Brainstorming Gennaio 2015

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20 gennaio 2014 – 20 gennaio 2015 NOZZOLI, GEPPETTI E I DISERTORI DEL DSS CARNEFICI DELL'OFFERTA FORMATIVA DI PSICOLOGIA

B sarebbe stata un passettino in avanti, come quello dei bambini. Gli unici a incazzarsi sono gli studenti, che inscenano assemblee e presìdi, fino ad arrivare all'unica alternativa rimasta: decidono di occupare la Torretta il 20 gennaio 2014 Scrivono un comunicato e lo mandano alle redazioni dei giornali. Tempo due minuti e trovano al telefono Nozzoli, proprettrice alla didattica UniFI, che li intima a non occupare, pena la cancellazione di una magistrale e il ritorno ad un corso a 4 ambiti, situazione comunque peggiore.

In brevissimo: abuso di cattedra (o sarebbe meglio dire... d'ufficio?) ad opera di Nozzoli, prorettrice alla didattica UniFI, e Geppetti, direttore del DSS. Ricattati gli studenti, vessata la psicologia. A un anno dall'accaduto prima esibizione dal vivo (voce e fisarmonica) di “O Torretta tu sei maledetta”.

di Roberto Amabile

In 5 anni di università non ho visto peggior schifo che quello che è successo a Psicologia. L'Ateneo si è macchiato di viltà tale da costringere certe persone (che non faccio fatica a dire le migliori) a scegliere tra un profondo senso di comunità (il "bene di studenti") e la propria coscienza. Gli studenti ritirano il comunicato e revocano l'occupazione.

La psicologia magistrale dell'Università di Firenze è stata sdoppiata in due corsi di laurea magistrali: da una magistrale a 4 percorsi si passa a due magistrali di 2 percorsi l'uno. Agli ambiti disciplinari però non è riservata pari dignità didattica: se nella magistrale A in "Psicologia del ciclo della vita e dei contesti" i percorsi paiono ben calibrati, nella magistrale B la psicologia clinica e della salute lottizza lo spazio riservato alla neuropsicologia. Fin qui sembra discussione da dotti o una guida alternativa dello studente.

Ho scritto questa cosina in calce e la canto e la suono in giro nel primo anniversario della chiamata della Prorettrice, del ricatto agli studenti e della non-occupazione a Psicologia. Si chiama "O Torretta tu sei maledetta", sull'aere di "O Gorizia tu sei maledetta", canzone antimilitarista che tutti conoscete. Comunque sia andata, sia chiaro: prima o poi "i crani faremo scalpir".

Si viene a sapere invece che non tutto è stato regolare, che i messi del Dipartimento di Scienze della Salute (DSS) hanno ringambato ripetutamente gli appuntamenti istituzionali, lasciando gli studenti e gli altri docenti anche 10 ore ad aspettare. Questa diserzione strategica ha permesso a Geppetti, direttore del DSS, di dettare al telefono l'offerta didattica del corso magistrale B proprio nel fine settimana precedente alle scadenze, in modo da blindarla per mancanza di tempo. La reazione a questo sopruso è stata il silenzio, i dipartimenti di Scienze della Formazione e Psicologia (SCIFOPSI) e di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino (NEUROFARBA) tacciono entrambi: il primo perché porterebbe a casa la magistrale A tutta per sé, il secondo perché la 5


Alla sera del 20 gennaio s'apprestava la Torretta a occupare 1, ma per colpa di un porco maiale la protesta d'un colpo sfumò.

Burattinai di questo Ateneo mai agiremo a vostro imperio dei padroni lo stesso criterio ambo i crani faremo scalpir10.

Giornalista per tua conoscenza2 in fermento eran gli studenti, trapelasti di fuori dai denti e San Marco il tutto fermò3.

Cara Psi11 che tu non mi ascolti, questo strazio galleggia le vene, ma la rabbia si fa di pantere12 e vendetta più fredda sarà12.

