Libro antirazzismo

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Comune di Impruneta

Decima edizione della settimana di azione 17-23 marzo 2014 Consiglio Comunale 20 marzo 2014 Contributi dei Consiglieri e della Giunta. 1


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Lillian Kraft - Presidente del Consiglio dà inizio alla seduta Dal 10 al 23 marzo, in occasione della Giornata Mondiale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali che si celebra in tutto il mondo il 21 marzo di ogni anno, l’UNAR - Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali - organizza la 10^ edizione della Settimana di azione contro il razzismo e invita ad una campagna di sensibilizzazione contro tutte le forme di razzismo ed intolleranza. Il Consiglio Comunale di Impruneta aderisce a questo appello iniziando la seduta odierna con personali stimoli dei consiglieri rivolti a sollecitare la sensibilità di tutta la cittadinanza per un fenomeno, il razzismo, ancora così presente e così lesivo della dignità delle vittime e di quella di un Paese che vuole ancora credere nel valore dell’uguaglianza. Come simbolo di questo impegno indossiamo qualcosa di arancione e invitiamo i cittadini, le scuole, le associazioni ad unirsi a noi, domani 21 marzo, colorando di arancione tutto il nostro territorio. Raccoglieremo poi tutti questi nostri pensieri in una pubblicazione che diffonderemo sperando in un coinvolgimento sempre maggiore dell’intera comunità imprunetina.

Note a margine: Razzismo Concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente

superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la ‘purezza’ e il predominio della ‘razza superiore’. Da enciclopedia Treccani.it In realtà non esistano razze superiori per civiltà e purezza genetica ma questa consapevolezza non elimina purtroppo l’ istinto discriminatorio che va costantemente combattuto. “Il razzismo è la massima minaccia per l’uomo, il massimo dell’odio per il minimo della ragione.” (Abraham J. Heschel) Una notizia di cronaca suggestiva: Il Liceo classico “Pietro Colletta” ha dato vita al progetto pilota “Potere alle parole. Beat e rime contro la discriminazioni” Durante otto incontri con il famoso rapper avellinese Gianluca Picariello, meglio conosciuto con il nome di Ghemon, 40 ragazzi del “Colletta” hanno imparato a destrutturare gli stereotipi e i pregiudizi che stanno alla base delle discriminazioni per origine, orientamento sessuale, identità di genere, convinzioni personali e disabilità. Il brano che ne è uscito è un pezzo, che diverrà l’inno della “Giornata mondiale contro il razzismo”. «Se il loro limite è fermarsi ad un’impressione / il pregiudizio ha la meglio sulla ragione» recita un verso del brano.

Francesco Bianchi - Movimento 5 Stelle Il razzismo Cos’è il razzismo: è forse essere bianco o nero, straniero o italiano? Il razzismo secondo me è pensare che il non conosciuto è diverso, pericoloso, strano. Ognuno di noi dovrebbe pensare che il preconcetto va superato con la conoscenza, qualunque persona ci troviamo davanti. Il qualunquismo, l’ignoranza e il disprezzo è la base del razzismo: essere indicati con disprezzo in categorie, non è forse già un fenomeno di razzismo? Sei nero, sei bianco, sei giallo:questo è razzismo. Sei un fascista, un comunista, un grillino, un terrone,

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un crucco, un leghista e potremmo continuare, questa è una forma di disprezzo per chi non è “come noi” non fa parte della nostra cerchia, della nostra conoscenza, della nostra chiusura mentale. Apriamo la mente, parliamo con le persone, ascoltiamo e prendiamo il meglio dagli altri, scambiando pensieri ed esperienze: cresciamo insieme. E quando qualcuno la penserà diversamente da noi non importa convincere, basta spiegare come la pensiamo: poi chi ha torto o ragione, chi vincerà o perderà sarà il tempo a stabilirlo.

Francesca Socci - Il Coraggio di Cambiare Noi abbiamo scelto di approcciare il razzismo attraverso il tema dell’immigrazione con un confronto tra il passato e quello che accade oggi.

