Le straordinarie opere di Alan Moore - Primo capitolo in anteprima

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PREFAZIONE

Q

suono del suo digitare è fragoroso e ritmico, e da lontano sembra un tip-tap demoniaco. Ma allora cosa rappresenta per lui questo compleanno? Per quanto mi è dato di capire è sua intenzione ritirarsi. Non nel classico senso di starsene in panciolle e dedicarsi al giardinaggio, bensì nel senso di continuare a produrre un’infinità di opere ma per divertimento e non per soldi. Secondo me non si è ancora reso conto di quale droga sia la creatività, spero di poterlo mettere in qualche clinica di riabilitazione letteraria, dove gli verrà tolto il vizio di dedicarsi a geniali opere storiche per dedicarsi a testi che danno meno assuefazione, magari thriller prevedibili o raccontini rosa. Anche se questo volume celebra il suo cinquantesimo compleanno, è bene notare che mio padre ha trascorso metà della sua vita lontano dallo sguardo del pubblico. Produttivo già in gioventù, non si è davvero lanciato nella sua carriera d’elezione sino ai venticinque anni. Guarda caso è proprio allora che sono nata io. Molti, nell’apprendere di stare per diventare genitori, avrebbero cercato di conquistarsi un posto fisso con una paga regolare, in modo da garantire si-

uest’anno Alan Moore compie cinquant’anni. Per molti uomini questo sarebbe il momento dei maglioncini, della voglia incontenibile di guidare macchine piccole e veloci e magari della scappatella con la segretaria. Tutte cose improbabili nel caso di mio padre. Lui, per fortuna, nella vita siede nel posto del passeggero. E quando dico che è una fortuna, dico sul serio: ha una pessima vista, vede solo due delle tre dimensioni e sarebbe quindi una possibilità davvero spaventosa vederlo alla guida di qualsiasi veicolo. Solamente per questo fatto il novanta percento dei tassisti di Northampton potrà andare in pensione presto e mandare i figli all’università. Impossibile anche che abbia una avventura con la segretaria, non solo perché è ancora felicemente legato a quella spacciatrice di pornografia di Melinda Gebbie, ma anche perché non ha una segretaria. Questo significa che si occupa lui stesso delle scartoffie, lasciandole in giro per casa in pile imponenti, e che risponde a tutte le telefonate nonostante non desideri parlare con nessuno, che batte a macchina da solo ogni parola della sua sbalorditiva produzione. Il

Nota del curatore italiano. Il presente volume è l’edizione italiana del libro The extraordinary works of Alan Moore - Indispensable Edition curato da George Khoury e pubblicato dalla TwoMorrows Publishing nel dicembre del 2008. L’Indispensable Edition espande e aggiorna l’omonimo volume edito nel 2003 in occasione del cinquantesimo compleanno di Alan Moore che conteneva, tra i numerosi materiali, diversi contributi augurali (testi, illustrazioni e fumetti brevi) realizzati da collaboratori e parenti, oltre a numerose rarità (racconti, sceneggiature e comics) firmate della stesso Bardo di Northampton. Il cuore del libro è però rappresentato da una lunghissima ed esaustiva intervista, divisa in capitoli, che tocca tutti momenti della vita e della carriera di Moore. Dice il curatore Khoury: «Tutte le sessioni d’intervista sono state condotte telefonicamente quando Alan aveva del tempo libero e si sentiva rilassato. Poiché ci sono numerosi momenti di riflessione, volevo che si sentisse a suo agio e spesso, mentre parlavamo, sorseggiava una tazza di tè. Prima di iniziare avevo premesso che se non avesse avuto tempo l’avrei richiamato la settimana o il mese dopo, in un momento in cui era libero da impegni. Inoltre, distanziare i nostri incontri, mi ha permesso di focalizzarmi meglio su particolari periodi della sua vita e di avere il tempo per fare le necessarie ricerche e letture. La prima sessione si è tenuta nel dicembre del 2001, mentre le restanti sporadicamente nel corso di tutto il 2002, quando Alan era estremamente occupato nel concludere la linea ABC e altri progetti. La maggior parte delle nostre conversazioni, a cadenza quasi mensile, duravano dai 60 ai 90 minuti.» The extraordinary works of Alan Moore esce nel luglio del 2003, andando poi esaurito nel corso del 2005. L’Indispensable Edition contiene un nuovo capitolo d’intervista, il nono, che aggiorna lo status dell’attività di Moore dopo il ritiro dal fumetto mainstream e la chiusura della linea ABC. L’intervista è stata condotta, ancora una volta per telefono, nel maggio del 2008. Oltre a questa novità, il cambiamento maggiore rispetto alla precedente edizione è rappresentato dalla sostituzione, nella sezione a colori, del racconto a fumetti “In Pictopia” (testi di Alan Moore, disegni Don Simpson, nuova colorazione di José Villarrubia, pubblicata originariamente nel 1986 sull’albo benefico «Anything Goes!» n. 2) con l’attuale storia di Mr. Monster.

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Le straordinarie opere di Alan Moore

curezza economica a sé e alla propria famiglia in crescita. Non si imbarcherebbero in un’impresa rischiosa come diventare uno scrittore professionista o, ancora peggio, un autore di fumetti. Penso che la scelta dimostri molta determinazione da parte di mio padre, ma anche una buona dose di coraggio da parte di mia madre, a cui è toccato il compito di crescere me, e più tardi mia sorella, con i compensi della striscia quotidiana Maxwell The Magic Cat e ogni tanto di una mezza pagina per la rivista “Sounds”. Non ci vuole un genio per capire che se mio padre compie cinquant’anni, io ne ho venticinque. Il caso vuole che anch’io stia intraprendendo una carriera nel mondo delle vignette. Solo dopo aver vissuto in prima persona alcune delle difficoltà del settore in cui mi sono avventurata ho iniziato a capire quale impresa titanica debba essere stata per i miei genitori. Vale inoltre la pena aggiungere che la mia nascita e la ricerca di sicurezza economica che ne è scaturita, probabilmente hanno spinto mio padre a lavorare più duramente, a impegnarsi in più progetti e a sforzare la sua creatività molto più che se io non fossi mai arrivata. Detta così suona come se mi stessi prendendo il merito di aver dato ad Alan Moore il calcio in culo che lo ha portato a scrivere grandi fumetti. Beh, sì, è così. Ho passato i miei anni formativi perlopiù in compagnia di mia madre, con mio padre presente solo come quel rombo di colpi battuti alla macchina da scrivere dalla camera di sopra. Per me questa cacofonia rappresenta tuttora un suono confortante con il quale rischio di appisolarmi se non sto all’erta. Mia sorella può testimoniare che questo rumore, una nuvola di fumo e un leggero odore di liquido correttore erano gli elementi che associavamo a nostro padre. Ogni tanto emergeva dal suo studio, in genere quando era tempo di andare a dormire, momento in cui nostra madre poteva passargli il testimone per una storia della buonanotte e noi potevamo goderci uno scrittore fare ciò che più ama: raccontare storie. Prima di scadere nello stucchevole vorrei far notare che non tutte quelle storie erano tratte da libri per bambini: parecchie erano forse un po’ troppo mature per noi. Mi è stato poi spiegato che era “formativo” per noi. Può anche darsi, ma ricordo chiaramente che entrambe ci siamo cagate sotto con Il popolo dell’autunno di Ray Bradbury. È stato in questo periodo, quando Amber ed io eravamo piccole, che ha dovuto lavorare in assoluto di più. È facile capire quando ci sono bollette da pagare perché la quantità di racconti prodotti improvvisamente raddoppia. Direi che questo accade regolarmente ogni sei mesi circa,

dalla mia nascita a oggi. Il duro lavoro diede i suoi frutti negli anni Ottanta, quando il successo di V for Vendetta, Watchmen, Miracleman e delle altre opere significò che per la prima volta c’erano un po’ di soldi. Avevamo una bella casa e tutti i comfort che si potessero comprare all’epoca. Da qualche parte c’è un filmato di me che mostro il funzionamento del nostro nuovo lettore CD, un oggetto che allora per noi era molto ‘avanti’. Era parte di una ripresa fatta da una troupe che venne a girare un documentario su ‘Alan Moore: Icona degli anni Ottanta’. Fortunatamente questa sequenza non è presente nella versione finale. C’è invece una scena in cui lui cammina per un sentiero in un giardino vittoriano appena fuori Northampton. Mia sorella ed io entriamo correndo nell’inquadratura ,lui ci prende tra le braccia e continua il suo cammino: l’immagine della forza paterna. Quello che però rovina in un certo senso questa immagine è che, quando è ormai quasi fuori dall’inquadratura, ci mette giù al bordo del sentiero (con un senso di gratitudine, dato che nessuna di noi due è mai stata una silfide, neppure da bambina), miope