O Torretta tu sei maledetta [a] ogni studente che sente sua scienza dolorosa gli [ci] fu permanenza e la laurea a niente servì.

O Torretta tu sei maledetta [a] ogni studente che sente sua scienza dolorosa gli [ci] fu permanenza e la laurea a niente servì.

Disertori del DSS4 che la [questa] guerra l'avete voluta vostra carne rimane venduta al nemico di una profession5. O Geppetti6 che voi ve ne state a Careggi su sedie di cuoio meritaste un sol [bel] manicomio per l'offerta7 che avremo [abbiamo] a subir.

[1] in riferimento al presidio chiamato dal collettivo di psicologia: si sono talmente esasperati di come sono stati trattati che alla fine di tutto avevano deciso di occupare la Torretta, sede della didattica della Scuola/ex-Facoltà di Psicologia a Firenze. [2] Il comunicato sull'occupazione della Torretta non è stato mai pubblicato ma è stato girato da un giornalista in Rettorato con un inoltro "per conoscenza". [3] In Piazza San Marco ha sede il Rettorato dell'UniFI. L'Ateneo ha avuto la possibilità di ricattare gli studenti con una telefonata e farli desistere dal pubblicare il comunicato di occupazione. [4] Il Dipartimento delle Scienze della Salute doveva partecipare agli incontri per la stesura dell'offerta formativa. Cristina Stefanile, in qualità di rappresentante del DSS, non si è mai presentata negli incontri cruciali. [5] I medici dicono agli psicologi come fare il mestiere. Un po' come il macellaio che dice al falegname come si raddrizza una trave! [6] Pierangelo Geppetti, direttore del DSS che ha dettato il finesettimana al telefono i corsi della nuova laurea magistrale in clinica e neuroscienze, con una forte sproporzione verso clinica e ospedalizzazione della materia. [7] nel senso di "offerta formativa", come si struttura il corso di laurea magistrale. [8] Anna Nozzoli, prorettore alla didattica di tutta UniFI e artefice della famigerata chiamata agli studenti di psicologia. Il ricatto è stato che l'Ateneo non avrebbe concesso il nuovo corso di laurea magistrale se avessero occupato la Torretta. Queste sono le ragioni didattiche che un prorettore alla didattica adduce per aprire/chiudere un corso. [9] Curiosità: mi sono beccato un "maleducato" dalla persona qui sopra perché ritenevo (e ritengo) sciatto il lavoro che c'è stato dietro la presentazione dell'offerta formativa. Mi sono tenuto basso e "sciattezza" è un eufemismo perché il termine adatto sarebbe "aberrazione" visto il processo che ci ha condotti a questo punto. [10] Scalpo ai crani dei padroni e dei burattinai dell'Ateneo (con evidente riferimento a Geppetti). [11] "Psi" può stare per il collettivo, per gli studenti e/o per una disciplina che non si rende ancora conto dello stupro che ha subìto. [12] I movimenti universitari rivendicano più o meno a ragione l'eredità della Pantera, il movimento studentesco che animò la protesta contro la riforma Ruberti del 1989-1990. [13] Altro gioco di parole tra il detto "la vendetta è un piatto che si serve freddo" e il nome del collettivo di psicologia "Psi per Vendetta".

Per la Nozzoli nostra prorettrice8 pur saremmo dei maleducati9 ma se fossimo stati occupati la sua testa doveva saltar.