“Generalmente di piccola statura e di pelle scura”, certamente “poco attraenti e selvatici”, possibili stupratori, che attentano alla “nostra sicurezza”. Sono parole di una relazione dell’Ispettorato dell’immigrazione, preparata per il Congresso degli Stati Uniti - nell’ottobre 1912 - sugli... italiani. Una pagina di razzismo istituzionale contro gli immigrati che riguarda noi. E’ una questione di vasi comunicanti, si va dove si può sopravvivere o si pensa o si spera di poter sopravvivere altrimenti non ci sarebbe ragione per imbarcarsi e rischiare di annegare e poi di essere rimpatriati, se non ci fosse a monte un bisogno superiore, e lo sappiamo tutti e meglio di tutti noi perche sono milioni gli italiani che nel 900 sono emigrati. Ce lo dovremmo ricordare, oggi che stiamo dall’altra parte. Abbiamo amato l’Odissea, Moby Dick, Robinson Crusoe, i viaggi di Sindbad e di Conrad, siamo stati dalla parte dei corsari e dei rivoluzionari. Cosa ci fa difetto per non stare con gli acrobati di oggi, saltatori di fili spinati e di deserti, accatastati in viaggio nelle camere a gas delle stive, in celle frigorifere, in container, legati ai semiassi di autocarri? Cosa ci manca per un applauso in cuore, per un caffè corretto al portatore di suo padre in spalla e di suo figlio in braccio portato via dalle città di Troia, svuotate dalle fiamme? Benedetto il viaggio che vi porta, il Mare Rosso che vi lascia uscire, l’onore che ci fate bussando alla finestra.

Giulio Scarti - Partito Democratico Pensando al Razzismo mi è venuta in mente un’ immagine, mi è venuto da paragonare il Mondo ad un puzzle, formato da miliardi di pezzi, ognuno con la sua forma, il suo colore, la sua particolarità e il suo posto. Spesso, però, ci dà noia vedere gli altri diversi da noi, preferiremmo avere a che fare con chi si assomiglia, ma non ci rendiamo conto che se l’altro non fosse diverso, proprio come sono diversi

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tutti i pezzi di un puzzle, si perderebbe la bellezza della relazione e il puzzle perderebbe di bellezza. Quindi se vogliamo apprezzare la bellezza del mondo dobbiamo conoscere quale è la particolarità di ogni persona e apprezzare la loro differenza, capire che ciò che l’altro ha di diverso da me è ciò che rende questo mondo bello. Ed è questo il punto di partenza per sconfiggere la piaga del razzismo, se non c’è la relazione e la conoscenza non abbatteremo mai il pregiudizio e la paura, che sono la fonte di molti problemi della nostra società. Come avrebbe detto Giorgio La Pira, abbattiamo i muri del pregiudizio e della paura per costruire ponti fatti di relazione e conoscenza dell’Altro.

Milo Messeri - Partito Democratico “Il Razzismo, proprio come una frontiera chiusa, è un pretesto per trovare delle differenze che ci facciano sentire diversi e migliori, rispetto a chi ci sta di fronte. L'Antirazzismo però, ci ricorda che qualsiasi barriera che ci separi dagli altri, possa essere abbattuta dalla forza del buonsenso".

Alessandro Marilli - Partito Democratico Vorrei intervenire oggi, in occasione della Settimana contro il razzismo, per raccontare un fatto increscioso capitato ad un’amica e compaesana di colore. Una mattina di ottobre del 2013, Mary porto la sua bambina ad un’altalena ai giardini pubblici; li trovò un’ altra bimba di circa 4/5 anni che stava già dondolando ( sua madre era al cellulare distaccata); chiese alla piccolina come mai non fosse andata a scuola, e lei rispose “oggi non sono andata a scuola, perché c’è la maestra nera, e quando c’è la maestra nera, la mia mamma non mi manda a scuola!!” Dopo un primo momento di sbigottimento, ho provato a fare una riflessione: magari, o almeno mi auguro, il problema fra la famiglia della bambina e la maestra di colore non ha niente a che vedere con il colore della sua pelle, ma è limitato alle capacità professionali della maestra. Magari la maestra non è brava a svolgere il proprio lavoro. Oppure ci potrebbe essere una difficoltà di adattamento caratteriale della bimba, nei confronti di una maestra troppo severa. Può succedere! Ma se così non fosse? Ci troviamo di fronte a grossi problemi, due in particolare: il primo è la discriminazione razziale della famiglia della bambina in questione, verso una persona di colore; il secondo, e forse anche più grave, è che qualcuno, in un modo o in un altro, ha messo in testa quelle parole ad una bambina di 4/5 anni!!! Non si nasce razzisti... si diventa!!! E’ per questo che io insisto nel dire che questa lotta, anzi questa guerra alle discriminazioni di qualsiasi tipo, possa essere portata avanti solo educando fin da piccoli i nostri figli a rispettare il prossimo!!

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Concludo citando una frase dell’egregia Rita Levi Montalcini, che grazie al nostro Presidente del Consiglio, sono riuscito a recuperare: NON ESISTONO LE RAZZE, IL CERVELLO DEGLI UOMINI E’ LO STESSO. ESISTONO I RAZZISTI. BISOGNA VINCERLI CON LE ARMI DELLA SAPIENZA.

