarvi la parola abulico. Il giornale per cui lavorate ha dato la notizia che la parola abulico non è comprensibile per molti lettori. Cosa fate? Chiedete al collaboratore di sostituirla con “pigro” o “indolente” oppure la mantenete?”. La risposta è stata quasi unanime: per i giovani colleghi in formazione l’aggettivo andava sostituito.
La manovra correttiva approvata dal parlamento all’inizio di giugno introduce in Italia, per la prima volta, la chiacchieratissima Web tax. Per la prima volta nel nostro paese i colossi del digitale – Google, Facebook, Amazon, Apple – cominceranno a pagare le imposte per il volume di affari “reale” sviluppato in Italia. E’ una notizia attesa ed è una buona notizia, dopo anni di surreale dibattito sulla convenienza di esigere un dovere – il pagamento di quanto dovuto all’erario – da chi avrebbe potuto vendicarsi escludendo l’ItaOggi Google lia dalle proprie sedi mondiali e Facebook per la sua presunta “ostilità” al controllano digitale. Affrontato un probleil 20% della ma se ne affaccia, tuttavia, un pubblicità altro, di dimensioni altrettanto enormi e di analoga urgenza. Google e soci digitali, infatti, stanno terremotando il mercato della pubblicità con conseguenze drammatiche, o addirittura fatali, per il sistema dell’informazione.
parasinonimi un po’ sfocati
In effetti parrebbe la scelta più logica e certamente è in linea con quella spinta alla semplificazione linguistica (non solo lessicale) che per decenni ha esaltato la chiarezza e la comprensibilità come unici valori capaci di difendere il giornalismo scritto dalla disaffezione dei lettori. Eppure cancellando abulico dal giornale, ne prepariamo la definitiva cancellazione dal vocabolario: resteranno parasinonimi un po’ sfocati, che per esempio non conservano la specifica connotazione di condizione psicofisica legata all’abulia (e non alla pigrizia e all’indolenza, che hanno più carattere morale). Si dirà, come è facile e frequente, che stava alla scuola il compiPer i giovani to di insegnare abulico e che colleghi non è colpa dei giornali. l’aggettivo andava sostituito
fermare la semplificazione
Ai masteristi ho risposto innanzitutto che il giornale può lasciare abulico e, se lo si ritiene, chiarire la parola nel contesto. Ho poi aggiunto che la perdita di fascino dei giornali forse è dovuta anche all’avere abdicato a un loro ruolo storico, nella diffusione della lingua italiana. Non sono le parole inutili a sparire: sono quelle inutilizzate, ed è diverso. Fermare la corsa alla semplificazione meno ragionata potrebbe essere più pratico ed efficace di tante campagne retoriche e appelli dolenti. Sui giornali si potrebbe cominciare usando l’italiano in modo meno abulico.
crescita senza limiti
La società Nielsen calcola che nel 2016 Google- You Tube e Facebook abbiano raccolto, in Italia, pubblicità per circa 1,5 miliardi di euro, pari al 20 % del mercato. A livello mondiale i due giganti del web hanno raggiunto nell’advertising , sempre nel 2016, l’astronomica cifra di 106,3 miliardi di dollari. Negli Usa il fatturato pubblicitario raccolto dall’on line è ormai pari a quello della televisione ma, a differenza di quest’ultima, continua a crescere senza limiti. Pur non essendo editori né produttori di contenuti, i giganti del web stanno mangiandosi una enorme quota delle risorse indispensabili all’editoria – scritta ma anche radiofonica, televisiva e on line – per rimanere sul mercato. Il tema, come si intuisce, è di rilevanza assoluta. Senza risorse l’informazione perde qualità e funzione di servizio, il pluralismo delle voci si assottiglia, la funzione di controllo del potere diviene impossibile. l’informazione è un bene pubblico
Qualcuno potrebbe obiettare che così va il mercato e che la ruota dell’innovazione non si può fermare. Ma se l’informazione è un bene pubblico, come in effetti è, limitarsi a osservarne l’agonia come conseguenza di una dinamica di mercato è irresponsabile e stupido. Come dire: se la web tax è dovuta, una “information tax” sarebbe benvenuta. E in qualche modo doverosa.
Eventi e novità dal mondo Iulm GENNAIO GIUGNO 2017
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DA DALLAS A 1993: RIVOLUZIONE IN SERIE Un fenomeno globale in continua espansione. Due modelli diversi, figli anche di due mondi e due pubblici diversi. “In Italia il genere ha sempre fatto fatica ad affermarsi”, dice la docente Iulm Daniela Cardini. Ma Sky con Gomorra ha accorciato notevolmente le distanze Di Carlo Maria Audino e Andrea Ienco _
porto”, spiega Cardini. italia vs stati uniti
Quanto è lontano quel 1956. A guardare il panorama della serialità televisiva al giorno d’oggi si rabbrividisce, un mondo che l’Italia per la prima volta ha conosciuto ben 61 anni fa con l’arrivo dagli Stati Uniti della celebre serie Le avventure di Rin Tin Tin. Guardando ai giorni nostri, la serialità è un genere che ormai gode di una fama e di un’affermazione tale da potersi permettere di gareggiare con i grandi film di prima serata e i reality show. “La serialità oggi è molto ben posizionata e gode di una fama che non ha mai avuto”, spiega Daniela Cardini, docente di teorie e tecniche del linguaggio televisivo dell’università IULM e grande esperta in materia, “Nel nostro paese questo genere, storicamente, ha sempre fatto fatica ad affermarsi come un elemento importante del discorso televisivo e mediale. È stata sempre vista come un prodotto di bassa qualità e di industrializzazione”. Il punto di svolta, sia nella produzione che nella fruizione, è coinciso con l’arrivo di Lost alla metà degli anni 2000, cambiando completamente la concezione che si aveva in precedenza: “Oggi non è la stessa cosa parlare di serialità o di serie tv”, continua la Cardini, “La serialità è il processo industriale che sta dietro alla produzione di un programma narrativo a puntate, mentre la serie tv è un genere dove le modalità di narrazione e la dimensione visiva possono essere valutate con i criteri dell’estetica cinematografica. Dico possono perché sembrerebbe che nell’ultimo periodo solo attraverso il cinema ci si avvicini alla serialità”. Resta la certezza, però, che le serie tv rimangono un prodotto televisivo molto plastico, con una grande capacità di attraversare l’evoluzione del formato televisivo. la transmedialità
Sempre più spesso assistiamo alla produzione di serie tv tratte da libri: questo è il fenomeno della transmedialità, ossia della capacità di un racconto di assumere varie forme e passare da un medium all’altro. A differenza del passato, è difficile che il racconto oggi assuma qualsiasi tipo di etichetta, non è possibile etichettarlo con le coordinate specifiche di un solo mezzo. “La forma seriale attraversa i mezzi: il fatto che ci sia un racconto a puntate di successo che riesca a sconfinare su altri mezzi ribadisce ancora una volta quell’essenza di plasticità tipica tale da potersi adattare a qualsiasi sup-
Nel panorama della serialità italiana, possiamo vedere come ci siano due emisferi completamente opposti, quello della produzione del nostro Paese e quello statunitense. Ma i due mondi sono paragonabili? “Se parliamo di serialità generalista non lo sono affatto” – risponde Daniela Cardini – “Sono pubblici diversi e modalità narrative differenti, per non parlare poi della quantità degli investimenti”. La fiction tradizionale italiana ha come target, infatti, il pubblico adulto con un abitudine radicata al consumo televisivo; inoltre, non c’è, dal punto di vista narrativo, quella necessità di creare dei personaggi in costante evoluzione visto che il binge watching (il guardarsi un’intera serie televisiva in un’unica volta) non è una pratica comune in Italia. Per capire meglio, “i personaggi e le storie sono costruite in maniera diversa, c’è il bisogno di aspettare una settimana intera e, di conseguenza, il ritmo narrativo è più lento”. Tra
I DATI
Usa sovrani Nella tabella le top-3 degli ascolti di serie tv in Italia e negli Stati Uniti, distinte tra gratis e a pagamento. L’unico in classifica al di qua e al di là dell’oceano? Il Trono di Spade USA NETWORK GENERALISTI The Big Bang Theory NCIS Bull
19.940.000 19.650.567 16.690.000
USA NETWORK VIA CAVO Game of Thrones The Walking Dead The people v.OJ Simpson
23.300.000 17.890.000 12.700.000
ITALIA NETWORK GENERALISTI Montalbano Don Matteo 10 Luisa Spagnoli ITALIA NETWORK A PAGAMENTO Gomorra 2 The Young Pope Game of Thrones
10.955.379 7.547.077 7.453.012
1.957.179 1.376.453 973.661
le due ammiraglie della nostra tv in chiaro, chi si è mossa meglio e ha investito di più è la Rai che, lavorando sui generi, sperimentando e adattando, si è costruita una credibilità tutta sua in termini di serialità. E solitamente l’adattamento è sempre molto delicato nella fiction. Eppure un format come quello di Braccialetti Rossi, la versione italiana della serie catalana Polseres vermelles, ispirata alla storia vera dello scrittore spagnolo Albert Espinosa, dimostra che adattare con successo è possibile visto che, per la prima volta, la Rai è riuscita a intercettare anche un pubblico giovane che solitamente non le appartiene, creando episodi di fandom del tutto inaspettati. “Ma non finisce qui, perché, escludendo la corazzata Montalbano che produce sostanzialmente dei film, altri esperimenti come Tutto può succedere, altro adattamento italiano, stavolta di una serie americana come Perentwood, o Tutti pazzi per amore, un prodotto fresco e divertente, sono riusciti”, ci illustra ancora la Cardini. Al successo della tv di stato, fa da contraltare la scelta opposta di Mediaset che ha deciso di puntare sui reality e sulle sue derive. E Sky? Per la pay tv bisogna fare un discorso a parte: “Avendo un bacino molto più simile a quello statunitense, ha idee completamente diverse. Sky nasce già con l’idea delle sindacation (la vendita dei diritti di trasmissione di programmi radio e televisivi a singole emittenti televisive senza passare da quelle nazionali, ndr), della possibilità di appoggiarsi a più piattaforme. Per questo si affermano prodotti come Gomorra o Romanzo Criminale. Anche l’idea di costruire un film in 10 puntate come con The Young Pope è stata interessante, anche se è sfuggita un po’ di mano”. Rimane un modello completamente diverso, ma attenzione a non dare giudizi prematuri: parlare di una fiction di serie A (Sky) e una di serie B (Rai) è sbagliato ed è un pregiudizio perché sono semplicemente due prodotti diversi. Ma non è l’unico: “Parlare dell’Italia come un Paese di commissari e mafiosi è sbagliato” – chiosa ancora la Cardini – “In generale, Sky è molto più legata a questo genere rispetto alla Rai e guardando le maggiori serie di successo in prima serata non ci sono poliziotti e mafiosi”. Certo, non che sia del tutto assente la tematica (Distretto di Polizia e Squadra Antimafia ne sono un esempio), ma si colloca nello stesso segmento di mercato di genere anche in America. La sperimentazione della Rai, infatti, ha portato alla scoperta di nuovi orizzonti, al punto da spingersi a provare a riprodurre una serie storica come I Medici: i risultati non sono stati entusia- >
FOCUS | 1 IL FANDOM
L’influenza delle comunità virtuali nelle serie tv _ Il termine fandom nasce dall’incontro tra le parole inglesi fan (ammiratore) e kingdom (regno) e indica un luogo virtuale che riunisce una comunità di persone che condivide un interesse per un fenomeno culturale: una saga, un libro, una serie tv ecc. Con l’arrivo di internet prima e col boom dei social network poi, i sostenitori sparsi in tutto il mondo hanno avuto l’opportunità di interagire e acquistare un notevole potere, dando vita a fandom attivi, critici e influenti. Infatti, autori e produttori di show televisivi, non di rado, decidono di cambiare in corso d’opera le scelte narrative sulla base degli umori del pubblico. Basti pensare a diversi sceneggiatori che, per accontentare i desideri dei fandom delle loro serie tv, hanno deciso di sviluppare sullo schermo una ship (gergo telefilmico per riferirsi a una coppia sostenuta da un gruppo di fan) che nelle intenzioni originali non avevano considerato (es. Oliver e Felicity di “Arrow”, serie fantascientifica targata CW). Certo, esistono anche coloro che, senza farsi influenzare, portano avanti la loro idea di endgame (con questa parola si fa riferimento a una relazione tra due personaggi che si vorrebbe alla fine della storia si mettessero insieme definitivamente), come gli autori di “True blood”, serie horror trasmessa da HBO, con la coppia Sookie-Billy, meno tifata ma vittoriosa rispetto a quella formata da Sookie e Eric. Non solo ship. Tenere in considerazione i feedback degli spettatori, ha consentito agli autori di curare maggiormente filoni narrativi trascurati o di promuovere da guest star a “regolare” qualche attore particolarmente apprezzato, dando così spazio a personaggi divenuti amatissimi dal pubblico come Summer in “The OC”, Brooke in “One Tree Hill” o Capitan Uncino in “Once upon a time”. Morale della favola? Il fandom è un fenomeno che, a volte, porta dei benefici alle serie tv ma da cui gli sceneggiatori non dovrebbero farsi travolgere, rischiando di scadere nel fanservice fine a se stesso, ovvero in scelte senza senso e incoerenti con la costruzione della trama e dei personaggi (A. B.)
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SERIE TV
WEB SERIES
i medici e l’impietoso confronto
“Il web? Tutto confluisce nel grande schermo” _ “Una serie di episodi di fiction realizzati per essere fruiti attraverso il web (la cosiddetta Web Tv), oppure suyi display dei dispositivi mobili: è questa la definizione che la rete attribuisce alle web series. Ma per capirne di pù ci aiuta ancora Daniela Cardini: “Sono un genere di nicchia e perlopiù fanno parte del genere commedy: è questo il loro limite maggiore”. Eppure continuano a essere un gemnere in continua espansione. Specialmente tra i più giovani: solo due anni fa è stata premiata Klondike, una web serie targata IULM e ideata, scritta e interpretata da “La Buoncostume”, collettivo indipendente nato nel 2012 e di cui sono fondatori anche Fabrizio Luisi e Carlo Bassetti, autori e sceneggiatori affermati per televisione e web. Sin dal 1997, anno in cui è uscita Homicide: Second Shift, uno spin-off dell’omonima serie televisiva, le web series hanno abbattuto una frontiera e hanno cercato di proporsi come un nuovo prodotto narrativo audio-visivo. “Con il passare del tempo, però, sono emersi tutti i loro limiti - continua Cardini -. Il primo, senza dubbio, è il genere che necessita di un determinato supporto e richiede semplicità e velocità”. In altre parole, è una commedia di battuta, a volte triviale e volgare, che si ripete continuamente, ponendosi un unico obiettivo: cercare di apparire in televisione. “Perché, in fondo, l’unico approdo sicuro è quello della televisione” - chiosa Cardini -. “Anche una web serie con i suoi personaggi ha bisogno di approdare sul grande schermo per essere di successo”. Se rimane limitata alla rete, infatti, una serie avrà quasi sicuramente sempre lo stesso target di giovani, quelli che non si sentono toccati dalle serie che oggi spopolano. Un’ulteriore prova? Basta pensare a Maccio Capatonda: quella che si considerava la stella nascente delle commedy ha dovuto aspettare l’approdo al cinema prima di arrivare a guadagnarsi anche lui una posizione di prestigio. Tutto ritorna alla televisione, insomma: “Si parla sempre di modernità ma si cerca di approdare sempre sul grande schermo: è irritante - conclude Cardini -. La cifra stilistica però non si discosta da quella volgarità: si è sempre parlato della libertà della rete, peccato che si scada costantemente nella scurrilità” (C.M.A.)