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Di Lorenzo Tinti 7


Osservare è un'arte. Chi sa osservare ha, di fronte a sé, un mare infinito di possibilità. Come si osserva? Non si guarda solo il viso, si presta attenzione ad ogni ruga, ogni smorfia, ogni colore. Non si ascolta soltanto una parola, una frase. Si passano in rassegna timbro, volume, inclinazione della voce. E si memorizza. E ci si accorge di non essere unici, di non essere diversi, nonostante tutte le differenze. Le persone sono libri aperti, quando si riesce ad osservare. Certo, prima devi anche saper osservare te stesso. Devi chiederti chi sei. Chi sei? So che non ne hai idea. Ti nascondi dietro ad un'immagine che ti sei costruito a pennello, un'immagine sicura. Ti sei convinto di essere, essere e basta, hai cercato per anni cose che ti rappresentassero, che ti permettessero di sentirti unico. Ma tu sei unico; solo che non è merito dell'immagine fittizia che ti crei. Sei unico grazie alle parole che dici, e a quelle che preferisci non dire. Sei unico quando sei nudo e ti guardi allo specchio, e vedi le cicatrici, quelle che hai dentro. Sei unico quando ricordi, quando credi in qualcosa, quando provi sentimenti contrastanti, quando sei confuso. Sei unico, ma ciò che hai veramente dentro ciò che sei stato e che sarai, non sempre ti è dato saperlo.

Sei mille persone contemporaneamente, ecco cosa. Sei un essere umano. Segui gli altri esseri umani, correndo, sperando, vivendo, ascoltando. Sentendo. Sei un essere umano, respiri. Sei te stesso quando prendi un foglio e vomiti tutto ciò che ti passa per la testa in forma d'inchiostro, magari, quando diventi inchiostro e tutto ciò che è scritto sul foglio non appartiene più solo a te. Sei te stesso quando sei steso sul letto e permetti a chi ti è accanto di guardarti negli occhi, osservarti, leggerti dentro. Quando rispondi senza pensare, quando piangi, quando ridi di gusto. Quando ti guardi intorno e vedi veramente. O quando realizzi qualcosa di tuo e senti di aver appena creato qualcosa di bello. Vivi per fare qualcosa di bello. Vivi per lo scopo, per quello che ti rende felice anche solo per una frazione di secondo, ma felice veramente, felice così tanto da non cercare più. Lavoriamo ogni giorno per conoscere chi siamo. Respiriamo ogni giorno per capire chi siamo. Dobbiamo stufarci della paura, ed essere curiosi, troppo curiosi. E tu? Quand'è che tu smetterai di avere paura? Quando smetterai di nasconderti? Quando smetterai di provare a capire gli altri e proverai a capire te stesso? Sei perso? Lo siamo tutti. 8


Ma essere persi è salvezza e confusione insieme. E' cercando che scopri chi sei. Ed è cercando che si riesce ad osservare. E' osservando che vedi te stesso sul serio. E' così, oltretutto, che inizi a vedere il buono anche negli altri. E' così che inizi ad innamorarti della gente, così ti rendi conto che le persone sono qualcosa di fragile, profondo, complesso. Ed inizi a fidarti, finalmente. E' così che puoi fare in modo di vedere il genere umano come un tipo di animale alla deriva dei sentimenti, delle passioni, della voglia, delle incomprensioni. E' così che vivi. E' così che impari a conoscere te stesso, sì. Ed impari anche a perderti di nuovo. Conosci la persona sbagliata, e ti perdi di nuovo. Paura, vero? Questa volta, non riesci a ritrovarti. Non riesci ad aiutarti. E navighi in un mare di idee, e muori e nasci più e più volte. E quando non sei perso, ogni cosa sembra acerba. Ed ogni volta che osservi quegli occhi, ogni volta che la tua mano affonda nei suoi capelli, ti rendi conto di non voler veramente ritrovare la strada. Ogni nuovo dettaglio è uno spunto, è un oceano. Lo vedi, l'oceano. Anche se non lo hai mai vista davvero; lo vedi, lo senti, lo tocchi. E vedi il fuoco. Lo senti, quel bruciore sulla pelle? Oceano e fuoco che si incontrano e si scontrano, ed il tuo fegato si muove, si dimena, tenta di salvarsi. Perché tu non vuoi salvarti. Lo stomaco, poi, nemmeno lo senti più. La tua mente, lei dipinge. Dipinge immagini che non riesci a dimenticare, dipinge sensazioni, pensieri, dipinge oceano e fuoco, dipinge visioni, dipinge desideri che non vorresti. Ed è allora che sei fregato. Osservare è un'arte.

