Quattro etti d'amore, grazie chiara gamberale

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dimenticato di tirare lo sciacquone, come un raffreddore fuori stagione, uno schiaffo dato a qualcuno perché un altro ci ha fatto arrabbiare. Tutte cose che Michele non concepisce. No no, per carità, devo tenerla per me questa cosa. È una piccola, piccolissima cosa. Una cosa da niente. Lui ha il calcetto? Io ho quelli della mitica B del Rousseau. Tutto qui! «Viola, vieni subito a prendere tuo fratello!» Provo a imitare il tono di Michele, quando smette di scherzare e si capisce benissimo che vuole davvero che i bambini facciano quello che gli ordina di fare. Dalla camera di Viola nessun rumore. Gu adesso mi guarda, non dice più niente. Accartoccia il nasino, storce la bocca. Si mette a piangere. «Acccccua» frigna. Acqua: vuole bere. Vuole bere! Perfetto. E col suo mezzo metro il frigo non può aprirselo da solo, non può prendersi dalla credenza il bicchiere di plastica a forma di Winnie the Pooh. Certo che non può. «Tieni, amore mio.» Torno a sedermi. Ricomincio da capo: – Ragazzi, ma siete incredibil... «Ancora.» «Gu, ora basta, porca puttana!» Aiuto. Sono stata io? Gu fa traballare il mento, non sa ancora se piangere e aprire un caso oppure no. Non c’è dubbio, sono stata io. Prima che decida che sì, è il caso di piangere, me lo faccio arrampicare in braccio. «Vieni qui, amore della mamma. Nessuna paura.» Gli dico. «Nessuna paura.» Ma io adesso un po’ ne ho. Dio mio, da dove è venuto fuori quell’urlo? Con quella voce buia, cattiva, proprio per niente mia, con quella parolaccia brutta dentro che non c’entrava niente. Niente. È venuto dal regno delle pazze: non c’è dubbio. Per cui Michele non ha pietà. Gli fanno più pena i bambini del Biafra delle pazze. Gli fanno più pena i bambini del Biafra di Tea Fidelibus. Uno, due, tre. Respirare. Uno, due, tre. Pensare. Ad. Altro. Uno, due, tre.


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