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ECONOMIA FINANZA E POTERE Vivendi cerca soldi nella rete
from L'Espresso 3
by BFCMedia
CHIGI
Una neverending story densa di rebus e colpi di scena. È la partita per il decollo della rete digitale in Italia, che si gioca intorno al destino degli asset di Telecom, da mesi al centro delle cronache finanziarie. Prossimo appuntamento: mercoledì 25 gennaio, con tutti i protagonisti coinvolti convocati al Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) dal titolare Adolfo Urso, che assieme a Palazzo Chigi gestisce il dossier.
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In sintesi: l’Italia è in ritardo nella realizzazione di una rete digitale di ultima generazione, l’autostrada più importante oggi per lo sviluppo economico e sociale. Con il Pnrr l’Europa ha destinato risorse consistenti, che vanno assolutamente intercettate. Per questo il governo Draghi aveva individuato un percorso, la creazione di una rete unica frutto dell’unione delle infrastrutture di Telecom e Open Fiber (Of), l’operatore nato nel 2015 e oggi controllato al 60% da Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) e dal fondo australiano Macquaire.
L’esecutivo a guida Giorgia Meloni ha subito aperto il dossier, affidandolo appunto a Urso e ad Alessio Butti, sottosegretario con delega al digitale, ed entrando nel vivo con una serie ravvicinata di riunioni lo scorso dicembre.
Primo risultato di quegli incontri, serviti per capire i dettagli di una operazione non semplice: la Rete sarà sì nazionale, ma non unica: Of, almeno per il momento, rimane fuori dal perimetro, anche per le lunghezze dell’esame Antritrust dell’Unione Europea in caso di operatore unico.
Fin qui un cambio di rotta, ma nessun problema insormontabile: una scelta di politica industriale. Rete Nazionale, quindi, e a guida pubblica: centrata sul ruolo di Cdp, la cui quota di controllo (83%) è nelle mani del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), ed è guidata da Dario Scannapieco.
A complicare e non di poco la situazione è l’azionariato di Telecom. Da giugno 2015 azionista principale è il gruppo francese quotato Vivendi del finanziere Vincent Bolloré, che di recente ha passato il timone ai figli Cyrille e Yannick. A seguire il dossier hanno messo il loro uomo di punta: Arnaud de Puyfontaine, che di Vivendi è l’amministratore delegato. Vivendi era entrato in Telecom nel 2015, a seguito di un’operazione su una controllata in Brasile con la spagnola Telefonica (precedente azionista di rilievo di Telecom). Qualche cifra: Vivendi entrò in Telecom con il titolo (quotato in borsa) a 1,16 euro; nei mesi successivi altri acquisti, sino ad arrivare al 24% circa del capitale. Spesa complessiva: 3,9 miliardi, con un valore di carico medio a 1,07 euro. Da allora, la gestione di Telecom entra in un vortice: i capiazienda si susseguono uno dietro l’altro. In successione: Marco Patuano, Flavio Cattaneo, l’israeliano
Amos Genish, Luigi Gubitosi, Pietro Labriola. A oggi, ben cinque in poco più di 90 mesi. Una media di 18 mesi a testa.
SORPRESA
L’amministratore delegato di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine si è dimesso, con una mossa a soprpresa, dal cda di Telecom, di cui il suo gruppo è il primo azionista
E il titolo? Giù, sempre più giù, sino a toccare il fondo: 0,17 euro lo scorso 12 ottobre. Per poi risalire a quota 0,26 nella settimana del 16 gennaio. Capitalizzazione attuale di Telecom (ordinarie più risparmio): 3,95 miliardi. La quota di Vivendi vale oggi 950 milioni, con una perdita rispetto all’investimento iniziale di tre miliardi. Nel frattempo già due le svalutazioni a bilancio, con un valore di carico attuale a 2,3 miliardi (e una ulteriore minusvalenza potenziale di 1,4 miliardi).