Eppure, gli artisti pagano le loro doti a caro prezzo. Gli artisti sentono. Gli artisti soffrono. Gli artisti fremono. Gli artisti vivono. Vivono intensamente, forse troppo. Te la senti, di essere un artista? Vuoi vivere? Vuoi fremere? Vuoi sentire? Soffrire è il prezzo. Quanto sei disposto a soffrire? Quanto sei disposto a capire? Vuoi ancora saper osservare? Se puoi, fallo. Ne vale la pena. Perché, alla fine dei conti, si tratta anche di trovare te stesso. E magari, nel tragitto, nella sofferenza e nell'arte, puoi osservare anche la bellezza. Puoi osservare qualcun altro. Puoi andare oltre te stesso. Puoi vivere di opportunità e intuizioni che, se guardi poco più in là del tuo naso, non assaporerai mai. E allora vai, soffri, crea, vivi. Ma fai qualcosa della tua vita. Sei unico. Dimostralo. Puoi. Possiamo tutti. "Ama l'arte; fra tutte le menzogne, è ancora quella che mente di meno." - Gustave Flaubert

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avranno avuto paura che il Parlamento fosse preso per una redazione satirica... Anche perché noi ovviamente non avendo libertà di stampa o una satira decente non corriamo rischi, poi se proprio qualcuno qui volesse fare una cosa del genere contro la satira dovrebbe uccidere Sallusti & compagnia, e vi dirò... Ah, potrei star qui a far centinaia di altre battute sui musulmani, Maometto. Infatti il vero problema sono come sempre gli Italiani: a Studio Aperto hanno detto "sono stati uccisi dei colleghi", e il dilemma a questo punto è enorme: che abbiano davvero fatto della satira su se stessi divenendo così effettivamente colleghi per un istante? Paradossi più pesi di quelli di Interstellar... Comunque ad onor del vero va detto che anche qui da noi si sono impegnati per rendere omaggio alla satira facendo finire in prescrizione i reati di evasione di Licio Gelli, e da ora possiamo affermare che anche lì da loro le persone muoiono sui luoghi di lavoro (i killer si erano infatti barricati prima in una

[Quella che segue è una sorta di riflessione accozzaglia di facezie cazzate che mi sono sentito di esternare poco dopo l'accaduto del 7 Gennaio alla redazione di Charlie Hebdo, successivamente aggiornata in seguito ad alcuni spunti ricevuti da notizie e articoli vari.] Quando si dice ridere a crepapelle e una risata vi seppelirà... Il 7 Gennaio sarebbero state meglio 12 freddure invece che 12 freddati, sarebbe stato meglio se 12 persone invece che abbattute si fossero prese a battute, sarebbe stato meglio avessero sparato solo cazzate come me. Comunque se davvero erano integralisti islamici si spiega perché abbiano sparato Allah cieca, e perché non abbiano tentato di ragionare, sapete con loro la possibilità di dialogo tende a saltare. In ogni caso anche loro appena entranti non hanno resistito dal fare una battuta e hanno esclamato "Dio è grande!". Poco dopo il fattaccio si sono allertati anche a Roma, 10


fabbrica e poi in una tipografia, oltre al danno la beffa!). E infine vorrei spezzare una lancia nei confronti del nostro paese, qui infatti una cosa del genere non sarebbe mai successa, non avrebbero mai trovato un'azienda in cui rifugiarsi, al massimo un sacco di ostaggi cassaintegrati che lo Stato avrebbe potuto continuare ad ignorare come al suo solito. In ogni caso oramai più che delle penne i musulmani francesi dovranno preoccuparsi di le Pen, la quale ha infatti annunciato che farà la marcia su Parigi (e ci dovrebbe volere poco visto che lei marcia già lo è), inoltre vuole a tutti i costi la pena di morte, se proprio la vuole dategliela e facciamola fuori! Non so se è il caso di dirlo ma in Francia ormai ci hanno proprio lasciato le Pen. All'interno di ogni matita c'è una mina ed è per questo che chi è un po' ignorante pensa che possa avere potenza esplosiva a cui va risposto allo stesso modo... Je sui Guido de Bonfioli Cavalcabo'