Alan si esibisce dal vivo con la figlia Leah (è quella con la chitarra). 8


Leah Moore PREFAZIONE

com’è non si rende conto che il prato al lato del sentiero è più basso di un mezzo metro buono, e che in realtà ci sta calando su una di una scarpata erbosa piuttosto ripida. Il documentario televisiivo termina con noi che ci agitiamo comicamente mentre rotoliamo giù per il prato. Capirete poi che essendo sue figlie abbiamo goduto di tutti i benefici del settore fumettistico. Karen Berger ci mandava una valanga di action figures della DC e una volta ci hanno dato due enormi pupazzi di Marsupilami, grandi più di noi, che furono quasi fatti a pezzi da zelanti agenti della dogana. Inoltre andammo al festival di Angoulême, dove conoscemmo i leggendari Will Eisner e Harvey Kurtzman. Fu proprio la figlia di Kurtzman, Liz, insieme al suo ragazzo, a farci fare un giro su di un piccolo biplano quando chi doveva occuparsi di noi era andato a fare un giro. E fu David Lloyd a offrirci una spremuta d’arancia quando rimettemmo i piedi sulla terra ferma e della nostra errante baby-sitter gallica non c’era nessuna traccia. Fu in autobus, di ritorno da questa baldoria alpina, che mi ritrovai seduta di fronte a Sergio Aragonés, che non sospettava minimamente che circa quindici anni più tardi avrebbe illustrato il mio primo lavoro nel campo dei fumetti. Gli anni Novanta sono stati un periodo bizzarro per tutti; la bolla di benessere degli anni Ottanta era scoppiata, portando via con sé numerosi editori di fumetti. Questo volle dire che due dei progetti più grossi di mio padre, From Hell e Lost Girls, rischiarono di rimanere inediti. Come sappiamo, From Hell fu infine terminato e persino trasformato in un film. Questo ha riempito mio padre di gioia e gaudio. O forse no, vero? All’epoca, io e Amber eravamo assolutamente entusiaste, in particolare quando scoprimmo che il protagonista sarebbe stato Johnny Depp. Lo ricattammo, supplicammo, blandimmo, ma lui fu inamovibile... non ottenemmo il permesso di andare a Praga a rapire il belloccio. Ci venne negata anche la “prima” del film e l’emozione degli abiti da gala e della permanente. Riuscimmo però a ottenere delle copie di foto dal set, alcune delle quali mostravano il delizioso Mr. Depp in un seducente kilt. Ho già scritto che essere figlia di Alan Moore ha i suoi vantaggi, vero? In quanto a Lost Girls, è un’epopea carnale per antonomasia, a cui mio padre e la sua amata hanno dedicato gran parte dei loro quattordici anni di relazione. Nella lavorazione di quest’opera rivesto da anni il prestigioso titolo di consulente per il pelo pubico e non smetto mai di meravigliarmi di quanto quei due riescano a cadere in basso in nome dell’”arte”.

Ad ogni modo, tra progetti che si arrestano e progetti che partono, e il lavoro per la Image Comics (e qui confesso pubblicamente che la miniserie di Violator mi piaceva!), ha trovato il tempo di uscire di testa. Per il suo quarantesimo compleanno si è proclamato mago. Cosa che ovviamente non era affatto. Non sapeva nemmeno fare gli animali con i palloncini. Poco dopo si è messo ad adorare un serpente. Capirete che ci siamo anche preoccupate per lui. D’altro canto per due adolescenti come noi le sue fisse, non importa quanto assurde, risultavano più che altro divertenti. Solo quando mi sono ripresa dallo sghignazzamento iniziale mi sono resa conto che faceva sul serio. Si interessava di rituali magici, studiava la cabala e riempiva la casa di oggetti dell’occulto. Anche se il pensiero di candelabri accesi in giro per una casa strapiena di libri e scartoffie mi faceva preoccupare, decisi che il suo credo non era più folle o illegittimo di quello di gran parte delle altre persone. Sono ormai passati circa dieci anni dal suo annuncio a sorpresa ed è molto meno matto. Ha smesso di agitarsi come uno sciamano indemoniato e ha invece le movenze controllate di un prestigiatore, cosa che rende la vita più facile anche a lui. Quando la mattina il campanello suona, il postino può ritrovarsi ancora davanti un omone irsuto agghindato in una tonaca, ma perlomeno non è più coperto di sangue e piume. La sua produttività ha continuato ad aumentare e la sua linea di fumetti gli permette di esplorare tutti i vari generi che tanto ama. I due titoli che più lo soddisfano, Promethea e La Lega degli Straordinari Gentlemen si sono rivelati anche quelli di maggior successo. Promethea ha fornito ai lettori una guida accessibile alla magia e alla cabala, mentre La Lega ha radunato i migliori personaggi dai romanzi classici in un’avventura divertente e istruttiva. Stanno girando un film tratto da La Lega, anche questo a Praga. È probabile che lo incupisca proprio come From Hell e stavolta non è mia intenzione rapire nessuno degli attori. Mentre il gran giorno si avvicina, mi chiedo come si sentirà a cinquant’anni, se rallenterà il ritmo di lavoro o se se ne uscirà con un’altra sorpresa. Forse fuggirà con quella sua bionda sfacciata divinità-serpente o forse deciderà di darsi al golf cabalistico in cui ci sono solo dieci buche ma i maglioncini sono più fighi. Qualsiasi cosa succeda non vedo l’ora che scriva l’introduzione al libro per il mio cinquantesimo compleanno. Leah Moore, 2003

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Capitolo 1

C’ERA UNA VOLTA

Partiamo dall’inizio. Quando e dove sei nato? Sono nato il 18 novembre 1953 a Northampton, all’ospedale St. Edmond, un ospizio riconvertito di epoca Vittoriana. Da quello che so, la mia famiglia vive a Northampton da generazioni, come qui ricorda chiunque. A un certo punto, qualcuno della famiglia sposò una donna belga, che credo fosse ugonotta, appartenente a una cultura che si era insediata in Inghilterra, nota per la fabbricazione di nastri e merletti. Erano anche molto auto-sufficienti; avevano una comunità a Spitalfields, nella zona degli omicidi di Jack lo Squartatore, dove allevavano i loro figli, si prendevano cura dei loro malati e dei loro anziani ed erano una comunità completamente auto-sufficiente, cosa che, ovviamente, non era ben vista dal governo del tempo che pensava fosse molto prossima all’anarchia. Era gente che pensava per davvero di condurre la propria vita senza un capo e che effettivamente ci riusciva: non è una buona cosa da lasciar accadere, perché se altre persone l’avessero vista avrebbero potuto pensare di fare lo stesso. Così, quello che il governo fece fu di mettere una tassa su nastri e merletti, pensata per paralizzare gli Ugonotti.

qualche parte in Inghilterra, dovrebbe trovarsi probabilmente nelle Midlands, nella “Black Country” intorno a Northampton. Si tratta di una città operaia? Oggi suppongo sia cambiata. È difficile dirlo. Originariamente Northampton era… quando dico originariamente, sto parlando del periodo Neolitico; in cui c’era un insediamento umano. Il che vuol dire un certo numero di capanne e un ponte. La ragione per cui la città si trova qui è perché c’è una pista, un antico sentiero naturale che va da Glastonbury fino al Lincolnshire. Questa pista deve essere stata la via che più o meno ha trasformato l’Inghilterra in una nazione. Quello che prima era stato un gruppo di tribù sparse dovrebbe aver utilizzato quella pista per commerciare e comunicare, e questa pista attraversa il fiume Nene, a Northampton. Quindi, chiunque seguisse quel percorso doveva attraversare il fiume. Perciò, se mettiamo una città vicino al ponte, sarà una città prosperosa, perché sarà la sede di molti scambi commerciali. Così presumo che questa sia la spiegazione del perché Northampton sorga qui, ma si sviluppò molto lentamente; voglio dire, c’erano degli insediamenti romani da queste parti. C’era un grande accampamento durante l’Età del Ferro prima che i Romani venissero qui, un evento diventato anche un mistero locale: l’intera popolazione svanì dal giorno alla notte e nessuno sa che cosa accadde. Sono state proposte molte teorie ma nessuna è convincente. Il fatto è che se ne andarono dal giorno alla notte ed è piuttosto evidente perché abbandonarono tutte le macine a mano per il grano. Erano delle macine portatili, degli oggetti piuttosto preziosi, intendo dire che erano delle macine di concezione relativamente nuova; è come se la gente se ne andasse abbandonando i propri telefoni cellulari [risate]. Dovevano essere piuttosto costose; non dovevano essere delle cose da buttar via. Perciò se le hanno lasciate tutte lì, significa che hanno dovuto andarsene così velocemente che non hanno neppure potuto aspettare di prenderle con sé. È come per la Mary Celeste1, ma sulla terraferma. Non fu