Questa analisi sui conti di Vivendi spiega i colpi di scena dell’ultima settimana. Se il 23 dicembre scorso de Puyfontaine sottolineava come sulla Rete «il clima è sereno per considerare altri investimenti di Vivendi in Italia», la mattina di lunedì 16 gennaio a mezzo stampa sbatteva la porta e lasciava il board di Telecom, creando una situazione insolita, nessun rappresentante diretto di Vivendi nel consiglio. Perché?
Tutto ruota intorno alle modalità di cre- azione della Rete Nazionale. «È Cdp il nostro soggetto, tutti gli altri possono concorrere, ma la guida pubblica significa che Cdp è il soggetto», ha dichiarato Urso in audizione al Senato, il giorno successivo alle dimissioni, aprendo anche la porta ad altre realtà «a cominciare dai fondi». Il disegno che nel corso delle riunioni al Mimit ha iniziato a delinearsi come il più coerente è quello di una offerta di Cdp, magari accompagnata da fondi come Macquaire e Kkr (quest’ultimo già presente in Fibercoop, controllata Telecom) direttamente a Telecom, per rilevarne la Rete. Il vantaggio: le risorse affluirebbero direttamente a Telecom, e sarebbero quindi destinate a ridurne il debito, salvaguardando la forza lavoro (a rischio sono molti dei 40 mila dipendenti), e con beneficio per tutti gli azionisti. Vivendi, a seguire la stessa Cdp con il 9% (entrata nel 2018), migliaia di piccoli azionisti e fondi comuni.
A de Puyfontaine questo schema non sta bene. Per i francesi meglio una scissione, una divisione in due di Telecom: una società di servizi (ServCo) e una di Rete
Economia Finanza E Potere
2015
1,16
(NetCo). Con i soci attuali di Telecom riprodotti in fotocopia nelle due società. Perché? Semplice: a quel punto l’offerta di Cdp&Co dovrebbe essere non a Telecom, ma a Vivendi stessa, per rilevarne il 24% della quota nella NetCo. Con il risultato che ingenti risorse entrerebbero direttamente a Vivendi. Tutto a scapito dell’intera filiera italiana del valore della Rete.
Cassa
Questo l’oggetto del contendere. Per questo de Puyfontaine ha lasciato il cda, quando ha capito che dopo i primi approfondimenti il nuovo governo aveva percezione della validità anche etica di una offerta direttamente a Telecom. Per di più, la scissione richiederebbe non meno di 1214 mesi. Ma soprattutto si è dimesso perché se, come non è escluso, alla fine l’offerta arrivasse (a Telecom), si sarebbe trovato nell’imbarazzo di vedere magari la maggioranza dei consiglieri guardare con favore al progetto, magari così consigliati dagli advisor. Il ruolo degli advisor finanziari, infatti, è cruciale per operazioni del genere, e il giudizio non potrebbe essere disatteso dal board. Per la società guidata da Labriola, lavorano da mesi nomi del calibro di Goldman Sachs, Vitale e Mediobanca. Gli azionisti indipendenti si sono affidati ad Equita.

Appuntamento al 25 gennaio, giorno in cui la Chiesa cattolica celebra la conversione di San Paolo apostolo sulla via di Damasco.
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Bruschini
inflazione italiana è stata stimata all’11,6%. Da noi si registra la punta massima, mentre nei Paesi europei si rileva un livello più contenuto. La dinamica dell’inflazione in Francia, infatti, registra una crescita del +5,9% e in Germania del +8,6. Pesano sul nostro sistema economico, quale Paese trasformatore di materie prime, i maggiori costi dell’energia e delle importazioni. In più sedi si discute su come la Bce tenti di frenarne la corsa. Molto probabilmente, in luogo di puntare sia sull’incremento del costo del denaro sia sul blocco del quantitative easing, sarebbe stato meno dannoso se la Bce, sin dalla fine del 2021,