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Di Pedro Boniforti

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C’era una volta un Re, che viveva nella paura degli altri. Solo si aggirava nelle buie stanze del suo castello; quando la notte calava prima di andare a letto controllava che nessuno fosse rimasto. Sceglieva autonomamente le pietanze che poi passavano dalle sue mani per essere preparate, cucinate, e sospettosamente mangiate, mentre lo sguardo squadrava gli angoli, costruiva immaginari muri, mal sopportava la flebile luce che le candele producevano.

sconvolgente. Da allora, si strinse sempre più su se stesso, come un riccio spaventato e appallottolato si ritrasse. «Sono il re, dannazione, che bisogno ho della gente» si auto convinceva «semmai loro hanno bisogno di me». E in effetti il popolo che governava era ormai soltanto una parvenza di quello ricco e produttivo cresciuto sotto il regno di suo padre. L’assenza di una guida aveva portato in quei due anni apatia e mancanza di prospettive, come un cavallo che corre veloce e inconsapevolmente si dirige verso un ripido burrone. I suoi giri del regno si fecero sempre più rari. Era però venuto il giorno della riscossione degli oboli; siccome non si fidava di nessuno, andò personalmente. Era una calda giornata estiva, quando le vesti regali sono più insopportabili, fra prurito e sudore. Già oltre la metà dei villaggi più grandi, dove si radunavano tutti gli abitanti e i contadini vicini chiamati a raccolta, era alle spalle. Arrivò al successivo, il cocchiere lo annunciò.

«Il problema con la gente è che è volubile, magari ti ha di fronte e poi tutt’un tratto ti tocca, ti vuole stare vicino. Il mio problema con la gente è che non sopporto quando mi toccano» scrisse in una specie di diario che teneva quotidianamente e poi bruciava, nell’ampio caminetto cinto da una coppia di alari in marmo nero. L’ultimo contatto che aveva avuto era stato due anni prima, quando suo padre morì, stretto sulle sue braccia. Il voltò gli diventò subito cinereo, un attimo prima c’era, quello dopo non più. Fu 13


Il re scese ma non si sa come, inciampò e cadde. Passava di lì una mendicante. La sua bellezza era solo potenziale, nascosta dietro strati di sporcizia e vergogna, ma si intuiva, eccome. Come un sasso lanciato a velocità incredibile, il re le fu addosso. Le cadde sopra. «Per due anni ho evitato ogni contatto e in una delle poche volte che esco dal castello addirittura mi tocca toccare una plebea» pensò, ma nessuno dei due si ritraeva dall’altro. La scena era interessante. Il re, con tanto di corona ed ermellino, addosso ad una poveraccia; entrambi si trovavano lì per chiedere denaro e c’era stato un momento, un attimo soltanto in cui sembravano un solo corpo con due teste. Un attimo, meno di un millesimo di secondo; tutti i presenti se ne accorsero, ma a nessuno sembrava di averlo visto, quella specie di messaggio subliminale sotteso. Un attimo dopo era già andato, come portato via dall’alito di vento che era arrivato nel frattempo. «Sua Altezza, mi scusi» «I-i-i-i-o non sopporto quando la gente mi tocca» «Eppure, sa, sembrava che mi abbracciasse, e tutti l’hanno vista, e tutti sembravano felici»

nella vita, essere parte di una bellezza che è compiuta solo quando si è in due o in cento o in mille. La bellezza dell’altro, la bellezza di percepire cosa tocca la propria mano, il proprio corpo, la bellezza del tatto ma soprattutto del con-tatto, la bellezza, ora finalmente manifesta, di quella donna. La abbracciò, veramente e consapevolmente. Poi si alzò e fece lo stesso con tutti quelli che gli stavano vicino, attoniti, in quella piazza. Tutti. Si mise al centro, indicò la mendicante e disse: «Salutate la vostra regina».