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Per entrare meglio nell’argomento, bisogna fare una doverosa precisazione. È fondamentale, infatti, sottolineare la differenza tra un kolossal e una serie, come ci spiega ancora Daniela Cardini: “Nel caso dei Medici si è cercato di fare un prodotto molto costoso con la presenza di difficoltà di scrittura notevoli e con attori con una capacità recitativa discutibile. È stato un tipo di racconto che nulla c’entra con il racconto storico che per esempio si ha in Game of Thrones. Quando si cerca di imitare qualcosa ma non si sta parlando allo stesso pubblico e non si hanno le stesse capacità produttive e la stessa robustezza produttiva non si fa un grande servizio al genere”. L’avvento di Netflix è spesso collegato alla nascita di una tecnica ben precisa: il binge watching. Questa modalità di fruizione ormai diffusa consiste nel recuperare la visione di tutti gli episodi di una serie tv in poco tempo, scardinando il concetto di serialità con cui è stato inizialmente pensato il prodotto. Persino la Treccani ha inserito il neologismo nell’elenco dei suoi lemmi. Netflix ha inoltre cambiato la dimensione narrativa delle serie con la promozione del racconto del personaggio rispetto alle storie: “È più interessante vedere, nel corso delle puntate, come funzionano determinati personaggi piuttosto che l’intreccio serrato della storia”. Chiara dimostrazione di questo cambiamento sono due delle serie di maggior successo di Netflix: House of cards, una storia di un uomo che vuole diventare il Presidente degli Stati Uniti, ma che si caratterizza per una fortissima dinamica uomo-donna e Orange is the new Black dove viene raccontata la vita in un carcere femminile all’interno del quale si sviluppa il carattere dei vari personaggi. Eccezione in questo senso è Game of Thrones dove si fondono i due elementi. Il nuovo colosso Netflix, capace in pochi anni di diventare uno dei più interessanti attori sul pal-
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“Le serie in Italia? Un difetto di sistema”
> smanti, ma la volontà di espandere ancora il range rimane tanta.
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SERIE TV
Troppo potere ai registi e poco agli autori: “Un problema di cultura”. Lo sceneggiatore Luca Rossi analizza le criticità nel mondo delle fiction nostrane e ciò che le distanzia ancora da quelle Usa
NELLE FOTO A lato i protagonisti di “Gomorra”; sopra Daniela Cardini, docente di teorie e tecniche del linguaggio televisivo della IULM
co non solo della distribuzione, ma anche della produzione di narrativa audiovisiva al mondo si è scontrato con HBO, ovvero la più vecchia tra le sue concorrenti, attiva dal 1972, con alle spalle decine di titoli di successo — da I Sopranos a Game of Thrones — e padrona quasi assoluta delle classifiche del top del genere. Il 2016 è stato un anno fondamentale per Netflix, il primo completo dopo l’espansione mondiale e il primo in cui i contenuti originali proposti sono stati fitti durante tutto l’anno, e non soltanto di serie tv, ma anche di film e di documentari, questi ultimi con alcuni risultati veramente impressionanti. netflix sale, ma hbo primeggia
La sensazione comune però è che ci sia ancora parecchio lavoro da fare sia sulla scelta dei titoli che sulla produzione, perché nonostante l’enorme pubblicità su internet e sui giornali potesse far pensare a un sorpasso di Netflix, HBO ha mantenuto saldo il suo vantaggio. HBO ha prodotto veri e propri capolavori: dalla grande bellezza di The Young Pope, fino all’immensità narrativa e scenografica di Game of Thrones, dal bellissimo
Perché funziona così secondo lei? È un problema di cultura. Siamo abituati al cinema dove il regista è anche produttore e assume, dunque, “Il problema della serialità televisiva in Italia risiede un ruolo di grande predominanza. Riproporre questo nel sistema”. Parola di Luca Rossi, giornalista, scrittore sistema anche nelle fiction è sbagliato. Perché una serie e sceneggiatore. Ha scritto molte serie TV, tra cui Cat- funzioni è di fondamentale importanza la forza della turandi, Il sequestro Soffiantini, Distretto di Polizia, Gli sceneggiatura. Non puoi lasciare tutto in mano al reInsoliti Ignoti, Diritto di Difesa, E poi c’è Filippo, Quo gista perché non ha idea di cosa sia la drammaturgia e Vadis Baby? e Il nostro amico Walter, vincitore del pre- rimane attaccato alla realtà. mio per la miglior sceneggiatura italiana al Rome Fi- Sugli argomenti trattati nelle fiction che differenze ction Fest 2012. Per Mondadori ha pubblicato Camor- riscontra tra Italia e Usa? ra, Arrivederci mafia, I disarmati e La produzione americana che veCatturandi, Nel nome del padre. Per diamo è eccellenza ma esistono anFeltrinelli Sex virus. È anche autore che serie di qualità scadente. In ogni di Two Women, opera lirica tratta da caso, gli Usa sono sensibilmente più La Ciociara di Moravia, con musica popolati, quindi, in primis, rispetto di Marco Tutino e messa in scena all’Italia non c’è paragone in termidal San Francisco Opera House. ni di pubblico. Lì c’è la possibilità di Con lui abbiamo parlato delle difsperimentare molto di più. In Italia, ferenze tra fiction italiane e ameriper andare in onda sulle reti generacane e riflettuto sulle criticità della liste, bisogna abbassare il target. produzione nostrana. Quali temi sono maggiormente richiesti in Italia? Come nasce una serie? La richiesta maggiore è per fiction In Italia, a differenza di quanto acstile “Un medico in famiglia”, ma cade in America, raramente si parte avendo visto alcuni risultati che dall’idea di uno sceneggiatore. Di hanno ribaltato le previsioni iniziali, solito, una serie nasce su richiesta di come nel caso di Rocco Schiavone Non puoi lasciare un network che ha già previsto degli (Rai due chiedeva l’8% di share, spazi e pensato alla tematica. In Itainvece ha fatto il 12-13%!), dire che tutto in mano lia la tv è già “contigentata” e questo le cose stanno cambiando non è al regista perché è un male. un’utopia. Il successo o l’insuccesso Quali sono gli altri passaggi che di una serie è imponderabile. Aldilà non ha idea di cosa conducono alla produzione? dell’argomento, bisogna trovare la sia la drammaturgia storia giusta e la chiave di lettura inPoniamo il caso che un network richieda 6 puntate da 100 minuti trigante per raccontarla. LUCA ROSSI ciascuna di una fiction di mafia. A Lei è reduce dall’esperienza di quel punto, lo sceneggiatore scrive Catturandi… il soggetto di serie, cioè tutto ciò che avverrà per gran- Catturandi era una serie innovativa, la storia fu approdi linee. Se il soggetto piace, si passa alla seconda fase, vata subito. Quando stavamo girando, però, il film è diil trattamento, ovvero la storia di ogni singola puntata. ventato più lungo. I tagli effettuati hanno fatto perdere Se arriva l’ok, si passa alla sceneggiatura, pagata di più qualità perché non c’era lo sceneggiatore a seguire. In perché il network sa che il prodotto andrà in onda. I più la serie è stata ferma 2 anni, e così è diventata “vecproblemi veri e propri, però, iniziano nel momento in chia” ancora prima di andare in onda. A Settembre concui consegni la sceneggiatura. Il paradosso è che tu sei tro il Grande Fratello abbiamo fatto il 13%, non terribile l’inventore ma, da quell’istante, il regista può cambiare ma così così. Siccome tenevo alla storia e ritenevo fosse qualsiasi cosa senza che tu abbia alcuna voce in capito- molto valida, ho pubblicato il libro sulla serie per dare lo. In America è diverso. un’idea più completa rispetto alla fiction. Cosa cambia? Siamo vicini a un cambio di sistema in Italia o no? Negli Usa lo sceneggiatore è molto più pagato ed è la Io sono fiducioso. In Sky con serie come 1992 e Gomorfigura che incide di più insieme al produttore. Quando ra questo processo funziona. Canale 5 con l’arrivo dello consegna la sceneggiatura, segue tutto e sta sul set insie- sceneggiatore Ceserena (Marcello Cesena) penso si avme al regista. Anche se le scene non vengono filmate in vicinerà in breve tempo a quel livello. In Rai è tutto più ordine, lo sceneggiatore si ricorda ogni passaggio della lento perché bisogna accontentare il pubblico generalistoria e ha la possibilità di risolvere qualsiasi tipo di “ro- sta ma sono fiducioso dato che alla sceneggiatura lavora gna”. In Italia invece è completamente diverso. gente di qualità. Di Angela Briguglio _
rifacimento di The night of, fino al capolavoro assoluto di questo 2016, quella vertigine fantascientifico-western di Westworld. L’unico prodotto targato Netflix che quest’anno può competere con i gigadrama di HBO è The Crown, anche questa una delle più belle serie dell’anno, ma non basta — non ancora, almeno — per arrivare a superare HBO, che agli Emmy Awards anche quest’anno ha ottenuto la quasi totalità dei premi. Ultima novità di questi anni è la presenza di numerosi tentativi di prequel e sequel: “ Si è intrapresa questa strada per diversi motivi, uno sicuramente è quello economico perché riportare David Lynch a fare Twin Peaks permette di vendere il prodotto ancora prima di farlo partire – conclude Cardini – I sequel si fanno quando c’è qualcosa che funziona come per esempio Sex and the City che è diventato un vero e proprio brand nel senso che si può permettere quelle che si chiamano brand extension cioè può ripercorrere alcuni stilemi della sua identità per vedere se funzionano alcuni anni dopo. Il sequel va a parlare al pubblico che 20 anni fa era giovane ovvero si cerca di fare una sorta di operazione nostalgia e Twin Peaks è l’esempio perfetto di questo tentativo”.
I CASI
Tre fiction, tre rivoluzioni
1. DALLAS
2. LOST
3. HOUSE OF CARDS - GLI INTRIGHI DEL POTERE
La prima serie serie importata e andata in onda prima su Rai Uno e successivamente su Canale 5, che ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia nella guerra dell’audience degli anni ottanta. È stata tradotta e doppiata in 67 lingue diverse in più di 90 nazioni, un record per la televisione americana ancora imbattuto.
Rappresenta il fandom per eccellenza. Non tanto per l’importanza che ebbe nelle decisioni degli autori, ma per la portata immensa che ebbe sul web. Per esempio, i fan più accaniti seguivano le puntate live su internet per interagire con (potenzialmente) il mondo: per una serie di 10 anni fa un evento clamoroso.
Serie televisiva statunitense, ideata e prodotta da Beau Willimon, l’intera prima stagione, composta da tredici episodi, ha debuttato nel 2013 su Netflix. House of Cards è l’emblema di come vengono concepite le nuove serie tv tra le quali si possono annoverare Scandal, Homeland, Orange is the new black, Prison break. (A.I.)
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DEEP WEB
GLOSSARIO
Il web profondo in 7 parole chiave
DEEP WEB
DIGITALE
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1. TOR
2. BITCOIN
3. DEEP WEB
4. DARK WEB
5. PROTONMAIL
6. SILK ROAD
7. CRITTOGRAFIA
Tor è un sistema che consente la navigazione anonima e l’abilitazione dei servizi accessibili solo tramite questo browser. I dati vengono trasmessi attraverso una catena di server e sono protetti da crittografia. È quasi impossibile individuare l’indirizzo Internet dei soggetti coinvolti o intercettarne la comunicazione.
I Bitcoin sono una valuta digitale spendibile solo in Internet. Non hanno un corrispettivo fisso in moneta tradizionale e il loro valore fluttua in base alle leggi della domanda e dell’offerta. Gli utenti si scambiano denaro usando chiavi crittografiche. Non si può sapere, quindi, chi effettivamente stia inviando i soldi.
Il Deep Web è la parte di Internet che sfugge ai motori di ricerca tradizionali, come i blog in lingue rare e gli indirizzi poco noti. Ne fanno parte nuovi siti non ancora indicizzati, pagine a contenuto dinamico, software e siti privati aziendali. Viene utilizzato da dissidenti politici e da associazioni come Wikileaks e Anonymous.
Il Dark Web comprende tutte le attività su Internet che usano massicciamente la crittografia per non rendersi tracciabili. Proprio grazie all’anonimato, questa parte della rete ospita numerose attività illecite, come traffico di droga, commercio di armi e documenti falsi, così come di materiale pedopornografico.
Protonmail è servizio di e mail, utilizzabile gratuitamente da chiunque. Tutta la posta viene salvata solo dopo essere stata crittografata con la chiave privata dell’utente. Inoltre, ogni messaggio viene automaticamente cifrato anche in transito. Di conseguenza nessuno, nemmeno il server, può decifrarne il significato.
Era il più grosso mercato nero del Dark Web, chiuso da un raid dell’Fbi nel settembre 2013. Droghe, pornografia, prodotti contraffatti, documenti falsi e, da marzo 2012, anche armi: questi i prodotti offerti. I venditori operavano maggiormente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Il creatore Ross Ulbricht è stato condannato all’ergastolo nel 2015.
La crittografia asimmetrica consente all’internauta di nascondere la sua identità fornendo esclusivamente la chiave pubblica. Quella simmetrica impedisce agli intercettatori di capire il contenuto della conversazione, perché richiede che i due utenti si siano scambiati una chiave in segreto prima di iniziare a comunicare.
