Basketville Magazine Numero 1

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n. 1 - 8 marzo 2009

Dai playgrounD ai playoff

Marco Mordente Pietro Aradori Andrea Capobianco Piero Pasini Ettore Messina, fra Chuck Daly e JosĂŠ Mourinho

Siena 100%

Montepaschi di nuovo al top in italia e in Europa pianigiani va in tripla cifra con le vittorie in Serie a


LA LAVAGNA TECNICA USATA DAI PIÙ IMPORTANTI ALLENATORI PROFESSIONISTI

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l’E-ditoriale Dai playgrounD ai playoff

www.basketville.it Numero 1 - 8 marzo 2009 Direttore Responsabile FRANCO MONTORRO franco.montorro@basketville.it basketville@alice.it Progetto Grafico Appunto via Caduti per la patria, 47 20050 Lesmo (Mi) tel e fax +39 039 5967274 www.appuntoweb.com Fotografie Agenzia Ciamillo-Castoria www.basketville.it è una testata Media dell’Otto s.r.l. Via delle Ville 1140 55030 Lucca (ITA) Tel. +39 3202 119 119

Nel famoso ranking di Eurolega, a parte Siena si continua a credere che ci sarebbe un testa a testa fra le due Virtus, Bologna e Roma, per l'altra licenza triennale concessa all'Italia. In realtà, l'Eurolega nella sua ristrutturazione dei meccanismi di ammissione che comprendono i risultati dalla prima edizione a 24 squadre dovrebbe (eccesso di prudenza), secondo la nostra interpretazione delle carte, stabilire una sorta di ranking composito, a percentuale. Ovvero fatto al 60% dai risultati dei singoli club in ambito nazionale, ma per il 20% da parametri di diritti tv e da un altro 20% di risultati incontrovertibili alla biglietteria. Secondo questi criteri, la prima italiana è Siena (decima) e più in giù, ma solitaria, c'è Roma. Mentre La Fortezza, così stando le cose, potrebbe aspirare solo ad una licenza annuale. E magari dolersi per la sua ultima partecipazione all'Eurolega. Pubblicamente propagandata - lo ricordate? come un tour enogastronomico. Considero ancora questo numero di basketville una demo, un promo e non lo definisco doppio zero perché sembrerebbe un'allusione alimentare. Ma è così, in primo luogo perché la versione weekly che questa settimana apre alle donne solo dalla prossima tratterà anche di minors italiane e di Europa. A questo numero mancano insomma... una B e una E, ma anche tutta una serie di contributi fissi di opinionisti che troverete invece da lunedì prossimo. Mentre già da questa settimana, importante, il progetto basketville si completerà con l'apertura della home page di news quotidiane. Ripeto che l'avventura di basketville è stata pensata per una squadra allargata, un team su più livelli e da/per diverse direzioni. Di questa comunità mi sono proclamato primo cittadino, ma per dirla con una felice espressione latina (non si studia mai abbastanza, non andrebbe mai abbandonato) mi sento un “primus inter pares”. Rinnovo quindi l'invito a collaborare a tutti coloro si sentissero pronti e motivati a farlo, in questa che è probabilmente il più libero luogo di discussione della pallacanestro, in Italia. Sono attive diverse caselle di posta elettronica, divise per favorire la corrispondenza fra collaboratori, lettori e redazione. Dunque, segnatevi: magazine@basketville.it per inviare i contributi scritti: franco.montorro@basketville.it per dialogare direttamente con me. E a questo proposito, giovedì 12 abbiamo pensato ad un basketville day. La mattina, dalle 9 alle 12.30 chiunque abbia voglia di parlare su basketville per proporre critiche o consigli o per chiedere spiegazioni può scrivermi appunto all'indirizzo franco.montorro@ basketville.it Naturalmente potrete farlo anche prima, ma è in quello spazio temporale sarò on line per rispondere. Un appuntamento che potrebbe diventare fisso. franco Montorro franco.montorro@basketville.it


Serie a

basketville 8 marzo 2009

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Serie A

Solsonica-la fortezza di Franco Orsi

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Snaidero-Scavolini Spar di Massimo Nicero

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Montepaschi-lottomatica di Alessio Bonazzi

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Carife-air di Mauro Cavina

10 premiata-Benetton di Andrea Berdini 11 Eldo-Banca Tercas di Sante Roperto 12 gmac-angelico di Gianfranco Lelli 13 ngc- armani Jeans di Paolo Corio 14 Marco Mordente di Paolo Corio 16 pietro aradori di Stefano Zavagli 18 D.J. Strawberry di Massimo Zambelli 20 alessandro Capobianco di Guido Paolo De Felice

Legadue

22 il punto sul campionato di Lorenzo Settepanella 23 intervista a Carlo Barchiesi di Paolo Rosati

Donne

24 Speciale Coppa italia di Antonio Giacomelli 26 geas Bracco Sesto di Franco Montorro 27 piero pasini torna in pista di Antonio Giacomelli

NBA

30 fatti e personaggi del campionato pro

Serie A

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3 l’ E-ditoriale 19 Blog in 28 io, Ettore

Dopo Malaga, l'ingegner Toti aveva dichiarato: “Le proporzioni di questa sconfitta sono come un pugno in un occhio�. (foto Ciamillo-Castoria)


Serie a

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Serie a

Solsonica, nonostante tutto. La Fortezza: rimandata Dopo una settimana di tensioni e paure, la squadra di Lardo gioca un partitone, mettendo a nudo l’immaturità di una Virtus sempre troppo discontinua di Franco Orsi

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Qui Rieti 80

Qui Virtus 55

Lunedì poteva essere la fine. Sabato non è stato un nuovo inizio, ma la conferma che nel basket, magari anche per disperazione, non ci sono imprese davvero impossibili. Sebastiani in liquidazione anticipata, si diceva e si temeva nonostante i rimandi a fine stagione e senza tenere conto che per uno che se ne va (Prato) quelli che restano hanno sempre l'interesse a dare il meglio per mettersi in mostra, raggiunto quel minimo d'accordo con la proprietà che significa soldi: pochi, maledetti e meglio se subito. Non bellissimo, non del tutto regolare. Però e nonostante Rieti confeziona il partitone che significa anche due punti preziosissimi in prospettiva salvezza: particolare non secondario, anzi, se a fine anno ci sarà da monetizzare un diritto. Vantaggio reatino di sicurezza nel terzo periodo e finale in gloria con solo sette giocatori davvero utilizzati e Pasco e Hubalek in insolita evidenza. Bravo anche Green (nella foto). Predominio netto a rimbalzo e per Rieti più di un bel brodino per poi aspettare di capire se da qui a primavera inoltrata sarà eutanasia o scomparsa violenta. Situazione crudele, eppure e purtroppo immaginata da molti. Pochi, ma convinti, quelli che credono ancora in una magata di Papalìa.

Boniciolli parla di tunnell della stanchezza e così facendo ammette il fallimento temporaneo dell'avvicinamento mentale a Siena. O, per meglio dire, l'incapacità di questa Virtus ad essere grande con continuità: dopo l'impresa ad Avellino il crollo in Germania e la catastrofe nel Lazio. Perché con tutto il rispetto per la Solsonica, prendere 25 punti a Rieti per la Fortezza significa che non c'è testa per essere squdra di testa. Scusate il gioco di parole. Perché poi è una parola capire il gioco di questa Virtus senza regìa e bastonata a rimbalzo, sparacchiante da 3 e ridicola in lunetta: 4 su 9. Il che significa aver cercato poco il ferro avversario ed essere andati in lunetta come fosse un gioco da luna park. Per il futuro restano due vuoti non colmati: un vero secondo playmaker antidoto alle lune storte di Boykins e un centro meno falloso di Ford e meno spento di Chiacig. Resteranno utopie, dicono che sul mercato le Vu Nere non ci tornino, ammesso poi che la mercanzia ad hoc ci sia, e così la Virtus rischia di restare fuori dall'Eurolega 2009-2010. Pessimisti? Realisti: questa è una squadra che manca di continuità. E di un leader. Perché Boykins è un solista, non un direttore d'orchestra.


Serie a

Udine, meno 20 e meno 4 Per la Snaidero la peggiore gara della stagione ed un distacco in classifica ormai incolmabile. Pesaro torna ad avere e gioco e punti da Akindele di Luciana Idelfonso

Qui Udine 70 Doveva essere la partita della svolta, il momento del riscatto, invece per la Snaidero, il derby delle cucine, è stata la peggiore prestazione della stagione. L’ennesima sconfitta che conferma che, in casa arancione, c’è più di qualche problema da risolvere. Un risultato che pesa, per il finale 90-70, ma ancora di più per l’atteggiamento visto in campo da parte della squadra, senza motivazioni e con le pile scariche. Nel fortino, al Carnera, una figuraccia così non si vedeva da tempo. Gli arancioni sono sembrati dei fantasmi che si sono visti solo per il primo quarto di gioco e che poi sono scomparsi. A nulla sono serviti i 23 punti di Hector Romero, ormai recuperato del tutto, e di Forte (19) in teoria in partenza da tempo, in pratica in campo al posto di Anderson grazie al feeling instaurato con Allen. Per quest’ultimo, invece, una prestazione sotto tono e solo 6 punti. A capire la gravità della situazione ed ad indispettirsi è stato anche il Presidente Edi Snaidero che a 3 minuti e mezzo dalla conclusione si è alzato ed ha abbandonato il campo. Gara che ha spazientito anche i tifosi che, da sempre molto tolleranti con la Snaidero, hanno echeggiato cori di protesta tra cui un “Andate a lavorare”. Senza parole anche coach Meo Sacchetti che ha commentato così a fine partita «Ci è mancato tutto, mi prendo le mie responsabilità, dare delle motivazioni per quello che si è visto in campo è difficile anche per me.

Probabilmente non sono riuscito a trasmettere a questa squadra quello che serve per vincere. Abbiamo perso la dignità, non abbiamo lottato, quello che è successo è irreale. Non possiamo far altro che tacere e chiedere scusa per lo spettacolo indecente di questa sera». A complicare le sorti friulane la vittoria di Rieti su Bologna, ora a + 4: «Rieti ha la mentalità giusta per salvarsi, ha quello che manca a noi».