Quella donna era del tuo ramo paterno o materno? Della parte di mio padre, il ramo Moore della famiglia. Così, misero questa pesante tassa per danneggiare gli Ugonotti. Gli Ugonotti, che erano gente fiera, protestarono pubblicamente per le strade. Le autorità inviarono delle truppe che si acquartierarono nella chiesa di Hawksmoor e spararono sui rivoltosi. Penso che gli Ugonotti furono dispersi, probabilmente per tutta la nazione; una di loro evidentemente giunse fino a Northampton e sposò uno della famiglia che, a quel punto, aggiunse alle proprie capacità l’arte di fare nastri e merletti. Detto questo, la mia è una famiglia davvero proletaria, ben prima che il termine “proletario” venisse inventato: si potrebbe dire di stampo contadino. Northampton è geograficamente il “centro esatto” della nazione. È probabilmente la zona della nazione in cui, se c’è qualche antico sangue inglese, qualche antico sangue Britanno che è rimasto da

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un attacco dei nemici: l’insediamento era in cima a una collina, se vieni attaccato da dei nemici non abbandoni le postazioni in altura. Inoltre non sono stati trovati gli scheletri di un eventuale massacro. Lo stesso varrebbe se si fosse trattato di un incendio (ci sarebbero delle tracce) o di un’epidemia. Ma niente: l’intera comunità svanì nel nulla e più tardi giunsero i Romani. C’erano alcune ville romane qui: continuiamo a trovare, di tanto in tanto, dei reperti archeologici. Durante il periodo dell’occupazione romana della Britannia, Boudica (un’antica regina britannica, più precisamente sovrana degli antichi Bretoni che guidava la tribù degli Iceni) era piuttosto famosa perché gli Iceni erano una tribù matrilineare e la guida della tribù veniva passata di madre in figlia. Ma questo mal si accordava con la tradizione patriarcale dei Romani. Quando Boudica decise di passare il trono degli Iceni alla figlia, i Romani glielo proibirono e giunsero a violentare lei e le sue figlie; poi, credo, le fecero frustare. Fu un grave errore di valutazione dei Romani, perché Boudica non era solo la regina degli Iceni, era la loro dea. Era la loro dea che i Romani avevano violentato. La stessa Boudica non era certo contenta della cosa e mise insieme un’armata di Iceni. Questi dapprima scesero sull’accampamento dei Romani, a Colchester, e uccisero tutti, distruggendo il luogo. Poi continuarono, scesero a St. Alban e la distrussero. Poi si diressero a Londra; il presidio romano li vide arrivare e i soldati fuggirono, perché quelli erano davvero dei Bretoni assetati di sangue, e distrussero Londra. Se si guarda alla sezione geologica della roccia su cui è costruita Londra (ne hanno una in mostra al London Museum) si vede una piccola striscia nera di qualche centimetro che l’attraversa per tutta la sua lunghezza. Quella è Boudica; lei bruciò la città fino alle sue fondamenta e c’è ancora questa piccola striscia nera di qualche centimetro che attraversa la roccia sotto Londra; ecco cosa fece Boudica. Ora, se avesse inseguito i Romani, li avrebbe probabilmente scacciati dall’Inghilterra. Ma proseguì scatenando su Londra un’orgia di distruzione: le interiora delle vittime furono impilate in alto con le loro teste. Boudica voleva solo che fossero tutti uccisi. Nel frattempo i Romani (la legione che era a Londra) si diressero verso il Galles e si unirono con un’altra legione che si trovava lì per sopprimere delle rivolte (gente come Caradoc). Le due legioni insieme tornarono a Londra, dove Boudica e i suoi

uomini erano esausti o morti. Si ritiene... voglio dire, la storia ufficiale è che Boudica fu uccisa e sepolta sotto quella che ora è la fermata 10 della stazione di King’s Cross, ma francamente è poco probabile. Credo che se i Romani avessero ucciso Boudica non l’avrebbero seppellita da nessuna parte. Pezzi di lei sarebbero stati mostrati in tutto l’Impero per anni a venire. Quello che è più probabile è che si uccise con il veleno e, mentre quello che restava del suo esercito rimase a Battle Bridge a morire inutilmente per mano dei Romani, ci deve essere stato un piccolo gruppo di cavalleria che ha riportato il corpo della regina a Northampton, dove si crede sia stata seppellita vicino al circuito di Silverstone nel Northamptonshire, un posto che nel Doomsday Book2 viene chiamato “Dedequenesmore” o “Dead Queen’s moore” [La landa della regina morta. NdT]. Così qualche anno fa, hanno effettivamente fatto degli scavi in un vasto tumulo: era di certo quello che restava di una regina del secondo secolo. Era quasi certamente Boudica, ma non possiamo provarlo: stanno ancora lavorando per decifrare i reperti... ma con tutta probabilità è dove Boudica fu sepolta. È una curiosa cittadina. Molte delle guerre inglesi si sono concluse a Northampton: la Guerra Civile inglese fu decisa a Naseby; la Guerra delle Due Rose fu decisa, penso, vicino all’Abbazia di Delapre a Northampton. Questo perché è situata al centro della nazione; è come se tutto sia accaduto qui o che chiunque, nel suo cammino verso qualsiasi cosa il destino gli avesse riservato, abbia dovuto passare per la città. E così ha sviluppato una personalità propria. La mia famiglia, Dio sa da dove provenga, ma non deve essere stato molto lontano da Northampton; la gente non faceva grandi spostamenti a quel tempo. Dubito che mia nonna, in tutta la sua vita, si sia spostata per più di cinque o dieci miglia dal posto in cui è nata, sai? Di certo non lo fece sua madre, o la madre di sua madre. La mobilità è un’invenzione piuttosto moderna. Perciò penso che, più o meno, la mia famiglia sia strisciata fuori dalle paludi e si sia stabilita qui, dove è rimasta. Possiamo tracciare l’albero genealogico della mia famiglia fin dal XVII secolo, i primi anni del 1600, o giù di lì. I componenti della mia famiglia, quelli di cui ci si ricorda, provengono da un ramo proletario della zona dei “Boroughs” a Northampton. Fondamentalmente ci sono stati i Romani, poi l’Impero Romano è caduto, e allora si sono ritirati. Sono arrivati poi i Sassoni che ci hanno invaso. Durante il periodo sassone Northampton era giusto al centro della

Nave trovata senza nessuno a bordo al largo nel mare delle Azzorre nel 1872; del capitano, di sua moglie, della loro bambina e dell’equipaggio di sette persone non si seppe mai nulla. [NdC] 1

Il grande libro del Catasto d’Inghilterra, fatto compilare da Guglielmo il Conquistatore nel 1086. [NdC] 2

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Capitolo I C’ERA UNA VOLTA

Casa dolce casa. Northampton è uno dei distretti dell’Inghilterra da oltre ottocento anni e Moore non ha mai vissuto da nessun’altra parte. Questa mappa del 1965 mostra il distretto.

“Io e mia mamma a St. Andrews Road, 1954. Il vicino che si sporge casualmente nello sfondo sulla destra indossa, bisogna notarlo, un cappotto mimetico con motivi a mattonella, molto popolare nella Northampton degli anni Cinquanta.”

“Nel cortile a St. Andrews Road, 1956/1957. Io con berretto in panno e pallone, cerco consapevolmente di apparire come un figlio della classe operaia perché sapevo che sarebbe stato figo in futuro per le biografie. In realtà, appena fuori dall’inquadratura c’è una piattaforma d’atterraggio per elicotteri e una piscina.”