Viaggio negli abissi di Internet Nel Dark Web chiunque può navigare senza essere identificato. Si può comprare di tutto: droga, armi e pedopornografia Di Chiara Beria _ Come ogni oceano, anche il Web ha i suoi abissi. E più si scende, più l’oscurità aumenta. Secondo uno studio di Michael Bergman pubblicato nel 2001 sul Journal of Electronic Publishing - i motori di ricerca indicizzano solo lo 0,03 per cento dei documenti esistenti. Tutto il resto è Deep Web, la faccia nascosta della Rete. Nelle profondità di Internet, dove nemmeno Google e i colossi della Silicon Valley possono arrivare, cancellare le tracce è facile. Il browser di navigazione anonima più utilizzato, The Onion Router, è stato ideato dalla Marina Militare statunitense negli anni Novanta. Installarlo è semplice, gratuito e legale. Basta cliccare su torproject.com, un sito disponibile nel Web tradizionale, e seguire la procedura guidata. È come imboccare un tunnel: una volta dentro, nessuno può vedere chi siamo e cosa stiamo facendo. Associazioni come Anonymus e Wikileaks si muovono qui, nel più grande spazio di libera espressione del Pianeta, per diffondere documenti riservati e libri proibiti. Ma l’anonimato non protegge solo attivisti, dissidenti e intellettuali. In que-
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sta parte oscura – il cosiddetto Dark Web - si compra e si vende di tutto: passaporti falsi, armi, virus per attaccare altre piattaforme. Cosa succede a chi si addentra nel Web nascosto? Il primo problema, naturalmente, è orientarsi. La “torcia” degli internauti, il motore di ricerca Torch, funziona esattamente come Google. Digitando la parola chiave appaiono decine e decine di siti, tutti identificati con sequenze alfanumeriche impossibili da indovinare. Per chi invece è alle prime armi, o vuole solo farsi un’idea, The Hidden Wiki è una tappa obbligata. La pagina offre una panoramica dei domini onion, articoli simili a quelli di Wikipedia e link specifici per ogni esigenza. Non può mancare l’informazione. Deep Dot, un portale di all news presente anche nel Web di superficie, è uno degli indirizzi più cliccati. Blogger arrestati, negozi illegali chiusi, siti censurati: i redattori in incognito denunciano i contrattacchi del potere, ma anche la violenza che si cela nelle pieghe delle reti clandestine. Una sorta di autoregolamentazione etica che dovrebbe, almeno nelle intenzioni, limitare la diffusione dei contenuti più pericolosi. “Abbiamo fondato Deep Dot – si legge sulla home page – subito dopo l’arresto di un amico. L’obiet> GIUGNO 2017
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IL CASO
Smantellata dalla Questura di Lecco la Darknet italiana _ Onion. Sono chiamati così i siti del Deep Web, in cui i messaggi sono incapsulati in “strati” di crittografia che vengono paragonati agli strati di una cipolla. È, dunque, molto difficile “sbucciare” queste parti del Deep Web. Il servizio Centrale Operativo e la Squadra Mobile di Lecco - coordinati dalle Procure della Repubblica di Lecco, Bergamo, Pisa, Rovereto e Forlì - ci sono riusciti e, il 28 aprile, hanno arrestato cinque internauti per traffico internazionale di stupefacenti sulla rete oscura. Si tratta di tre italiani, un albanese e un brasiliano di età compresa tra i 29 e i 55 anni. I denunciati sono in tutto dieci, accusati di aver ceduto ingenti quantità di droga attraverso la Darknet. La polizia di Stato di Lecco ha ricostruito le operazioni illegali che avvenivano tramite il portale del Deep Web Italian Darknet Community (Idc), una piazza virtuale frequentata da utenti italiani. L’indagine è partita nel 2016, ma non è stato facile individuare i colpevoli. “Nel Deep Web è difficilissimo arrivare alla fonte - ha spiegato il capo della Squadra Mobile Marco Cadeddu - poiché non si utilizzano i normali protocolli http e https e, dunque, è impossibile identificare gli utenti tramite indirizzo IP. Abbiamo abbinato attività di investigazione classica e informatica. Fondamentale, poi, è stato l’apporto degli agenti sotto copertura, che hanno osservato e monitorato i soggetti sospetti, in particolare acquirenti di droga e utenti che utilizzavano bitcoin per motivi illegali. In parte siamo riusciti a colpire i nostri obiettivi”. La droga, venduta in minimi quantitativi per evitare rischi, veniva occultata all’interno di oggetti di uso comune - statuette, cellulari, hard disk, persino bottigliette di bibite - e spedita con pacchi postali anonimi. Un’attività pubblicizzata direttamente on line e documentata con video e fotografie. I presunti spacciatori operavano sul sito Italian Darknet Community e altre piattaforme simili. “Anche se si parla di un fenomeno assolutamente internazionale - ha detto ancora Cadeddu - ci siamo concentrati su siti italiani, perché italiani erano i soggetti a cui puntavamo. Questo specialmente per questioni giuridiche: nel nostro territorio abbiamo molti più strumenti e armi investigative a disposizione, dato che in altri Paesi vigono altre legislazioni”. Non solo droga. Nel corso dell’indagine è emersa anche la vendita di armi, documenti falsi, account di siti di e-commerce intestati a persone inesistenti o oggetto di furto di identità, oltre a sistemi per creare virus e poi infettare i computer e minacciare i destinatari. E ora? “Abbiamo sequestrato diverso materiale informatico che siamo fiduciosi possa fornirci spunti investigativi notevoli,. Per ora, siamo soddisfatti. Infatti, siamo riusciti ad arrestare uno dei venditori di droga più accreditati,che si muoveva sotto il nome di Kriminale. Nessuno era mai riuscito a identificarlo”, ha affermato Cadeddu. E proprio “Kriminale” è la vittoria maggiore di questa indagine. Si tratta di un trafficante di rilievo internazionale, segnalato da anni dalle autorità americane e coinvolto nel 2013 nell’indagine dell’FBI su Silk Road. (G. A.)
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> tivo è rendere accessibili le informazioni sui mercati della Dark Net, segnalando rischi per la sicurezza, truffe o operazioni di polizia. Il successo del sito è la miglior vendetta che potessimo avere su chi ha incastrato il nostro compagno. Inoltre, è perfettamente legale”. Per Deep Dot difendere il libero commercio – anche di sostanze stupefacenti - è una vera e propria missione. “Non prendiamo soldi per aggiungere, modificare o cancellare lo status dei negozi presenti nell’elenco – precisano – qualche annuncio pubblicitario ci aiuta a pagare le spese, ma il tempo e l’impegno che mettiamo nel sito ci costano molto di più”. I blogger, insomma, si considerano veri cronisti. E rispondono volentieri alle domande dei colleghi. «Il mercato si regola da solo – dice un anonimo – i principali mezzi di autoregolamentazione sono i forum e le recensioni postate sui profili dei venditori. Deep Dot è, fondamentalmente, un sito di informazione. Il nostro obiettivo è ridurre i danni del consumo di droga e tenere alla larga i truffatori. Per quanto riguarda le armi, la maggior parte dei portali non ne prevede la vendita. Quando accade, nel novanta per cento dei casi c’è sotto una truffa o un poliziotto sotto copertura. Non pubblichiamo mai gli indirizzi dei negozi specializzati in armi – legali e illegali - truffe o materiale erotico».
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pedopornografico, ma abbiamo deciso di non pubblicare l’intervista e di girarla alla Bbc». Tutto vero? Dal punto di vista giornalistico, sembra proprio di sì. L’articolo è stato pubblicato sul sito della tv britannica il 19 giugno 2014. E i virgolettati riportati da Angus Crawford, l’autore del pezzo, aprono scenari inquietanti. «Indubbiamente i pedofili che usano la Dark Net sono sempre più numerosi – dice l’intervistato - non so se questi nuovi utenti siano neofiti della pornografia minorile o se, invece, si tratti di persone che prima compravano sul Clear Web e poi si sono spostati su Tor». Una testimonianza sconcertante, che dimostra come la navigazione anonima tuteli chi scende - oltre che negli abissi di Internet - anche in quelli della mente umana. «Non voglio spiegare nei dettagli quali misure di protezione utilizzo - continua l’internauta - basti dire che è un sistema a più livelli, progettato per proteggermi da chiunque. Anche dall’hacker più bravo del mondo».
Nonostante qualche tentativo di censura, le immagini pedopornografiche sono facilmente reperibili. E a sentire i redattori di Deep Dot, contrastare il fenomeno è quasi impossibile. «Sostengo con forza la lotta alla pornografia minorile – precisa la fonte – ma non ho strumenti per combatterla direttamente. Mi limito a informare gli utenti su ciò che accade, segnalando gli arresti (numerosi) delle persone accusate di questo reato. Una volta abbiamo parlato con il gestore di un portale
NELLE FOTO: Alcuni screenshot dei siti oscurati dalla Squadra Mobile di Lecco nell’ambito dell’indagine “Italian Darknet Community”. Tra gli oggetti in vendita armi d’assalto e droga.
Cronache del mondo sommerso La giornalista Carola Frediani ci spiega come funziona l’informazione nel Deep Web
Di Giorgia Argiolas _ A dimostrare che il confine tra il legale e l’illegale, tra i criminali e i difensori della libertà di pensiero non è mai stato così sottile come nel Deep Web è Carola Frediani, giornalista al desk inchieste de La Stampa dal 2015 ed esperta del tema. Frediani ha, infatti, scritto di nuove tecnologie, cultura digitale, privacy e hacking per L’Espresso, Wired, Corriere della Sera, Sky.it, Il Secolo XIX, DailyDot, TechPresident e Motherboard. Nel 2010 ha cofondato Effecinque, agenzia giornalistica indipendente che si occupa delle nuove tecnologie. Sul tema ha, inoltre, scritto diversi libri: Dentro Anonymous. Viaggio nellle legioni dei cyberattivisti (Informant, 2012), Deep web. La rete oltre Google - personaggi, storie e luoghi dell’internet profonda (Quintadicopertina, 2014), Attacco ai pirati. L’affondamento di Hacking Team: tutti i segreti del datagate italiano (La Stampa - 40k, 2015) - di cui è coautrice – e il recentissimo Guerre di rete (Laterza, 2017). Si è occupata di alcuni dei casi più importanti collegati al Deep Web, in particolar modo di Silk Road, il più grosso mercato nero della rete oscura, chiuso da un raid dell’Fbi nel settembre del 2013. 1. Che cos’è il Deep Web? E cosa si intende, invece, per Dark Web? Per Deep Web si intende tutta la rete che non è indicizzata dai motori di ricerca. Spesso si usa quest’espressione anche per indicare il cosiddetto Dark Web - definizione giornalistica e impropria - cioè le reti anonime, che garantiscono un alto livello di non riconoscibilità sia a chi naviga, sia a chi gestisce server e servizi web. Esistono
diversi siti che si possono utilizzare e visitare solo scaricando certi software - ad esempio Tor - e che non sono localizzabili (come nel caso di Silk Road). Per poterli trovare è strettamente necessario avere l’indirizzo, l’url. 2. Chi le è capitato di incontrare nel Deep Web? Dato che il Deep Web è uno spazio che offre particolari funzionalità tecniche di privacy e anonimato, all’interno si trovano tutti coloro che hanno bisogno di utilizzarle. E, in particolare, persone che si impegnano per contrastare la censura e che vogliono accedere ai siti vietati nei loro Paesi. Altri che sono specializzati in strumenti informatici dell’anonimato, come le criptovalute. Si possono scorgere molte comunità di questo tipo, specialmente il mondo hacker, che si muove tanto in questo ambiente. E ancora, si può scoprire buona parte di cybercriminalità, di cui una fetta è coinvolta in reati più gravi, odiosi, pesanti, come la pedopornografia. Tuttavia, si trovano anche i media, che hanno i loro siti.
4. Quanto sono attendibili le notizie che circolano nel Deep Web? Nel Deep Web non si trovano dei veri e propri giornali. Ci sono le testate – come ad esempio Il Guardian, Forbes, che hanno un loro sito – ma solo per raccogliere le segnalazioni degli utenti che preferiscono scrivere in modo anonimo. Detto questo, anche parlare di vere e proprie testate è improprio. Ci sono blog, che un po’ informano, ma sono basati soprattutto sul passaparola o su notizie che si ricavano dai forum, dai siti. Siccome non c’è nessuno che garantisce la veridicità dell’informazione, bisogna sempre verificare. 5. Una volta verificate, le segnalazioni potrebbero diventare una fonte alternativa per i giornalisti? Circola un po’ l’idea che navigando nel Deep Web si possano trovare delle informazioni. Ma non funziona proprio così. Puoi scoprire notizie interessanti, ma limitate a certi mondi. Sicuramente non informazioni di politica estera. Quando ci sono gli attacchi informatici, puoi scovare notizie rilevanti, perché chi ha dei documenti o dei link in merito potrebbe pubblicarli nel Deep Web. Pensiamo ad Anonymous, per esempio.
3. È più comune incappare in un criminale o in un dissidente che vuole aggirare la censura? In realtà, non si tratta di incontri casuali, ma di ricerche mirate. Il problema prin- NELLA FOTO: Carola cipale di chi scarica questi software è che Frediani, giornalista de spesso non sa dove andare o cosa fare. La Stampa, esperta in Rimane lì. In realtà, la questione consiste tema di cultura digitale 6. In che modo il Deep Web può aiutanel sapere cosa stai cercando e dove vuoi privacy e hacking re ad aggirare la censura? andare, avere i contatti, gli indirizzi. Un Ci sono strumenti, come Tor, che persoftware come Tor, che è usato proprio per navigare su mettono a chi vive in certi Paesi sia di navigare in InterInternet in modo anonimo, è utilizzato anche per crea- net normalmente - senza che il governo possa tracciarli, re siti. Tuttavia, la maggior parte delle persone che ne fa localizzarli o sorvegliarli - sia di aggirare filtri loschi uso lo fa per navigare nel web normale; solo una piccola in determinati siti. La Turchia, ad esempio, ha appena parte lo adopera per il Dark Web. A livello quantitativo, bloccato Youtube e Twitter, ma se si utilizza un browser dunque, questo elemento va tenuto presente. Milioni di come Tor è possibile aggirare la censura e utilizzarli enpersone lo usano per accedere ai siti web vietati in tanti trambi. Paesi.
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UNIVERSITÀ NEL MONDO
ARGOMENTO
GLOBAL UNIVERSITY CHRONICLE
DURHAM
2 IRAN Teheran punta a raddoppiare gli studenti stranieri nei suoi atenei Sono 52.000 gli studenti stranieri, provenienti da ben 44 Paesi, ospitati, attualmente, nelle varie università iraniane. L’obiettivo, come svelato dal ministero della Scienza, Ricerca
e Tecnologia, è quello di raddoppiare questa cifra, attraendo nuove matricole provenienti da Asia, Africa e America Latina. Gli iracheni sono il gruppo universitario più numeroso all’interno degli atenei iraniani.
4 CINA Ovest e corruzione: Pechino indaga nei suoi atenei Le migliori università cinesi sono finite sotto il controllo della Commissione governativa per le ispezioni disciplinari del Partito Comunista. Questi controlli, che dureranno un paio di mesi, hanno un duplice obiettivo: estirpare il diffuso e pericoloso morbo della corruzione ed evitare la diffusione dei principali valori occidentali (democrazia e libertà di parola) negli atenei del Dragone.
3 CUBA Denuncia l’autoritarismo del regime: espulsa dalla facoltà di giornalismo “Far parte di un’organizzazione illegale e controrivoluzionaria”. È con questa motivazione che Karla Pérez González, studentessa di 18 anni, è stata espulsa dalla facoltà di giornalismo dell’Università cubana “Marta Abreu” di Las Villas, a Santa Clara. La colpa della giovane è quella di aver denunciato attraverso il blog del gruppo d’opposizione Somos+, sul quale scriveva con lo pseudonimo di Oriana, in omaggio alla Fallaci, l’autoritarismo del regime guidato da Raúl Castro, fratello di Fidel.
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SEZIONE
USA
Quando la Dal campo agli magia invade atenei: il boom i banchi degli eSport
Pagine a cura di Lorenzo Brambilla
1 RUSSIA Le rette sono troppo care e gli studenti se ne vanno all’estero Gli studenti russi preferiscono formarsi all’estero, scegliendo come mete per i loro studi Paesi quali Cina, Finlandia, Polonia, Repubblica Ceca, Lettonia, Lituania ed Estonia. Il motivo principale è dettato dalle costose rette universitarie (9500 dollari) che si pagano per poter studiare nei migliori atenei della Russia. Le università straniere più prestigiose (Oxford, Stanford, La Sorbona) sono invece appannaggio esclusivo dei figli dei ricchi uomini d’affari e di governo.
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5 ZIMBABWE Abusi in cambio di diplomi: il governo dice basta Un’unica legge che regoli il mondo dell’istruzione universitaria in Zimbabwe. Mettendo fine agli abusi che professori e docenti commettono nei confronti dei loro studenti, soprattutto giovani studentesse, le quali spesso sono costrette a subire ricatti e violenze sessuali per poter passare un esame e ottenere il diploma. L’annuncio è arrivato direttamente da Godfrey Gandawa, ministro dell’Istruzione, della Scienza e dello Sviluppo Tecnologico.
6 KENYA Due atenei ancora nei guai: senza rettori da oltre un anno Due tra i principali atenei del Kenya
non hanno un rettore. La Moi University è senza una guida dallo scorso settembre e il vice-rettore Laban Ayiro, da oltre 6 mesi, sta facendo le veci, violando il codice amministrativo. Ancora più grave la situazione della Kenyatta University, primo ateneo del Paese per numero di studenti, che non ha un capo addirittura da aprile 2016, quando è andato in pensione il vecchio rettore Olive Mugenda.
Nathan Deal, prevede alcune zone franche all’interno dei campus, come i dormitori, dove le armi saranno bandite. La Georgia è il decimo Stato americano ad adottare un simile provvedimento; il primo era stato lo Utah nel 2007.
sarà valido anche a Gaza e in Cisgiordania e si basa sui modelli d’istruzione presenti in Irlanda, Germania e Norvegia.
7 NEW YORK Rette gratuite per gli studenti della middle-class
9 THAILANDIA Più del 20% dei corsi non rispettano gli standard di qualità Oltre il 20% dei corsi di laurea che si tengono nelle università thailandesi (pubbliche e private) non rispettano gli standard minimi di qualità. L’allarme lo ha lanciato l’Ufficio del Revisore Generale del Paese (OAG). Due sono i freni principali per gli atenei della Thailandia: l’eccessivo numero di studenti che frequentano i corsi, rispetto al massimo consentito (alcune lezioni addirittura si tengono all’interno dei centri commerciali) e la scarsa preparazione dei docenti
Ridurre il numero delle università statali da 14 a 8 e la durata dei corsi di laurea da 4 anni a 3, incrementare la qualità dell’istruzione e la preparazione dei docenti, taglio dei costi amministrativi a carico dello Stato, frenare il calo delle iscrizioni negli atenei. Sono questi i punti cardine della riforma universitaria proposta dal primo ministro lituano Saulius Skvernelis, che dovrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno.