Qui Pesaro 90 Jeleel Akindele (nella foto) e l’ex Micheal Hicks fanno la differenza in campo e trascinano la Scovolini alla vittoria senza troppe difficoltà. La Snaidero infatti, quasi assente, lascia varchi immensi, prontamente sfruttati dai marchigiani dove, anche un Myers (12) non più veloce come una volta, trova comunque facilmente la via del canestro. «Una vittoria quella di oggi – attacca coach Sacripanti - che abbiamo ottenuto giocando di squadra in fase offensiva e grazie ad un’ottima difesa». A tale proposito un plauso va ad Akindele (20) che ha disputato veramente una bella gara; è stato la chiave della partita, è riuscito ad annullare il gioco in attacco degli arancioni. Decisivo per assegnare la vittoria agli ospiti, il terzo quarto dove i marchigiani hanno saputo gestire con maggiore abilità il gioco. Buona anche la gara dell’ex Hicks che realizza 24 punti ed esce tra gli applausi del PalaCarnera. «L’unica nota stonata del match – conclude il tecnico- è l’infortunio, pare abbastanza serio, alla caviglia destra di Hurd».

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Serie a

La giornata degli italiani

Ress e Carraretto mettono il sigillo alla centesima vittoria in Serie A di coach Pianigiani. Roma: 17 palle perse sono davvero troppe di Alessio Bonazzi

Qui Siena 93

Qui Roma 88

Oggi per Siena è stata la giornata degli italiani. In campo, infatti, decidono la partita Ress (nella foto, con Simone Berti) e Carraretto mentre in panchina il loro coach, Simone Pianigiani, arriva alla centesima vittoria in seria A. E ci arriva con una grande gestione di squadra, nonostante le assenze pesanti di Lavrinovic e di Domercant, infortunatosi nel primo tempo, e l’acciaccato McIntyre, che alla fine chiude con 17 punti e 22 di valutazione. Siena risponde con un 93-88 sulla più immediata inseguitrice alle sirene d’allarme che erano scattate nella scorsa settimana dopo le sconfitte di Mosca prima e con la Fortitudo poi. La Mens Sana conduce la partita per tutti i 40’, piazzando dei parziali importanti già da inizio match; ma, in compenso, soffre nei primi due quarti in difesa le accelerazione di Jaaber e la fisicità di Brezec. Poi nel terzo quarto i toscani cercano di stringere le maglie difensive ma si fanno recuperare fino al -1 sul 68-67. E’ a questo punto che Ress, 10 punti in 12 minuti per lui, e Carraretto prendono in mano la partita, piazzando triple importanti e chiudendo un parziale di 14-0 che ammazza le speranze romane di avvicinarsi a meno 8 dalla vetta, e mette la parola fine alla regular season. Ora il campionato per la Mens Sana dovrebbe passare in secondo piano in favore dell’Eurolega, che vedrà Siena, molto probabilmente, impegnata contro il Panathinaikos per l’accesso alle Final4, in una serie che si presenta molto ardua per i toscani.

Roma gioca un’ottima partita ma deve arrendersi ad una Siena brava ad approfittare del calo fisico e mentale degli uomini di Gentile negli ultimi 10 minuti. Nei primi due quarti la Lottomatica tiene botta alla corazzata toscana grazie al solito Jaaber e al miglior Brezec, almeno in attacco, della stagione. Poi, nel terzo quarto, Roma riesce a farsi sotto fino al -1 del 28’. Ma a questo punto emergono i soliti problemi di concentrazione e soprattutto un evidente calo fisico che porterà i capitolini a non segnare per ben 5 minuti e ad arrendersi sotto le bombe di Carraretto e Ress. Sono troppe le 17 palle perse da Roma, contro le 10 senesi,indice di un Jaaber che non può giocare da solo per 35 minuti a partita, e di come ai romani manchi una possibile seconda punta, che potrebbe essere eventualmente il Becirovic visto nella prima parte di stagione. Hutson si sveglia troppo tardi mentre è impalpabile Douglas che chiude con un orrendo -4 di valutazione. Ora per Roma c’è da ritrovare una sintonia di squadra, che sembra smarrita da un bel po’, per mantenere la seconda posizione in campionato, anche se la lotta con la Virtus Bologna e con la sorpresa Teramo sarà molto serrata. Per poter sperare di raggiungere questo obiettivo sarà importante per la Lottomatica vincere già nel prossimo turno contro una Pesaro in grande spolvero.

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Serie a

Carife, inieizione di fiducia. Avellino sempre più giù Finalmente concreta, la squadra di Valli agguanta due punti fondamentali, alla vigilia dei confronti diretti. Avellino ora deve iniziare a preoccuparsi di Valerio Velino

Qui Ferrara 94 Non poteva finire sempre a pacche sulle spalle e zero punti classifica. Questa volta la Carife si prende, oltre ai complimenti, anche i due punti. E lo fa con un parziale di 21-0 tra il primo e secondo tempo. Lo fa col saltimbanco Ebi (6 stoppate, 13 rimbalzi e 34 di valutazione), il cinico Collins (6/7 da 3) e l’incursore Ray (sempre più giocatore a due dimensioni). E quando tutti ormai pensavano che Ferrara non potesse avere più nulla dalla panchina, ecco spuntare una gara gagliarda di Zanelli. La crescita della Carife continua, proprio ora che arrivano le sfide salvezza: trasferta a Caserta e Gmac in casa, prima dellla Mission Impossible a Roma. Tornando alla partita con Avellino, la squadra di Valli (nella foto, Ebi) ha tirato molto bene da 3 (10/21, il 47,6%), ma la sua supremazia ala fine è fatta di tanti particolari e di un'eccellente concretezza di squadra. Come detto, elemento findamentale in questo periodo decisivo per la permanenza in A della Carife. Che esce giustamente rinfrancata, se non gasata, dallo scontro con l'Air.

Qui Avellino 77 Continua il momento negativo di Avellino. Compresa quella di Coppa Italia, sono 6 le sconfitte consecutive. Senza luce troppo a lungo, per Avellino non basta l’irruenza di Slay a mettere le cose a posto. Di fronte all’intensità degli avversari l’Air alza bandiera bianca, soprattutto in difesa. Male Diener (-4 di valutazione), ma è davvero difficile dare la sufficienza alla maggior parte dei giocatori biancoverdi. Bocciati senza appello. Ecco, ora per Makovski l'incubo non diventa però fallire i playoff, ma essere risucchiati nella lotta per la retrocessione. Considerato che le prossime due trasferte vedranno gli irpini a Milano e Siena, con in mezzo la Premiata al Paladelmauro, non c'è da stare allegri.

Che fosse difficile ripetere la stagione 2007-2008 era prevedibile, ma che il fenomen Air si sgonfiasse così rapidamente pochi potevano immaginarlo. A Zare il compito di portare a compimento l'ennesimo miracolo, ma non diamo la colpa solo a lui se dovesse fallire l'obiettivo. In simili casi, le responsabilità sono a tutti i livelli.

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Treviso inesistente in trasferta. E così la Premiata stravince

Ennesima sconfitta per i veneti lontano dal Palaverde. I ragazzi di Mahmuti non entrano mai in partita, dominata e vinta dalla Premiata di Finelli già nel primo quarto

di Alessio Berdini

Qui Montegranaro 64 E' passata una settimana, ma sembra una vita. La squadra che solo sette giorni fa veniva seppellita a Biella, oggi entra in campo con una faccia diversa e conquista un vantaggio di 15 punti già nel primo quarto, chiuso 21-6. Un vantaggio che sarà poi mantenuto per tutto l’incontro. Insomma la lezione di Biella è servita, come conferma Cavaliero: «La figuraccia di Biella è servita a svegliarci ed è stata fondamentale. Non ci stavamo, perché siamo noi i primi a metterci la faccia». L’unica nota negativa del giorno in casa Premiata è comunque il fatto di non essere riusciti a ribaltare il quoziente punti nel doppio confronto. Infatti partiva da -15, ma poco importa perché la vittoria è davvero fondamentale in vista delle prossime tre difficili partite, cioè con Siena poi ad Avellino e a Cantù. Ottime indicazioni per il coach dei marchigiani, Alex Finelli, arrivano da un’altra ottima prestazione di Vasileiadis (nella foto), che sempre più si dimostra un acquisto azzeccatissimo per la Premiata. In una partita che ha davvero pochissimo da raccontare il greco mette a referto 22 punti e conferma il suo crescendo. «E’ importante avere dei tiratori forti come Kostas, cui passarla, perché danno sicurezza e così puoi battere le squadre che chiudono l’area» conferma Cavaliero. La partita quindi lascia alla Premiata molte sensazioni positive, tra cui l’ottima difesa che lascia Treviso a quota 50. Il match ha l’andamento che spesso hanno le partite di Montegranaro: grandi vantaggi, come in coppa Italia, con Teramo o Milano: ma stavolta non subisce la rimonta, come successo in quelle situazioni, confermando il miglioramento nell’intensità e nella continuità.

Qui Treviso 50 Continua il mal di trasferta per Treviso. L’unico, a suo modo storico, successo in questa stagione risale alla quinta di andata (66- 65 a Rieti). Ma quel che fa più male è che lontano dal Palaverde oltre che i punti manca anche il gioco. Nel primo quarto Treviso subisce un 33 a -3 in valutazione. Lo svantaggio accumulato nel primo quarto non viene mai coperto, né ci sono veri tentativi di coprirlo da parte dei veneti. Preoccupanti segnali per coach Mahmuti, che cerca spiegazioni per una sconfitta fin troppo brutta: «Abbiamo tirato malissimo nel primo quarto e non siamo più riusciti a recuperare lo svantaggio. Stiamo risentendo delle due partite a settimana e non è facile conservare l’energia». Segnale però preoccupante, proprio in vista delle Final Eight di Eurocup di Torino, per le quali manca meno di un mese. Unico segnale positivo per i verdi è il ritorno di Radoslav Rancik, comunque positivo con 15 punti realizzati in meno di 20 minuti. Una sconfitta che fa male a Treviso, che mantiene il vantaggio nel doppio confronto sulla Premiata, ma perde l’occasione di riavvicinarsi al terzo posto, in virtù delle sconfitte della Virtus Bologna e di Teramo. Quindi aumenta la delusione, anche se Mahmuti tenta di non farne un dramma: «Non è tanto delusione per il risultato, quanto per il gioco. Si può vincere e perdere, ma fa male veder giocare così”. La prossima settimana si torna nell’amato Palaverde dove arriverà la GMac Bologna , che ha bisogno di punti. Dovrà cambiare l’approccio, come stasera la Premiata ha reagito alla sconfitta di Biella. Tra l’altro sarà un remake della finale scudetto di 3 stagioni fa, vinta dalla Benetton, ma adesso quella finale sembra davvero molto lontana.

