Cash - I see a darkness - Anteprima 14 pagine

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NULLA È SICURO

ubito dopo l’uscita del film-biografia su Johnny Cash, Walk the Line - Quando l’amore brucia l’anima di James Mangold, si è diffuso un nuovo virus: la Cashmania. Reinhard Kleist potrebbe approfittarne. Ma già mi pare di sentire la gente: «Oddio, ora hanno fatto anche un fumetto su Johnny Cash!» Per questo vi dico subito quali sono le mie conclusioni: se Mangold si fosse ispirato al libro di Reinhard Kleist, il film sarebbe venuto molto meglio. Quando Walk the Line arrivò nelle sale il fumettista berlinese aveva già finito la prima bozza del suo lavoro, e mi scrisse che «da settimane si sentiva tormentato dai dubbi». Temeva che il film fosse «più autentico e personale». Per fortuna non ha ceduto alla tentazione di cambiare nulla della sua storia. Anche Kleist, come Mangold, usa il concerto del 1968, «Johnny Cash live at Folsom Prison», come motore della narrazione, ma la sua regia ha un taglio completamente diverso. Più guardavo il fumetto, più mi rendevo conto di quali fossero le lacune del film. Geniale è l’idea di Mangold di costruire il film completamente sulla storia di Johnny Cash e June Carter e di concluderlo con la proposta di matrimonio: un bel happy end (approvato dai due protagonisti, che però non fecero in tempo a vedere il film finito) che piace a mezzo mondo e smussa a dovere un’incasinata storia d’amore nei primi anni del rock’n’roll pompati di speed. Eppure c’è qualcosa in più nella vita e l’opera di Johnny Cash. Reinhard Kleist, appassionato di film western e grandioso nel disegnare scene d’azione, avrebbe sentito il peso del con-

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NB: Considerati tutti i riferimenti alla storia che vengono inseriti all’interno del testo, si consiglia di tornare all’introduzione, una volta conclusa la lettura del romanzo a fumetti. N.d.C.

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fronto con il film solo se ad assicurarsene la trama fosse stato Quentin Tarantino, anche lui grande ammiratore di Johnny Cash. Ciò risulta evidente già all’inizio del fumetto, cioè nella raffigurazione di “Folsom Prison Blues”, che racconta un omicidio crudele e inutile: «I shot a man in Reno just to watch him die». A rendere Johnny Cash così popolare fra i detenuti fu soprattutto questo brano, comparso nel secondo 45 giri del 1955 e il cui testo fu copiato da Cash – cosa che ora non stupisce –, e che trasmette un sentimento di compassione nei confronti dei colpevoli che scontano la pena in carcere1. Nel carcere di massima sicurezza di Folsom c’erano i peggiori criminali d’America o più semplicemente quelli che erano considerati «non reinseribili». Kleist sceglie proprio uno di quei detenuti come narratore, Glen Sherley. Alla fine del libro, invece, sarà Johnny Cash, ormai anziano, a raccontare la storia di quell’uomo, quasi dimenticata. Ottimo, bel montaggio! Il tutto unito all’inquietante domanda se Sherley possa avere mai rimpianto di avere conosciuto Johnny Cash, quando non fu in grado di sopportare il peso del suo seppur limitato successo. Viene da chiedersi se le persone a lui vicine possano essersi sentite schiacciate dalla sua notorietà: con i suoi album live a Folsom e San Quentin nel 1970 era diventato una superstar americana, vendeva più dischi dei Beatles, aveva una trasmissione televisiva che il pubblico adorava e per il suo spettacolo era circondato da una squadra di ben cinquanta persone. Spesso c’erano non due, bensì due dozzine di pullman di fan e turisti che si presentavano davanti alla sua casa per acclamarlo. In Glen Sherley ritroviamo il carattere oscuro di Johnny Cash, il suo lato pericoloso. Cash impersonava il killer di Reno in modo talmente credibile che per decenni non fu possibile smentire la voce che lui stesso fosse stato a lungo in prigione. E proprio nel dramma di Sherley si legge il fatto che Cash non era un hillbilly divenuto famoso per caso, ma un acuto uomo d’affari. Diversamente da quanto fece Elvis, egli fu in grado di dirigere la sua azienda, e non si fece sopraffare dalla popolarità, come accadde invece a Kurt Cobain. Quando Kleist dà libero corso all’immaginazione, lo fa con ponderatezza. Dopo il concerto Sherley può incontrare il suo idolo e questi gli dice: «Uno che scrive una canzone così non può essere una persona cattiva». Con la stessa frase si congedava l’ispettore Colombo nella puntata intitolata “Il canto del cigno”, con Johnny Cash nel ruolo di un cantante country colpevole di duplice omicidio. In particolare è nella rappresentazione di “The Ballad of Ira Hayes” che risaltano le lacune del film di Mangold. Non solo l’immagine del can1

È stato appurato che Cash copiò il testo di “Folsom Prison Blues” dal brano “Crescent City Blues” del noto compositore/arrangiatore Gordon Jenkins. La canzone si trova nell’album di Jenkins “Seven Dreams” del 1953. N.d.T.