Le rette delle università pubbliche dello Stato di New York saranno gratuite per gli studenti della middle class, le cui famiglie abbiano un reddito inferiore ai 125 mila dollari l’anno. È quanto stabilito dal programma Excelsior Scholarship, varato dal Governatore Andrew Cuomo e che dovrebbe interessare circa 200 mila studenti. Questi dovranno provvedere solo alle spese accessorie (vitto e alloggio), con la possibilità di ottenere delle borse di studio.
8 GEORGIA (USA) Sì alle armi nei campus, ma solo se sono nascoste Da luglio gli studenti delle università pubbliche dello Stato della Georgia potranno portare con sé nello zaino, insieme ai libri, un’arma, purché rimanga nascosta. La nuova legge, firmata dal governatore repubblicano
10 PALESTINA Emanata la prima legge sull’istruzione pubblica La Palestina, finalmente, ha la sua legge sull’Istruzione. Una legge, ratificata lo scorso 6 aprile, che regola il mondo dell’istruzione, a partire dall’asilo nido fino all’università. L’obiettivo? Riuscire a costruire un processo di formazione che fissi e sviluppi la conoscenza, superando il modello classico dell’indottrinamento. Il nuovo sistema educativo
11 LITUANIA Entro l’anno via alla riforma: meno atenei, più efficienza
12 GHANA La missione di Mutaru: impedire il proselitismo di nuovi terroristi Salvare i ragazzi africani, evitando che si possano far attrarre dal richiamo dei terroristi. È questa la missione del ghanese Mutaru Mumuni Muqthar, 34 anni, che ha conseguito, nel 2013, un master in terrorismo, crimine internazionale e sicurezza globale all’Università di Coventry. Dopo la laurea ha fondato un centro anti-terrorismo che previene e cerca di recuperare i giovani ragazzi dell’Africa occidentale che rischiano o addirittura sono già stati reclutati dalle organizzazioni terroristiche.
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Amate così tanto la saga di Harry Potter e volete approfondire le varie tematiche trattate nei 7 romanzi scritti da J.K. Rowling? L’università di Durham, nord-est dell’Inghilterra, dal 2010 offre agli studenti di Scienze dell’Educazione un corso specifico dedicato al maghetto con gli occhiali, intitolato “Harry Potter e l’età dell’illusione”. Niente specializzazione, però, in Difesa contro le Arti Oscure e Trasfigurazione o in qualsiasi altra materia oggetto di studio della mitica Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Le finalità di questo modulo d’esame sono: riuscire a collocare il fenomeno di Harry Potter nel suo contesto sociale, culturale ed educativo, cercando di comprendere i motivi della sua popolarità; valutare la sua rilevanza nel sistema educativo del ventunesimo secolo, facendo collegamenti espliciti fra il mago di Hogwarts e l’educazione civica. I temi trattati durante il corso spaziano all’interno di un’ampia gamma di concetti chiave - veicolati dai sette capitoli della saga - e si snodano da “Grifondoro e Serpeverde: i pregiudizi e l’intolleranza nelle aule” passando per “Babbani e magia: la fuga dalla routine e la ricerca della magia” fino ad arrivare “All’universo morale della scuola, J.K. Rowling e l’eredità della storia della scuola da Rudyard Kipling a Grange Hill”. Le ore totali di lezione sono 200, comprensive di conferenze, seminari e letture.
Il fenomeno eSport sbarca nelle aule universitarie americane. Seguendo la tendenza che vede un incremento deciso dell’importanza, in termini economici, del settore dei videogiochi online che attrae sempre più giocatori, appassionati e sponsor. L’ultimo, Intel Extreme Masters - uno dei tornei di videogiochi più importanti al mondo, che si è tenuto lo scorso marzo a Katowice, in Polonia - è stato seguito, dal vivo, da 173 mila persone e in streaming da circa 46 milioni di appassionati. L’università dello Utah, ad aprile, ha lanciato un programma che prevede la sponsorizzazione, da parte dell’ateneo, di alcune squadre universitarie che si sfideranno in quattro videogiochi, tra cui il famoso League of Legends. In ogni videogioco ci sarà una squadra principale, una o due riserve e uno studente allenatore, per un totale di 35 matricole coinvolte, le quali riceveranno una borsa di studio e si vedranno riconosciuti i crediti formativi. Questa pratica si sta diffondendo anche in altri atenei Usa come la University of California, l’Indiana Institute of Technology e la Miami University. Addirittura l’Emerson College di Boston e la Western Kentucky University stanno pensando di avviare un corso di laurea specifico dedicato agli eSport. Nei corsi si imparerà a organizzare, finanziare, promuovere i tornei e commentarli, diventando manager di un team gestendo anche marketing e comunicazione.
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PORTRAIT
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Di Laura Gioia, Federica Liparoti e Massimo Sanvito _ Comunicazione, università, giovani, progetti futuri. È un Beppe Sala a tutto tondo quello che ci accoglie nel suo studio, a Palazzo Marino. Da quasi un anno, l’ex amministratore unico di Expo è sindaco di Milano con una giunta di centrosinistra. Il primo impegno politico della sua vita, dopo una carriera da manager pubblico e privato, tra Pirelli, Telecom, A2A, a capo di una città che si internazionalizza ogni giorno di più. In questa direzione, sono da leggersi la visita di Obama, a cui sono state consegnate le chiavi della città, e la marcia per l’accoglienza che ha invaso le strade di Milano. “La capacità di Milano di essere competitiva, attrattiva per gli investimenti, per i turisti, per gli universitari, si regge solo se con la stessa energia si dedica al lato solidaristico. Barack? Per me è un modello, mi piacerebbe somigliargli”. E ai giovani delle università promette: “Apriremo nuovi centri di social housing, soluzioni abitative a basso costo in grado di ospitare gli studenti fuori sede, sia italiani che stranieri”. Sul dove sorgeranno questi building, poi, Sala anticipa: “Utilizzeremo gli scali ferroviari dismessi di Farini e Porta Romana”. Lei sta vivendo un’esperienza da sindaco dopo essere stato manager pubblico e privato. Com’è cambiato il suo rapporto con la stampa? Da manager privato le interazioni erano limitate, perché lavorando in società così complesse non c’ero solo io, ma spesso anche un presidente, un amministratore delegato, o un direttore generale. Per quanto riguarda Expo, direi che la fase più difficile del rapporto coi media è stata quella appena precedente l’apertura, dato che fino al giorno primo c’era molto scetticismo. Durante il semestre dell’Esposizione, invece, il rapporto è stato molto positivo. Oggi le perdonano cose che in passato non le facevano passare? Credo che la credibilità acquisita in Expo stia aiutando il mio lavoro nella comunicazione attuale. C’è già una misura di quanto una racconta la verità ed è credibile nel promettere le cose: la politica è fatta di promesse. I media, in generale, sanno che io conservo un buon livello di pragmatismo. È chiaro che ora, da sindaco, devo fare i conti con una logica di schieramento politico dei vari giornali: qualcuno è contro per definizione, qualcun altro non dico che è a favore ma ti guarda in modo diverso.
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Milano sta diventando sempre più una città internazionale. È anche per questo motivo che ha aderito alla manifestazione per l’accoglienza del 20 maggio? Non è esattamente questo il punto. Io sono convinto che la capacità di Milano di essere competitiva, attrattiva per gli investimenti, per i turisti, per gli universitari, si regge solo se con la stessa energia si dedica al lato solidaristico. Il mio compito è quello di tenere insieme queste due cose. Pensando alla campagna elettorale, che è ancora un tema caldo per me, sul tema dell’immigrazione il messaggio di una certa destra è più semplice e diretto. Quattro parole: “Non vogliamo più immigrati”. Le mie quattro parole diventano almeno minuto di spiegazione. Nel momento in cui si decide di essere internazionali e aperti si paga anche un prezzo. E la gestione dell’immigrazione va in questo senso, nel senso che è fatica, non solo operativa, ma anche nel dover spiegare ai milanesi il perché, il come, che cosa faremo. Il mio metro comunicativo, però, è il seguente: se siamo aperti siamo aperti. In alcuni casi chiedo uno sforzo in più, ma ne val la pena. La mia anima mi fa dire che se qualcuno ha bisogno d’aiuto faccio il possibile per dargli una mano. Ma
qui andiamo su un territorio di comunicazione che è più difficile, più delicato. Dipende da quello che ognuno ha dentro di sé. Spesso ha dato comunicazioni importanti attraverso la sua pagina Facebook. Come utilizza questo social network? Quando voglio dare un messaggio in maniera diretta utilizzo Facebook. È il mezzo perfetto per spiegare con tranquillità cosa penso, pesando bene le parole. Osservo con grande interesse la dimensione e il tipo di risposta degli utenti a un post. Senza fanatismi, i social possono essere di grande utilità per un politico. L’utilizzo dei social però non può sostituire la comunicazione attraverso i mezzi tradizionali. Non sono un fan della tv e si vede. Mi arrivano moltissimi inviti dai talk show.ma per una precisa scelta ho deciso di apparire poco. Al contrario, sono innamorato di un media considerato, a torto, vecchio: la radio. È più vera, chi ascolta sente una voce, una persona, non è condizionato dal modo di atteggiarsi del politico, dal suo aspetto fisico: al centro ci sono solo la parola e il ragionamento.
pus universitario e il problema della lingua. Ricordo che quando vennero lanciati i corsi di laurea in inglese tutti si lamentavano, oggi però vediamo che sono indispensabili. L’altro fronte su cui varrebbe la pena investire e su cui il sindaco può agire in prima persona è l’housing sociale. Se sui servizi Milano non è male, a essere scarsa è invece l’offerta a livello residenziale, capacità che il comune vorrebbe ampliare utilizzando i vecchi scali ferroviari. Inutile nascondere che sul tema degli affitti a basso prezzo siamo indietro: a differenza dell’Inghilterra e degli altri paesi del Nord Europa, a Milano manca la dimensione dell’housing universitario, ovvero di building dedicati agli studenti con canoni moderati a rendimenti bassi. E qui il vantaggio è che i tassi d’insolvenza sono generalmente molto bassi perché, trattandosi di ragazzi stranieri o fuori sede, si presume siano consapevoli dei costi e che abbiano una famiglia alle spalle. Secondo le statistiche l’insolvenza è inferiore al 3% e questa è una grande garanzia per chi andrà a costruire.
AI TEMPI DI EXPO Sotto Beppe Sala in una delle tante iniziative promosse durante Expo 2015, l’evento internazionale di cui è stato manager
Anche le amministrazioni precedenti avevano parlato della possibilità di utilizzare gli scali ferroviari dismessi. Lei da dove intende cominciare? La priorità va allo scalo Farini e a Porta Romana. Ovvero quelli che, in termini di dimensioni e centralità, ci sembrano i più interessanti: Farini perché si trova a due passi da Porta Nuova, mentre Porta Romana perché attaccato alla Bocconi e alla Fondazione Prada. Non dimentichiamo poi che entrambi gli scali sono serviti dalla metropolitana.
È molto attivo su Instagram fin dai tempi di Expo. Da quando è diventato sindaco ha cambiato il modo di usare questo social network? Ho creato il mio profilo Instagram per puro divertimento e amore della fotografia. In Expo è stato divertente utilizzare questo social network, è stata anche l’occasione per scherzare e per fare conoscere un aspetto più giocoAiuteremo i giovani L’Università Statale, visto il numero so di me. Da sindaco sono meno libero, ingestibile degli iscritti, sta pensanma tuttora è l’unico social che gestisco con nuovi progetti do di introdurre un test d’accesso per totalmente in prima persona, non ho un di housing sociale: i le facoltà di Lettere e Filosofia. Che social media manager e sono il solo a coper tradizione, le roccaforti noscere la password del mio account. Se primi allo scalo Farini sono, dello studio aperto e inclusivo, lonsu Facebook ho dei collaboratori con cui e a Porta Romana tano da qualsiasi logica competitiva mi confronto, su Instagram decido cosa e soprattutto dallo sbarramento del condividere e pubblicare in piena autoBEPPE SALA numero chiuso. Cosa ne pensa? E’ giunomia. Ho deciso di conservare questo sto percepire la possibilità di entrare spazio di libertà perché amo comunicare attraverso le immagini, non tanto per tanto testimonia- all’università come un diritto piuttosto che come un re le visite istituzionali, quanto per raccontarmi in ma- merito? niera lieve. Chi mi segue si accorge che dietro gli scatti Questa sì che è una domanda insidiosa! Diciamo che che posto ci sono io in maniera diretta, senza interme- non sono favorevole al diritto in assoluto, perché condiari, per questo in molti scelgono questo strumento per cedendo questa possibilità a tutti e senza una regola si finisce con l’alzare il numero dei disoccupati. Quello che mettersi in contatto con me. chiederei ai rettori, piuttosto, è di riflettere sulle capaciBarack Obama ha appena concluso la sua visita a Mi- tà della città di creare lavoro. E’ vero che alcuni ragazzi vengono a studiare e poi tornano via, ma il tasso di stulano. Si ispira a lui nel modo di comunicare? Barack Obama riesce ad essere istituzionale e leggero al denti che rimangono a Milano si sta alzando: si tratta di tempo stesso. È magnetico: quando parla si ferma tutto, una città che piace rispetto a tante altre ed è importante, trasmettere autorevolezza e autorità, però al contempo per farla funzionare, non creare delle schiere di ragazzi è anche giocoso. - Beppe Sala si interrompe, sorride, ed che hanno studiato ma che non trovano un impiego. E’ estrae dalla giacca il suo smartphone. Ci mostra un vi- giusto quindi che il fenomeno vada governato: ognuno deo girato con un telefonino in cui il sindaco consegna studia quello che vuole, purchè dietro ci sia una politica le chiavi della città di Milano e conferisce la cittadinan- d’indirizzo e di merito. za onoraria a Obama. “And from now you are a real ‘milanese’” gli dice Sala, Obama, divertito, esclama pron- E’ quasi certo il trasferimento di Città Studi nel sito tamente: “Good!”-. Era un momento istituzionale ma di Expo. Cosa ne sarà della zona, che finora è stata un Obama è stato al gioco. Sotto questo aspetto per me è quartiere universitario? un modello e, in piccolo, mi piacerebbe somigliargli in Siamo tranquilli. Sicuramente ci sono tre università che hanno bisogno di crescere e di acquisire più spazi: Stataquesto. le, Politecnico e Bicocca. Ma voglio anticipare che anche I giovani a Milano sono 50 mila in più rispetto all’an- in vista dello “svuotamento” da parte dell’Istituto Besta no scorso. In che modo pensa di rendere le periferie e dell’Istituto dei Tumori, c’è una una componente dello Stato, di cui non posso fare il nome, che sta progettanpiù appetibili per i ragazzi? Partendo dalle università. Quelle milanesi sono ottime do di avere qui una sede. Dobbiamo ancora affrontare e, con oltre 200 mila studenti, di cui 18 mila dall’este- le trattative, ma se l’accordo andrà a buon fine posso garo, rappresentano una grande attrattiva. Per arrivare a rantire che la zona avrebbe solo da guadagnarne, anche questo livello gli accademici hanno dovuto, negli anni, in vista dello “svuotamento” da parte dell’Istituto Besta lavorare su alcune debolezze, come l’assenza di un cam- e dell’Istituto Tumori.
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EX BOCCONIANO Beppe Sala, classe 1958, si laurea in economia aziendale all’Università Bocconi. Inizia la carrera alla Pirelli, di cui nel 1998 diventa manager nella sezione pneumatici. Nel 2002 entra nelle telecomunicazioni, prima come direttore finanziario di TIM e poi come direttore geenrale di Telecom. Dopo essere stato commissario unico di Expo, il 19 giugno 2016 viene eletto sindaco di Milano.
