in ricordo di Damiano barabino
Ma quanto è forte Damiano?
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A volte nella vita ci capita di conoscere delle persone speciali, delle persone che hanno un ‘non so che’ che rapisce, che ci attirano a loro come fossero delle calamite e che ci fanno sentire affini anche se magari non si conoscono poi tanto. Per me Damiano era una di queste persone. Ancora non l’avevo visto e già avevo sentito parlare delle sue gesta. Poi l’ho avuto come maestro, in veste di istruttore del CAI, al corso di alpinismo. Infine ho conosciuto l’uomo e, forse, l’amico. Sì, perché non ci conoscevamo da tanto e probabilmente il nostro non poteva essere proprio definito un rapporto di amicizia, ma il tempo passato insieme è stato sufficiente a farmi capire quanto fosse straordinario. La prima volta che ne ho sentito parlare mi era stato descritto come una specie di Superman dell’alpinismo, una di quelle figure mitologiche alla Messner o alla Bonatti. Quando poi sono entrato nel mondo della Scuola di Alpinismo “Bartolomeo Figari” tutti, allievi e istruttori, parlavano di lui con un rispetto e un’ammirazione degna dei grandi nomi dell’alpinismo mondiale; in Sulla Nordwand dell'Eiger
Miglior alpinista dell'anno 2010
più, la popolazione femminile lo riteneva unanimemente un ‘figo’. Insomma, uno di quelli che ti diventano antipatici solo perché tutti li elogiano. Ma era una specie di ectoplasma: non si vedeva mai in giro, dal momento che era sempre impegnato di qua o di là con qualche parete. Poi finalmente l’incontro. Ricordo la prima volta che l’ho visto, alla premiazione quale miglior alpinista dell’anno. Ho pensato: “…tutto qui?”, perché in realtà non aveva proprio l’aspetto del supereroe né tantomeno del classico alpinista, non aveva neppure la barba! Anzi sembrava il tipico bravo ragazzo dalla faccia pulita, un po’ timido, che tutte le mamme vorrebbero per le proprie figlie. Quando l’ho conosciuto al corso di Alpinismo ho capito quanto Damiano fosse molto di più di tutte le cose che si raccontavano di lui. Era sempre allegro, gentile con tutti, sempre pronto a scherzare e a spronare gli allievi dei corsi trasmettendogli tutta la sua passione per la montagna. Era sempre a raccontare di salite, montagne, nevi e ghiacci, appena affrontati o da affrontare. E ovviamente era fortissimo. In palestra di roccia risolveva senza difficoltà qualunque problema si presentasse. Nelle salite in alta montagna era sempre tra i primi a tornare alla ‘base’. Tra noi allievi del corso c’era sempre la speranza di andare con lui perché voleva dire fare parte di una cordata forte. Una volta sola ho avuto il privilegio di legarmi con lui, salendo sul Polluce col corso di Alpinismo. Il freddo e il vento che per me erano insopportabili, tanto da farmi rinunciare, per lui erano solo un venticello fresco. Quando gli ho detto che magari la neve non faceva per me, perché il freddo mi scoraggiava troppo, mi ha risposto che bastava coprirsi di più e riprovare. In effetti l’anno dopo è andata molto meglio. Poi quando ho cominciato a frequentare la scuola di Alpinismo, ho conosciuto il ragazzo. Una persona normale, con una vita normale e problemi normali: l’università (medicina), la scuola di specialità (cardiologia), la ricerca del lavoro. E con una grande passione, fatta di imprese eccezionali. Come quella epica sul-