“Northampton, più o meno nel 1956. Io in un night locale attorniato dalla mie puttane.”

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Le straordinarie opere di Alan Moore

diciassette anni della mia vita, in uno dei quartieri più antichi di questa antica città. Fino a un certo punto lo stile di vita delle persone a me vicine, persone come mia nonna (che viveva con me, i miei genitori e mio fratello) non era cambiato in maniera significativa rispetto a quello di sua madre o della madre di sua madre. Mi riferisco, per esempio, alla casa in cui siamo vissuti, io, mia madre, mio fratello e mia nonna materna, giù in Andrews Road a Northampton, di fronte alla stazione ferroviaria, che è sorta dov’era il castello. L’hanno sostituito con la stazione ferroviaria chiamata, appunto, Castle Station. Vivendo lì avevamo l’elettricità, che era una gran cosa. Mia nonna paterna, che era anche la mia balia e viveva non lontano, aveva ancora la luce a gas. Non aveva l’elettricità. D’altra parte, la mia balia aveva un bagno con lo scarico e ricordo che da piccolo passavo un sacco di tempo a chiedermi chi di noi vivesse nell’alloggio migliore. Noi avevamo l’elettricità ma non avevamo un bagno interno; avevamo un bagno esterno con una cisterna nel cortile e lei non aveva la luce. Ma allo stesso tempo, come ho detto, ero davvero felice. In primo luogo perché, credo, per i primi dieci-undici anni della mia vita non avevo la minima idea che ci fosse un altro modo in cui fosse possibile vivere.

“Con mamma a Victoria Park, forse nel 1955. Sono stato tenuto legato a una catena come una belva feroce e forse è questo il motivo per cui sono diventato quello che sono.”

Mercia, il più importante dei regni sassoni. Perciò nel periodo sassone Northampton si poteva probabilmente considerare la capitale della nazione. Poi nel 1066 arrivarono i Normanni. I Sassoni furono scacciati o assoggettati, così i Normanni nominarono conti e baroni i traditori Sassoni e diedero loro dei castelli. Quello che penso fosse quasi sicuramente un parente di Guglielmo il Conquistatore, tale Simon de Senlis, ebbe un castello a Northampton. Inoltre fece costruire la Chiesa Templare di forma circolare che abbiamo in città e diversi altri edifici. Non fu un personaggio piacevole; era un crociato e nessun crociato era un tipo gradevole. Una specie di Schwarzkopf dell’XI secolo. Nella zona intorno al castello, quando questo fu costruito nell’XI secolo, vivevano i servi della gleba, e alla fine quella divenne la città, ossia la piccola zona intorno al castello. Più tardi, con l’espansione della città, il castello fu abbattuto. L’area in cui sorgeva... tutte le viuzze con nomi come Moat Street, Fort Street, che in realtà segnano i limiti dell’estensione del castello... è diventata la zona chiamata Boroughs. Nessuno conosce con sicurezza la ragione di questo nome. Alcuni dicono sia perché originariamente veniva pronunciato come “b-u-r-o-w-s” [cioé “tana”. NdT], poiché la gente povera faceva figli come conigli. È possibile. Altri hanno teorie differenti sul perché si chiami così, ma… io amo Boroughs. Ma guardando indietro, era quello che c’era in questa nazione. Questo era il posto in cui venivano messi i poveri. Nel caso della mia famiglia, erano persone che vivevano nei villaggi del Northamptonshire, fuori dalla città stessa. Quando la Rivoluzione Industriale ebbe bisogno di gente per far funzionare le macchine, allora si spostarono dai villaggi nelle città e vennero sistemati in alloggi di basso livello: vecchie case a schiera vittoriane affittate dal comune. È in una di queste che sono cresciuto. È lì che ho trascorso i primi

Hai mai avuto l’impulso di voler andare via? No, amavo la mia casa. Amavo le persone. Amavo l’intera comunità e come ho detto non pensavo che ci fosse un altro modo in cui vivere. Non sapevo che esistesse una classe di persone chiamata borghesia che viveva meglio e che in generale occupava un posto migliore nella scala sociale rispetto alla mia famiglia o ai nostri vicini. Pensavo che tutti vivessero come noi, a parte la Regina.

La casa dove visse Moore era probabilmente simile a quella nella foto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il piano d’edilizia popolare raggiunse Northampton.

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Capitolo I C’ERA UNA VOLTA

Cos’è successo quando vi siete trasferiti, dopo aver compiuto 17 anni? Quando avevo circa 17 anni, il comune di Northampton decise (una decisione presa apparentemente per il bene della gente della zona, povera e analfabeta) di trasferirci in case migliori in quartieri migliori della città. La realtà era che i terreni in cui vivevamo, per quanto squallidi, avrebbero potuto essere usati per uno scopo più proficuo economicamente se ci si fosse liberati della gente che ci abitava [risate]. Così, quello che prima chiamavamo il nostro quartiere o la nostra comunità all’improvviso aveva un nuovo nome: “area di sgombero”. Con i bulldozer che abbattevano ogni cosa [risate] e tutte le persone che vivevano lì furono trasferite in squallidi casermoni in altre parti della città, in quartieri che non era molto meglio di quelli da cui provenivamo e non erano di certo più amichevoli. La mia nonna paterna fu trasferita dalla sua casa in Green Street, in cui aveva vissuto sin da quando era bambina, in un appartamento per anziani nella zona di King’s Heath. Morì dopo tre mesi. Tutta la mia famiglia (io, mia madre, mio padre, mio fratello, mia nonna materna) fu trasferita in un quartiere analogo: mia nonna materna morì nel giro di sei mesi. Questo perché l’essere spostati dai luoghi in cui si hanno le proprie radici fu sufficiente per uccidere la maggior parte di quelle persone. Il quartiere in cui ero cresciuto fu distrutto quasi completamente e al suo posto non costruirono nulla di meglio: semplicemente riuscirono a farci un mucchio di soldi non avendo tra i piedi i vecchi residenti. A quel punto la mia famiglia, ridotta di numero per via della scomparsa di mia nonna, viveva ad Abington: una zona piuttosto carina, o almeno lo era all’epoca. Ma il fatto stesso che vi stessero trasferendo la mia famiglia era un segno che non sarebbe rimasta una bella zona ancora a lungo. Era uno di quei quartieri in cui stavano trasferendo le persone povere. Delle zone lontane dalla vista, in cui la loro presenza non facesse calare il valore delle proprietà delle persone più benestanti, in cui non fossero fonte d’imbarazzi. Si tratta di zone popolate solo da famiglie povere e in alcuni casi da famiglie effettivamente problematiche, e di conseguenza queste aree vengono lasciate cadere a pezzi. Così abbiamo vissuto in quella nuova casa per un po’ di tempo: era all’incirca il periodo in cui sono stato espulso da scuola. Ho continuato a vivere insieme ai miei genitori ancora per un paio di anni buoni dopo la mia espulsione. Poi sono andato a vivere in un appartamento con quella che sarebbe diventata mia moglie e quello è stato l’inizio della mia vita adulta.

Una vista del Market Square a Northampton. La città si sta trasformando velocemente da una comunità di operai a una grande città commerciale.