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tante-tossicomane risulta troppo calcata ma, proprio se consideriamo tale scelta, appare evidente che l’autore ha preferito non raccontare tutta la verità, cosa che avrebbe potuto compromettere il successo del film. Sicuramente le amfetamine provarono il fisico del cantante, ma per anni stimolarono parecchio la sua creatività. Il film tralascia di raccontare che proprio in quella fase Johnny Cash, con i suoi concept album, diede una svolta alla musica country che fino a quel momento tendeva a produrre piuttosto dei singoli-hit. “Ride this Train” era una lezione sulla storia americana; “Blood, Sweat & Tears” affrontava la questione dei diritti dei lavoratori. E quando, nel 1964, in un suo album raccontò la storia degli indiani del Nord America, si trattò di una provocazione con una netta implicazione politica. La ballata in cui si narra la vera storia di Ira Hayes, nativo della tribù dei Pima, e il cui autore Peter LaFarge fu ingaggiato come consulente per l’intero album, fu letteralmente boicottata dai media. I capi dell’industria discografica country e i fan conservatori non trovarono questa mossa per nulla divertente, e anche il Ku Klux Klan si fece sentire nella sua solita maniera vile e meschina. E quale fu la reazione del cantante, scaricato dai media, tossicomane e bisognoso solo dell’amore di June? Attaccò esplicitamente dj, capi e fan del country, e invece di disdire i concerti a causa dei pazzi del Ku Klux Klan, andava in giro sempre armato. Mangold – verrebbe da dire – come hai potuto farti scappare un dettaglio come questo? Così la vera anima dell’uomo in nero pare scomparire poco a poco nella finzione. Reinhard Kleist, invece, con questo episodio come pure con molti altri dettagli, citazioni e interpretazioni della complessa personalità del cantante, gli si avvicina il più possibile. Senza il lavoro del produttore Rick Rubin non esisterebbe la Cashmania, né la biografia che ho scritto io, né il film, né il fumetto. Reinhard Kleist aveva già conosciuto il primissimo Johnny Cash quando sugli scaffali di suo padre trovava, dietro a quelli di Elvis, i dischi del Man in Black. E poi gli era piaciuto molto l’horror-western di “(Ghost) Riders In the Sky”. Ma dai primi anni Settanta fino al suo esplosivo ritorno nel 1994 si era sentito parlare sempre meno di Johnny Cash. Alcuni album importanti riscossero un’attenzione modesta e nel 1986 la CBS lo licenziò. Divenne così un’icona del country. Quando Rick Rubin lo chiamò, il sessantunenne non aveva più nessun contratto discografico. Senza la favola dell’incontro tra Johnny e Rick non si può raccontare la storia di Johnny Cash. Il mostro che si era fatto le ossa con i Beastie Boys, i Public Enemy e gli Slayer ora si impossessava di Mr. Johnny Cash. L’industria discografica country statunitense, il mercato musicale più potente del mondo, reagì di conseguenza: reti radiofoniche e televisive, negozi e premi ignorarono letteralmente l’«American Series». Nel 1996 i due uomini ringraziarono pubblicamente facendo comparire su un’intera pagina di

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Billboard Magazine una foto di Johnny Cash con il dito medio alzato (che vediamo a pag. 198). Così Johnny Cash, supportato, incoraggiato e aiutato da Rubin, riuscì a portare a termine l’incredibile progetto di un’opera grandiosa. E Reinhard Kleist si sintonizza proprio quando il progetto sta per essere portato a termine, poco prima che essi raggiungano il culmine con il brano e il video “Hurt”. «Vabbeh,» fa Cash, quando il suo angelo custode gli mette in mano proprio la canzone “Hurt”, «tanto io faccio qualunque canzone.» Messo in bocca a Cash da Kleist. Non è vero, ma è verosimile: nulla è sicuro. Dietro questa frase scopriamo tutto un mondo. Il testo di “Folsom Prison Blues”, copiato, il cui significato si sondò solo con la versione di Johnny Cash. Il brano di Glen Sherley, che il cantante ricevette la notte prima del concerto. Infine, canzoni di Nick Cave, Bruce Springsteen, dei Depeche Mode, i Beatles o gli Eagles, che furono completamente stravolte. Country, rock, nulla è sicuro, tutto è fragile. Johnny Cash si impossessò di “I See a Darkness” di Will Oldham, ma anche la sua versione fu rimaneggiata da DJ Acid Pauli che ne fece un pezzo techno, “I See a Dark(er)ness”. Ogni bella canzone è anche fragile, ogni canzone è fragile di fronte alla potenza di un bravo cantante. Lo si comprende anche pensando alla figura di Johnny Cash: nulla è sicuro nella vita, nel lavoro, in amore. Nessuno è sicuro. A meno che non si rinchiuda la propria vita, il proprio lavoro, i propri amori in un carcere di massima sicurezza. Solo una cosa è certa: non prenderò la suoneria per il cellulare di “Ring of Fire”, non ho una «Johnny Cash Prepaid MasterCard» e se questo fumetto andrà a finire fra le assurdità della Cashmania sarà un’ingiustizia.

Franz Dobler

Franz Dobler ha pubblicato numerosi libri e prodotto svariati CD; sul tema country: la raccolta Auf des toten Mannes Kiste, la biografia di Johnny Cash The Beast in Me e, come editore, la raccolta CD “A Boy Named Sue”.

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Grazie per il sostegno, non solo per questo libro, a: Michael Groenewald, Claudia Jerusalem-Groenewald, Richard Weize, Franz Dobler, Basti «Vadda Cash» Krondorfer, Erika e Lothar Kleist Bettina Oguamanam, Sylvia Schuster, Carlsen Comics, Martin Rabitz, Ron Rineck, Butch-Meier-Band, Steffen «Doc» Mittelstedt, David Fernandez, Christian Vagt, Helmut, Fil, Mawil, Andi Michalke, Naomi Fearn, Jo Werth, K77, Möbel Olfe, Keb-up 1 a Rosenthaler Platz per il sostegno morale, Greg Dulli per «Love (demo)», the immortal johnny-cash-club at gayromeo.de Uli, Oli, Basti, Roland Heinrich e Oldrik il bassista, The Crooked Jades: Megan Adie, Carley Wolf, Jeff Kazor, Adam Tanner, Erik Pearson, Digger Barns, Pencil Quincey

Reinhard Kleist


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