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Serie a

Eldo, straordinari per i lunghi. Tercas, nessun profeta in patria Frates senza Michelori e Brkic ha cose buone da Darby. I campani Poeta e Amoroso “tradiscono”coach Capobianco. Che si preoccupa per l’attacco di Sante Roperto

Qui Caserta 79 Nella settimana del licenziamento del general manager Betti, la Juve Caserta ritrova serenità, fiducia e due punti ai danni della rivelazione Teramo. Non era facile risollevarsi dopo sei sconfitte in otto gare, ma la Eldo lo ha fatto senza patemi dominando il campo per tre quarti di gara. Senza Michelori e Brkic, Frates ha costretto i suoi lunghi agli straordinari, mentre Darby, all'esordio con Caserta, ha dato ottimi segnali di inserimento ed il futuro è ora meno incerto. «Non era facile vincere contro Teramo con tante assenze e dopo una settimana piena di infortuni. Ora concentriamoci sulle due prossime sfide con Ferrara ed Udine: per noi valgono tutto il campionato» ammette a fine gara Frates. La Juve lo farà traendo le indicazioni utili da una sfida nella quale ha impedito alla truppa di Capobianco di giocare come al suo solito tanto che, a fine terzo quarto, non credeva ai suoi occhi guardando il tabellone (67-51). Perfino il calo nel finale, che ha permesso alla Banca Tercas di risalire fino al 77-74 a 5 secondi dall'ultima sirena, può passare in secondo piano. Caserta può così godersi l’ottimo Foster (nella foto), suoi i canestri decisivi, e una prova eccellente di tutto il collettivo (ben 5 uomini in doppia cifra). Una tirata d’orecchi Frates la riserva solo a Diaz («Deve allenarsi

meglio, può dare di più») e a Slay («E’ tornato in ritardo dagli States e in settimana non si è allenato per due giorni»).

Qui Teramo74 Il ritorno nella natìa Campania tradisce Amoroso e Poeta, i principali assenti della contesa del PalaMaggiò: mai davvero in partita i due, maluccio al tiro e spesso frenati dalla difesa di Diaz e Foster. La striscia di risultati utili della BancaTercas in trasferta si ferma di fronte all’intensità difensiva avversaria ed al calore del pubblico casertano. Ma coach Capobianco, pur mischiando sempre le carte e tentando il jolly della zone-press per molti minuti, dovrà lavorare in settimana sulla concentrazione di un attacco perdutosi per strada (appena 45 punti dopo 27’ e ben 18 palle perse), magari ritrovando anche la verve dei giorni migliori dei suoi esterni. Carrol si è svegliato troppo tardi, Brown è andato a sprazzi, mentre qualcosa hanno provato a farla solo Hoover e Moss, di nuovo sulla strada della Juvecaserta dopo l’avvincente finale che in Legadue lo scorso anno li vide di fronte in casacca Jesi. L’inattesa rimonta nel finale di gara (15 punti recuperati in 4 minuti e mezzo)ed un secondo posto in classifica ancora a portata di mano sono le uniche note liete della domenica all’ombra della Reggia.

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Serie a

Spinelli artiglia la vittoria. Fortitudo, cuore sì, sì ma... Bechi ancora corsaro al PalaDozza e playoff più vicini. Gmac generosa ma sempre nella palude retrocessione. E non è l’unica paura di Gianfranco Lelli

Qui Fortitudo 78 Nella serata che avrebbe dovuto ridare al nostro Campionato la Upper Deck di Alex Scales, il punto esclamativo per Cesare Pancotto, a chiosa di una lunga poesia iniziata col sacco a Siena di una settimana fa lo mette Jamont Gordon. Tuttavia è un epilogo amaro, come un anno fa, quando dopo la vittoria nel derby e la conseguente sbornia, la Fortitudo si fece infilare proprio dai ragazzi terribili di Luca Bechi. Nessun processo a Pancotto, perché la Effe di quest’anno è sempre più Penelope, o se preferite come la mucca dell’Herzegovina. Di bello, anche in una serata poco felice, l’aver ribaltato un passivo di quattordici lunghezze. Break e sorpasso, seppur esiguo, costruito con le seconde linee, con quel Kieron Achara tanto bistrattato da Sakota, ma rivalutato e portato agli onori delle cronache bolognesi proprio dal saggio Cesare.Tutto da rifare per la Fortitudo, anche e soprattutto in virtù delle vittorie delle diretti concorrenti alla salvezza (leggi Ferrara, Rieti e Caserta) ben sapendo che una è in bilico da tempo. E nel breve periodo le trasferte a Treviso e Ferrara, tanto per gradire, giusto per tenere animata un’Aquila che ha smesso di volare come un tempo sotto il cielo del PalaDozza, tuttavia le imprese possono essere all’ordine del giorno, quando ti chiami Fortitudo.

Qui Biella 83 Encomiabili i ragazzi di Luca Bechi ma un plauso va soprattutto al coach livornese che anche in questa

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stagione passa a Bologna. Lo avevamo incontrato nella pancia del PalaDozza un’ora prima della palla a due, e le chiacchiere scambiate ci avevano regalato la sensazione che qualcosa avrebbe inventato per fermare la corsa di una Fortitudo lanciata dopo la vittoria su Siena. Così è stato, imitando l’idea di Andrea Capobianco e la sua Teramo, alternando zona e uomo, imbrigliando i biancoblù con le proprie mani, fredde dall’arco dei tre punti e incapaci di aggredire il sistema di gioco dell’Angelico. Smith e Garri a fare bottino, ma anche Brunner e Spinelli col lavoro sporco. Poi la tripla della staffa proprio del giocatore di Pozzuoli, lui che con Napoli aveva assaporato nel 2006 la possibilità di fare il ratto con la sua Napoli, ma Green spense ogni speranza in una semifinale playoff passata alla storia. Non varrà uguale ma i due punti di stasera rilanciano Biella a ridosso delle otto belle del Campionato anche grazie ad una classifica cortissima, con ben sei squadre in due punti. Ancora una volta, va detto, un premio al lavoro del duo Atripaldi-Baiesi, in rigoroso ordine alfabetico. La linea verde sia in campo che in panchina a fronte di un budget modesto, ben lontano da quello della Fortitudo stravolge ancora le logiche, se mai ce ne fosse una, che chi più ne ha più vince. Oggi non è più così e al PalaDozza in tanti se ne sono accorti, basterebbero quelle cinque squadre che a Bologna hanno trovato la via dell’oro. Ma sono in buona compagnia.


Serie a

Un Hall tira l'altro Quattro triple consecutive dell'ala americana regalano all’Armani Jeans la vittoria (e il sorpasso in classifica) su una Cantù che segna al massimo 18 punti in un tempo

di Paolo Corio

Qui Cantù 64. Quanto sia importante la sfida contro Milano, da queste parti lo fanno capire subito a qualsiasi giocatore arrivi per indossare la maglia biancoblu. Ma l'ennesimo nuovo roster canturino deve averlo capito fin troppo, cioè fino al punto di rimanere bloccato dalla tensione e non riuscire mai a liberare quell'energia che ha portato i brianzoli a occupare stabilmente la zona playoff. «Siamo stati contratti per tutti i primi 20'», è il commento a caldo di coach Dalmonte. «Nel terzo quarto abbiamo corso un po' di più ma non a sufficienza, e poi è arrivata la striscia di Hall che ci ha affossato non solo numericamente ma anche mentalmente». Indicativo - riguardo la tensione di Gaines e compagni - anche il 56% ai liberi: 12 tiri sul ferro su 27 tentativi (contro il 9/11 dei milanesi) che da soli annullerebbero quasi la differenza punti finale. Ma deficitaria per i canturini è stata l'intera prestazione offensiva (17, 12, 18 e 17 i parziali per quarto) così come insufficienti sono state le prove di diversi uomini-chiave, a partire da un Hervè Toure (solo 6 punti e 4 rimbalzi) che forse ha aggiunto alla tensione del derby quella dell'ex ancora in cerca di rivalsa.

Qui Milano 80 Roba da leccarsi i polpastrelli: il gesto ormai caro a Mike Hall irrita non poco i tifosi avversari, ma l'americano può certo permettersi di farlo quando estrae dal cilindro una

sequenza al tiro come quella che stende Cantù in un derby fin lì povero di punti e poverissimo di spettacolo. Dopo quella di Mordente, sono infatti quattro triple consecutive di Hall che in una manciata di minuti spezzano una volta per tutte l'equilibrio del match (da 5457 del 34' al 56-72 del 37') e ridanno la vittoria corsara all'AJ dopo ben quattro sconfitte di fila in trasferta. Se poi pensate che alla fine del terzo quarto l'unico uomo in doppia cifra dell'AJ e di tutto il match era Hollis Price (con 10 punti tondi), capite ancora di più la decisiva importanza di quei quattro siluri: segnarne 12 di fila, in una serata come quella del posticipo, è stata impresa al confine dell'impossibile... E senza l'exploit della sua ala non sappiamo quanto l'AJ sarebbe riuscita a raccogliere i frutti di un atteggiamento tattico capace sì di togliere qualsiasi ritmo alla Ngc ma del quale è rimasta a lungo essa stessa vittima, con la confidenza al tiro e la fluidità di manovra che sono arrivate solo a solco ormai scavato. Ora l'AJ si rilancia verso l'alta classifica, quanto all'Eurolega... quella è già archiviata. Anche e soprattutto da coach Bucchi: «Eravamo arrivati a un punto in cui ci era difficile giocare due partite a settimana. Abbiamo sempre onorato l'Eurolega, ma ora - in un Campionato così equilibrato può essere un vantaggio potersi concentrare su un solo impegno» (nella foto, Hawkins).

