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L’arte di esporre

Analizzando i percorsi storici, le opere modellate dalle mani dei maestri fornaciai e lo stretto rapporto instauratosi tra cotto e architettura, appare doverosa una riflessione in merito alle finalità della proposta museale. Quindi affrontare una discussione, seppur breve e non sufficientemente approfondita in questa sede, attorno ai paradigmi di: museografia, allestimento e arte.

L’arte nasce come espressione inconscia di un talento, non sempre ha come obiettivo quello di essere percepita come tale. L’opera, intesa come arte in prima accezione, nasce per essere guardata e per essere esposta ma se non nasce come tale, esempio gli oggetti di artigianato o di design, ne acquista i meriti dispiegandosi in un contesto critico come testimonianza dell’operare grazie alla natura autoestensiva20 dell’opera d’arte stessa che evoca la necessità di un rapporto diegetico con la propria essenza, quell’essenza dell’arte proposta da Winckelmann la quale eleva gli “oggetti estetici” su un piano differente da quello degli “oggetti d’uso”. Non ci si può rapportare all’arte se non attraverso l’arte, la progettazione museale prevede proprio un confronto il cui attore dell’espressione è la museografia.

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La museografia è una disciplina che opera nell’arte e per l’arte, al fine di intrattenere con essa un rapporto privilegiato e biunivoco capace da una parte di strutturare il racconto artistico e dall’altra, in quanto arte essa stessa, di mettersi in gioco nella creazione dell’evento estetico promosso dall’opera in sé. In sostanza l’arte ha bisogno della museografia e quest’ultima trova nell’arte la sua stessa ragione di vita.

“Il collocamento di un’opera d’arte è una definizione critica in atto, equivale all’interpretazione e alla rivelazione di quelli che sono, a nostro giudizio, i suoi valori estetici”21. Questa frase, estratta dagli scritti di Giulio Carlo

Argan, esprime l’agire tramite il quale il concetto di Winckelmann si esemplifica nel fare: il collocamento. Ecco che la museografia offre la propria artisticità nell’esporre e nell’esporsi creando un rapporto intenso che pone la collocazione delle opere, ovvero l’allestimento, come vero e proprio terminale per la trasmissione dell’opera. Il museografo, inteso colui che è allestitore e comunicatore, così come l’artista, nel realizzare l’esposizione porta in se la sintetica compresenza di virtuosismo tecnico ed espressività. Diviene pertanto anch’esso artista e con lui la museografia pura comunicazione artistica. Si tratta di una visione attiva e assolutamente forte della museografia che le riconosce la stessa qualità artistica delle opere che sono l’oggetto del suo esporre. L’idea della museografia e dell’allestimento come arte è quindi centrale nella teoria museale, perché il primo avvicinamento all’opera d’arte è dato proprio dall’architettura, vivo elemento di suggestione, che dà forma al museo come strumento di esposizione, mediatore tra opera e vista.

MUSEOGRAFIA E ARCHITETTURA

Di Museographia22 intesa come pratica sistematica delle collezioni museali, dell’organizzazione degli ambienti ed esposizione, si parla già nel XVIII secolo ma nel 1924 Richard F. Bach, del Metropolitan Museum of New York, parla di scoperta, da parte degli architetti, delle “scienze che si chiamano museologia e museografia, […] ramo della grande teoria museale”23 dandone la definizione di “scienza di allestire i musei” con ruolo pratico e “descrizione scientifica dei contenuti dei musei” con ruolo teorico. L’affermarsi e il consolidarsi delle due discipline, pratica museografica e teoria museologica, non solo come carattere descrittivo ma come attività progettuale, furono partecipi allo sviluppo dal punto di vista architettonico degli spazi interni e dell’allestimento. La museografia opera nell’architettura, definendo la forma del museo, o meglio definendo i rapporti stabili, strutturali, che l’architettura istituisce con le collezioni, stabilisce dunque un rapporto fisico di relazioni spaziali, percettive e fruitive.

