L'ESPRESSO 28

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La parola

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vacanza «Vacantia» deriva dal latino «vacans»: essero vuoto, libero. Per gli antichi romani era il tempo dell’otium contrapposto a quello del negotium, degli impegni quotidiani e del lavoro in città. L’estate diviene così la stagione della libertà e dei viaggi alla scoperta di luoghi e persone nuove. Mai come quest’anno, dopo i lockdown dovuti all’emergenza Covid-19, le destinazioni turistiche sono piene, c’è un grande movimento tra le nazioni più diverse. Nonostante o forse proprio a causa della guerra, della crisi ambientale e sociale, la gente ha bisogno di “staccare” dalla routine quotidiana. Anche solo per pochi giorni (i tempi dilatati della villeggiatura sono ormai alle spalle da un po’). Ma la vacanza è soltanto evasione o può essere anche uno spunto per ritrovarsi? «Noi siamo abituati a fare grandi viaggi, ma non siamo abituati a varcare quei pochi centimetri che ci separano dalla nostra interiorità», «Nessun ritiro è più tranquillo e meno disturbato per la persona che quello che trova nella sua anima». Così Marco Aurelio in alcune delle sue celebri meditazioni. L’imperatore e filosofo romano ci indicava un luogo, l’anima, così vicino a noi eppure così difficile da varcare. Può lo spazio vuoto aperto dalla vacanza rendere meno complesso l’accesso alla nostra interiorità? Certo, rispetto ai tempi di Marco Aurelio è diventato ancora più difficile

ritirarsi in se stessi. Ormai Internet permette di connetterci anche nei posti più impervi e lontani e la condivisione delle nostre esperienze attraverso foto e video spesso precede la loro conoscenza effettiva. C’è il rischio che il virtuale renda ancora più difficile incontrare il reale in generale e la nostra anima in particolare. La vacanza assume così le caratteristiche di una giornata qualsiasi: viene concepita e organizzata con il prevalente intento di fare: arrivare in un luogo, mostrarsi, raggiungere obiettivi concreti. Come fare allora? I religiosi conoscono quella pratica di concentrazione su di sé che sono gli esercizi spirituali. Oggi questi, interpretati laicamente, dovrebbero prevedere una disconnessione sempre più ampia dalla rete in modo da rendere possibile la contemplazione di un paesaggio, delle onde e dell’azzurro del mare, della quiete dei monti, del verde della campagna o del silenzio di un borgo. Perché poi le emozioni vissute possano sedimentarsi e interiorizzarsi, modificandoci realmente. Scriveva Kundera che «esiste un legame stretto tra lentezza e memoria, tra velocità e oblio […]: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria, il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio». Ecco un’indicazione preziosa. Recuperiamo la lentezza: è forse lì la chiave per l’accesso alla nostra anima.

PADRE ENZO FORTUNATO 17 luglio 2022

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