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Serie a

MM2, linea per la vittoria Marco Mordente ha ritrovato Milano e ne è diventato capitano. Ai compagni chiede concentrazione per 40 minuti, alla città di essere meno fredda. E rivela l’obiettivo Armani Jeans: andare ai playoff ed evitare Siena. Per trovarla semmai in finale

di Paolo Corio l "bar del Ciccio" stava sotto il ponte della Ghisolfa e aveva una particolarità: lì al lunedì mattina si parlava di basket anziché di Milan e Inter. E ogni lunedì mattina Marco Mordente, allora giovane promessa del basket italiano, andava a farci colazione per il gusto di discutere di palla a spicchi, dalla A in giù. Ma quel bar non c'è più, e a ben guardare non è l'unica cosa di Milano che è cambiata in tutto questo tempo. E del resto anche lui è cambiato: 30 anni lo scorso 7 gennaio, ormai "vecchia volpe del parquet" (come l'ha recentemente definito Massimo Casalini - che ben lo conosce - in una recente telecronaca di Sky), uno scudetto, una Coppa Italia e una Supercoppa alle spalle con Treviso, Mordente è oggi un giocatore alla ricerca della sua definitiva maturità agonistica proprio in quella città che per ben due volte ha lasciato e dove per altrettante è ritornato. A non essere cambiata però è la grinta con cui Mordente affronta ogni partita, qualità che lo faceva capitano dell'Olimpia "ad honorem" prima ancora del diventarlo in

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seguito alla partenza di Bulleri sulla rotta inversa Milano-Treviso. Qualità che dopo tante stagioni nel basket di vertice gli fa ancora mal digerire qualsiasi sconfitta, men che meno se arriva come quella contro l'Olympiakos... L'AJ è stata eliminata con onore dall'Eurolega: c'è solo amarezza o anche la consapevolezza di valere più di quanto i risultati hanno detto sinora? «Al momento (sta parlando con noi proprio all'indomani della trasferta di Atene, ndr) c'è solo una grande amarezza: ancora una volta siamo arrivati a un passo dall'avercela fatta, ma poi siamo rimasti a mani vuote. Una partita che me ne fa venire in mente diverse altre di questa stagione: ad esempio quella sempre di Eurolega contro l'Efes Pilsen, così come quelle in Campionato a Montegranaro o in casa contro la Virtus Bologna nel girone d'andata. Match in cui abbiamo dato il massimo, ma non siamo riusciti a farlo per 40', finendo così per essere

inesorabilmente puniti». Da capitano, imputi tutto ciò a quale fattore in particolare? «A un problema di testa. Non riusciamo a mantenere la necessaria concentrazione per tutto l'incontro ed è questo che fa la differenza tra le grandi squadre e le altre. Vincere significa saper giocare a basket a un più alto livello mentale. Sia chiaro: sono orgoglioso di essere il capitano di questa squadra, costituita da un gruppo di ragazzi che non molla davvero mai, ma per andare lontano dobbiamo imparare a esserci per 40', in difesa come in attacco». Cresciuto nelle giovanili dell'Olimpia, hai ritrovato Milano dopo 6 stagioni altrove: cos'hai trovato di diverso e cosa di uguale? «Rispondo dicendo che sono tornato all'Olimpia proprio perché ora è tutto diverso da quando l'ho lasciata nel 2002: adesso c'è un grande progetto che sta crescendo e che - ne sono sicuro - è


destinato a dare i suoi frutti. Lo dico perché ho grande fiducia nelle persone che lo stanno portando avanti, a partire da Livio Proli, l'uomo che è a capo di tutto. Di uguale, invece, ho trovato una certa freddezza nei confronti della squadra da parte della città. Ma è storia vecchia: a Milano riscaldi i cuori solo se vinci, e comunque penso che stiamo ricostruendo il rapporto con tante piccole ma importanti iniziative. Una su tutte è il lancio della maglia a fine incontro: un'esclusiva del calcio che però stiamo facendo nostra, e che a mio avviso è anche un efficace esempio della forza dello stile Armani». Tu hai fatto il percorso opposto di Bulleri, che a Milano è parso non essersi mai ambientato... Più facile tornare alla metropoli che trasferircisi dalla provincia? «Non sarebbe corretto da parte mia parlare del "Bullo", perché il suo rapporto con Milano è appunto una cosa sua, personale. Posso invece parlare di me e dire che

sicuramente ho scelto di tornare a giocare a Milano ritenendolo un momento di crescita personale, un'esperienza per rimettermi in discussione ma anche per fare un altro passo verso l'alto. Certo è una piazza difficile e sicuramente io rispetto ad altri sono stato favorito dall'averla già conosciuta in tempi diversi e anche dal fatto che la mia ragazza - originaria di Treviso ha scelto di seguirmi per starmi vicino. Senza di lei, e senza la consapevolezza acquisita in passato di certi meccanismi propri di questa città, sicuramente non sarebbe stato così facile riambientarsi». Anche perché a complicare le cose è arrivato pure l'infortunio alla mano... «Sì, anche se devo dire che dal punto di vista funzionale ho davvero recuperato al 100%. Esteticamente è ancora uno spettacolo poco simpatico, perché il tessuto cicatriziale deve ancora rimarginarsi, ma dal punto di vista meccanico è davvero tutto ok. Sono anche contento perché non ho mai perso la condizione atletica e quindi il ritmo

di gioco e la conseguente fiducia nei miei mezzi: sono pronto più che mai a dare una mano ai miei compagni». Per arrivare dove, esattamente? «Per entrare nei playoff con la più alta posizione possibile, tale da evitarci di incontrare Siena se non in finale... Ma per riuscirci - lo ripeto ancora - dobbiamo crescere in concentrazione ed evitare certi black-out offensivi. Esserci sempre con la testa significa anche e soprattutto saper recuperare un pallone in più in difesa e riuscire a trasformarlo in un contropiede vincente: punti che alla fine fanno sempre la differenza». Con la Benetton Treviso sei stato tra gli ultimi a poter assaporare nel 2006 il sapore dello scudetto prima dell'assoluto dominio di Siena: pensi ci sia un modo per batterla? «Sinceramente non lo conosco. Però mi sento ogni volta orgoglioso di poter andare in campo e sfidarla».

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Serie a

Il mistero Aradori, l'uomo-altalena Pietro, grandissimo talento ma forse altrettanta discontinuità. Contro la Premiata sembrava Superman, nella vittoria dell'Angelico a Bologna un fantasma di Franco Orsi opo la vittoria contro la Premiata, la settimana scorsa, tutti a chiedersi se fosse davvero rinato Aradori. Eh già, 23 punti in altrettanti minuti, con la smitragliata delle sette bombe su otto tentativi, ed allora tutti a coccolarselo, a Biella, sperando che fosse finalmente saltato il tappo che conteneva lo straordinario talento del giocatore. E invece, una settimana dopo, nel raid corsaro dell'Angelico al PalaDozza di Bologna, il mintaggio scende a quota 17, ma crolla tutto il resto, fino al mizero zero alla casella punti segnati. E così torna la diceria del ragazzo altalena. Quello che è già passato per Milano, base di partenza in Serie A dopo gli esordi a Casalpusterlengo e l'esperienza a Imola in Legadue, e per Roma senza ruscire a

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convincere del tutto. Oddio, è ancora giovane, i 20 anni li ha compiuti solo lo scorso dicembre eppure tutta l'attesa che c'è sempre stata nei confronti del gioiellino appariva sempre meno spasmodica, anche se il trasferimento a Biella era visto come la grande opportunità di crescere nel contesto giusto: in maniera graduale ma continua. Al suo arrivo a Biella, dopo aver firmato un quadriennale, coach Bechi ne parlà così: «Sono molto contento di poter contare su Pietro, uno dei migliori prospetti del basket italiano: giocatore versatile, grande contropiedista, attaccante con varietà di soluzioni, efficace nell'uno contro uno all'interno del gioco di squadra». All'Angelico, Pietro sta gioando 12.5 punti a partita, segnando 3.9 punti e tirando meglio

da 3 che da 2 anche se il dato è stato sicuramente influenzato dall'impresa balistica contro Montegranaro. Una foto di quella partitissima l'ha messa sul suo profilo di Facebook, dove pure si trovano diversi gruppi di suoi fans, con oltre 1300 iscritti. E dove Pietro dichiara che la sua citazione preferita è: «Se ti dicono che e facile, vuol dire che e dura... Se ti dicono che e difficile, è maledettamente impossibile». Dichiarazione ad effetto e che fa riflettere, perché la carriera di Aradori se non è ancora arrivata ad un bivio comporta ora un necessario salto. Non è facile né difficile, Pietro. Ma probabilmente dipende tutto da te. Dal riuscire a non passare da un 7/8 allo zero assoluto, perché poi è la continuità di rendimento che ti fa rimanere ad alto livello.


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Serie a la controimpresa

Nella vittoria storica della Fortitudo contro la Montepaschi, la scorsa settimana, una nota stridente c’è stata. Curiosamente era del DJ

Strawberry Field for never

di Massimo Zambelli

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Per carità, non possono certo aver tutti il talento per il tiro dalla lunghissima di un Jesus Allen, che anche quando la molla da 400 metri mantiene una grazia degna dei migliori palcoscenici di Broadway (mentre il Nostro, visti i risultati, quando si cimenta nel jumper, tutt’al più assomiglia al tuttofare del Rocky Horror Picture Show). Perciò, se le prime due triple piedi per terra finiscono a lunghezze variabili tranne che nel canestro, fa niente. E non si può nemmeno pretendere che il passaggio dentro illuminante per il lungo, arrivi necessariamente nelle mani di quest’ultimo. Di Magic ce n’è stato solo uno, tutti gli altri son nessuno. 0-6 dal campo e un paio di palloni in fondo al bagno. Non importa, siamo disposti a porgere l’altra guancia. Ma se, con questo po’ po’ di dote, uno s’invola in palleggio nel classico 2 contro 1, affiancato da Mancinelli, che se fa una cosa bene è il contropiede, e al grido di “vi faccio vedere come gestisce il sovrannumero un niuiorchese”, non fa neanche finta di guardare il compagno, andando per la conclusione personale, un attimino le fa girare, le scatole. E siccome ha davanti uno del Montepaschi, mica pizza e fichi, tutto ciò che gli riesce di lucrare, sono due tiri liberi e pedalare. In questa situazione, la conversione di entrambi è un dovere morale. Anche se si dispone di una sensibilità dei polpastrelli così composta: due parti Jim Brewer, due parti Vittorio Gallinari e una parte (il medio, of course) Shaquille O’Neal. Uno su due prevede già, oltre che scuse pubbliche, magari con due righe a pagamento su un quotidiano locale, almeno 800 tiri supplementari alla fine di ogni allenamento, con conseguente doccia ghiacciata, perché ora del ventesimo, il custode si è bello che rotto e se n’è andato a casa, mollando le chiavi della palestra sotto lo zerbino. Ovviamente, Strawberry mette lo zero su due che chiama tremenda vendetta. Per incominciare, le due righe a pagamento diventano due pagine intere, a colori e in caratteri gotici che costano di più (non lo sappiamo, ma a naso dev’essere così). Poi, 3 settimane a portare a spasso il cane di Mancinelli, avendo cura di cambiargli la mantellina a seconda della temperatura, che il botolo è cagionevole. Ma soprattutto, 10 giri di dire/fare/baciare/lettera/testamento, con la scelta delle penitenze affidata a quel buontempone di Lazaros Papadopoulos. Caro Deejay (Television, ah, i bei tempi andati. Quarantenni! Adunata! Vogliate perdonare l’amarcord fuori tema), davvero, qui da noi c’è caso di farsi una posizione anche senza tabellini particolarmente gonfi. Va benissimo l’applicazione difensiva e qualche conclusione ogni tanto, in caso di necessità. Tanto l’hai visto, per l’ultimo tiro c’è Malaventura.

