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CIELO E TERRA

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RICORDANDO MARGA

RICORDANDO MARGA

CIELO E TERRA

DI LUCA NARDI*

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COME CERCARE (SULLA TERRA) L’ACQUA MARZIANA

A COLLOQUIO CON ERICA LUZZI, DI RITORNO DA UNA MISSIONE IN UN “ANALOGO DEL PIANETA ROSSO” IN BOTSWANA

CIELO E TERRA

» Vista del Makgadikgadi

Pans: si notano macchie più scure composte da argille e macchie chiare costituite da croste di sale e solfati.

Sulla Terra ci sono alcuni luoghi che ricordano altri pianeti. Sono i cosiddetti “analoghi planetari”, preziosissimi per ottenere informazioni che altrimenti si potrebbero avere solo andando direttamente in loco, con tutte le limitazioni tecnologiche ed economiche relative. Di analoghi planetari sul nostro pianeta ce ne sono moltissimi, ognuno utile ad analizzare un particolare aspetto di un particolare pianeta o a testare delle tecnologie in ambienti simili a quelli planetari. Per esempio, il deserto di Atacama, con il suo clima iperarido, è spesso utilizzato come analogo marziano, e lo stesso avviene per i deserti dello Utah (vedi Cosmo n. 26). L’isola di Lanzarote, alle Canarie, con il suo terreno riarso e vulcanico, è stata utilizzata come analogo del suolo lunare, mentre negli anni 60, gli astronauti delle missioni Apollo utilizzarono il Meteor Crater, in Arizona, per fare pratica per le sfide che avrebbero dovuto affrontare tra i crateri lunari. Uno di questi luoghi, in Botswana, è particolarmente utile per studiare il Pianeta rosso dal punto di vista geologico: si tratta di Makgadikgadi Pans, una grande salina situata nella savana nel nord est del paese africano, residuo di quello che alcune centinaia di migliaia di anni fa era un grande lago salato. Sembra un posto fuori dal mondo, eppure è una delle culle dell’umanità: 200mila anni fa l’Homo sapiens cominciò la sua evoluzione in questa regione, al tempo fertilissima. Erica Luzzi, dottoressa in geologia planetaria alla Jacobs University, ha preso parte a una spedizione in questi luoghi per studiare le rocce evaporitiche marziane, grazie a un progetto finanziato dall’Unione Europea tramite il programma Transnational Access della Europlanet Society, che fornisce accesso a spedizioni scientifiche in sette siti di analoghi planetari nel mondo. L’abbiamo intervistata per Cosmo.

MAKGADIKGADI PANS È UN LUOGO VERAMENTE

FUORI DAL MONDO…

Per fortuna o per sfortuna, i luoghi sulla Terra più simili a Marte sono regioni remote e desertiche. “Per fortuna” perché con questo tipo di spedizioni ci è concesso di vedere la bellezza del nostro pianeta in posti poco conosciuti; “per sfortuna” perché le spedizioni in questi siti incontrano notevoli ostacoli e problemi, a cui bisogna trovare soluzione con le poche risorse a disposizione.

PERCHÉ UNA SPEDIZIONE PROPRIO LÌ?

Il Makgadikgadi Pans è un deserto di sale, tipico esempio di quello che una volta era un lago e che poi, a causa di una forte evaporazione e un minor afflusso di acqua, è diventato un “bacino evaporitico”: le molecole in soluzione nel sottile livello di acqua finiscono per saturare, comportando la precipitazione dei minerali detti “evaporitici”. Queste rocce testimoniano la passata presenza di acqua su una superficie. L’acqua è un elemento fondamentale per la vita, almeno per come la conosciamo noi. Su Marte molti depositi evaporitici sono stati individuati tramite analisi spettrali effettuate da strumenti a bordo delle sonde

» Sopra: fratture poligonali da essiccazione note come mud cracks, tipiche di ambienti evaporitici.

A sinistra: un rarissimo episodio di acqua stagnante nel pan.

Nel giro di due ore l’acqua è evaporata tutta. Un fenomeno simile su Marte produrrebbe un’evaporazione istantanea, a causa della ridottissima pressione atmosferica.

spaziali orbitanti, ma anche dei rover e dei lander atterrati sulla superficie del pianeta. Il loro studio può avere grandi implicazioni scientifiche, sia dal punto di vista geologico che astrobiologico.

QUINDI C’ERA DELL’ACQUA

LIQUIDA NEL PASSATO MARZIANO?

Questa è ormai una certezza, anche se non siamo ancora riusciti a capire quanta ce ne fosse. Secondo alcuni ricercatori, ci sono stati persino degli oceani, mentre altri si limitano agli indizi locali, come canali fluviali, depositi di minerali idrati, vulcani di fango. Su Marte probabilmente c’è acqua liquida ancora oggi, ma al di sotto della superficie. Un gruppo di ricercatori italiani, guidato da Roberto Orosei dell’Istituto nazionale di astrofisica, ha identificato un possibile bacino di acqua salata nella regione polare, a un chilometro e mezzo di profondità (vedi Cosmo n. 12). Tuttavia, per trovare indizi di vita (passata o presente), l’acqua non basta, come non è sufficiente l’individuazione di molecole organiche (trovate sia da Curiosity che da Perseverance), che possono essere formate non solo da processi biotici, ma anche da processi abiotici.

