L'ESPRESSO 28

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Guerra in Ucraina / Il fronte

DONBASS TERRA A PEZZI PER CUI MORIRE LA PROPAGANDA RUSSA FA BRECCIA SU UNA MINORANZA. LA GRAN PARTE SI SENTE SOLO TRADITA DA UN POPOLO FRATELLO. E GLI UCRAINI SCONTANO RECIPROCHE DIFFIDENZE DI SABATO ANGIERI DA KRAMATORSK

S

«Se devo morire, morirò qui, a casa mia». Altrove questa frase avrebbe un retrogusto di sciovinismo, di cliché d’altri tempi, ma non nell’est dell’Ucraina dove decine di migliaia di persone vivono da mesi sottoterra in condizioni disumane. Nelle cantine riadattate a rifugi antiaerei non c’è luce, gas, acqua potabile e le linee di telecomunicazione sono interrotte. Si dorme su materassi sistemati alla buona in luoghi umidi e bui e più ci si avvicina al fronte meno ore di quiete vengono concesse dai colpi dell’artiglieria. Le giornate passano lente e monotone nell’attesa degli aiuti umanitari, mentre i militari ucraini spostano mezzi corazzati e armamenti da una postazione all’altra e quelli russi si avvicinano via terra. Negli appartamenti quasi non si sale più, molti sono pericolanti e c’è sempre il rischio che un missile colpisca il

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17 luglio 2022

palazzo proprio mentre si è dentro. E allora cos’è questa casa per la quale gli abitanti del Donbass dicono di essere pronti a morire? Non è la patria, chiariamolo subito. La maggior parte di chi è rimasto qui ha più di cinquant’anni, è nato e cresciuto nell’Unione Sovietica e mantiene dei legami con la Russia, sia affettivi sia culturali, molto forti. Il russo è parlato da tutti e quasi ogni famiglia ha parenti oltre la frontiera nelle regioni di Belgorod, Kursk e Rostov. Ciò non vuol dire che siano tutti «filo-russi», come spesso li definiscono, banalizzando, i media internazionali o la stampa ucraina, ma semplicemente che i grandi cambiamenti sociopolitici che hanno sconvolto l’Ucraina dal 2014 in poi li Sabato Angieri hanno influenzati in modo Giornalista marginale. C’è una mino-


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