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ALTROCONSUMO
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Difendiamo tutti i cittadini dal 1973
ALTROCONSUMO Dalle riviste cartacee, a quelle digitali, passando per le app. Ecco i tanti canali che l’associazione utilizza per raggiungere e formare cittadini e consumatori.
L’associazione si impegna per formare una “nuova coscienza” dei consumatori. Sono più di 700 mila le consulenze svolte da specialisti e più di 390 mila i soci in Italia
Di Cecilia Tondelli _
Altroconsumo, una storia vincente La rivista non vive di pubblicità, ma di abbonati. Il segreto? L’indipendenza Di Michela Cattaneo Giussani _ Le vendite dei quotidiani in edicola sono in continuo calo da circa vent’anni e il declino del giornalismo cartaceo sembra non avere fine. Eppure, c’è una rivista italiana che non ha subìto il contagio della crisi: supera le 390 mila copie e non vive di pubblicità, ma di abbonati. Parliamo di Altroconsumo, il mensile dell’associazione di consumatori che informa e indirizza i lettori su acquisti di qualità. Test comparativi su prodotti alimentari, elettrodomestici, inchieste su ecologia, funzionamento della pubblica amministrazione, responsabilità sociale delle aziende e attualità. Sono solo alcuni dei temi su cui punta il mensile, nato nel 1973, a Milano, contestualmente all’associazione, che allora, però, a differenza del mensile, era sotto il nome di Comitato Difesa Consumatori. A darle vita fu un gruppo di pionieri intellettuali dell’epoca: “Molto in ritardo – commenta il direttore Rosanna Massarenti – rispetto ai paesi del Nord Europa”, dove associazioni di questo tipo, con relativi giornali per cittadini consumatori esistevano già dagli anni Cinquanta. “Quando è nata la rivista – spiega il direttore – io non c’ero. All’inizio la squadra era formata da un gruppo di giuristi che si occupavano di economia, sicurezza alimentare, monopoli delle telecomunicazioni, energia. Anche se si rivolgevano a poche centinaia di persone, perché la società non era ancora
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abbastanza matura per capire queste problematiche”. Nel 1978 Altroconsumo entra a far parte del Bureau Européen des Unions des Consommateurs, un’organizzazione europea che riunisce associazioni di consumatori e nel 1983 inizia ad effettuare i primi test comparativi dei prodotti. “I test sono la parte forte che ci caratterizza, sono la parte più legata alla nostra identità. Gli altri giornali, anche per ragioni economiche, non se li possono permettere” spiega il direttore. Per ogni test ci sono analisti che studiano il mercato del prodotto, le tendenze e quali sono i prodotti che la gente compra realmente. “Bisogna coprire l’80% del mercato di riferimento – spiega il direttore della rivista – con i brand di quel prodotto. Il progetto, poi, viene sottoposto alle analisi in laboratorio e successivamente si tiene la riunione di redazione, chiamata “concept article”: chi ha seguito il test, il giornalista e il grafico si mettono insieme per organizzare l’informazione in pagina”. La realtà di Altroconsumo è cresciuta in maniera esponenziale quando ha iniziato a collaborare con associazioni di consumatori all’estero, in particolare con la belga Test-Achats (1989). Nel 1990 aderisce all’Icrt, l’International Consumers Research & Testing, un’organizzazione internazionale per l’esecuzione di test comparativi: “Fare parte di questo circuito è molto conveniente – precisa Massarenti – perché si ha la possibilità di partecipare a test molto costosi versando una piccola quota”. Fanno eccezione i test alimentari, perché ogni Paese ha le proprie abitudini alimentari. Indipendente economicamente e da qualsiasi ideologia di appartenenza, Altroconsumo è finanziata dai soci con gli abbonamenti alle riviste e con le quote di iscrizione all’associazione
IL DIRETTORE ROSANNA MASSARENTI
“Il miglior giornalismo è quello di servizio” “Sono direttore della rivista dal 1994, da quando questo giornale era agli inizi. Sono arrivata ad Altroconsumo a novembre del 1990, come praticante. All’epoca collaboravo con diversi giornali, tra cui Donna Moderna e Il Sole 24 Ore. Già allora avevo un’idea: fare giornalismo di servizio. Sono entrata in contatto con la redazione chiedendo all’Ordine dei giornalisti il nome di un giornale disposto ad assumere. Allora era molto più facile di oggi, ma non così facile, diventare praticanti. La redazione di Altroconsumo era composta da due giornalisti. La sede era in via Pirelli e avevano bisogno di un terzo giornalista. Ci fu una selezione, con prove. Era richiesto il francese per poter parlare con i belgi. Ci fu una prova scritta, una di traduzione e un colloquio in francese. Tra i vari candidati scelsero me. E cominciai. Ci siamo molto ingranditi in pochi anni. Da tre, poi, siamo diventati quattro e ci occupavamo di tutto: della rivista, delle conferenze ecc.. E’ stata una bella palestra. E mi ha convinto che questo è il modo migliore di fare giornalismo”.
stessa. La rivista conta diversi allegati, tra cui i bimestrali Test Salute, che si occupa di inchieste su salute, alimentazione e ambiente e Hi_Test dedicato all’informatica e alle nuove tecnologie, più una serie di guide tematiche che spaziano dal benessere alla difesa dei diritti, al fai da te, alle assicurazioni per le banche. Nella sfera informativa dell’associazione, c’è anche il settimanale digitale Altroconsumo Finanza con news, analisi e consigli di esperti in investimenti finanziari. “Gli altri giornali sono entrati in crisi – racconta il direttore – quando gli investimenti pubblicitari sono iniziati a mancare. Per noi, che non abbiamo mai avuto alcun tipo di pubblicità, non è cambiato molto. Come facciamo? L’abbonamento alle nostre riviste è abbastanza costoso, oggettivamente”. Abbonarsi al mensile costa circa 100 euro all’anno, ma non si tratta solo di un abbonamento a un giornale, è una quota di “appartenenza” a un’organizzazione che “non è solo informazione, ma anche una rete di servizi”: consulenza telefonica, servizi sul web, come calcolatori per assicurazioni, conto corrente, energia, banche dati prodotti, dove è possibile vedere come è stato giudicato un prodotto e compararlo con altri. “I 100 euro – commenta Massarenti – si recuperano comprando la lavatrice giusta, sulla spesa domestica o sul rimborso di un diritto che non si pensava di avere”. L’obiettivo del periodico è formare cittadini consapevoli. “Il nostro non è giornalismo d’assalto – aggiunge il direttore – ma giornalismo utile. La nostra ambizione è render le persone consapevoli dei diritti, perché purtroppo, molta gente non ne è a conoscenza. Per fare i giornalisti è il posto ideale: non ci sono censure e non ci sono linee da seguire, se non quella di fare informazione il più utile possibile alle persone”.
gliorare la qualità della vita dei cittadini attraverso la trasparenza e il lavoro di squadra.”
Ogni cittadino europeo riconosce i diritti e i doveri che servono da pilastri nella società in cui vive. Sappiamo quante ore al giorno dobbiamo lavorare, quanti contributi dobbiamo versare prima di andare in pensione e riteniamo valori inalienabili il diritto di professare il proprio credo politico e religioso. In Italia, però, ancora troppo poco si parla e si riconoscono i diritti che i cittadini possiedono in qualità di consumatori di beni e servizi: raramente infatti ci interroghiamo sulla qualità dei prodotti che acquistiamo e consumiamo; dei servizi dei quali usufruiamo e troppo spesso lasciamo cadere nel vuoto i comportamenti scorretti che subiamo da parte delle grandi compagnie.
Il canale d’informazione prediletto è la rivista Altroconsumo con una redazione di una decina di giornalisti. Senza alcun ricavo proveniente dalla pubblicità, il giornale è finanziato solo dai soci ed è diventato un modo per raggiungere gli abbonati dimostrando la trasparenza dell’associazione. Attraverso gli altri suoi canali social poi, che vanno dal sito internet, Facebook, Instagram, Twitter e YouTube, svolge un lavoro di difesa e informazione e intraprende battaglie legali che difficilmente un cittadino solo potrebbe portare avanti. “Abbiamo fatto una class action contro Volkswagen e un’altra contro Fiat per aver mentito sul consumo effettivo di carburante in alcune loro vetture”, ricorda CrisiL’associazione Altroconsugiovanni. mo, nata in Italia nel 1973, si Battaglie che riguardano impegna sin dalla sua nascita anche la sanità e il settore per formare una “nuova cofarmaceutico: “Grazie a una scienza” del consumatore dinostra denuncia partita nel Il nostro obiettivo: fendendo i suoi diritti perché, 2014 – prosegue - L’autorità sempre più spesso, è oggetto garante del farmaco ha corendere i cittadini di frodi e raggiri. stretto Aspen Pharma a pagapiù consapevoli I soci dell’associazione Altrore una multa di oltre 5 milioni consumo sono più di 390.000 di euro per aver aumentato i LUISA CRISIGIOVANNI in tutt’Italia, concentrati prezzi di alcuni farmaci antisoprattutto tra Lombardia, tumorali di una percentuale Lazio, Emilia Romagna e Veneto. Finanzia- compresa tra il 300 e il 1500% e in modo del to per il 90% dai soci stessi tramite tessera- tutto ingiustificato”. mento e per il restante 10% da altri progetti, il gruppo è totalmente autonomo e migliora Rendere consapevoli i cittadini è perciò il ogni anno i suoi risultati. principale l’obbiettivo di Altroconsumo: “L’anno scorso abbiamo organizzato un evenNel 2015 le consulenze svolte da esperti e to al Castello Sforzesco per parlare della shaspecialisti sono state circa 700.000 suddivise ring economy. Siamo stati molto felici del ritra i diversi settori di cui l’associazione si oc- sultato: centinaia di persone sono venute per cupa: giuridico, fiscale, sanitario, economico, scoprire le tante possibilità offerte da questa finanziario, assicurativo, energetico e di con- nuova economia”. sulenza al risparmio i principali. Il lavoro di Altroconsumo non finisce qua: “Rispetto agli altri cittadini europei – spie- collaborazioni con l’Università, video inforga Luisa Crisigiovanni, segretario generale mativi e una serie di gruppi d’acquisto condell’associazione – gli italiani non sembrano diviso, gli hanno permesso di conquistare la riconoscere i diritti che hanno in qualità di fiducia di quasi 400 mila cittadini “Cerchiaconsumatori. Questo è il motivo per cui dif- mo di svolgere al meglio il nostro lavoro tutti ficilmente ci iscriviamo ad un’associazione insieme perché troppo spesso i consumatori che si batta per noi. Altroconsumo lavora per sono lasciati in balia delle grandi compagnie. prevenire e informare: non dobbiamo essere Del resto – conclude il segretario – l’unione fa sudditi delle grandi compagnie. Vogliamo mi- la forza”.
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LA SCHEDA
Guy Debord, filosofo eretico e profetico _
Cinquant’anni di società dello spettacolo Il capolavoro di Guy Debord compie mezzo secolo. Ne abbiamo parlato con Paolo Liguori, che nel ’68 era un contestatore situazionista, tra assemblee interrotte fischiettando e pecore portate al pascolo tra i banchi dell’università. Di Daniele Zinni _ “La società dello spettacolo fu per noi un’intuizione geniale”, racconta Paolo Liguori. Il capolavoro di Guy Debord, pubblicato esattamente 50 anni fa, fu uno dei saggi più influenti nella formazione giovanile del direttore di TgCom24 e di tutta la generazione che, come lui, partecipò al movimento studentesco e culturale del Sessantotto. Rifacendosi al pensiero di Karl Marx e di marxisti come Gyorgy Lukács, Debord criticava alla radice la vita nei sistemi capitalistici e individuava nitidamente già allora un meccanismo che neppure si era manifestato in tutta la sua potenza: la spettacolarizzazione della società, per cui ciò che è umano – accadimenti, emozioni, relazioni – sembra esistere solo se viene rappresentato. Alla società borghese dello spettacolo non
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c’è scampo, ma se ne possono occasional- cietà dello spettacolo “blindata”, con un sumente scardinare i meccanismi oppressivi per-potere che ti controlla e decide se puoi attraverso la creazione di situazioni, soste- apparire o meno, esistere o meno, ma finisci nevano Debord e altri intellettuali europei. per controllarti da solo. Oggi tutti hanno l’ilProprio a un gruppo situazionista romano, lusione di potersi auto-rappresentare; in reGli Uccelli, aderì Liguori agli inizi della sua altà non sanno chi comanda, chi li muove e in esperienza politica; il gruppo era nato nella quale direzione. facoltà di Architettura della Sapienza, a Valle Giulia, mentre lui era ancora al liceo. Per esempio? “Sono uscito di casa a 18 anni, per andare a Se entri sui social da sprovveduto, finisci per vivere in una comune con loro, e non sono credere alle notizie false; se due milioni di più rientrato”, racconta. “Nel persone credono a una no’68 facevamo contestazioni tizia falsa, non accetteranno nell’università, segnalavamo mai l’idea di essere due micome le occupazioni studenlioni di gonzi, e si convinceNel ‘68 volevamo tesche ricreassero gruppi di ranno di avere ragione. Opsbriciolare la società pure, se inserisci i tuoi dati su potere analoghi a quelli che si volevano abbattere”. Erano WhatsApp, li stai regalando borghese dalle proteste con una forte base all’uomo più pericoloso del fondamenta intellettuale: “Leggevamo mondo, che è il fondatore di moltissimo Marx”, continua Facebook, Mark Zuckerberg. PAOLO LIGUORI Liguori, “ma per noi i penLeggo che vorrebbe candisatori più importanti erano darsi alla presidenza degli Herbert Marcuse, Marshall McLuhan, e ov- Stati Uniti: se lo fa e vince, avremo uno staviamente Debord. Gli ultimi due sono rima- to totalitario da fantascienza, una dittatura sti schiacciati dalla cultura comunista dell’e- orwelliana. poca, ma McLuhan fu profetico. Per me, fu importantissimo anche Lettera a una pro- Esiste una forma di resistenza possibile, a fessoressa, di don Lorenzo Milani. Mi dirai: livello individuale? «Che c’entra il prete coi situazionisti?» ma lì In questo momento – ma lo diceva già Deè teorizzata la scuola di classe, che riflette le bord – lo schiavo è talmente contento che classi della società. È su quelle basi che nel schifa la resistenza, e ama il padrone. ’68 le università furono occupate”. Lei fa televisione da più di vent’anni. Si è Il pensiero di Debord è ancora attuale? mai sentito vittima della televisione? Il mondo dei social network ha capovolto Quasi ogni giorno. La televisione è molDebord senza smentirlo. Non c’è più la so- to importante ma è terreno di menzogna,
PASSAGGIO GENERAZIONALE Da sinistra: il pensatore francese Guy Debord; il direttore di TgCom24 Paolo Liguori; il gruppo situazionista degli Uccelli a Roma nel 1969 (Liguori è il primo da destra; foto di Fausto Giaccone); la copertina de La società dello spettacolo in un’edizione recente.
ipocrisia, costruzione, illusione. E persino l’informazione può diventare un grandissimo spettacolo, manipolazione di gran classe. Se ho scelto, a fine carriera, di venire a TgCom24, è perché ormai credo solo agli eventi in diretta, sono l’unica verità. Sto ridiventando radicale, com’ero da giovane. Gli spettacoli che fanno ascolto sono quelli che raccontano delle storie, ma io detesto lo storytelling, aborro la narrazione. La vita non è storytelling: è fatta di punti, noi viviamo di punti alti e punti bassi. Come esseri umani siamo le stelle, non siamo la narrazione dello zodiaco. Torniamo al Sessantotto. Qual era la particolarità dei situazionisti? Per noi era fortissimo il tema dell’individuo, dell’uomo inscatolato dalla società borghese e dai suoi valori: i consumi, la famiglia, la scuola, l’appartenenza a una tribù consolidata. La sinistra comunista voleva destabilizzare il sistema per ri-stabilizzarlo in senso autoritario e statalista; i cattolici, che nelle università erano importantissimi, volevano conservare la società come modello di libertà possibile. Noi non eravamo schierati con gli uni né con gli altri: volevamo sbriciolare la società borghese dalle fondamenta. Quali forme di contestazione adottavate? Per esempio, quando le assemblee diventavano un rituale noiosissimo, ci disperdevamo in aula magna e cominciavamo a fischiettare: era un segnale, un po’ alla volta tutti quelli che non ne potevano più si univano e fischiettavano; roba di duecento persone su seicen-
to. A quel punto bisognava interrompere l’assemblea, e cominciavano a dirci “Dai, venite a parlare, diteci cosa volete!”, ma nessuno si muoveva, continuavamo a fischiettare. Per questo ci chiamavano Gli Uccelli – e anche perché ci arrampicavamo sugli alberi di fronte alla facoltà, per provocazione. Al vostro gruppo si avvicinarono anche artisti e intellettuali. Abbiamo conosciuto e frequentato Pier Paolo Pasolini, Carlo Levi, Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa, Elsa Morante… Ma il nostro primo e più grande sostenitore fu Renato Guttuso: durante l’occupazione, lo convincemmo a fare un graffito in stile neoclassico sulla facciata della facoltà di architettura. Era un danneggiamento, l’università ci voleva denunciare ma non poteva, perché era coinvolto Guttuso. Dopo trent’anni, il graffito è stato restaurato e inaugurato come opera sua: in realtà fu un’idea nostra, lui ci mise solo lo scalpello, ma fu un grande. E poi ci diede i soldi per comprare un piccolo gregge di pecore. Che ci dovevate fare, con le pecore? Le pascolavamo in università. Gli studenti entravano e chiedevano: “Chi sono quelle?”. E gli altri: “Sono le pecore degli Uccelli”. Di notte le lasciavamo nell’edificio di architettura. Quando a Valle Giulia ci furono gli scontri tra studenti e polizia, noi avevamo una sola preoccupazione: salvare le pecore, che erano rimaste da sole in facoltà senza cibo. In qualche vecchia foto, ci siamo noi che usciamo dall’edificio con le pecore in spalla.