A che età hai iniziato a pensare di essere un adulto? Quando avevo circa… undici anni? Undici anni? [risate] Ero sicuro di non essere adulto ma è all’età di undici anni che ho capito di essere intelligente almeno quanto la maggior parte degli adulti che conoscevo. E sensibile più o meno quanto loro. Per questo ero indignato per non essere trattato come un adulto sin da quando ero undicenne. Alla fine comunque, per essere onesto, credo di stare ancora crescendo. Ma per essere precisi mi hanno buttato fuori di casa o me ne sono andato, a seconda di quale versione preferisci, quando avevo… diciannove anni o forse avevo appena compito i venti. Le scuole a Northampton erano buone? Credo che tu lo stia chiedendo alla persona sbagliata. Sono molto risentito verso tutto il sistema scolastico. Non penso ci sia nulla di più importante al mondo della scuola. Ma il sistema educativo qui in Inghilterra, ma forse è lo stesso anche in America, non è proprio indirizzato all’educazione delle persone, a renderle felici o a dar loro gli strumenti per vivere una vita migliore. Per quella che è la mia percezione, almeno riguardo questa nazione, alle persone delle classi più modeste come me non è stato concessa un’istruzione fino a tempi abbastanza recenti. È stato solo con la Rivoluzione Industriale che è divenuto necessario educare i contadini. Perché prima di allora, vivendo in comunità rurali, non c’era alcuna bisogno che dovessero saper leggere o scrivere. Non dovevano essere in grado di contare in un modo più complicato di quello necessario per tracciare qualche segno nella polvere. Quello era sufficiente. Ma una volta che furono spostati nelle città per

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lavorare nelle fabbriche, dovevano per lo meno essere in grado di leggere le istruzioni, sapere quale fosse l’orario del proprio turno, fare delle operazioni elementari. Perciò era necessario istruire la classe operaia. Io credo che la teoria su cui il sistema scolastico britannico fu basato, su cui il sistema di classi in Inghilterra si basava, avesse un fondamento genetico. Le classi dominanti comandavano perché erano geneticamente predisposte al comando. Le classi operaie erano costituite da creature di gran lunga ignoranti, povere, abbruttite, debilitate, un pelo sopra le scimmie, destinate a essere dominate. Poiché erano così convinti di questa differenza genetica non era importante se la classe operaia venisse educata un po’. Non c’era alcun pericolo perché non erano davvero degli esseri umani veri e propri. Così iniziarono a educare la classe operaia ed è per questo motivo che nelle scuole erano soliti darci gratis persino delle mezze pinte di latte durante l’intervallo. Ora, quando si inizia a dare calcio alla classe operaia, un nutrimento vero e una dieta equilibrata, d’improvviso saltarono fuori dei membri nati nel proletariato non più curvi come rachitici, che non erano più delle creaturine emaciate e malaticce. Al contrario erano dei membri piuttosto ben piazzati e robusti della progenie della classe operaia che in verità sembravano molto meglio di alcuni dei figli delle classi più agiate, deboli e conseguenza di una politica di “incroci” all’interno della loro stessa classe di origine. Inoltre risposero al programma di educazione: divennero intelligenti e questo fu un piccolo problema perché all’incirca negli anni Sessanta, all’improvviso ci fu un’ampia generazione di membri della classe operaia, in ottima forma fisica e intelligenti, che avevano delle nuove aspettative. Ripensando alle aspettative degli operai, mi ricordo di mio padre, che in quel periodo guadagnava, credo, quindici sterline alla settimana per il suo

lavoro in fabbrica, e di quello che mi diceva sul futuro. Mi diceva che quando sarei stato grande non avrei voluto guadagnare quindici sterline alla settimana: ne avrei volute diciotto. Questo era il massimo che riusciva a immaginare che avrei potuto raggiungere. [risate] L’idea di diciannove sterline deve essergli sembrata un sogno degno di un folle. Per cui le aspettative della classe operaia non erano tradizionalmente alte, perché non ricevendo alcuna istruzione non erano particolarmente brillanti. Però una volta ricevuta un’istruzione le loro aspettative crebbero. All’improvviso pensarono: “Va bene, facciamo parte della classe operaia ma siamo intelligenti e, guarda i Beatles, molti di loro provengono da lì ma all’improvviso tutti loro sono acclamati dagli accademici e considerati i più grandi artisti del secolo, allora… ci sono delle possibilità anche per noi”. Anche se sei nato nella classe operaia questo non significa che devi essere schiacciato dal sistema. Naturalmente quello era il tempo in cui il boom dell’occupazione del dopoguerra stava iniziando a esaurirsi. Incominciavamo a sentire gli effetti crescenti dell’automatizzazione nelle fabbriche ed era un elemento che sarebbe diventato sempre più pronunciato negli anni a venire. Voglio dire che penso che alla fine degli anni Sessanta le persone che gestivano il potere sapessero molto bene che ci sarebbe stato un massiccio fenomeno di disoccupazione negli anni Settanta. Evento che si verificò davvero. C’è stato un momento chiave in cui hai iniziato a voler leggere? È stato grazie a un insegnante? Che cosa ti ha spinto verso la lettura? Come dicevo, molti della generazione dei miei genitori vivendo nella zona dei Burroughs erano analfabeti. Erano persone che venivano da aree rurali e per una ragione o l’altra non si sono mai prese la briga di imparare a leggere o scrivere. Neanche i tuoi genitori sapevano leggere o scrivere? No, i miei genitori sapevano leggere e scrivere. Mio padre aveva persino vinto una borsa di studio per la sua bravura in matematica. Avrebbe potuto frequentare una delle scuole migliori del circondario, ma la sua famiglia avrebbe dovuto pagare per la divisa, per i libri e avrebbe dovuto rinunciare ai soldi che avrebbe potuto portare a casa lavorando. Perciò finì col fare l’operaio perché non poteva permettersi di continuare a studiare. Ma hanno sempre considerato importante avere una cultura. Ne erano fortemente convinti. Mio padre ha sempre letto moltissimo per gran parte della sua vita e i miei genitori consideravano la letteratura una cosa essenziale. C’erano delle persone nel mio quartiere che riproponevano costantemente questa “scenet-

“‘Annoiato ben prima d’iniziare’. Io, mia nonna Clara Elizabeth e la vicina, la signora Ward, fuori dal n. 17 di St. Andrews Road, attorno al 1954.”

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mi offrivano era completamente diverso: era come avere un’immensa, meravigliosa e ricchissima appendice al mondo reale in cui viaggiare ogni qual volta lo desiderassi. Avrei potuto trovare qualsiasi cosa lì. Sapevo che il mondo reale era governato dalle leggi della verosimiglianza, lì invece si potevano osservare cose che non avrei mai visto nel quotidiano tragitto da casa a scuola. Quando ti sei reso conto che c’era un sistema di classi che ti avrebbe potuto opprimere? Verso gli undici anni. Frequentavo la Spring Lane Primary School che si trova a soli due o tre minuti di cammino da dove vivevo in cima a quella collina. Era comoda ed era una bella scuola. Voglio dire, sono sicuro che soffrisse degli stessi problemi di cui soffrivano molte delle scuole del periodo, ma in quella scuola tutti i bambini erano conosciuti per nome. Ci conoscevamo tutti. Credo che fosse una scuola composta in gran parte da figli di operai. Non ero cosciente che ci fosse una classe media. Poi ho passato l’esame, quello che noi chiamiamo “Eleven Plus”3. Erano degli esami davvero ingiusti in cui l’intero futuro della vita di un bambino era deciso da quanto bene avesse svolto degli esami all’età di undici anni. Lo passai alla grande. Voglio dire che, al tempo, credo che negli ultimi due o tre anni alla Spring Lane fossi il primo della classe. Pensavo di essere un dio in miniatura. Ero “head prefect”4 alla Spring Lane. Ero il ragazzino più intelligente della mia scuola e il mondo era pronto a offrirmi tutto quello che volevo. Poi, dopo aver passato l’Eleven Plus, sono andato alla Northampton Grammar School che era un posto esclusivo, e a parte qualche altro ragazzo di famiglia proletaria che aveva passato l’esame, era una scuola in gran parte per figli della classe media. Ragazzi molto in

“Mia mamma, io e Mike, e il Dr. Solar, L’Uomo dell’Atomo. Nella roulotte del campeggio a North Denes, Great Yarmouth, nei primi anni Sessanta.”