La cultura progettuale italiana in ambito museale, dall’età del moderno fino ad oggi, si è distinta nell’arte di esporre, o cosiddetta arte del porgere. Essa trova negli allestimenti museali permanenti e in quelli temporanei dei maestri dell’architettura italiana il formarsi di una nuova natura dell’istituzione museale, cerniera tra espressione fisica dell’architettura ed dell’esposizione, con una serie esemplare di applicazioni tuttora fondamento e archetipo della disciplina. C’è differenza nella figura del museografo in Italia e all’esterno. Nel nostro paese il museografo è sia il progettista dell’architettura del museo sia l’allestitore della collezione; il Museo di Castelvecchio a Verona di Carlo Scarpa ne è forse l’esempio più classico. All’estero invece, la figura del progettista non rispecchia la figura dell’allestitore, questo rende la museografia un fatto molto italiano, che trova la sua migliore espressione nella scuola italiana degli anni Cinquanta. I modelli del secondo dopoguerra hanno portato ad una proliferazione dello spazio museale imponendo il problema della memoria e della sua conservazione.

Si sono resi manifesti nella società i fattori di identificazione che il mousèia24 rispecchia nel creare una casa comune della memoria e della riconoscibilità culturale di un luogo. Per usare il termine di F. Albini, il “secondo tempo” dello sviluppo storico del museo, con le atmosfere razionaliste e la società contemporanea, non è solo a carattere conservativo ma si rende promotore e partecipe della comunità aprendosi alle varie componenti della categoria di visitatori: pubblico generico, appassionati ed esperti, progettisti, ricercatori e studiosi delle opere o della documentazione. Per far ciò l’organizzazione funzionale e architettonica si attesta sulla messa a sistema delle collezioni che sempre più si ampliano e si diversificano. Rispetto ai musei tradizionali, dove tutto è in mostra e niente è esposto, questa disposizione attraverso il progetto allestitivo accresce l’attenzione alle funzioni del museo sfociando nell’assunzione della museografia e della nuova filosofia espositiva. A questo corrisponde una “teatralizzazione” degli eventi espositivi e l’allestimento museale di luoghi e spazi pubblici. Il museo, per il XXI secolo, non si riferisce più solo alla presentazione degli oggetti ma è quasi più centrato sulla formazione dell’esperienza. L’attuale concetto di museo contemporaneo, in senso post-moderno, è una macchina performante capace di reintegrare le espressioni della sua storia, riassorbendo le esperienze pregresse in un continuum di riformulazioni che si costituiscono attraverso l’uso di frammenti tipologici, formali ed allestitivi. Si afferma il progetto museografico definito in funzione del ruolo portante nei confronti del messaggio comunicativo con un’architettura partecipe di un nuovo linguaggio mutato dalle ricerche formali in un ruolo attivo, soggettuale, dell’esposizione, in cui l’ideazione di soluzioni, a metà fra architettura e allestimento, rendono il museo al contempo struttura, sfondo, supporto e telaio dell’allestimento.

Carlo Scarpa, sezione verticale di un supporto espositivo per statua, inchiostro di china nero su cartoncino 43 x 31 cm (n° inventario: 32184), 19581969, Verona, Museo di Castelvecchio, Archivio Carlo Scarpa.

EXHIBIT DESIGN

La museografia identifica il rapporto esistente tra la collezione e la struttura architettonica che ne fa da sfondo, si occupa dell’organizzazione della collezione, della posizione delle opere in ragione di un percorso. L’allestimento, dal francese antico lestèr esibizione di grandi tessuti, è invece il progetto dettagliato del mostrare che esprime il rapporto tra collezione e soggetto. Qui entra in gioco l’exhibit design “progetto del mostrare”, una delle grandi forme della comunicazione contemporanea che vede l’allestimento come performance visiva quanto la museografia. A ben guardare la museografia altro non è che il preludio dell’evento allestitivo, in tal modo l’allestimento, utilizzando un parallelismo tipografico, può essere visto come il “corpo del carattere” della musografia. Essa è la creazione di un racconto, in cui la disposizione delle opere costituisce la sintassi, l’allestimento invece ne definisce l’aspetto morfologico, cioè la forma in cui l’opera viene presentata. Si evince in tal modo che allestimento espositivo e progetto museografico agiscono su piani differenti ma uniti dai principi di una teoria estetica. La presentazione delle opere e la relazione tra pubblico e collezione è operata dall’exhibit design come autentico processo progettuale di messa in mostra. Il mostrare, inteso culmine di tale processo progettuale, pertanto coinvolge in primo piano alcuni rapporti esistenti tra collezione e luogo, tra collezione e pubblico. Il tema che coinvolge inevitabilmente ciò che si mostra e il luogo è risolto dall’architettura, i rapporti estetici tra opera e pubblico sono, invece, risolti dall’allestimento che opera emozionalmente sul mostrare.