Tutti. Felici. Il re alzò lo sguardo e si perse per un altro attimo dentro un mare. Era il mare degli occhi azzurri di lei, ma allo stesso tempo era il mare che da bambino suo padre lo portò a vedere, dalle ripide scogliere del sud. Era lo stesso mare in cui quasi affogò, una volta. E quel mare era come la sua vita, soggetto alla volubilità dell’atmosfera e dell’uomo, come lui era soggetto a quella dei suoi sudditi. Era lui quel mare, e si vedeva ora per la prima volta. Tutto a un tratto ricordò il calore degli abbracci di sua madre, in quell’istante capì di essere stato uno stupido, per due anni interi aveva rinunciato all’unica cosa che conta 14


Yasahara. Parte 1 di 3

cambiare un momento di solitudine in un momento di conoscenza, allora potremmo dire che, così facendo, lei riduce le possibilità di disturbare quell'uomo dai suoi pensieri, di certo non le azzera, ma sicuramente spezza una lancia in suo favore.>

"Il fine del comprendere non sta nel cogliere una fatto, ma nell'apprendere una possibilità di essere" (Ricouer 1975 ricordando Heidegger). Tra tutto quello che mi circondava c'era lei. Nel suo sguardo mi sembra di vedermi. Sembra che lei veda il mondo come me. Non sono propriamente attratto. Sono incuriosito.

<Interessante ipotesi> rispondo incuriosito da tale giro di parole, e aggiungo: <veramente interessante, ma se ipotizziamo tutto ciò, potremmo anche ipotizzare che un comportamento così spavaldo potrebbe intimorire l'uomo, facendogli montare qualche difesa di troppo, che renderebbe più complesso, e sottolineo complesso non complicato, quel cambio di momenti a favore della conoscenza.>

Il tempo di distogliere lo sguardo per prendere il bicchiere, e lei è sparita, quasi come se non ci fosse mai stata. <Ti disturbo?> <Può una donna disturbare un uomo solo ad un tavolo di un pub dopo la mezzanotte?> rispondo compiaciuto.

<Hai perfettamente ragione, ma l'uomo di cui stiamo parlando è talmente insicuro da essere costretto, nella vita di tutti i giorni, ad andare in giro con una grossa armatura, così tanto spesso indossata, da non saper più come si toglie, da non saper più come si sta senza, così tanto spesso vissuta da dover far sedere la donna accanto a lui, neanche di fronte, ma accanto, per mostrare la sua forza. Tutto questo te lo dico perché, l'uomo in questione, sin da quando ha notato la donna,

<Questo dipende.> ribatte. <Da cosa?> <Ipotizziamo che, la lei in questione, abbia chiesto alla barista di rifare due bevute uguali a quella fatta, in precedenza, a quell'uomo, ipotizziamo che le porti al tavolo con la sola, e qui sono seria, sola intenzione di parlare e di 15