Uscito nel 1967, La società dello spettacolo di Guy Debord conserva a distanza di cinquant’anni una schiera di lettori che lo trovano illuminante. All’epoca, divenne rapidamente un’ispirazione per gli studenti e gli intellettuali che avrebbero animato i movimenti del Sessantotto, in Francia e nel resto del mondo. Da allora, la formula felice del titolo è diventata più o meno un luogo comune, un modo per sintetizzare fenomeni di massa tipici del capitalismo avanzato: il successo elettorale di personaggi famosi per meriti tutt’altro che politici, per esempio, o la curiosa combinazione di voyeurismo ed esibizionismo su cui poggiano i social network. In realtà, il libro di Debord non è un’invettiva moraleggiante contro la decadenza dei costumi ma la critica originalissima di una delle gabbie in cui è chiusa la nostra vita, e dalla quale non possiamo liberarci. Del resto, come recita un aforisma attribuito al teorico politico Fredric Jameson, “È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. Non solo alle immagini, ma più in generale alle rappresentazioni, si riferisce lo spettacolo di cui parla Debord. Rappresentazioni che superano per importanza gli oggetti rappresentati, di modo che lo spettacolo riesce a fagocitare persino oggetti, idee e modi di vita che inizialmente si propongano come antagonisti. È per questo, diremmo oggi in parole povere, che l’underground è condannato a diventare mainstream. È per questo che il femminismo di Emma Watson o Beyoncé, magari sincero, susciterà sempre il sospetto di una mossa di marketing. Ed è per questo che Whatsapp o Instagram strutturano la nostra vita almeno tanto quanto la nostra vita struttura loro. L’acume di Debord fu eccezionale, nell’individuare meccanismi che oggi mostrano la propria potenza in modo molto più evidente di quanto potessero farlo nel 1967 – o nel 1988, quando scrisse il corollario Commentari alla società dello spettacolo. La sua formazione affondava le radici nelle filosofie di Karl Marx e del marxista György Lukács, ma il suo pensiero si distaccò da entrambe. Anselm Jappe, biografo e studioso di Debord, riassumeva così: “Debord voleva essere tutto tranne che accademico, voleva mantenere un aspetto anche poetico”.
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C’era una volta il fashion blogger Tra ascesa e declino i fashion blogger sono diretti e vicini alla community. Nell’era people della comunicazione, il futuro del giornalismo è a rischio?
Di Angelica Cardoni _ Fenomeno o epidemia? Franca Sozzani se lo chiedeva già nel 2011. Quando le fashion blogger sedevano in prima fila alle sfilate. Quando molte di loro erano più interessate a scattarsi un selfie e a farsi conoscere, piuttosto che a esprimere un giudizio di stile competente. La storica direttrice di Vogue Italia, scomparsa il 22 dicembre scorso, sottolineò che la maggior parte avrebbe vissuto una vita da falena. Una sola notte o poco più, dunque. “È soltanto una moda e, in quanto tale, viene seguita ed esaltata”. Il suo fu uno sguardo profetico nei confronti di chi si è perso negli anni. Più donne, ma anche uomini: tra guerre a colpi di like e foto da postare su instagram o su blog colorati e accattivanti. Però c’è anche chi, come Chiara Ferragni, ha saputo farne un mestiere. E chi continua ad aprirsi un blog, sperando di riuscire a influenzare una fetta di pubblico sempre più ampia. Che si voglia o no, quello dei fashion blogger è un fenomeno che i comunicatori e i giorna-
LE TESTIMONIANZE
La parola agli esperti di moda A cura di Angelica Cardoni _ C’è chi sostiene che gli stilisti non li vogliano più alle sfilate e chi reputa i fashion blogger una figura comunicativa giovane e innovativa. Competenza, abilità e professionalità sono qualità imprescindibili. Il mondo del web, infatti, non perdona.
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moda e un suo stile. Lei mischia le cose, si rilisti di moda non possono ignorare. Il direttore di Glamour Cristina Lucchini cre- fiuta di fare il total look. Ha meno follower di de che il loro sia un linguaggio nuovo da ac- altri, eppure è molto più credibile”. cogliere: “È un altro modo per comunicare. E la credibilità è quel tassello fondamentale Noi siamo più competenti, ma l’immediatez- che unisce blogger e giornalisti: “Loro hanza dei fashion blogger deve farci riflettere. no bisogno dei giornali per essere credibili. Se si è troppo distaccati e snob, il pubblico si Si dovrebbe trovare un modo per lavorare allontana. Oggi più che mai, perché c’è una insieme, traendo il massimo a vicenda. Noi continua esigenza di sentirsi vicini. Sono collaboriamo con alcune fashion blogger, le invitiamo agli eventi per dare certa che non potranno mai un ulteriore cassa di risomettere in discussione il ruonanza. Certo, non chiederei lo dei giornalisti”. mai un pezzo su una sfilata”. Nessun pericolo all’orizzonA tre anni di distanza dall’ate per chi li guarda come il pice del loro successo, nelle fumo negli occhi. ultime sfilate c’è già chi ha E piuttosto sterile la polemimosso rimostranze a riguarca di Vogue America che li ha do. accusati di distruggere lo stiSarà questo il primo passo le per soldi e vanità. verso un declino più netto? “Se togliamo quelle dieci top “C’è voglia di selezione – svenel mondo, le altre non hanla Cristina Lucchini - “Verno la competenza necessaria ranno fuori le persone più per svolgere la nostra proI fashion blogger preparate e affidabili. Anche fessione. Si diventa giornaloro evolveranno nel modo listi con lo studio e con un non potranno mai di comunicare e nel dare un esame. Le fashion blogger o i mettere in dubbio seguito al fenomeno. Certo, fashion blogger in base a cosa acquisiscono il titolo? Grazie il ruolo dei giornalisti la Franca Sozzani delle blogger non l’abbiamo ancora ai follower o ai like? Poi, tutti CRISTINA LUCCHINI trovata”. quei follower sono potenziaI fashion blogger sono dili clienti di un marchio? Il ventati più di due milioni in fenomeno è incontrollato, mentre un giornale conosce il proprio target tutto il mondo. Circa dodici anni dopo la loro nascita, quando un gruppo di ragazzini innadi riferimento e gli eventuali clienti”. Le blogger più evolute si fanno chiamare morati della moda attirarono l’interesse delinfluencer, per distinguersi dal resto. Sinto- le più importanti griffe mondiali. Aver intuito mo che anche il loro sistema pretende una le potenzialità e le opportunità del web è stato il loro trampolino di lancio. Un merito che selezione più accurata. “Apprezzo molto l’olandese Linda Tol” - pro- gli va riconosciuto, anche se alcuni non sanno segue Lucchini - “Ha una buona cultura di come si usa.
PAOLO LANDI
VALENTINA VENTRELLI
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“È un prodotto tipico del web, un nuovo modo di fare informazione”. Paolo Landi, sociologo e autore della rubrica “Le favole dell’abbondanza” su Pagina 99, ha qualcosa da rimproverare ai fashion blogger: “Sarebbero potuti diventare i nuovi giornalisti, ma hanno confuso marketing e comunicazione. La rete nasce come mezzo commerciale e loro si sono connaturati in questo modo. Se una blogger indossa dei vestiti lo fa per soldi, quindi la sua professionalità non è credibile”. Il suo sguardo verso il futuro non promette nulla di buono: “Non credo che andranno troppo avanti. Alcuni stilisti non li vogliono più”.
“Quando nascono nuovi strumenti, nascono nuove professioni”. Parola di Valentina Ventrelli, esperta di moda. Vietato però, confondere mezzo e contenuto. “Se non hai contenuto, non puoi sfruttare il mezzo. La rete non perdona e privilegia la competenza. Bisogna saper creare contenuti con professionalità e con una linea neutra di fondo. A maggior ragione con i social che amplificano ogni aspetto. Le fashion blogger hanno imitato le giornaliste di moda, ma queste ultime sono partite da altre basi. Insomma, dopo l’innamoramento iniziale andranno a svolgere un’altra attività. A meno che, siano preparate”.
Bergamasco, 31 anni e grande appassionato di moda. Tanto da aver studiato e da aver fatto di questa passione un mestiere. Andrea Ubbiali è seguito da 62.000 follower e usa il suo blog -dollareyeoffashion. com - per diffondere consigli di moda e di beauty. In tutto il mondo. “Bisogna essere competenti, avere una buona agenzia alle spalle e curare giorno dopo giorno il rapporto con i follower”. Il futuro da fashion blogger lo immagina più roseo che mai. “Non credo che ci sarà un declino della categoria. Secondo me, questa è la figura giornalistica che piace ai giovani e, perché no, anche agli stilisti”.
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MODA
TOP TEN INFLUENCER
Social, like, follower Il mondo del web è nelle loro mani _ 1 | Mariano Di Vaio - Modello umbro e blogger dal 2012, conta 5.7 milioni di follower su Instagram e più di 3.2 milioni di fan su Facebook. Ha iniziato a viaggiare da giovanissimo, partendo da Londra e arrivando a New York, dove ha studiato recitazione alla NY Film Academy. 2 | Adam Gallagher - Nato nel 1991 a New York, all’età di 17 anni fondò un blog anonimo. Qualche anno e numerosi post dopo, venne premiato con il Bloglovin’ Awards come Best Men’s Fashion Blogger. Ha 2 milioni di follower su Instagram e mezzo milione di fan su Facebook. 3 | Bryanboy - In dodici anni di attività ha raccolto 611mila follower su Instagram e 97mila fan su Facebook. Nato a Manila, nelle Filippine, è stato nominato dal New York Post tra le nove persone più influenti del web. 4 | Pelayo Diaz - Dal 2007 ha accumulato 981mila follower su Instagram e 63mila fan su Facebook. Iniziò a scrivere il suo blog tra i banchi della Central Saint Martin, dove nel 2011 si laureò in fashion design. Spagnolo di origini, inglese di adozione, oggi vive e lavora a Madrid come digital influencer e fotografo. 5 | Marcel Floruss - Modello, fotografo e blogger. Queste le tappe che hanno segnato la carriera di Marcel Floruss, fondatore di OneDapperStreet.com, un contenitore di tendenze, viaggi e ispirazioni. Apprezzato dai suoi 367mila follower su Instagram e 45mila fan su Facebook. 6 | Aimee Song - Con 4.6 milioni di follower su Instagram, è una delle fashion blogger più presenti su Pinterest e Youtube. Laureata in Architettura d’Interni all’Università delle Arti di San Francisco , ha iniziato a muovere i primi passi sul web tramite Facebook, dove pubblicava look personalizzati e consigli di beauty. 7 | Kristina Bazan - 23 anni, svizzera e tra le influencer più seguite con 2.4 milioni di follower su Instagram. Nonostante la giovane età ha già collaborato con aziende di lusso e con i marchi più prestigiosi sul mercato.
IL CASO CHIARA FERRAGNI - THE BLONDE SALAD
Un impero da 10 milioni di dollari Ha soltanto 30 anni ed è la fashion blogger più famosa del mondo. Chiara Ferragni ha costruito un impero che vale più di 10 milioni di dollari. Cremonese doc, vive tra Milano e Los Angeles, punti nevralgici del suo marchio che dà lavoro a una ventina di persone e decine di consulenti. È nato tutto sette anni fa, quando la Ferragni era una studentessa universitaria che si divertiva a postare foto su Flickr insieme al fidanzato dell’epoca Riccardo Pozzoli. Poi è arrivato il blog - The Blonde Salad - un libro, i like, tante collaborazioni e un’azienda di moda che, ormai, fattura milioni di dollari ogni anno. Chiara Ferragni è diventata un’imprenditrice e, allo stesso tempo, un caso di studio della Harvard Business School. I numeri, infatti, fanno sgranare gli occhi. Le oltre 16.000 foto pubblicate su Instagram hanno ottenuto più di 800 milioni di like da parte dei suoi 9 milioni di follower. Incuriositi dai consigli di stile e di beauty, ma anche dalla sua love story con il rapper Fedez.
8 | Julia Engel - Giovane americana, con una carriera da digital marketing alle spalle e un blog che è diventato il suo lavoro. Ha più di 1 milione di seguaci su Instagram, attratti dalla sua capacità di mixare lo stile elegante e quello più sbarazzino. 9 | Wendy Nguyen - Lei è la blogger di moda più famosa su Youtube. Ex impiegata di banca, ha sempre amato la moda e ha più volte dichiarato di essere stata convinta dagli amici a seguire questa passione. Su Instagram ha più di 1 milione di follower. 10 | Julie Sariñana - Vive a Los Angeles e gestisce un blog dal 2009. In questi anni ha lanciato una linea di T-shirt con slogan legati al mondo della moda. Il suo stile casual, infatti, è apprezzato da 4.5 milioni di persone su Instagram. (A.C.)