“L’allestimento implica una teoria dell’evento […] il suo obbiettivo è la visione [il mostrare]. Obbiettivo dell’architettura è l’uso. Particolare rapporto che esiste tra architettura e allestimento, rapporto di ambiguità in cui molto spesso architettura e allestimento si confondono.”25

Architettura, oggetto dell’architetto, e allestimento, oggetto del museografo, si confondono perché l’uno è frutto dell’operare dell’altro, pensati in un insieme percettivo per coesistere ed affermarsi nell’unione espositiva.

La teoria estetica definisce la compresenza di tre tipi di codici, funzionali all’esposizione: un codice oggettuale, la collezione; un codice sfondo, l’architettura; un codice mediale, l’allestimento. Questi codici si sviluppano, nel progetto del mostrare, in tre modelli architettonici. Il modello della ridondanza, dove codice sfondo, mediale e oggettuale hanno la stessa struttura formale sia dal punto di vista cromatico che dal punto di vista dei rapporti dimensionali. Il grado di percezione è basso, ma si dispone di un’immagine complessiva forte della forma del continuo

Il modello dell’assenza che prevede una centralità della collezione, quindi del codice oggettuale, e una presenza trascurabile sia dell’architettura che dell’allestimento, dove l’opera diventa attore fondamentale e il codice sfondo perde valenza.

Il modello dell’effimero che qui s’intende come espressione estetica, dove prevale l’allestimento sulla collezione, per propria natura ha una durata limitata nel tempo e nella forma comunica la propria condizione attraverso una pragmatica scelta del codice mediale assoluto. Il codice mediale, assoluto protagonista, assume qui il compito di costruire il ponte che permette il collegamento di senso tra una collezione ed il pubblico, creando cioè le condizioni per una percezione estetica.

Pertanto la forma dell’effimero, interviene anche sugli altri codici, sia sull’architettura, coinvolgendola in modo intenso e pregnante, che sulla collezione. Il fatto di realizzare una mostra con una grande enfatizzazione del codice mediale è difatti un atteggiamento tipico degli architetti, slegato dal mondo della critica dell’arte. La progettazione allestitiva ha una matrice architettonica che si configura come l’autentica misura delle opere esposte e ne costituisce il cardine del mezzo comunicativo. Difatti, gli architetti rappresentano coloro che posseggono l’effettiva capacità di dare vita a questa unione, di mettere ordine, salvare, conservare e tenere conto di molteplici cose, non soltanto del manufatto, del reperto, ma del rapporto con il contesto. Ogni loro atto è per questo un esporre, un esporre agli eventi naturali, agli eventi della vita, quindi, come afferma l’Architetto Paolo Zermani, “il significato più alto dell’esporre è proprio fare l’architetto”.

All’atto pratico si possono delineare tutta una serie di sistemi architettonici che svolgo fattori fondamentali per l’exhibit design: L’architettura deve aderire a soluzioni plastiche in cui creare spazi architettonici legati in assoluta unità con le opere, i materiali e la luce per una ricerca di una maggior comunicatività espositiva in funzione delle opere per il pubblico e del pubblico per le opere; deve essere favorita la diffusione di spazi per mostre temporanee, legate allo sviluppo del modello dell’effimero; l’organismo museale deve puntare alla flessibilità degli spazi e delle strutture espositive e attribuire la corretta importanza alla tecnologia nella conservazione delle opere e nel controllo ambientale degli spazi. Il caso studio seguentemente analizzato è emblematico, in quanto summa esplicativa di quell’apporto incisivo tra architettura e arte del mostrare prima esposti.

20. Caliari P.F. 2003, Museografia: Teoria estetica e metodologia didattica, Perugia, Alinea Edizioni. 21. Promozione delle arti, critica delle forme, tutela delle opere. Scritti militanti e rari (1930-42), a cura di Claudio Gamba, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2009. 22. Riferimenti a: Caspar Friedrich Neickel 1727, P.L. Martin “Praxis de Naturgeschichte” 1869 e J.G. Th. Von Graesse 1883, Zeitschrift für Museologie und Antiquitätenkunde.

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