sin da quando ha notato che lei lo guardava, sin da quel preciso istante, non è riuscito a distogliere i suoi occhi da lei, né tanto meno ad abbassare lo sguardo e sottometterlo a quello di lei, se non per bere. La cosa triste, forse, è che non era solo per interesse, ma forse, anche per competitività.> Prendi e porta a casa. Il restare senza parole, come in questa situazione, forse è una delle sensazioni che amo di più. Avrei voluto risponderle perché triste, ma non ne valeva la pena. La mia testa già vagava altrove. <Anche restare senza parole, di per sé, è una risposta.> disse lei. Frase già sentita, anche se non ricordo dove o da chi. Realtà, sogno. Ok a priori da cosa sia, io decido di giocare. Male che vada sto dormendo, e domani avrò solamente dei postumi allucinanti. "Il nemico più grande si nasconde nell'ultimo posto dove guardi." (Giulio Cesare, 75 a.C.) "Sempre a fare questi preamboli. Se vuoi sapere chiedi. Inutile che giri intorno a quello che vuoi sapere fingendoti intelligente. Non lo sei. Meglio esser diretti. La colpisci meglio e prima. Lo apprezzerà." Oggi le voci nella testa sono un po' più chiassose del solito.

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Mercoledì 14 gennaio usciva in Italia con Il Fatto Quotidiano il nuovo numero di Charlie Hebdo. Quel giorno dopo un esame universitario e qualche altro impegno ho deciso di andare a vedere dall’edicolante di fiducia della mia città del centro-Italia di fiducia nel quartiere di fiducia (poco fuori dal centro storico) di andarmi a prendere quel numero del Fatto, ma soprattutto quel numero di quel quotidiano satirico francese. Sarebbe stato il primo acquisto nella mia vita del primo e del secondo. Arrivo in edicola per le 19.15. “Ce l’hai sempre Il Fatto?“ “Posso fa ‘na risata?“ A domanda la edicolante figlia del proprietario mi risponde con un’altra domanda. Dentro c’era la risposta. La curiosità di sapere come si erano comportati gli abitanti del mio quartiere era già nata durante il giorno, ma ora avevo davanti la fonte primaria, quella che avrebbe potuto darmi informazioni dettagliate sul fenomeno di giornata. Scopro che è pure una fonte particolarmente metodica.

“Alle 7.30 erano finite tutte le 60 copie e tu sei la 125esima persona che me lo chiede da quando l’ho esaurito.” In quel momento si affaccia un’altra cliente. “Cara! Una cosa al volo: ce l’hai sempre il Fatto che mi ha detto il ‘mi figliolo che c’era una cosa insieme che voleva…” La edicolante guarda me e sussurra centoventisei e poi guarda la cliente alla porta e le dice No signora! Finito tutto. Provi domani che me lo rimandano. Domani lo rimandano! Altra notiziona. Lei capisce che ho elaborato la cosa e mi chiede se desidero che mi sia tenuta da parte una copia. Ormai c’ero dentro fino al collo. Le dico di Sì. “Nome?“ “Arturo…“ “Ok Arturo. Domani vieni quando ti pare, dici a chi c’è che eri tra i prenotati e te lo danno.“ Io già me ne stavo andando, salutando e ringraziando, ma la edicolante mi allunga un librettino nero con scritto sopra Je Suis Charlie e in fondo Corriere della Sera. “Se vuoi oggi è uscito anche questo con il 17


Corriere. Costa 4 euro e qualcosa. Il Corriere non importa che lo prendi…” Lo sfoglio. C’erano tutte le vignette che avevo visto sul web dedicate alla questione e molte altre che non avevo avuto modo di vedere. Massìdai. Era ovviamente il libretto delle polemiche, come scopro appena arrivato a casa. Sì, l’ho preso, l’ho sfogliato tutto e l’ho fatto vedere alle mie coinquiline. Una con area sopresa mi fa “Certo che quando vogliono sanno essere veloci eh” riferendosi al fatto che una cosa così curata, voluminosa e ricca di vignette potesse essere stata preparata in pochi giorni. Eggià. Era proprio quella la polemica. Senza chiedere il permesso si fa prima. Il giorno dopo torno in edicola. C’era l’edicolante della sera prima e di copie de Il Fatto ce n’erano ancora parecchie anche a metà mattinata. Mi vede, prende i due giornali, me li passa, pago e saluto. Al bar accanto ce n’erano tre copie.

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