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blog n di Franco Montorro

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alimentare polemiche. Ettore Messina spiega benissimo a pagina 28 la differenza fra gioco duro e gioco sporco, io mi auguro che l'USMSB comprenda la differenza fra comunicazione di parte e informazione per tutti.

La cura dei particolari che è fra le fondamenta dei successi di Siena, non sempre produce effetti positivi. Vedi lo zelo dell'Ufficio Stampa Mens Sana Basket, che evidentemente tiene monitorata la più larga parte possibile di quello che in Italia si dice e si scrive sulla Montepaschi e che interviene direttamente a chiedere spiegazioni, giustificazioni, ma per fortuna ancora non scuse (almeno a me non è capitato) all'organo di stampa che osasse mai esercitare il diritto di critica. Avevo lasciato perdere, mesi

fa, quando uno sconosciuto mi aveva chiesto conto (sic!) dell'anticipazione del passaggio di Datome a Roma. Non lascio perdere ora, tornato in sella ad un nuovo cavallo, quando imparo che dal già citato USMSB è stata chiesta a Radio Nettuno-E'Tv di Bologna copia della registrazione della puntata di Basket Time di martedì 3 marzo, condotta dal sottoscritto, reo – immagino – di aver commentato un intervento di un ascoltatore di Pistoia (maledetti toscani!) che sosteneva una verità: delle sette gare della Final Eight di

Coppa Italia le uniche tre con strascichi polemici sull'arbitraggio erano state quelle con Siena. La mia chiosa era stata: in questa Serie A, finché l'iperfisica Siena vinceva di 20 o di 30 punti (e secondo Dan Peterson, aggiungevo, farlo spesso diventava a posteriori rischioso, perché prima o dopo qualcuno te la farà pagare, quello strapotere) nessuno si lamentava; ma quando la Montepaschi in affanno vince in volata, ogni fischiata viene sezionata decine di volte. Io non l'ho fatto e nel caso non sarebbe stato per

Da Siena a Bologna, sponda Fortitudo: se il capitale sociale della società Parco delle Stelle di Gilberto Sacrati è davvero di 100 milioni di euro, come scritto sabato dal Corriere dello Sport-Stadio, io sono pronto a dichiarare pubblicamente che Larry Bird a basket è stato una pippa. Su entrambi i temi potete scrivermi a franco.montorro@basketville.it Le opinioni più acute, originali, provocatorie saranno pubblicate in questo spazio la settimana prossima.

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l’intervista

Capobianco, the Dreamer

Andrea, head coach della soprendente Tercas, un gruppo che sta bene insieme e che condivide soprattutto la voglia di migliorarsi. E al quale lancia un prciso messaggio: «Nella vita bisogna credere ai sogni» di Guido Paolo De Felice sistono nella vita persone che hanno successo: alcune meritevoli, altre no, alcune che arrivano dove non avevano mai immaginato di poter arrivare per propri meriti e sacrifici, altre no. Decisamente, il caso di Andrea Capobianco è il primo. E’ inevitabile restare affascinati e catturati durante un chiacchierata con il “Capo”: la sua umiltà, la passione per questo sport e per il suo lavoro che pervade ogni sua affermazione, e la sua grande lucidità ed onestà d’animo, non possono lasciare indifferenti e non conquistare a primo impatto.

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Come ha vissuto la sua prima Final 8? «Emotivamente è un qualcosa di impossibile da spiegare, perché per una persona che è nata da zero, sui campi all’aperto di un piccolo paese, dividere lo stesso albergo con i migliori allenatori, le migliori squadre è un qualcosa che non solo ti spinge a dare sempre di più, ma che ti fa capire ancora meglio che il lavoro, lo studio, la qualità delle cose che uno prova a fare quotidianamente, alla fine premiano» Avete disputato finora un campionato eccellente: c’è stato qualche episodio in particolare che vi ha permesso di realizzare appieno quali fossero le vostre reali potenzialità? «Aldilà dei singoli episodi, penso che si possa imparare da tutto, dalle cose positive e da quelle negative. E’ il fatto di vedere i giocatori arrabbiati il martedì perché si è perso una partita, anche contro le grandi squadre, oppure vedere giocatori che si arrabbiano quando non riescono ad allenarsi bene e che hanno voglia giorno per giorno di migliorarsi, anche in dettagli sottilissimi, che ci permette di andare avanti in un certo modo. Pur sapendo che in un campionato difficile ed equilibrato come questo si possono perdere partite di fila con estrema semplicità».

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È realistico proiettare la Banca Tercas tra le prime quattro forze del campionato? Pensare di riuscire a reggere i ritmi indiavolati tenuti fino ad oggi? «Su questo ritmo, inteso come qualità di gioco, non di risultati ovviamente, ci metto la mano sul fuoco, per vari motivi. Noi cerchiamo di fare pallacanestro in un modo ben preciso, seguendo il modello integrato, dove sono fondamentali tutte le componenti: tecniche, tattiche, mentali e fisiche. Al tempo stesso cerchiamo anche di lavorare su queste cose, con uno staff che ritengo di primissimo livello, che mi aiuta sistematicamente a valutare e perfezionare tante cose». Il suo vero esordio in A, tuttavia, avvenne con Avellino subentrando a Giuliani: quanto rammarico ha per non aver centrato quella salvezza, che sembrava disperata a poche giornate dalla fine e poi sfuggita per un soffio? «Io penso che l'amaro in bocca mio e di tutti i miei giocatori sia un qualcosa che purtroppo ci resterà sempre. Soprattutto per quello che ci ha dato Avellino in quel momento: parlo di Avellino città, di Avellino pubblico, che ci è sempre stato vicino nei momenti difficili. Non era facile partire da 07, poi perdemmo la mia prima ad Udine, ma nonostante ciò sempre con i tifosi al seguito, con alcune persone sempre vicine, in particolar modo il d.s. Antonello Nevola, che mi diede una carica incredibile e mi aiutò giorno per giorno a costruire quello che agli occhi di tutti appariva come un miracolo, tranne agli occhi nostri, che ci abbiamo creduto sempre. Però resta un piccolo vuoto, è innegabile, ed è molto lucido il ricordo di ogni singolo giorno di quell'annata perché c'è stato un qualcosa di incredibile». Le prime vere responsabilità da head coach a livello professionistico, però, gliele affida Jesi. Quanto si sente

cresciuto e maturato come allenatore dopo l'esperienza jesina? «A Jesi penso che si è avuto l'incontro con persone speciali, giocatori, pubblico, società: questo incontro tra me e loro ha fatto nascere un qualcosa di forte, che andava oltre un gesto tecnico, oltre un canestro fatto e questo secondo me tante volte permette di vincere una partita in più. Avevo una squadra che invece di piangere sui propri infortuni, ne traeva piuttosto la forza e la consapevolezza di poter far meglio perché c'era un qualcosa di molto più grande che ci univa. Io credo che la grandezza delle persone venga data


dall'interpretazione che danno alle cose: se uno interpreta, significa che tira fuori qualcosa da dentro. I copioni dei film possono essere letti o possono essere narrati da tutti, ma il grande attore è colui che sa interpretare le varie situazioni. I grandi giocatori, le grandi squadre sono quelle che sanno interpretare le situazioni e questo, per me, nasce dai rapporti interpersonali che si creano». Poi quest'anno la scelta di Teramo: cosa l'ha convinta del progetto in particolare? «Lasciare tutta Jesi è stato veramente provante, a partire dai ragazzi dell'Avanguardia, per finire a giocatori, società, città, alle persone dove io andavo a mangiare e fare colazione. Tuttavia, penso che in certi momenti della vita, come quando un bambino diventa adulto, i genitori devono avere la forza di lasciarlo volare: allora ritengo che sia giusto lasciare, avere il coraggio di allontanarsi dalla famiglia, cosa che io ho fatto, e la famiglia per me è fondamentale, è la cosa di cui non potrei mai fare a meno,

ma ho lasciato i miei nipoti, ho lasciato mia madre, per andare dove giustamente credevo che per rispetto per me stesso dovessi andare. Sai, si arriva ad un certo punto dove devi avere rispetto per il tuo lavoro e per i sacrifici che hai fatto per arrivare a un certo punto, e a quel punto le emozioni, l'emotività, le devi necessariamente mettere da parte. Di Teramo, mi colpirono le parole del presidente Antonetti il primo giorno che mi incontrò: io venivo da una finale persa, dove tutti ci riempivano di complimenti, ma avevamo pur sempre perso, e ricordo che mi colpì quanto il presidente sapesse di me, sapere dove avevo allenato, i giocatori che avevo formato, la mia formazione da allenatore, che io avessi un consulente psichiatra, sapeva tutto insomma di me. Il fatto di capire che una persona non mi ha preso perché ha estratto un numeretto, ma mi ha preso perché ha studiato la questione, significa che è una persona che sa cosa vuole, che ha progetti ben chiari in testa, significa che è una grande persona e crede in te».