ta”. Magari ti trovavi a casa loro perché eri amico di uno dei loro figli, il padre arrivava e diceva alla moglie: “Ho gli occhi un po’ stanchi stasera, mi leggeresti le notizie del giornale?”. Questo succedeva perché io mi trovavo lì, perché c’era un ospite a casa e si sentivano in imbarazzo: il padre doveva fingere di chiedere alla moglie di leggergli il giornale perché lui non sapeva leggere. Era una sorta di marchio infamante: le persone mostravano compassione per chi non sapeva leggere. I miei genitori, prima che andassi a scuola all’età di cinque anni si assicurarono che sapessi almeno leggere e scrivere le lettere dell’alfabeto, che sapessi leggere frasi semplici come “Il gatto è sul tavolo” e che sapessi contare fino a dieci. Fu un loro punto d’orgoglio. E di certo ne valse la pena. Ricordo di essermi iscritto alla biblioteca locale all’età di cinque anni, ricordo il primo libro che presi, probabilmente non era il primo libro che ho letto, ma di sicuro il primo che avessi scelto da solo in biblioteca. Si intitolava The Magic Island [L’isola magica. NdT]. Fino ad allora non avevo imparato la “g” dolce, perciò ero affascinato da questo libro chiamato The “Maggick” Island. Solo tempo dopo mi resi conto che la mia pronuncia era sbagliata. Ma da quel momento, andavo in biblioteca ogni due giorni e prendevo due o tre libri alla volta, ero un lettore onnivoro. Questo dall’età di cinque anni. Non posso dire che allora abbia letto dei capolavori o persino dei libri decenti [risate]. Leggevo quello che mi capitava a tiro. Mi piaceva. Perché la mia vita reale o almeno le sue circostanze erano prestabilite, limitate. Allora non me ne rendevo conto. Come ho detto prima, mi piaceva giocare con i miei amici negli spazi desolati che erano numerosi nella zona dove vivevo ed erano dei posti davvero interessanti dove giocare. Erano delle specie di palestre naturali come delle giungle o qualcosa di simile. Ma allo stesso tempo, il mondo che i libri

“I Selvaggi. Mio cugino Jim ed io, a North Danes, forse nel 1965 o nel 1966. È il mio periodo da motociclista ribelle. I miei capelli con la riga da una parte e i motivi del maglione fatto a mano denotano come al tempo le medicine assunte da mia madre necessitassero di un’aggiustatina.”

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te delle persone del mio vicinato erano mentalmente ritardate, in un modo o nell’altro; ovviamente all’epoca non ne ero consapevole. Pensavo davvero di essere un autentico genietto. Non avevo capito che ero solo il più intelligente in un gruppo messo piuttosto male [risate]. Non voglio dire che non ci fossero altri ragazzini che erano al mio livello: un paio di loro hanno poi avuto una vita abbastanza interessante. Era solo che all’improvviso mi ritrovai alla scuola secondaria e mi resi conto che esisteva una scala gerarchica in cui io mi trovavo in fondo. Come ho detto, mi resi conto di stare nelle ultime posizioni: non ho mai avuto interesse per gli studi regolari e così torniamo alla domanda iniziale: “Com’è l’educazione scolastica da queste parti?”. In quel periodo iniziavo a pensare - o forse lo dico con il senno di poi, non so, forse non è come mi sentivo allora, forse ero solo insoddisfatto per qualcosa su cui allora non potevo puntare il dito... ma mi sembrava che, ufficialmente, il tipo di educazione che viene dato in questo paese è costituito dalla triade “leggere, scrivere, fare di conto”. Questo è quello che viene insegnato ai ragazzi. E questo è il tipo di educazione ufficiale, ma c’è anche un altro tipo, una modalità più nascosta. Quello che viene davvero insegnato ai ragazzi, credo, è soprattutto: puntualità, obbedienza e l’accettazione della monotonia... qualità di cui la maggior parte di loro, per lo meno quelli di estrazione proletaria, avrà un gran bisogno nel prosieguo della vita. Avranno bisogno di saper essere puntuali nel cambio turno, di fare quello che gli viene ordinato e, anche se il loro lavoro è di una noia mortale, di continuare a farlo.

“Nel cortile sul retro a St. Andrews Road, 1963 o 1964. Bonjour, matelots! Dopo essere stati espulsi dalla Pattuglia Spaziale, io e Mike abbiamo avuto un breve periodo in marina, ma non eravamo per niente tagliati per quella vita anche perché Mike aveva un aspetto troppo gay.”

gamba ma mi resi conto all’improvviso che molti di loro avevano studiato in scuole private, una cosa di cui avevo sentito parlare solo nei libri di Billy Bunter5. Avevano già ricevuto dei rudimenti di latino, di grammatica, persino nozioni della matematica che ci avrebbero insegnato... l’algebra, che mi aveva sempre disorientato! Capii che c’erano dei vantaggi che io non avevo avuto. Non voglio dire che ne ero del tutto sorpreso. Sapevo che c’erano persone che ne sapevano molto, molto meno di me. Ma allo stesso tempo stavo incominciando a capire che c’erano anche molte persone che ne sapevano più di me. Il primo anno nella scuola secondaria penso che la mia posizione nella classe fosse diciannovesima: fu uno shock tremendo per il mio ego. Per quello che mi ricordo ero come Jimmy Corrigan, il ragazzo più intelligente della Terra: poi all’improvviso ero solo il diciannovesimo ragazzo più intelligente della mia classe. Fu un tale shock che penso che alla verifica successiva scesi al ventisettesimo posto per poi assestarmi tra gli ultimi, perché mi ero arreso. Avevo deciso che se non potevo vincere, non volevo neppure partecipare. Era stato così facile per me eccellere quando ero alla Spring Lane [risate]. Mol-

Accettare la propria condizione. [risate] Esattamente. Così è stato in quel periodo che ho deciso che non avrei mai fatto un percorso accademico canonico, e soprattutto non volevo farlo. Non mi piaceva la scuola, non mi piaceva l’atmosfera, all’improvviso venivamo chiamati tutti per cognome, e tutti indossavamo la stessa identica divisa: era come essere nella Gioventù Hitleriana! [risate] Avrò avuto quattordici o quindici anni? Quindi stiamo parlando del ’67 o del ‘68? Una data del genere. Il ‘69? Il movimento hippie stava nascendo e c’era un bel numero di persone che aveva motivi di gran lunga migliori dei miei per ribellarsi al sistema: la mia ragione principale era che il mio orgoglio era stato ferito [risate], la mia vanità era stata ferita per i miei scarsi risultati scolastici. Ma allo stesso tempo il fatto che stesse accadendo tutto quello, che ci fosse un maremoto di giovani che avevano un’opinione e un punto di vista critico su dove stesse andando la società: era il periodo perfetto per me. Sono stato capace di incanalare tutto il mio dolore

Esame di passaggio tra la scuola primaria (di sei anni in Inghilterra, di sette in Irlanda del Nord) e quella secondaria. [NdT] 4 Una sorta di “capo classe”. [NdT] 5 Personaggio molto popolare nel Regno Unito, creato da Charles Hamilton sotto lo pseudonimo di Frank Richards, è presente nei racconti ambientati alla Greyfriars School pubblicati sul settimanale «The Magnet» dal 1908 al 1940. Nel dopoguerra Richards pubblicò diversi romanzi con Billy Bunter come il protagonista e a questo personaggio sono state dedicati albi a fumetti, opere teatrali e un fortunato serial televisivo. Lo stesso Moore ha disseminato diversi riferimenti a Bunter ne La Lega degli Straordinari Gentlemen. [NdT] 3

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e il mio risentimento (la ferita di essere diventato diciannovesimo nella mia classe) in una sorta di coscienza politico-sociale. Devo ammettere che la componente di risentimento scolastica non penso che contribuì a lungo. Durante il periodo hippie riuscì ad illudermi che la controcultura, che la rivoluzione hippie, avrebbe distrutto i datati concetti di classe, che non importava se eri uomo o donna, che non importava il colore della pelle e neppure se eri ricco o povero: nell’Era dell’Acquario eravamo tutti fratelli. E riuscii a crederci per un po’. Poi in realtà ho incominciato a notare, dopo la fine del movimento hippie, agli inizi degli anni Settanta, che in primo luogo, fui cacciato da scuola per spaccio di acidi. E nessuno dei ragazzi della classe media che spacciavano con me [risate] fu mai coinvolto. Uno in particolare è poi entrato in polizia. Ma io sono stato espulso per spaccio. Non solo: il preside mi prese particolarmente di mira. Era in contatto con diversi istituti a cui avevo fatto domanda di iscrizione e si raccomandò che non mi accettassero perché ero un pericolo per la rettitudine morale del resto degli studenti. Cosa che forse era vera. Ma al tempo avevo solo diciassette anni e quel preside non solo mise fine di fatto alla mia carriera scolastica, ma quando cercavo lavoro mi chiedevano ovviamente delle referenze dall’ultimo posto in cui ero stato, che era la scuola. Per cui fu anche in grado di dire loro di non assumermi.

“Campeggio a North Denes, Great Yarmouth. Io e Mike, attorno al 1962, quando eravamo nella Pattuglia Spaziale, prima che scoprissero la nostra età e fossimo costretti a restituire i trasmettitori sub-spaziali.”