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Social del terrore. I gruppi terroristici continuano a condurre operazioni di comunicazione su larga scala
Ora l’Isis si fa il social su misura Salto di qualità per i terroristi, la nuova rete per uccidere e fare propaganda è stata scoperta a fine aprile dall’Europol durante un’operazione di intelligence
Di Eugenia Fiore Vista la crescente pressione da parte delle autorità per bloccare la circolazione di materiale a scopo terroristico online, i gruppi estremisti stanno sviluppando dei propri social media Organizzare attentati, finanziare le loro attività ed evitare di essere spiati: l’Isis e Al Qaeda stanno sviluppando dei propri social media, a rivelarlo è il capo dell’ufficio europeo di polizia Europol, Robin Wainwright. Le nuove piattaforme sono state identificate durante un’operazione di quarantotto ore dell’agenzia investigativa, oltre a queste sono stati individuati più di 2000 contenuti di stampo estremista su 52 piattaforme digitali, in ben sei lingue diverse. Tra le pubblicazioni, video e post che incitano ad attacchi terroristici e all’estremismo, perlopiù da parte di seguaci di Al Qaeda e dell’Isis. L’obiettivo di Europol attraverso questa campagna contro l’estremismo online era quello di identificare i contenuti illegali e assicurare la loro rapida rimozione che è però un’attività che deve essere svolta dai fornitori dei servizi in conformità ai propri termini e condizioni di utilizzo. Gli sforzi compiuti da numerose piattaforme online per rimuovere contenuti inappropriati
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hanno spinto gli estremisti a utilizzare contemporaneamente più social network per promuovere il terrorismo e incoraggiare la violenza. Secondo l’Europol anche piattaforme che non richiedono l’identificazione sono sempre più utilizzate. Non è la prima volta comunque che i seguaci dello Stato Islamico si cimentano nella creazione di un proprio social media. Due anni fa è stato creato Khelafabook, dopo che Twitter – diventato in quei mesi un campo di battaglia della propaganda – aveva chiuso più di 90 000 account del gruppo. Telegram, nato con la premessa della criptazione dei messaggi e delle chat segrete, rimane però tuttora l’app preferita dai jihadisti. La piattaforma è stata fondata nel 2013 da Pavel Durov, conosciuto per essere il Mark Zuckeberg della Russia grazie alla creazione di Vk, la rete sociale più utilizzata in Russia e in tutta la Comunità degli Stati Indipendenti ex sovietici. L’Isis ha utilizzato Telegram per pubblicizzare, e probabilmente organizzare, l’attacco terroristico di Parigi del 13 novembre 2015, in cui persero la vita 130 persone. Sempre su questa app di messaggistica sono avvenute comunicazioni e rivendicazioni circa l’attentato di Berlino del 19 dicembre del 2016 attraverso il canale il canale della Amaq, l’agenzia di stampa ufficiale dell’Isis.
1 MONDO Attacco informatico in 150 paesi Colpiti enti pubblici e aziende private, nel mirino anche case di cura e ospedali nel Regno Unito. L’hackeraggio ha colpito più di 200.000 pc ed è avvenuto attraverso un ransomwere chiamato “Wannacry”, un virus che blocca i computer con sistema operativo Windows e chiede un pagamento in bitcoin (300$ da pagare entro 72 ore) per ottenere lo sblocco. Al momento il principale indiziato dell’attacco informatico sarebbe la Corea del Nord. 2 WASHINGTON Lo smartwatch Microsoft aiuta i malati di Parkinson Gli smartwatch non sono ancora un dispositivo di massa e restano dubbi sulla loro effettiva utilità, ma c’è un orologio intelligente che può fare la differenza per i malati di Parkinson. L’ultima creazione della Microsoft Reasearch Innovation Si chiama Emma Watch, ed è progettato per ridurre i tremori alle mani delle persone affette da questa patologia. 3 PISA Il robot indossabile con il senso dell’equilibrio
Pronto il primo robot indossabile con ‘il senso dell’equilibrio’, che potrebbe fare da apripista a una nuova generazione di nuove strategie per far interagire uomini e macchine. È stato sviluppato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa in collaborazione con il Politecnico di Losanna (Epfl)
e previene le cadute aiutando le gambe di anziani e disabili a ritrovare l’equilibrio dopo uno scivolamento. 4 UE Stretta sui tablet in volo anche dalla UE Dall’Europa agli Stati Uniti senza laptop, tablet e giochi elettronici, in un volo transatlantico ‘isolato’. Dopo la stretta sui dispositivi elettronici da 10 aeroporti del Medio Oriente, l’amministrazione Trump valuta se adottare misure analoghe per i voli dal Vecchio Continente. Una misura che è solo in una fase di studio ma che, se venisse adottata, entrerebbe in vigore anche prima dell’estate. 5 GIAPPONE Paradosso smartphone, app per vincere dipendenza Vincere la dipendenza da smartphone si può, anche con un’app. Sembra un controsenso, ma tra giochi a punti e assistenti virtuali un tentativo per recuperare un rapporto più sano col cellulare si può fare. Anche perché per alcuni utenti, soprattutto giovanissimi, il vizio del telefonino rischia di trasformarsi in una vera malattia che nella forma estrema si chiama nomofobia. La schiera di applicazioni e accessori per disintossicarsi comincia a crescere a dismisura.
6 CALIFORNIA Elon Musk no limits: supereremo Apple per valore Tesla continua a puntare in alto. Il miliardario visionario prevede che il gruppo un giorno supererà Apple per capitalizzazione di mercato. Tesla, il produttore di auto elettriche, ha superato nelle ultime settimane General Motors e Ford, divenendo la maggiore casa automobilistica per valore. Secondo Musk c’e’ un ‘’chiaro sentiero’’ per Tesla, che attualmente vale 51 miliardi di dollari, per superare Apple e i suoi 776 miliardi di dollari di valore. 7 WHATSAPP Dall’Antitrust multa da tre milioni di euro L’Autorità ha stabilito che l’app di messaggistica ha indotto gli utenti ad accettare
integralmente i nuovi termini di utilizzo-in particoalre la condivisione dei propri dati personali con facebook-facendo loro credere che la mancata accettazione avrebbe reso impossibile proseguire con l’utilizzo della chat. 8 CALIFORNIA Facebook, 3mila assunti per la sicurezza degli utenti
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LIKE & UNLIKE A cura di Guido di Fraia*
RETI SOCIALI: ANCORA UN’OPPORTUNITÀ PERDUTA PER LE AZIENDE ITALIANE -
Mark Zuckerberg vuole rinfozare il teamCommunity Operations, nel quale già lavorano 4.500 persone con il compito di monitorare le segnalazioni che gli utenti fanno in merito a contenuti che ritengono essere inopportuni. 9 IPHONE Un sensore mostra la qualità dell’aria Per sapere cosa stiamo respirando basta un piccolo sensore da collegare all’iPhone. Una startup californiana ha infatti lanciato una raccolta fondi su Kickstarter per mettere in produzione un rilevatore in grado di analizzare i composti organici volatili nell’aria e mostrare il risultato sullo schermo dello smartphone. 10 MASSACHUSSETS Esplosione in casa, salvo grazie a Siri Christopher Beaucher era in casa di sua madre quando un’esplosione ha scatenato le fiamme. Gravemente ustionato al volto e alle mani, ha potuto chiamare i soccorsi solo grazie all’assistente vocale dell’iPhone. Siri si attiva con frasi come “Hey Siri chiama il 112” oppure “Hey Siri Emergenza”. Non è la prima volta che la voce digitale viene usata per un’emergenza: qualche mese fa a Londra un bimbo di 4 anni a è riuscito a chiedere aiuto per aiutare la madre che era svenuta in casa.
A chi si occupa di digital marketing e partecipa agli eventi sul tema la realtà deve apparire come un paese delle meraviglie: gli investimenti pubblicitari crescono incessantemente, start up di successo nascono come funghi e ogni caso presentato è un caso di successo! Andando oltre la superficie, e facendo parlare i dati, si scopre, invece, che il mondo là fuori è ben diverso da queste rappresentazioni autocelebrative e markettare. Ed è proprio per poter ragionare su dati che, già dal 2010, il Master in Social Media Marketing & Digital Communication della IULM ha dato vita ad un Osservatorio finalizzato a monitorare i processi di adozione e le pratiche d’uso dei social media da parte delle aziende italiane. L’Osservatorio ha appena realizzato, per Centro Marca, un’edizione della ricerca focalizzata sull’industria dei beni di consumo. 310 le aziende esaminate; 50 per ciascuno dei settori considerati: “food&beverage”, “cura della casa”, “cura della persona” (come campione di analisi); “banche”, “abbigliamento” , “arredamento” e 10 marchi della Grande Distribuzione Organizzata (come settori di controllo). I dati restituiti dalla ricerca sono tanti e chi è interessato possono trovarli sul sito www.osservatoriosocialmedia.com. Qui riporto solo l’indice di SocialMediAbility (SMA) che sintetizza, in un unico numero compreso tra 0 e 10, tutta una serie di variabili (qualitative e quantitative) tese a misurare la capacità di ogni singola azienda di utilizzare i social media per attività di marketing e comunicazione digitale. Il valore medio di SMA ottenuto sul totale del campione è risultato pari a 4,4. Un L’arretratezza numero che racconta, nella sua asetdigitale delle tica scientificità, tutta una serie di imprese italiane storie tra cui: il fatto che la maggior pesa sulla loro parte delle aziende non abbia ancora competitività compreso (dopo anni dall’affermarsi dei “nuovi media” che ormai nuovi non sono affatto) il cambiamento del paradigma comunicativo generato dai canali social; la presunzione, disastrosa quanto diffusa, che i social media e il digitale siano “cose da giovani” e che basti pertanto essere giovani per poter gestire, ad esempio, la pagina Facebook di un’azienda, senza alcuna formazione specifica. Ma, soprattutto racconta, a un livello maggiore di drammaticità, l’ignoranza (perché di questo tecnicamente si tratta) del management della maggioranza delle piccole e medie imprese italiane – che pur rappresentando oltre il 99% del nostro tessuto imprenditoriale , di solito non partecipa agli eventi sul digitale - rispetto ai benefici che si potrebbero ottenere utilizzando in modo corretto e strategico i canali digitali a livello di ottimizzazione dei processi, raggiungimento di obiettivi di business, internazionalizzazione, ecc. In altri termini, il “4,4” di SMA ottenuto non è solo un valore statistico, ma è l’indicatore di un arretratezza culturale delle imprese italiane che pesa sulla loro competitività e su quella dell’intero Paese. Un’arretratezza su cui è sempre più urgente intervenire, prima che il gap con altri Paesi diventi davvero incolmabile. *docente di metodologia della ricerca sociale Università Iulm
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Airbnb si scopre esattore
A cura di Gea Scancarello*
Più che una nuova imposta la tassa per gli affitti temporanei è un diverso modo di far rispettare una legge esistente A cambiare sarà il ruolo degli intermediari
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Di Eleonora Nella _ La “tassa Airbnb” arriva a rischiarare la nebulosa che affligge gli affitti di breve durata. L’imposta, comparsa nella manovrina pubblicata il 24 aprile in Gazzetta ufficiale, sembrerebbe nuova, invece, di nuovo c’è solo il nome. Il versamento al Fisco del 21% per gli affitti di durata inferiori a 30 giorni, infatti, è sempre stato un obbligo per chiunque dia in locazione una stanza o l’intera casa. La differenza tra affitti di breve e lunga durata, dunque, sarebbe solo relativa alla possibilità di non registrare il contratto di locazione per i primi. perché tanto clamore?
Se ne era parlato già durante la presidenza di Matteo Renzi, ma in quell’occasione, il premier aveva dichiarato tramite un tweet: “Nessuna nuova tassa in legge di bilancio, nessuna. Nemmeno Airbnb. Finché sono premier io, le tasse si abbassano e non si alzano #avanti”. Poi l’insuccesso al referendum, le dimissioni e la “Tassa Airbnb” è tornata sul banco di discussione.
La novità introdotta dal governo Gentiloni in realtà è un’altra e riguarda gli intermediari che come Airbnb fanno da tramite tra i privati che mettono a disposizioni le proprie abitazioni e quelli che le occupano per qualche tempo senza eccedere il mese. Tali soggetti, che incassano il canone dall’inquilino per girarlo al proprietario, d’ora in poi dovrebbero funzionare da sostituto d’imposta, e cioè dovrebbero trattenere le tasse dovute da chi affitta e versarle all’Erario. Questo vale sia per le agenzie immobiliari che per i portali come Booking o, appunto, Airbnb. L’intermediario dovrà anche comunicare all’Agenzia delle entrate i dati dei contratti e in caso di irregolarità è prevista una multa da 250 a 2mila euro. Il tutto a partire dal prossimo giugno. modalità di pagamento
Per l’adempimento dell’obbligo il proprietario avrà sempre la possibilità di scegliere tra imposta sostitutiva del 21% ovvero la cedolare secca, con la quale i canoni di locazione incassati per le case vacanze non entreranno più nel reddito imponibile alzando l’Irpef ma saranno tassati separatamente e Irpef ordinario, nel qual caso la ritenuta del 21% sarà a titolo di acconto. Facciamo un esempio: Tizio ha una casa vacanze sulla costa del Mar Tirreno e riceve da Caio 500 euro per una settimana di affitto, applicando l’importa del 21% 105 euro spettano al fisco; se Tizio affitta la sua villetta tramite Airbnb o un altro portale che incassa direttamente al suo posto, riceverà direttamente 395 euro (senza considerare l’ulteriore commissione dovuta al portale per il servizio), perché sarà il portale ad adempiere agli obblighi di legge e versare l’imposta dovuta. Sicché per Tizio “è finita la pacchia” e anche se vorrà affittare la sua casa a
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CONDIVISIONE DEVE FARE RIMA CON TRASPARENZA
Maratea per pochi giorni non potrà sottrarsi agli obblighi fiscali. Chiaro no? È una norma per combattere l’evasione in un settore dove il nero è ancora piuttosto diffuso. punti controversi
La pratica però rischia di rivelarsi diversa. In primo luogo perché non è chiaro chi dovrà raccogliere le imposte, poi, per come è scritta la norma, per la quale, ricordiamolo, manca ancora l’approvazione del Senato, gli unici che rischiano di dover pagare sono gli agenti immobiliari che ormai svolgono un ruolo sempre più marginale nelle locazioni turistiche. I portali online, infatti, offrono ai proprietari la possibilità di utilizzare i loro servizi di pagamento. Ma non c’è l’obbligo. In molti casi essi mettono solo in contatto proprietario e affittuario quindi su chi cadrà l’obbligo di raccogliere le imposte? Pur non alzando muri invalicabili, il manager per l’Italia di Airbnb, Matteo Stifanelli, ha già detto che il sito non potrà svolgere un ruolo di sostituto d’imposta, al più di agente contabile. Una distinzione di non poco conto considerando che nessuna delle grandi piattaforme turistiche online ha sede fiscale in Italia e difficilmente si può credere che queste decidano di aprire i battenti, in veste di esattori, in un Paese come il nostro per “fare un favore al fisco”. Insomma, l’iter è ancora lungo, d’altra parte, se Roma non è stata costruita in un giorno, non si può pretendere, in così poco, di avviare la raccolta delle imposte su oltre 200mila posizioni fiscali; non certo senza aprire un tavolo di trattativa su tempi e modi di attuazione della norma con i diretti interessati: gli intermediari online.
I CASI
Arte di strada nautica e nightwallet A cura di Eleonora Nella _ Anche le competenze diventano merci da scambiare: è il caso della streetart e delle professionalità aziendali. Per la barca a vela e gli elettrodomestici arrivvano app create ad hoc e, infine, per le notti su Nigthswapping il portafoglio elettronico.
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1. SHARING STREETART
2. SAILSQUARE
3. PALADIN
4. NIGHTSWAPPING
5. CDO SHARING
Ron English, uno dei principali interpreti dell’arte contemporanea internazionale ha deciso di avviare una campagna di crowdfunding con l’obiettivo di finanziare un’opera rock dal titolo Rabbbits in Delusionville in cui gli animali diventano interpreti della società contemporanea. Come ricompensa Ron invierà a coloro che lo sosterranno un CD dell’opera.
Sailsquare è la piattaforma dedicata al turismo nautico e mette in relazione la domanda e l’offerta. Da un lato gli skipper, dall’altro viaggiatori interessati a vivere un’esperienza in barca a vela. In compagnia di amici, o magari con persone nuove. Visto che è possibile prenotare anche uno solo dei posti messi a disposizione dallo skipper.
È una startup italo-tedesca che ha dato al concetto di prestito una nuova veste tecnologica, Paladin, infatti, consente di guadagnare tramite il noleggio di oggetti che non si usano più. Vi rientrano le cose più disparate, dagli elettrodomestici ai capi d’abbigliamento, dal mobilio all’attrezzatura sportiva. La partenza è prevista a Milano e Berlino.