Lei è anche istruttore e formatore CNA: cosa si sente di dire ad un ragazzo che pensa di intraprendere il non certo breve, e piuttosto tortuoso, cammino per diventare un giorno allenatore nazionale di basket? «Io sono convinto che nella vita bisogna credere ai sogni, e te lo dice uno che ci ha creduto. Al tempo stesso, però, bisogna rimanere con i piedi sempre saldi in terra, cercando di lavorare sui propri sogni, perché le cose dobbiamo guadagnarcele, sudarcele, non cercando scorciatoie, che non servono a niente, bensì cercando di studiare, di sapere che la vita di un allenatore è fatta anche e soprattutto di sacrifici e che per arrivare al raggiungimento di un sogno ci sono mille difficoltà, le quali da un lato non ci devono abbattere, ma anzi devono darci la forza, la capacità di come superarle. Io penso che se uno ha grande passione e spirito di sacrificio, assolutamente deve credere in quello che fa».


legadue

Le battute a vuoto di Casale. La grande regolarità di Veroli All’interno dei nuovi equilibri dei laziali, una costante: Kyle Hines. Nuovo scivolone interno per Reggio Emilia. Roseto: è crisi? di Lorenzo Settepanella n attesa di capire se la LegaDue abbia realmente un padrone, o se il primo posto di Varese sia più il frutto di qualche inaspettata battuta a vuoto di chi, come Casale Monferrato, fino a qualche settimana fa sembrava lanciatissimo per la volata finale, va registrata la grande regolarità di Veroli, per nulla appagata dalla Coppa Italia e consapevole delle proprie chance di promozione diretta (contro i Crabs quarta vittoria nelle ultime 5 gare di campionato).

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La perdita di Jerome Allen ed il ritorno di Dawan Robinson (molto più realizzatore che regista) ha costretto coach Trinchieri alla ricerca di nuovi equilibri, all’interno dei quali ha sempre e comunque avuto un ruolo chiave il regolarissimo Kyle Hines, devastante (22 punti + 16 rimbalzi) anche contro i più leggeri e compassati lunghi riminesi. Regolarità che appartiene anche al piemontese Dowdell (24 punti con il 50% abbondante dal campo anche contro Jesi), meno al resto dell’organico Fastweb, per la seconda volta di fila freddato negli ultimi secondi. Ma stavolta accade sul parquet del Ferraris, finora inviolato. A compiere il miracolo una Fileni Jesi capace di imperversare dentro l’area grazie alla prova totale di Maggioli, insieme a Maestranzi e molto più del duo Boykin-Cuffee ago della bilancia marchigiano. La battuta d’arresto di

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Casale favorisce ovviamente Soresina, trascinata da Bell contro una scialba Scafati (dove il problema non era ovviamente Gramenzi ma la mancanza di un uomo d’area), ma la truppa di Cioppi pare sempre meno brillante di quanto il sontuoso organico costruito dal patron Triboldi potrebbe permetterle. E se le difficoltà finanziarie di Livorno e Sassari sembrano non avere ripercussioni su quanto accade sul parquet, grande insoddisfazione continua invece a caratterizzare la situazione tecnica di chi, invece, problemi di risorse economiche proprio non ne ha. Discorso che vale per Reggio Emilia, nonostante la regolarità di Young (24 punti + 7 Rimbalzi) e l’impennata di rendimento di McGowan (26 Punti + 17 Rimbalzi) scivolata nuovamente in casa, stavolta contro Brindisi (4 uomini in doppia cifra per Perdichizzi, preziosissimi i 14 di Cardinali, forse l’italiano più consistente e continuo dell’organico Enel) per via di una difesa ancora una volta troppo tenera, dopo che la vittoria di Roseto (a sua volta ad interruzione di una preoccupante emorragia durata 6 turni) sembrava lasciar intendere l’inizio di un nuovo campionato. Discorso che vale anche per Venezia, che scivolando in casa contro Pistoia si inguaia come peggio non potrebbe. Gli uomini di Bizzosi cadono nella trappola

tesa da Moretti, la cui difesa è talmente solida da proteggere l’area senza subire nel tiro da fuori (appena 7/31 dall’arco per Bonora & Co), fugando poi ogni perplessità circa la possibile coesistenza difensiva del duo Tyler-Bryan (con il primo capace di spendersi con profitto sui numeri 4 avversari, ed il secondo padrone dell’area e decisivo anche in attacco nei minuti chiave). Il control game in attacco ha poi fatto il resto, nonostante le cattive condizioni fisiche di McCullough. Ma più di tutto ha fatto la mentalità degli uomini di Moretti, capaci di non disunirsi nemmeno sul -11 del 3° quarto. Mentalità e voglia di soffrire che invece sembrerebbero aver abbandonato Roseto, incapace in quel di Faenza di capitalizzare il +15 accumulato nella prima frazione e brutalizzata da un claudicante ma devastante Joe Bunn (39 Punti con 15/19), imprendibile per ogni lungo della Seven. Impalpabile Delonte Holland, ancora visibilmente decontestualizzato dalla manovra di Trullo, inappuntabili le cifre di Lloreda, ma l’idea di base è che la manovra corale non ne tragga grande beneficio. Ma il problema più grande della Seven, ad oggi, si chiama classifica, mentre per Imola (ora 2-0 contro Roseto), a lungo data per spacciata, le prospettive cambiano.


legadue

Intervista a Carlo Barchiesi Difficile trovare uno che fonda una società, l’Aurora Jesi, ne copre tutti i ruoli e arriva a presiederla senza mai sentirsi un numero 1 di Paolo Rosati Le belle favole belle fanno bene allo sport, per quello che raccontano e soprattutto per il loro piacevole e mai scontato lieto fine. Le belle favole appassionano e vanno al di la dei crudi risultati, aiutando, come i sogni di Marzullo, a vivere meglio e in serenità. La bella favola di Jesi si chiama Carlo Barchiesi, sesto presidente nella quarantennale storia dell’Aurora dal 23 giugno 2008, un uomo la cui favola sportiva meriterebbe un posto nel guiness dei primati e forse lo conquisterà quando qualcuno penserà di approfondirne i contenuti. Eh si, perché scartabellando negli almanacchi del basket sarà difficile trovare una figura come Carlo Barchiesi che fonda una società da zero, ne copre tutti i ruoli e arriva a presiederla, con la onesta passione di sempre, senza sentirsi mai il numero uno ma, come dice lui, «uno sempre pronto a far quello che mi veniva chiesto». Come tutte le favole che si rispettino anche la sua inizia

col classico “c’era una volta” che il presidente dell’Aurora ripercorre con la stessa nostalgia e l’orgoglio di sempre: «Fondammo la società nel ‘65 ricevendo l’invito di Don Roberto Vigo, insieme a Gianni Rossetti e Primo Novelli. Non avevamo una sede e facevamo le prime riunioni dentro la portineria dell’Ospedale, di notte, quando Primo Novelli (compianto co-fondatore) era di turno. Pensammo subito al settore giovanile, quando nacquero i Giochi della Gioventù ricordo che prendevamo le iscrizioni nel negozio di famiglia lungo il corso cittadino. Poi all’inizio degli anni 80 decidemmo di fare il grande salto e di costruire una palestra tutta nostra. Eravamo titubanti ma poi il geometra Filonzi ci spronò e ci disse “i soldi me li date un po’ per volta” e noi ci tuffammo e nacque il San Sebastiano, l’unica palestra cittadina che ha solo le righe del campo da basket». Barchiesi ricopre veramente tutti i ruoli, compreso quello

di ultimo allenatore jesino nella stagione 71/72: «Ho giocato con la casacca dell’Aurora, ho fatto l’allenatore ma ho anche svolto molte altre mansioni. Davo una mano a scegliere i giocatori nuovi, accompagnavo i ragazzi del settore giovanile a giocare, staccavo i biglietti all’ingresso quando c’erano le partite e devo dire che la mia è stata una presenza continua in società. Poi sono diventato addetto agli arbitri per alcune stagioni ed infine, dal 23 giugno scorso, ho l’incarico di presidente». - Otto mesi sono sufficienti per un primo bilancio? «Sicuramente si – confessa Barchiesi – quantomeno per dire che l’impegno di presidente è molto grande sia dal punto di vista fisico che mentale. Avevo promesso che sarei stato un presidente molto presente (non salta da 4 anni un allenamento ndr) e così è stato, sorretto da due componenti fondamentali che sono la passione dei soci che mi accompagnano in questo percorso e dal rispetto verso

la nostra società che avverto ogni volta che mi relaziono con il territorio e con il mondo del basket. Tutto questo è un motivo di grande orgoglio per chi, come me, questa società ha contribuito a fondarla e l’ha vista crescere dal dilettantismo fino alla serie A». Da padre premuroso più che da presidente, nutre preoccupazioni per questa creatura chiamata Aurora? «No, per il futuro del basket sono stati mossi passi importanti con le scelte di Meneghin, Renzi e Bonamico che ci fanno sentire in buonissime mani. Spero, anzi sono sicuro che sapranno fare le scelte giuste per il bene del basket e di piazze seppur medio piccole come la nostra in cui il basket rappresenta il primo sport per seguito ed interesse. La Legadue ha fornito costantemente alla massima serie giocatori interessanti, allenatori e dirigenti all’altezza e sono certo che il neo presidente Bonamico saprà valorizzarla nella giusta maniera».