Guardando indietro penso davvero che volesse porre fine alla mia vita all’età di 17 anni. È lui quel preside che si suicidò? Sì, si è impiccato. Non dovrei ridere. Fu un suicidio legato all’ambiente scolastico. Il fatto è che era stato in precedenza vicepreside di una delle nostre “pubblic school”6. Scuole come Eton o Rugby frequentate dall’aristocrazia, dove bisogna pagare rette salatissime e tuo nonno deve mettere il tuo nome in lista d’attesa ben prima del tuo stesso concepimento. Era stato vicepreside in una di quella scuole per cui finire in un istituto come il mio era un declassamento. Non se ne era fatto una ragione? Assolutamente no, non poteva crederci. La maggioranza dei ragazzi della mia scuola erano di buona famiglia, ma c’erano anche alcuni della piccola borghesia che si comportavano male e poi i figli di operai. Per cui non fu mai contento di essere finito in quella scuola. Poi, durante gli anni Settanta, ci fu un governo che decise che il sistema scolastico e l’“Eleven Plus” erano ingiusti e classisti, cosa che era assolutamente vera, e proposero un nuovo approccio chiamato “Sistema completo” in cui l’“Eleven Plus” veniva abolito e i ragazzi venivano semplicemente mandati tutti nello stesso tipo di scuola. Per cui anche la mia scuola sarebbe entrata nel nuovo sistema. E questo significava che il 75% degli alunni molto probabilmente sarebbe In Inghilterra il temine “public school” è spesso usato per indicare quelle che, in altre nazioni, sono definite “scuole private”. Il termine originariamente faceva riferimento alle scuole elencate nel Public Schools Act del 1868. Queste scuole, in principio sostenute da donazioni e successivamente dal pagamento di una retta elevata, sono tra le scuole più esclusive del Regno Unito e hanno provveduto e provvedono

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“Attorno al 1965, nel cortile del n. 17 di St. Andrews Road. Sto sorridendo perché avevo appena ucciso un uomo a mani nude.”

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stato di famiglia operaia. Come preside avrebbe dovuto andare ogni giorno a scuola con un nugolo di pesti puzzolenti, ed erano proprio troppo per lui. Un giorno si recò a scuola di primo mattino, così mi hanno raccontato, e si impiccò nella tromba della scalinata centrale.

che mi avevano incastrato. Non so, forse un po’ mi credettero. Anni dopo, quando ormai ero cresciuto, dissi loro la verità. Credo che sperassero qualcosa di più da me. Come sei finito a spacciare quel genere di roba a scuola? Come ho detto, era il periodo hippie. E io…

A quel punto non dovevi più preoccuparti di lui e di quello che avrebbe potuto farti. No, ma a quel tempo avevo già risolto i miei problemi da solo. Ho fatto un paio di lavori davvero infimi, di quelli che non importa a nessuno chi sei. Anche se le tue credenziali includessero come ultima occupazione “assassino con l’ascia”, non ci farebbero caso. Era il periodo in cui lavoravo nel reparto conceria di una cooperativa, un luogo orribile alla periferia della città. Mi dovevo alzare alle cinque del mattino per poter essere lì verso le sette, ora in cui iniziavamo a trascinare pelli di pecora fuori da queste vasche di acqua ghiacciata che durante la notte si era mescolata con, beh… tutto quel genere di cose che si trovano su una pelle di pecora quanto l’hai appena staccata dall’animale: merda, piscio, sangue… i soliti liquidi da cortile. E ovviamente le pelli di pecora quando le trascini via dalle vasche d’acqua gelida sono molto, molto pesanti!

Gestivi un traffico organizzato oppure…? Che ci creda o no, lo facevo solo per ragioni ideologiche. Non ci facevo certamente dei soldi. I profitti erano praticamente nulli. Non sono mai stato un gran spacciatore ma avevo letto Politics of Ecstasy di Timothy Leary in cui diceva che gli eroi della rivoluzione culturale che stava avvenendo, o che credeva stesse avvenendo, erano i musicisti rock, i fumettisti underground e gli spacciatori di LSD. Ho pensato che fosse un’ottima idea, mi sono detto qualcosa tipo: “Dovrò probabilmente aspettare ancora un po’ per la carriera da musicista e per quella da fumettista underground ma posso iniziare come spacciatore di LSD”. [risate] Al tempo mi sembrava una prospettiva luminosa. Quando eri adolescente hai iniziato a pensare di avere maggiore libertà rispetto ai tuoi genitori? Beh, sì... credo di aver goduto di una maggiore libertà rispetto a quando ero bambino. Ho iniziato a uscire, ad avere delle ragazze, a tornare a casa tardi, ad andare alle feste e cose simili. E ho scoperto che… è difficile non sopravvalutare l’impatto sulla mia vita e sul mio lavoro delle droghe psichedeliche. Ho iniziato con la cannabis, che all’inizio non mi faceva granché, e poi ricordo che durante uno dei festival ad Hyde Park, probabilmente stavano cantando i Canned Heat, e c’era questo losco spacciatore che sembrava uscito da un fumetto di Gilbert Shelton che andava in giro vendendo vari tipi di droghe, erba e quant’altro. Ma aveva anche queste spesse e strane tavolette viola che assicurava fosse LSD e si rivelarono esserlo per davvero. L’LSD fu un’esperienza incredibile. Non intendo dire che la raccomanderei, ma per me fu come se mi venisse scolpita nella mente l’idea che la realtà non era una cosa immobile, che la realtà che ogni giorno vedevamo di fronte a noi era solo una delle possibili realtà, una realtà valida ma ce n’erano altre, prospettive differenti in cui erano importanti cose diverse e altrettanto valide. Questo ha avuto un profondo effetto su di me, e naturalmente c’era una generale euforia negli anni Sessanta che le persone che non c’erano… sì, lo so che le persone che hanno vissuto quel periodo hanno ripetuto fino alla nausea quanto fossero fenomenali gli anni Sessanta ed è importante capire perché tutti sono

Quando sei stato espulso da scuola i tuoi genitori ne furono molto delusi? Erano sconvolti! Deve essere stata davvero una sconfitta tremenda per loro. Erano a conoscenza del motivo? Sì, ma devo ammettere che ho mentito. Dissi loro tuttora all’educazione di molti rampolli dell’aristocrazia e dell’alta borghesia. [NdT]

“Foto di un breve periodo in cui lavorai per la Wells Fargo nel 1960-1961. Il passeggero è mio fratello Michael e la macchia in basso a sinistra, per quello che mi ricordo, era sangue Apache.”

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che quell’esperienza le abbia cambiate così radicalmente che loro stessi ebbero poi un notevole impatto sul movimento culturale che seguì. Moltissime cose cambiarono. Non sono ancora sicuro di quello che accadde, ma c’era un’energia incredibile che si irradiò per diversi anni e che cambiò la vita delle persone: qualche volta in meglio, qualche altra in peggio, qualche altra ancora per nulla. Dopo un po’ probabilmente sei tornato alla realtà e ti devi essere sentito un po’ perso… Mmm… non mi sono mai sentito perso.

“Michael, nostro papà Ern, nostra mamma Sylvie ed io, nel 1962 o 1963 sul lungomare a Great Yarmouth. Non riesco a ricordare i nomi di tutte le comparse che abbiamo ingaggiato per questa fotografia, tranne il “ragazzo” alla sinistra di Michael: un nano cinquantenne di nome Trevor e un attore fenomenale.”