UNA VOLTA GIUNTI LÌ, CHE COSA AVETE MISURATO?

Abbiamo fatto analisi di tipo geofisico, le “tomografie geoelettriche”. Queste misurazioni consentono di analizzare il sottosuolo, distinguendo diverse unità geologiche e individuando la presenza di acqua e di faglie/fratture. In particolare, eravamo interessati a comprendere se la presenza di faglie – che sono una via preferenziale per il circolo di acqua – potesse influenzare il ciclo di deposizione delle evaporiti. Il nostro obiettivo principale era quello di capire se le faglie contribuiscono al ciclo idrogeologico in aree evaporitiche e, in seconda battuta, confrontare tali risultati con quelli di particolari regioni analoghe su Marte.

COME FUNZIONANO

QUESTE MISURAZIONI?

La metodologia che abbiamo adottato è stata piuttosto faticosa, ma concettualmente semplice: abbiamo inserito degli elettrodi nel terreno e li abbiamo usati per applicarvi delle tensioni elettriche. Misurando la

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» Il team della spedizione. Seconda da sinistra Erica Luzzi e quarto Gene Schmidt, che sarà primo autore degli studi finanziato dal programma Transnational Access.

risposta elettrica dei materiali presenti nel sottosuolo, abbiamo potuto raccogliere dati e informazioni. Ogni materiale possiede una diversa resistività elettrica. Pertanto, misurando le correnti generate dalle tensioni applicate, è possibile raccogliere informazioni sulla composizione e le caratteristiche degli strati di roccia che si trovano nel sottosuolo.

TU DI COSA TI SEI OCCUPATA IN PARTICOLARE?

Quando ci si trova in queste spedizioni, ognuno si ritrova a fare un po’ di tutto. Certamente, però, alcune attività erano affidate a chi sapeva farle meglio: per esempio, l’elaborazione dei dati raccolti con le misure elettriche era nelle mani di un brillante studente magistrale. Io mi sono occupata principalmente di distendere i cavi e posizionare gli elettrodi durante tutte le misure. Detta così può sembrare una cosa da nulla, ma parliamo di diversi chilometri di cavo per coprire una grande superficie di deserto! E in quanto italiana sono anche stata eletta cuoca del gruppo: il lavoro era duro e tutti eravamo molto affamati a fine giornata…

LE VOSTRE OSSERVAZIONI SI POSSONO CONSIDERARE VALIDE ANCHE SU MARTE?

Nulla è certo finché non abbiamo la ground truth, ossia finché non mettiamo i piedi sulla superficie di Marte e raccogliamo i dati direttamente sul posto. Al momento, ciò che si avvicina di più alla ground truth su Marte sono i rover al lavoro sulla superficie del Pianeta rosso. Ma anche questi mezzi hanno i loro limiti: di spazio, di miniaturizzazione delle tecnologie, di tipologie di analisi che possono svolgere. Il potere degli analoghi di Marte sulla Terra è quello di avvicinarci il più possibile agli ambienti marziani, studiando fenomeni che conosciamo bene sul nostro pianeta e osservando il modo in cui questi fenomeni hanno invece modellato la superficie di Marte. La ricerca è sempre fatta di piccoli passi, tutti incompleti, ma che ci permettono di migliorare sempre più le risposte ai grandi interrogativi della scienza.

*LUNA NARDI È UN ASTROFISICO E DOTTORANDO IN SCIENZE PLANETARIE ASSOCIATO ALL’INAF, SI OCCUPA DI DIVULGAZIONE E PRODUZIONE DI CONTENUTI SCIENTIFICI SUL WEB.

È DURO FARE RICERCA IN UN DESERTO?

Durissimo. È stata senza dubbio l’esperienza più provante della mia vita. Per dieci giorni abbiamo dormito in piena savana, e per la metà di questi non c’era la possibilità di avere una doccia. Abbiamo lavorato sempre con un caldo esagerato e sotto il Sole cocente. Per non parlare degli insetti, degli scorpioni, dei serpenti. D’altra parte, è forse stata anche l’esperienza che mi ha dato di più: è vero che c’era sempre qualcosa da temere, ma c’era anche sempre qualcosa da guardare con estremo stupore, da restare meravigliati. Sono convinta che uscire dalla nostra comfort zone sia ciò che maggiormente ci arricchisce e questa esperienza lo ha fatto sicuramente.

CI SONO STATI MOMENTI

DI PERICOLO VERO E PROPRIO?

Un giorno siamo quasi morti nel deserto. I fuoristrada si erano incastrati nel fango, in un punto in cui eravamo a sette ore di viaggio dal villaggio più vicino. Eravamo nel completo nulla e senza la possibilità di chiamare i soccorsi. Abbiamo dunque passato oltre nove ore a scavare fango a mani nude sotto il Sole per liberare le ruote del fuoristrada. Ci siamo salvati per un pelo quando era ormai il crepuscolo, avevamo finito l’acqua ed eravamo completamente disidratati e disperati. Ma ce l’abbiamo fatta!

QUALI SONO I PIANI PER IL FUTURO?

Stiamo preparando più di un lavoro scientifico: i risultati, infatti, sono stati così corposi e interessanti, che una sola pubblicazione non basterà. Per le prossime spedizioni… chissà? Magari andrò davvero su Marte!

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