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Donne

Coppa Italia, Faenza in trionfo Lega: Panza dopo Di Marco Parma fa fuori la favorita Taranto ma poi cede alle padroni di casa. Record di pubblico: 4000 spettatori. Fra questi anche Meneghin

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di Antonio Giacomelli e semifinali - In un’ora più consona all’... ammazzacaffè (le due e mezza del pomeriggio) Parma (allenata da un tarantino d.o.c., Maurizio Scanzani) sgambetta la corazzata Taranto, in una partita prima dominata e poi tornata in bilico per l’inevitabile reazione di forza di Zimerle e compagne. Determinante una grintosissima Francesca Zara (26 di valutazione). Se Taranto non ride, Venezia piange. La squadra orogranata nella seconda semifinale è stata investita dallo tsunami Faenza. Considerando anche il turno infrasettimanale interno con Schio, in tre giorni si è ha faticato in due occasioni a superare i quaranta punti. Un periodo non certo ottimale per Andrade e compagne, dopo l’eliminazione beffarda

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dall’Eurolega, con la gestione delle cinque straniere e l’infortunio di Eva Giauro che toglie parecchie opzioni alle rotazioni di Massimo Riga. Questo, ovviamente, senza nulla togliere a Faenza, priva dell’ex Modica e meritevole del risultato. La finale - Un trionfo faentino: dopo l’equilibrio del primo quarto ha decisamente preso la strada di casa. Parma probabilmente ha pagato lo sforzo per l’impresa del giorno prima e l’organico più lungo di Faenza ha consentito un recupero migliore alle padrone di casa che di fronte ad un pubblico record per il femminile (superate le 4000 unità!) ha portato a casa la Coppa Italia edizione2009, con una prestazione sopra le righe di Erkic, eletta miglior giocatrice della finale. Complimenti a Paolo Rossi e a tutto il gruppo che ha saputo non risentire dell’assenza di Francesca Modica, giocatrice importantissima nello scac-

chiere faentino. A Faenza è stata la prima volta di Dino Meneghin presidente di Federazione ad una kermesse del basket femminile ed è stato l’ultimo atto di Mario di Marco da numero uno della Lega (Pasquale Panza di Napoli il suo più probabile successore) che si diceva felice di chiudere il suo mandato in una delle città storiche del basket femminile italiano. Ottimo successo di pubblico ed organizzativo ma dubbi non c’erano: da questo punto di vista, la società del presidente Piombini, è una sicurezza. Assegnare una manifestazione al sodalizio faentino è come metterla in banca. Il neo-presidente della federazione in sede di presentazione, dopo aver ricordato la qualificazione della Nazionale agli Europei di Lettonia (un risultato importante che sembra essere stato messo in frigo troppo velocemente), auspicava italiane protagoniste di questa Final Four.


Serie a2

CAVEzzo, VIA CoL VENTI Girone A: Cavezzo supera anche la trappola Marghera e mantiene il primato della classifica. Zanoli (ottima la stagione del play modenese) dimostra di essere giocatrice da categoria superiore e insieme a Mandache conduce la sua squadra alla ventesima vittoria del campionato. Sulla scia, a due punti di distanza, Lucca che ha piegato in casa Broni. Approfittando del ko di Marghera, ha rafforzato il proprio terzo posto Udine. Domenica sera a Bologna ultima partita con la maglia di Reggio Emilia per Alessia Scopigno (14 punti a partita): dal prossimo week-end giocherà con la Virtus Spezia in B1, che perde Marianna Balleggi per motivi personali. Girone B: Pontedera subisce 20 punti in un quarto da Firenze, poi ne prende altrettanti nei rimanenti trenta minuti e vince, come da pronostico, con largo margine. La squadra di Carretti, quando mancano quattro giornate al termine della stagione regolare, è aritmeticamente prima. Infuocata la lotta in zona salvezza: La Spezia, piegando Siena, continua a dare un senso alla sua stagione riducendo a quattro punti il distacco dalle penultime. Fondamentale anche la vittoria di Rende in casa con il Cus Cagliari secondo in classifica. Ko Alghero ad Ancona con un “trentello” di Sordi. Insomma, un finale di regular-season tutto da vivere.

Bisogna dire che, Zara a parte, non è che le tricolori in campo abbiano lasciato tracce indelebili. Spente le luci, chiuse le tende scure e calato il sipario del Palamokador, tutti a caricare i loro trolley sui pullman per tornare alle rispettive destinazioni perché Sua Maestà il campionato, che si è autocompresso con un turno infrasettimanale in più per far coincidere la Coppa Italia con la festa della donna, torna a chiedere spazio ed attenzione. In programma nel prossimo week-end la nona giornata del girone di ritorno, ne mancano cinque alla fine della regular season Il bigmatch a Priolo dove arriverà Faenza con la sua Coppa Italia in una partita che negli ultimi anni dalle parti del PalAcer è sempre stata particolarmente sentita. Schio viaggerà in direzione

di Cinisello Balsamo e dovrà fare attenzione alle alchimie di Roberto Galli che già all’andata avevano fatto saltare il banco al Palacampagnola. Interessante il match di Parma tra le locali ancora alle prese con l’inserimento della bulgara Tomova e Venezia: all’andata nettissima vittoria veneta sul campo tramutata in 20 a 0 per Parma per l’errore della panchina di casa che schierò per alcuni istanti quattro straniere. Como favorito sul fanalino di coda Ribera mentre Napoli ha l’occasione con Viterbo di regalare la prima vittoria al nuovo allenatore Mariano Gentile, da due settimane sulla panchina partenopea dopo l’esonero di Fossati. Taranto “strafavorito” con Pozzuoli. Punti fondamentali infine in chiave playout tra Umbertide e Livorno: all’andata vittoria per il team di Lollo Serventi.

> SEMIFINALI Cras Taranto - Lavezzini Parma 63 - 66 Umana Venezia - Faenza 44 - 63

> FINALE Faenza-Parma 63 - 51

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Bracco balde show Il Geas, riconquistata la Serie A e trovato uno sponsor di lusso per il basket femminile, propone una pallacanestro fatta da ragazze degne eredi delle “mitiche” anni 70 di Franco Montorro E' stata un'edizione “rosa” del Premio Reverberi, quella che il 23 febbraio ha visto consegnare i riconoscimenti a Francesca Zara, alla Ducato Lucca e soprattutto alla Geas Sesto San Giovanni. Chi ha passato gli “anta” ricorda con simpatia quegli anni in cui un giocatore della maschile veniva presentato sugli yearbook anche con la precisazione della professione (il basket era, nella forma, un diletto) e la squadra più forte d'Italia era quella del Gruppo Escursionistico Alpino Sestese, vera polisportiva. Otto scudetti, cinque consecutivi ed un titolo europeo in nove anni, giocatrici mitiche come Mabel Bocchi, Rosi Bozzolo e Wanda Sandon. Anni d'oro e poi anni di latta, lunghissimi, cancellati la scorsa primavera con la riconquista della Serie A anche se la gioia della promozione è stata stoppata dalla quasi contemporanea scomparsa di Natalino Carzaniga. Dire che Nat era il presidente del Geas sarebbe come dire che Michelangelo disegnava solo fumetti: c'era ed era molto di più. Ereditare il Geas da “Nat” richiedeva forse una buona dose di incoscienza e naturalmente, scuotendo la testa e sorridendo, ad accettare l'incarico non poteva che essere a sorpresa, ma nemmeno tanto, un insospettabile. Mario Mazzoleni, appunto. Docente di Economia, allegria contagiosa e tanta, tanta passione. «Incoscienza, anche», raccontava proprio la serata del Reverberi. O chissà, scherzando, colpo di calore, visto che era luglio, non c'erano molti fondi e non c'era nessuno sponsor e la festa della promozione sembrava destinata a mutarsi in cronaca di una rinuncia annunciata. Invece il tam tam sulle ali della nostalgia di molti procurava intanto la prestigiosa sponsorizzazione Bracco e poi, comunque, l'assemblaggio di una squadra più che dignitosa per la massima categoria e aspettative in larga parte finora mantenute per un campionato di buon livello. Qualche scivolone, qualche perla. Come la vittoria su Venezia che ha attribuito al Geas la simpatica patente di squadra Cipputi: in

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riferimento alle vignette di Altan, una realtà operaia ma di alta produttività anche contro colossi o molossi economici di ben altra portata. Sesta alla pausa della Final Four di Coppa Italia, la squadra di coach Roberto Galli (altro “mitico”), punta diritta ai playoff spinta da Penicheiro e Machanguana ma anche da un bel gruppo di giovani italiane. Semplice, immediato, doveroso citare per prima Giulia Arturi (nella foto), figlia d'arte perché sua madre è Rosi Bozzolo ma anche pretesto per raccontare un'altra bella storia di basket e di vita. Già, perché il padre di Giulia è Franco Arturi, vicedirettore della Gazzetta dello Sport. La bella storia? Partiamo dalla “balla storica”: i giornalisti sportivi non sono tifosi. Lo sono, lo siamo, eccome, altrimenti non avremmo mai fatto questo mestiere. Diffidate di chi vi dice che non è mai stato supporter di una squadra. Ricordatevi però che il tifo è o dovrebbe essere come un cappotto che si appende in sala stampa prima di lavorare e che si indossa, semmai, solo dopo aver messo il punto all'ultima frase dell'articolo o dopo l'ultimo silenzio al microfono. Così è sempre stato Franco Arturi che per il suo Geas è ancora amante silenzioso e di un amore mai espresso sulla “rosea”. Grande professionista, bella storia, eterno Geas al quale avevamo promesso un articolo appassionato, noi che non ne siamo mai stati tifosi, sul basketville degli esordi.


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Il ritorno del Topone Un grande avvenire dietro le spalle? A 66 anni Piero Pasini smette di fare il nonno e prova a riportare Battipaglia in A2 di Antonio Giacomelli

a passione non muore mai. Per davvero. Da due settimane Piero Pasini (a sinistra, nella foto, nsieme a Giovanni Perdichizzi) è il nuovo allenatore della Carpedil Battipaglia, compagine militante nel campionato di serie B1, poule promozione D. Squadra neo-retrocessa ma partita con l’obiettivo più o meno dichiarato di ritornare in A2, il cambio di panchina dopo la sconfitta interna con l’Athena Roma. Direttamente da Forlimpopoli, dove è nato 66 anni fa, il compito di tentare l’impresa è affidato all’esperto “topone”, una vecchia volpe dei parquet di tutta Italia. Il suo ultimo incarico con la femminile a Bolzano: entrato in corsa e raggiunta la salvezza il primo anno, la stagione successiva si chiuse con una cocente retrocessione, anche a causa di un infortunio che tolse di mezzo per tanto tempo Jackie Moore, la punta di diamante, nonché la straniera più costosa e talentuosa a disposizione del coach. Ma nel femminile Piero ha vinto una coppa Campioni ed uno scudetto con il mitico Zolu Vicenza mentre nel maschile ha allenato in tutta Italia conquistando quattro promozioni in A2 (con Brindisi, Vigevano e due volte a Rimini) e tre in A1 (Brindisi, Rimini e Reggio Emilia). L’ultima esperienza nel 2007 a Imola in Legadue. Ora l’avventura di Battipaglia. «Mentre assistevo a Bologna alle Final Eight di Coppa Italia maschili ho ricevuto la