Pensavo che ci deve essere stato un momento in cui i tuoi genitori devono averti detto che avresti dovuto iniziare a fare qualcosa nella vita… I miei genitori mi hanno detto: “Devi trovarti un lavoro.” Ma non c’era molto che potessi fare con la mia vita perché, come ho detto, era tutta bella incasinata. Comunque…

stufi di sentirne parlare, ma è accaduto davvero qualcosa di strano negli anni Sessanta dal punto di vista culturale. Qualcosa di fenomenale. Era la più grande generazione di sempre, grazie ai nostri genitori che usciti dalla Seconda Guerra Mondiale e felici di essere sopravvissuti (ai bombardamenti, al Blitz, a tutto) si erano poi lanciati in una sorta di orgia sessuale globale nei due anni successivi. Il risultato fu il Baby Boom. Credo che tutti fossero così felici di essere ancora vivi che volevano solo fare sesso con chi amavano, perché potevano farlo, perché non erano ridotti a pezzi in qualche campo di battaglia in terra straniera o sotto le macerie. Per cui c’era questa popolosa generazione, c’era lo sconvolgimento nell’economia causato dalla guerra, c’era inoltre la tecnologia che aveva fatto passi da gigante durante il conflitto. Così intorno agli anni Sessanta i nati nel dopoguerra stavano diventando degli adolescenti turbolenti. Avevano goduto dell’enorme boom della musica pop aiutato dalla radio e dalla televisione (tutte tecnologie sbocciate all’improvviso) e avevano anche un po’ di spiccioli per andare in giro e comprare i dischi. Ma quello che ne uscì fu qualcosa di davvero speciale, e più ci allontaniamo dagli anni Sessanta e più ci rifletto, e mi sembra davvero strano che sia storicamente accaduto. Penso che si potrebbe chiamarla una psicosi di massa. Il fatto che ci fosse una sorta di anomalo, quasi indefinibile insieme di credenze che sembrava, in quel periodo, governare le menti di quasi tutte le persone dell’emisfero occidentale sotto i trent’anni. Sono sicuro che sia un’esagerazione e che ci sia stata molta gente che è passata attraverso gli anni Sessanta vivendo esattamente la stessa vita degli anni Quaranta o Cinquanta... probabilmente furono la maggioranza. Ma allo stesso tempo, ci furono persone che furono catturate in questo mondo degli anni Sessanta. Credo

Non avevi nessuna ambizione? Leggevi ancora molto però… Sì, leggevo, ma nulla che mi potesse essere utile. Voglio dire che per me non c’era altra prospettiva che un lavoro di fatica. Ma era quello che aveva fatto mio padre, mio nonno e, prima ancora, il mio bisnonno. E quel fatto in sé non era certo la fine del mondo. Stavi quasi per accettare quel tipo di destino? No. Devi tenere a mente che sono sempre stato un ragazzino piuttosto particolare. Sono stato un tipo curioso sin da piccolo. Sono sempre stato un gran chiacchierone, uno molto loquace, sempre a straparlare di qualche stranezza: ero un tipo strambo. Ero l’unico che conoscessi ad aver mai letto un fumetto americano. Nessuno degli altri ragazzi che frequentavano la mia scuola ne aveva letto uno. Penso che quando iniziai la scuola secondaria c’erano due o tre ragazzini che leggevano comics americani su circa 1200 studenti, e fantascienza… difficilmente c’era qualcuno che leggesse sci-fi o fantasy. Ero un cercatore di stranezze. Sono sempre stato attratto da quel genere di cose. A questo aggiungi il fatto che ho sempre avuto la sensazione di essere speciale e importante, principalmente perché in una zona, i Burroughs, non particolarmente rinomata per i suoi intelletti, io ero stato “capo classe” a scuola. Ho sempre sentito che dovevo essere una specie di genio. Ovviamente era un cosa davvero ridicola. Sto solo cercando di spiegare lo stato particolare del mio ego. Così quando sono stato espulso da scuola… ovviamente questo è successo dopo che il movimento hippie

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“Gli abitatori delle profondità”: disegno del 1971 di un Moore diciassettenne per la fanzine “Weird Window”.

Copertina di “Anon” n. 2, una rivista alternativa che ospitò la prima striscia creata da Alan Moore, “Anon E. Mouse”. Disegno di copertina di Mick Robinson.

La prima striscia creata da Alan Moore: “Anon E. Mouse”.

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con tutta la sua carica ideologica era stato assorbito e dopo che avevo fatto qualcosa come, credo, una cinquantina di “trip” lisergici in un anno… tutto questo succedeva quando gli acidi erano ancora buoni, non certo la roba da bambini che si trova in giro di questi tempi. Per cui mi trovavo in uno stato mentale particolare. E quando mi sono reso conto che ero stato cacciato da scuola e che il preside mi aveva di fatto precluso qualsiasi strada per proseguire a studiare, e ho capito che i lavori che avrei trovato sarebbero stati come quello in conceria o pulire i cessi al Grand Hotel, che è stato il mio secondo lavoro… una volta compreso tutto questo, avevo anche capito che molti dei miei amici degli ambienti della controcultura che erano stati a scuola con me, all’improvviso non volevano più avere a che fare con me per via del lavoro con le pelli di pecora. Perché andando avanti è un tipo di attività piuttosto puzzolente. È davvero difficile togliersi l’olezzo di pecora decomposta dai vestiti, dai capelli: non bastava lavarsi. Perciò, in una larga misura, fui abbandonato da molti dei miei amici. Andarono al college e non mi invitarono più alle loro feste. Suppongo che allora l’unica cosa razionale che potessi fare sarebbe stata quella di disperarmi. Ma ero un po’ maniaco e probabilmente non aver capito in quale orribile situazione mi trovassi, fu la mia salvezza. Ero semplicemente convinto che dovevo trovare il modo di vendicarmi della società, non importava come. Ero stato maltrattato, per come la vedevo io, dal sistema, dagli adulti, dalla società civile. Era solo un altro esempio di come gli adulti cercano sempre di tenere sotto di loro i giovani, per cui decisi di vendicarmi. Decisi che avrei trovato un modo per rivalermi su tutti quelli che mi avevano trattato male. Ero un mostro! Voglio dire, questo accadde dopo cinquanta acidi, ma cerca di immaginarti la situazione se ci riesci: un giovane Alan diciassettenne seduto lì, a occhi spalancati in preda alle allucinazioni…

Non lunghi come adesso, ma nel mio ultimo anno di scuola i mie capelli erano diventati un bell’oggetto di polemica. Mi veniva costantemente detto di tagliarli ed ero sempre… Dal preside? Anche da diversi professori che mi avevano preso di mira: ero diventato una specie di bersaglio. Ma allo stesso tempo questo ben si abbinava con l’idea del romantico adolescente perseguitato, sul modello di James Dean in Gioventù Bruciata, che mi stavo creando nella mia testa. Ho sempre avuto manie di grandezza e non so da dove venissero fuori. Nel ramo paterno della mia famiglia c’è un piccolo, minimo tocco di pazzia. Mio bisnonno, Ginger Vernor, era matto come un cavallo. Era un grande artigiano. Dipingeva affreschi, appeso come Michelangelo a un’impalcatura a dipingere i soffitti delle chiese. Ma era anche un fiero alcolizzato e un riparatore di campanili e camini. Era capace di arrampicarsi velocissimo su un lato di un edificio per dare un’occhiata all’interessante lavoro di muratura del camino. Una volta rifiutò la co-direzione di una delle industrie che diventò una della aziende leader nella lavorazione del vetro a livello nazionale perché il direttore che gli aveva offerto l’incarico gli disse che avrebbe dovuto evitare di andare al pub per due settimane. E Ginger, dopo averci pensato, rispose che non gli piaceva che gli venisse detto cosa fare. E così rifiutò [risate] la direzione, rinunciò a diventare milionario. E io sono felice che l’abbia fatto perché altrimenti sarei nato in una famiglia completamente diversa e nulla di tutto quello che ho fatto sarebbe probabilmente mai accaduto. Hai fratelli o sorelle? Sì, ho un fratello, Mike, che vedo ancora ogni settimana e che è anche uno dei miei migliori amici. Che cosa fa ora? Lavora in uno stabilimento per il ricondizionamento di fusti metallici. Lavora molto duramente e sta tirando su, insieme a sua moglie Carol, due figli che sono due bravi ragazzi. Lavorano molto duramente, davvero tanto… c’è dell’autentico eroismo nelle persone che lavorano duro facendo lavori che sono tutt’altro che piacevoli, il tipo di famiglia in cui è importante “portare il pane a casa”. È una cosa che rispetto molto. E lui è anche molto più divertente di me. Ha un senso dell’umorismo strepitoso. È una delle persone più divertenti che conosca. Perciò mi piace sempre stare in sua compagnia.

Per cui sei diventato un ribelle… Ero contro il sistema. Un sociopatico. Immagino che i tuoi genitori non volessero più parlare con te dopo tutto quello che era successo? I miei genitori sono sempre stati eccezionali! Fino alla loro morte, sono sempre andato d’accordo con loro. Non ho mai avuto problemi con i miei genitori. Ce l’avevo contro l’autorità, contro il governo, contro il sistema in generale. Portavi già i capelli lunghi e tutto il resto?

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