L'ESPRESSO 30

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Verso il voto / Lo scenario

PREMIER, TUTTI CONTRO TUTTI DI BRUNO MANFELLOTTO

A

dar retta ai sondaggi, la partita elettorale del 25 settembre sarebbe già decisa, vincerebbe la destra, e trionferebbe Giorgia Meloni conquistandosi il privilegio della premiership. E vabbè. Ma si sa, una cosa sono le previsioni, altra le schede nell’urna. Specie se a destra c’è un clima da fratelli coltelli. Stavolta, poi, il “draghicidio” ha prodotto sconvolgimenti, radicalizzato la sfida – o di qua o di là – e imposto la ricerca di alleanze, anche per via di una legge elettorale cervellotica. Insomma, nulla è scontato, è solo l’inizio di una campagna caldissima dalla quale uscirà un Parlamento ridotto nei numeri (da 945 a 600 parlamentari). Una sfida decisiva. Di cui quelli che seguono sono i personaggi e interpreti. Con i loro problemi e desideri. Draghi non c’è, ma c’è. Il premier dimessosi senza sfiducia ha fatto capire di non sentirsi più in campo. Eppure c’è. Per molti è il premier irrinunciabile, per gli altri è come l’ombra di Banco. Non a caso la campagna s’è aperta all’insegna dell’“Agenda Draghi”, intesa come programma, bandiera intorno alla quale costruire una coalizione vincente. Agenda che però senza di lui è solo un elenco di cose da fare. Non basta. Ritorno a Pratica di Mare. Quattro giorni dopo il voto compirà 86 anni, cinque più di Sergio Mattarella, due più di Giuliano Amato. Eppure Berlusconi, nonostante l’età e gli acciacchi, si sente in pista. Un passato che non passa. Cedendo alle pressioni di Matteo Salvini, e nel tentativo di fermare Giorgia Meloni e il declino di Forza Italia, Berlusconi si è fatto convincere a dare il colpo di grazia al governo Draghi. Decaduti i vincoli della legge Severino, intende presentarsi per il Senato: vuole la rivincita dopo la condanna definitiva per frode fiscale che lo costrinse nel 2013 a lasciare Palazzo Madama e nel 2019 a non ricandidarsi. Retroscena credibili (Tommaso Ciriaco, “la Repubblica”) dicono che per convincerlo a pugnalare Draghi, Salvini gli abbia offerto la presidenza del Senato. Dai tribunali alla seconda carica dello Stato. Ai suoi amici, però, Berlusconi ha confessato un altro sogno: ministro degli Esteri, per convincere «l’amico Putin» a firmare la pace con l’Ucraina. Del resto, solo due mesi fa ha ricordato di

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31 luglio 2022

aver portato «nel 2002 allo stesso tavolo Bush e Putin per firmare il trattato che pose fine a più di cinquant’anni di guerra fredda». Ma da Pratica di Mare sono trascorsi vent’anni e alla guerra fredda zar Vladimir preferisce ora missili e bombe. Meloni ringrazia Confalonieri. «Chi vince andrà a palazzo Chigi», ripete lei convinta di arrivare prima; «Chi vince avrà il privilegio di indicare il premier», corregge invece Salvini. La battaglia è tutta qui, dentro e fuori la destra. All’appuntamento Meloni si prepara da tempo. Si presenta bene, sorride, si prepara su ogni dossier. Si schiera con la Nato, non dice un parola su Draghi, non se la prende più con Bruxelles. Maquillage elettorale. O il tentativo di far dimenticare le falangi neofasciste dell’apparato di partito e l’amicizia politica con Orban, Le Pen e gli spagnoli di Vox per i quali ha tenuto a Barcellona un comizio immortalato in un video nel quale, invece, “esce al naturale”. Se davvero andasse a Palazzo Chigi, sarebbe la prima neofascista al potere. Tre mesi fa, forse paventando obiezioni del Quirinale, Meloni ha convocato una convention programmatica a Milano, la capitale di Salvini e Berlusconi, e schierato sul palco testimonial di una nuova classe dirigente: Carlo Nordio, Luca Ricolfi, Gennaro Sangiuliano, l’imprenditore veneto Matteo Zoppas. Candidato premier preferito, Giulio Tremonti, il politico convinto che la caduta del governo di cui era ministro del Tesoro sia stata l’effetto di un golpe provocato nel 2011 dalla lettera della Bce, firmata anche da Draghi, che bocciava la politica economica e imponeva misure finanziarie tali da spingere Berlusconi alle dimissioni e Mario Monti a Palazzo Chigi. Agenda Tremonti contro agenda Draghi. Vecchi e nuovi rancori. Ora però Meloni vuole giocare in prima persona. E le reazioni preoccupate dei partner lo confermano. Si dice che al passo decisivo abbia contribuito l’intervista al Corriere della Sera di Fedele Confalonieri, il più stretto sodale di B., che ad Aldo Cazzullo ha confessato la sua ammirazione per Giorgia. La quale ha visto in quel plauso anche l’assenso dell’imprenditoria del nord stufa delle intemperanze di Salvini. Vecchie e nuove felpe. A far prevalere il Salvini d’opposizione su quello di governo è stato l’uragano Giorgia e l’ansia di fermarla. Conte, aprendo la crisi, gliene ha dato l’opportunità. Ma non basta. Per strappare a Meloni il diritto alla pre-


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