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telefonata della presidentessa Angela Somma che mi ha chiesto la mia disponibilità. In questo momento stavo solo facendo il nonno, per cui ho fatto i bagagli e sono partito». L’esordio non è stato certamente dei più felici: con un’amichevole e due allenamenti all’attivo e con qualche giocatrice non a posto fisicamente, Piero è andato ad affrontare in trasferta quel Ragusa primo in classifica e tra i principali candidati a contedere al suo Battipaglia il salto in serie A-2. Ne è uscita fuori una sconfitta con oltre venti punti di scarto che tuttavia non ha demoralizzato Pasini, che sa benissimo che non poteva andare altrimenti. L’ottimismo infatti non manca: «Ragusa mi ha fatto un’ottima impressione, ritengo tuttavia che la mia sia una squadra in grado di lottare per conquistare l’obiettivo di inizio stagione, infatti qui a Battipaglia ho trovato una buona organizzazione societaria ed una squadra tecnicamente valida. Quello che dobbiamo riuscire a fare adesso è migliorare condizione fisica ed organizzazione di gioco in vista dei playoff che è il momento-clou della stagione, quello in cui vengono definiti tutti i verdetti». Per finire un pensiero di Piero sull’intero movimento: «Mi piacerebbe che ci fosse più interesse rispetto a questa femminile che è fin troppo snobbata e che invece merita di essere seguita con maggiore attenzione e riguardo». Per il momento, bentornato Piero, e in bocca al lupo…

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io, Ettore

Storie di coach: da Daly a pianigiani a... Mourinho Chuck è ammalato e gli mando un grosso augurio. Simone ha una squadra che gioca “hard and together”. Di José apprezzo il coraggio, ma forza Manchester! di Ettore Messina menica senza partita e senza famiglia, visto che le scuole sono chiuse e qualche giorno a casa almeno loro possono farlo. Domenica con storie di allenatori, momenti felici e momenti difficili. Ho conosciuto Chuck Daly a Valencia credo nel 1999, eravamo relatori ad un clinic organizzato dall'associazione allenatori spagnola. Un uomo imponente, elegante, capace di prendere la scena ma di metterti a tuo agio chiacchierando di basket, come se non fosse lui ad avere vinto due titoli Nba e ad aver guidato l'unico vero Dream Team, all'Olimpiade di Barcellona. Allora si era già' ritirato, dedicava molto tempo al golf ma l'acutezza nei commenti, nelle analisi di situazioni di gioco, mi aveva impressionato. E' di oggi la notizia che sta lottando contro il cancro al pancreas, sembrava una di quelle persone intoccabili dalla sorte,con queste righe un affettuoso in bocca al lupo a un grande della mia professione. Domenica con Sky, alle 14 russe, per la

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centesima vittoria italiana di Simone Pianigiani, un record dopo l'altro battuto. Una partita bella, combattuta da Roma ma controllata da Siena con un contributo decisivo di Carraretto e Ress oltre che dei soliti. La gara ha avuto un sussulto quando Roma è arrivata a meno uno a due minuti dalla fine del terzo periodo. Adesso ci gustiamo il punto a punto... appunto: tre palle perse e un tiro "du cazz", come dice Tanievic, da parte romana e parziale senese di 11 a 0 per chiudere il quarto. Particolare non secondario: il parziale coincide con il rientro di Stonerook, dopo una breve sosta in panchina a rifiatare. Siena ha chiuso un po' in riserva ma con pieno merito. Simone alla sua età ha gia' raggiunto obbiettivi importanti, ha davanti un grande futuro, il complimento migliore è che la sua squadra ha un'impronta precisa e gioca insieme e duro. Per dirla cioè all'americana: "they play hard and together". E, per chiarirci, proviamo a spiegarci il giocare "duro". Per me vuol dire giocare al limite del


contatto, cioè giocare la palla o per occupare per primo uno spazio libero, a gambe piegate e busto eretto, senza paura del contatto. Se poi il contatto c'è può darsi che sia lecito o che ci sia un fallo, e in tal caso si fischia, e si continua a giocare. Vorrei tornare sul discorso che in quest giorni, dopo la Coppa Italia, tiene banco e su cui si sono espressi in tanti, ricordando le grandi squadre del passato e ritirando fuori la storia della sudditanza. Intanto c'è differenza, e gli arbitri lo sanno perfettamente, tra giocare sporco e giocare duro. Se gioca duro, nel senso espresso prima, una squadra forte atleticamente è ovvio che la partita sarà giocata con una fisicità elevata, con un mumero di contatti mediamente più elevato. E sarà pià difficile da arbitrare perché i tempi di reazione saranno minimi rispetto ad una partita tra squadre meno atletiche. Il basket è un gioco di spazi e timing, più tempo c'è tra l'azione di un attaccante e la reazione di un difensore nell'andare alla conquista di uno spazio e più facile è giudicare. Tutte le grandi squadre, europee e italiane, e vorrei dire anche americane, sono forti atleticamente e tecnicamente, giocano duro, o "intenso", in cinque e stabiliscono un elevato numero di contatti. Dove l'arbitro non deve sbagliare è nella valutazione di ciò che accade sul lato debole, trascurando contatti gratuiti che fanno diventare la partita sporca e rendono vero quello che temono gli avversari delle squdre forti: menano in cinque, così gli arbitri non fischiano a nessuno o comunque alla fine fischiano a entrambe le squadre lo stesso numero di falli.

E' stato simpatico Gianmarco Pozzecco a dire che quando giocava "sentiva" di avere un trattamento di riguardo, lui e qualche altro campione.Non mi stupisco, l'impressione è che accada perfino nell'Nba, sarebbe interessante chiedere a Facchini o Lamonica cosa ne pensano: probabilmente non sarebbero d'accordo, però la spontaneità di Poz alla fine,purtroppo, ha agitato troppe persone che vogliono vedere il marcio dappertutto. E per restare in argomento, in settimana cena frugale con Lele Molin e Don Sergio Scariolo a parlare, ma va?, di basket italiano e internazionale. Ma il vero argomento, dopo il riscaldamento, è stata la sudditanza... nel calcio. Ora, immaginate che il Seleccionador è interista, io milanista e Molin juventino, quindi tutto è ruotato attorno a Jose' Mourinho.Premesso che deve averne le tasche piene e che il video della sua conferenza stampa èormai un "cult" insieme a quella di Trapattoni ( Strunz...) e a quella di Malesani che da allenatore del Panathinaikos pronuncia 'Caz..." ogni tre secondi... Ho due chiavi di lettura: apprezzo il coraggio di Mourinho di andare con convinzione, la sua, contro un modo di fare che non condivide, chiamando in gioco con nome e cognome due colleghi che evidentemente, a suo giudizio, sono dei pretoni, che predicano bene e razzolano malissimo. Allo stesso tempo godo un po'' da milanista", nel vedere che come Gastone Paperone parla troppo presto e becca tre pere dalla Samp in Coppa Italia. Comunque è uscito allo scoperto, è andato contro il politicamente corretto che è ormai diventato una melassa che avvolge tutti i rapporti e rende impossibile qualsiasi confronto senza sforare nella dietrologia. Quindi voto otto a Mourinho e forza Ferguson e Diavoli Rossi!

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Kevin Garnett: è lui l’ago della bilancia per i Celtics? Grande prova di Boston contro Cleveland, ancora in assenza di KG. Garavinta in difesa, con LeBron James tenuto al 33% dal campo

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molti tifosi e non sorge spontanea una domanda: come mai i Celtics hanno questi sbalzi di risultati? Certo, un calo di forma durante una stagione da 82 partite ci può stare, forse anche due, ma c’è un vero motivo? La prima serie di sconfitte è arrivata dopo il ko con i Los Angeles Lakers e molto probabilmente è entrato in gioco anche la testa, intesa come sudditanza psicologica. Ma dopo essersi ripresi e aver perso ancora con i gialloviola, Boston ha ottenuto 3 vittorie e 3 sconfitte da quando Garnett (nella foto) si è procurato una distorsione al ginocchio. Ok, ci può stare ma una squadra candidata al titolo NBA che annovera nel suo organico giocatori del calibro di Paul Pierce e Ray Allen non può perdere contro Utah, LA Clippers e Detroit. La franchigia di Salt Lake City ha recuperato un vantaggio pazzesco, mentre la seconda squadra della città degli angeli e questi disastrati Pistons non sono ostacoli impossibili. Dunque KG, ala forte da 16.3 punti e 8.8 rimbalzi in stagione è determinante per i campioni in carica? Lo scopriremo solo vivendo. Comunque, poi, grande prova

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di forza dei Celtics, quando hanno ricordato a Lebron e compagni, primi della classe ad Est, che per tornare in finale e lottare per l’anello la strada passa ancora da Beantown. Dopo un primo quarto in cui i Cavs sembravano poter prendere controllo della gara, approfittando anche dell’assenza a centro area di Garnett e del temporaneo infortunio alla caviglia di Rondo, i Celtics hanno cominciato a macinare il loro gioco. A non far rimpiangere KG ci ha pensato Leon Powe, 20 punti e una quantità incredibile di piccole giocate che hanno ribaltato l’inerzia della gara. Accanto a lui ottima prova degli altri lunghi Celtics, sporcata soltanto dal brutto fallo di Glen Davis su Varejao che è costato a Big Baby l’espulsione. Per il resto, solita grande prova di Paul Pierce, che in gare del genere non manca mai di dare il suo contributo (29 punti conditi anche da 9 assist). Ma come al solito la gara per i Celtics l’ha vinta la difesa, capace di tenere il probabile MVP della Lega a 21 punti, con un misero 5 su 15 dal campo. Per il giudizio sull’inserimento di Steph Marbury in biancoverde, passare tra qualche partita. Tornando un attimo indietro nel

tempo,durante la partita tra Nuggets e Celtics, giocata il 23 febbraio al Pepsi Center, è successo qualcosa di tanto strano quanto inaspettato. Kendrick Perkins si trovava a rimbalzo mentre stava per essere tirato il primo tiro dalla lunetta dopo un timeout, quando la mascotte di Denver, “Rocky the Mountain Lion” il nome per esteso, uscendo dal campo ha “palpato” letteralmente il fondoschiena del centro biancoverde (il termine originale utilizzato è stato “to pinch”, palpare o, meglio, pizzicare). Perkins è parso piuttosto indispettito, accennando ad una reazione che, successivamente, è sfumata in un’espressione di disappunto. Non contento, Rocky ha alzato le mani come per togliersi di dosso la responsabilità dell’accaduto e, per finire, si è esibito in una posa per schernire il povero centrone di Boston.


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