NightSwapping è la prima Community di scambio di notti che rafforza il suo concetto iniziale con un nuovo servizio che rivoluzionerà il turismo collaborativo: Il “NightWallet”, una sorta di portafoglio elettronico sicuro al 100% perché legato all’account di ogni membro che permette di accreditare le notti guadagnate.
Un evento dedicato agli imprenditori, ai professionisti e ai manager di tutte le aree produttive e dei servizi con tre modalità di incontro: Sharing View, Sharing Speech, e Sharing Lab che permettono di migliorare la qualità del lavoro e delle decisioni in azienda mediante la condivisione delle competenze dei partecipanti.
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Tu chiamale, se vuoi, esazioni. O magari anche illusioni, ché quando si tratta di pagare, dovere e versare le prese di posizione tendono a sfumare nelle buone intenzioni: intanto se ne parla, poi chissà. È la storia - ancora una volta - della cosiddetta tassa Airbnb, approdata ad aprile per la seconda volta in sei mesi in un decreto del Consiglio dei ministri: nessuna delle due, peraltro, identificata dalla stampa con un nome corretto, giacché la norma non contiene nessun nuovo onere contributivo per la piattaforma di homesharing. A pagare, se il provvedimento entrerà realmente in vigore, dovrebbero essere invece i locatori, cioè coloro che mettono una stanza o una casa a disposizione di altri sulla piattaforma, per lo più per periodi brevi la cui rendita sfugge sia al conteggio Irpef sia alla cedolare secca al 21% che si richiede (e raramente si ottiene) dai proprietari alla vecchia maniera, che magari ogni anno affittano l’appartamento al mare alla stessa famiglia di tedeschi. Attualmente il gettito ricavato dal Fisco da queste locazioni è di circa 100 milioni di euro; denari che, secondo i conti del governo, potrebbero essere almeno triplicati se solo - ed è ciò che il testo richiede - Airbnb e gli altri intermediari operassero come sostituti di imposta, preoccupandosi cioè di trattenere quando dovuto alla fonte. Può sembrare poco, ma si tratta invece di una rivoluzione copernicana: non solo e non tanto per le cifre in ballo, quanto perché per la prima volta si chiede alle piattaforme digitali un impegno concreto e misurabile, che le costringe a uscire dal modello della mera disintermediazione tra diversi attori del mercato per assumere loro stesse l’onere di costituirsi attore del mercato. Talvolta - e non è cosa da poco - anche forzandone una revisione societaria: raramente, infatti, i nuovi big digiLa buona tali incassano davvero i proventi di idea della quanto guadagnano in Italia, sfrutcondivisione tando invece complesse architetture può generare che consentono alla filiale milanese profitti o romana di operare solo come fornitore di una casa madre inscatolata in qualche altra struttura con sede in Paesi a fiscalità vantaggiosa. Lo schema è ormai noto, ed è lo stesso di quasi tutti i big della nuova economia digitale: si chiamino Amazon, Google, Facebook, Apple o Airbnb. Il punto, però, sta proprio in questi paragoni. Non Bezos, né la buon anima di Jobs o il duo Brin-Page hanno mai preteso di operare in nome dei buoni sentimenti, della consapevolezza ecologica o dell’integrazione del mondo: gli ex pionieri della sharing economy, invece, continuano a cavalcare l’onda della condivisione ma si sono trasformati in multinazionali, mutuando da queste qualche pregio e tutti i difetti, a partire dalla scarsa trasparenza fiscale. A queste condizioni la tassa Airbnb non è dunque importante per quello che può effettivamente generare per l’Erario (ed è lecito pensare che l’orizzonte di giugno fissato per renderla operativa non sia realistico). La sua reale importanza è obbligare tutti a una riflessione: non è detto che l’idea geniale della condivisione non debba generare profitti, ma se si vuole continuare a vendere buone intenzioni bisogna essere sufficientemente trasparenti da potersele permettere. *docente del Master in Giornalismo IULM
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Impasto: una delle opere di Antonio Biasiucci in mostra all’Open space Iulm
Il Micri conquista l’America _
I RITI DI BIASIUCCI Le opere dello sciamano del bianco e nero in mostra all’Open space Iulm fino al 28 luglio in un allestimento curato dagli studenti del secondo anno del corso di laurea magistrale in Arti, Patrimoni e Mercati. La magia di un maestro che dà corpo e materia alle ombre. Di Redazione _ La materia generata dalle ombre prende vita increspando il bianco e nero, mentre le mani lavorano e modellano un elemento elastico: potrebbe essere creta, alimento o anche l’intero pianeta che cambia forma e cerca una rinascita. E’ “Impasto” , una delle opere realizzate dal fotografo Antonio Biasucci per la mostra Riti, allestita all’Open Space della Iulm e visitabile fino al 28 luglio. Riti è un progetto espositivo interamente curato, organizzato e comunicato dagli studenti al secondo anno del Corso di Laurea Magistrale in Arti, patrimoni e mercati della Facoltà di Arti, turismo e mercati di IULM. La mostra, organizzata con il coordinamento critico della dott.ssa Anna Luigia De Simone, è stata inaugurata mercoledì 3 maggio. La mostra si articola intorno a cinque cicli del lavoro di Biasiucci dagli anni Ottanta sino ad oggi . Oltre a “Impasto” sono in scena “Vapori”, dove l’immagine dell’uccisione di un maiale allude alla forza scatenante del rito; la video installazione “Corpo Latteo”, che richiama il grembo materno; a seguire “I crani”, con l’evocazione simbolica del passaggio fra morte e rinascita e, infine, “I Pani”, nutrimento fondamentale e momento di equilibrio. Un testo scritto da Anto-
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nio Neiwiller, regista teatrale e maestro di Biasiucci, magistralmente letto dall’attore Toni Servillo fa da commento sonoro al percorso. Antonio Biasiucci, classe 1961, casertano, considera da sempre la fotografia come uno strumento per indagare la realtà e risalire all’origine delle forme, guardando oltre l’estetica e i loro significati. Nei primi anni Ottanta inizia da fotoreporter, documentando la vita nelle periferie urbane. Poi collabora a lungo con l’Osservatorio vesuviano, svolgendo un ampio lavoro sui vulcani attivi in Italia. Nella sua produzione emerge una forte ritualità, elemento che non riguarda solo il processo creativo, in grado di trasformare un mondo concreto in immagini visionarie, ma anche il modo in cui le figure vengono alla luce attraverso il nero ‘primigenio’ delle ombre. La fotografia in bianco e nero è infatti il suo linguaggio prediletto, pratica che accompagna fin dagli albori la narrazione delle sue storie: storie universali, di vita, di morte, di nascita e distruzione, rappresentate da elementi primari, terreni e concreti. Nella fotografia di Biasiucci, la componente personale e introspettiva riesce a tramutarsi in universale, in memoria collettiva, acquisendo una dimensione esistenziale nella quale tutti possono leggere una storia.
Si è snodato per duemila chilometri tra Washington Dc e Lincoln, nel Nebraska, passando per New York City, lo study tour dei trenta studenti del master di I livello in Comunicazione per le Relazioni Internazionali (MICRI). Nella capitale, i ragazzi hanno assistito alla lezione di lobbying strategico del Direttore degli studi presidenziali all’American University, James Thurber. A New York, hanno visitato le sedi di Google e delle Nazioni Unite. «Lo study tour è un viaggio studio esperienziale – racconta il coordinatore didattico del MICRI, Roberto Razeto – che completa il lavoro che viene svolto nei primi sette mesi. Negli Stati Uniti si incontrano lobbisti e professori esperti nell’ambito della Relazioni Internazionali”. Terminata il 14 maggio la prima parte del tour, la seconda tappa si è svolta a Kearney, alla University of Nebraska, specializzata negli studi sull’ecologia. A partire dall’anno accademico 2017/18, la collaborazione avrà un ulteriore sviluppo. «I ragazzi – spiega Razeto – potranno accedere, a prezzo agevolato e con una parte di crediti già riconosciuti, a un Master in Business Administration presso l’Università del Nebraska. Sarà un po’ come iscriversi a un master e ottenere due certificazioni riconosciute a livello internazionale». Le pre-iscrizioni per la prossima edizione del MICRI rimarranno aperte fino al 31 ottobre.
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Canova per il Mibac
Barbati per il Miur
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Il Professor Gianni Canova, ProRettore alla Comunicazione, eventi e rapporti con le istituzioni culturali e Preside della Facoltà di Comunicazione, Relazioni pubbliche e Pubblicità, è stato nominato membro della commissione del “Consiglio Superiore del cinema e dell’audiovisivo”, istituito di recente da Dario Franceschini, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (Mibac). Al Consiglio sono attribuiti compiti di consulenza e di supporto nell’elaborazione, nell’attuazione delle politiche di settore e nella predisposizione di indirizzi e criteri generali per la destinazione delle risorse pubbliche nello stesso ambito.
Carla Barbati, professoressa di Diritto Amministrativo, è la nuova Presidente del Consiglio Universitario Nazionale (CUN), un organo consultivo e propositivo del Ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca. Nell’esercizio delle attribuzioni che gli competono, quale organismo elettivo di rappresentanza del sistema universitario, esprime pareri, formula proposte, adotta mozioni e raccomandazioni, svolge attività di studio e analisi su ogni materia di interesse per il sistema universitario.
CULTURA
1 ECCELLENZE Claudia Ferrazzi alla corte di Macron Laureata Iulm in Relazioni Pubbliche (vecchio ordinamento), 40 anni, Claudia Ferrazzi è stata chiamata dal neopresidente francese Emmanuel Macron a far parte del suo staff. Lo scorso marzo Ferrazzi era stata nominata direttrice del Marketing territoriale del Comune di Milano. Per anni Claudia Ferrazzi è stata ai vertici del museo del Louvre prima di essere richiamata in Italia, nel 2013, come segreteria generale dell’Accademia di Francia a Roma.
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Milanesiana in ateneo
Il 5 per mille alla Iulm
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La collaborazione fra La Milanesiana e Iulm si rinnova anche quest’anno. L’edizione 2017 della rassegna ideata da Elisabetta Sgarbi è dedicata al tema “Paura e coraggio” e la Iulm ospiterà, il 10 e 11 luglio, una due giorni dedicata al grande talento della scrittrice inglese Patricia Highsmith. In programma dibattiti e proiezioni di film di Wim Venders, Hossein Hamini, Liliana Cavani e Alfred Hitchcock. Liliana Cavani parteciperà, alle 21 di lunedì 10 luglio alla Iulm Open space, a un dibattito con Gianrico Carofiglio coordinato da Gianni Canova.
Anche quest’anno l’Università IULM è stata accreditata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze tra gli enti di ricerca scientifica a cui è possibile destinare il 5 per mille dell’imposta sul reddito. Il 5 per mille è una scelta volontaria, non comporta alcun onere aggiuntivo e non è in contrasto con l’attribuzione dell’8 per mille. Con un gesto semplice, ma importante, potrai manifestare la tua adesione a un progetto culturale ambizioso e libero, a una comunità di studio e lavoro.
2 SUPERPREMI Il Pulitzer per Gloria Riva Fra i vincitori del premio Pulitzer per il giornalismo d’inchiesta 2017 c’è anche una ex allieva del Master in giornalismo Iulm: Gloria Riva, 33 anni, collaboratrice del settimanale l’Espresso, lo ha vinto per la pubblicazione in Italia dei Panama Papers, ovvero le carte dello studio legale Mossack Fonseca che hanno rivelato l’identità di migliaia di evasori fiscali e riciclatori di denaro sporco, fra cui 800 italiani. Insieme a Gloria Riva sono stati premiati Leo Sisti, Vittorio Malagutti, Paolo Biondani e Stefano Vergine.
UNIVERSITÀ
Due lauree che parlano inglese _ Due nuovi corsi di laurea magistrale in lingua inglese nell’offerta formativa Iulm per l’anno accademico 2017-2018. Sono il corso Hospitality and Tourism management e il corso Strategic Communication. Il primo si rivolge a chi l’ambizione di ricoprire incarichi e diretti e manageriali in catene alberghiere, compagnie aeree, aziende del settore degli eventi, del travel on line e della promozione territoriale. Il corso è articolato su due anni, di cui uno all’estero, negli Stati Uniti (indirizzo Hospitality and management) o in Francia (indirizzo innovation et territoire) e permette di conseguire una doppia laurea: oltre alla Magistrale italiana, americana (M.sc) o francese (Maitrise). Il corso è in collaborazione con il Rosen College della University of Central Florida di Orlando e con L’Université Grenoble Alps. Il secondo corso di laurea magistrale è invece rivolto a chi punta a ruoli manageriali nella comunicazione di grandi aziende, istituzioni e organizzazioni internazionali o agenzie e strutture di Rp. Il piano di studi coniuga insegnamenti tecnico-specialistici e contenuti orientati a sviluppare competenze trasversali e comprende lezioni con un forte taglio pratico e project-based: discussione di case history, business games e role-plays che consentono di capire il reale funzionamento delle dinamiche manageriali. Il Corso si avvale del supporto di un Advisory Board, che comprende dirigenti di aziende e agenzie leader di mercato e si svolge in collaborazione con la University of Arts London.
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ARGOMENTO
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Occhiello da scrivere per una apertura normale. Forse con tre righette si riesce a condensare tutto quello che serve per calamitare il lettore e fargli leggere il pezzo. O almeno si spera, che ne dite?
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Finto titolo su due colonne apertura Di Nome Cognome _
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TITOLO GRANDE PER COVER STORY Occhiello da scrivere per una apertura normale. Forse con tre righette si riesce a condensare tutto quello che serve per calamitare il lettore e fargli leggere il pezzo.
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Commenti ed editoriali. Uno o due per numero. Oppure un editoriale costruito intorno a una foto o a un’immagine particolarmente significativa.
La comunicazione dell’Isis La doppia strategia dello stato dei tagliagole L’ estetica dei guerrigliero islamico. Lo studio svolto per l’Ispi da Matteo Colombo(ex Iulm)
Una piccola frase potrebbe rilanciare il concetto
IL SEMIOLOGO
RUBRICONA A cura di Nome Cognome
Nome Cognome Soggetto
TITOLO TRE RIGHE, PER RUBRICA TIPO EDITORIALE _ Valiquiatatus etur? Ad quaes aut vent. Dolut harchil liquidempore none nonseque volorem eatur, quam voloribustor alibus sequodio ius titoletto lorem ipsum
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Nome Cognome Ruolo o carica
Qualifica opinionista
Titolo tre righe per intervista oppure intervento _ Valiquiatatus etur? Ad quaes aut vent. Dolut harchil liquidempore none nonseque volorem eatur, quam voloribustor alibus sequodio ius
I CASI
Titolino per scheda di servizio
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1. VOCE UNO
2. VOCE DUE
3. VOCE TRE
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Basta scrivere una breve frase su più righe per una idea
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Capire l’Isis attraverso le immagini 1. PRIMO TITOLETTO
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FOCUS
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Bella questa università anglosassone A cura di Master Iulm _ Vollautecus natem cupienissum este reiumqu ationse ceprest, ne suntorios perchit de volut dolor aut volor simagnam nis denduciis re prore volorro omnisit et pre sam quodit
GLOBAL UNIVERSITY CHRONICLE 1 MICHIGAN 30 milioni di fondi alla Massachussetts university Via libera al patto per la salute con 6,3 miliardi in più alle regioni nel 2010-2012 rispetto alla proposta del governo ma anche altri 4,7 miliardi per investimenti pluriennali nel Servizio sanitari Scajola ridà fiato al rilancio produttivo, agli investimenti e all’occupazione.
1 OCCHIELLO Titolino su due righe qualora servisse Testo mercury sbandierato normale, rispetto a una serie di fogli stile che funzionano automaticamente nel caso della rubrica.
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