Francesca Buccioni - Assessore alle Politiche della Formazione e del Welfare Il mio contributo è la condivisione dei progetti didattici in essere negli ultimi due anni in sinergia tra l’Amministrazione Comunale e l’Istituto P.Levi (testo integrale consegnato in forma scritta). La scuola è uno dei luoghi più importanti di socializzazione e di aggregazione, è il punto di riferimento più significativo per la crescita e lo sviluppo del percorso formativo e personale dei ragazzi. Rappresenta il primo ambiente di scambio tra le diverse culture arrivate nel nostro Paese. Occorre, quindi, continuare a promuovere iniziative didattiche finalizzate a creare condizioni favorevoli all’integrazione, che tengano conto non solo delle diversità ma anche delle regole della comunità ospitante. Il potenziamento dell’apprendimento linguistico porta ad una condivisione positiva non solo delle difficoltà ma soprattutto delle soddisfazioni di vedere significativi miglioramenti nella conoscenza della lingua italiana. Con la loro sensibilità e curiosità i bambini e gli alunni, ma anche i genitori di conseguenza coinvolti, sono stati e continuano ad essere i veri protagonisti di questi progetti didattici, protagonisti anche di “viaggi” all’interno della nostra stessa realtà di riferimento, con l’esplorazione della storia, delle tradizioni e delle caratteristiche dei luoghi in cui vivono gli alunni sia italiani che stranieri. Uno sguardo diverso che ci arricchisce e ci porta a riflettere su quale dovrà essere la strada da percorrere per raggiungere una buona convivenza tra gli individui e le comunità. L’arrivo di uno studente nel nostro paese, pur rappresentando un’opportunità per il giovane o il bambino stesso e per la comunità, costituisce per noi una non facile sfida per l’integrazione nella nostra cultura e nei nostri costumi. Tale fenomeno si è progressivamente ampliato in seguito alla normativa sui ricongiungimenti familiari, che pur dando un notevole contributo alla ricomposizione dell’unità familiare e alla prospettiva di condizioni di vita più favorevoli, porta un bambino o un ragazzo ad abbandonare il proprio luogo di nascita, i parenti e gli amici per affrontare spesso un mondo completamente nuovo e molto differente. L’arrivo in Italia comporta anche l’abbandono di una realtà scolastica in cui era magari era già inserito fin dall’infanzia, per affrontare una diversa metodologia didattica e discipline differenti insegnate in una lingua non conosciuta. Spesso l’inserimento in una scuola italiana comporta la perdita di anni di scolarità a causa delle differenze di impostazione dei programmi e della mancanza di competenza linguistica. Naturalmente le maggiori difficoltà riguardano i nuovi arrivi mentre si presenta molto più facile la situazione di quanti nati in Italia o, arrivati in tenera età, hanno potuto frequentare, del tutto o parzialmente, la scuola dell’obbligo nel nostro paese. Si pone quindi il problema di come aiutare le nostre scuole ad affrontare queste tematiche e di

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favorire l’inserimento degli stranieri nei nostri percorsi educativi e didattici in modo da giungere ad una reale INTEGRAZIONE CULTURALE. Inoltre occorre anche aiutare la nostra scuola a far sì che la presenza dei bambini e degli alunni non-italiani costituisca non un freno ma un arricchimento per la costituzione di un patrimonio multiculturale. Naturalmente la prima barriera da abbattere è quella linguistica, vista l’esigenza di condurre i più piccoli ad un livello di competenza linguistica che permetta loro di trarre profitto dagli insegnamenti in tutte le discipline. Anche in quest’ambito – prosegue l’Assessore Buccioni - la sinergia tra il Comune di Impruneta, la Scuola, gli esperti, le famiglie ha portato a esperienze didattiche e di integrazione non banali e non scontate in risposta alle richieste del nostro territorio. Le finalità dei progetti messi in campo in questi ultimi due anni, legate al tema dell’integrazione degli alunni stranieri, non hanno avuto come mission solo quella di accettare semplicemente la presenza dei bambini stranieri, in base alla regolarità o meno della loro permanenza ad Impruneta, ma di integrare la loro esperienza e quella delle loro famiglie con la nostra cultura, le nostre tradizioni per farli sentire a tutti gli effetti parte integrante della nostra Comunità. Scolastica e non solo!”

Il quadro all’interno delle scuole del territorio vede: FREQUENTANTI

a/s 2008- a/s 2012- Note: 2009 2013 Bambini asili nidi comunali 66 57 La percentuale dei bambini stranieri anni dal 10,2 % al 12,38% Totali scuola dell’infanzia sta- 276 261 La percentuale degli alunni stranieri tale anni dal 11.5 .al 19.30% Totali scuola primaria statale 504 449 La percentuale degli alunni stranieri anni dal 13.8 al 17.60% Totali scuola secondaria di pri- 394 402 La percentuale degli alunni stranieri mo grado anni dal 12 al 14.01%

è aumentata in questi 5 è aumentata in questi 5 è aumentata in questi 5 è aumentata in questi 5

Per quanto riguarda l’anno educativo e scolastico 2012-2013, il Comune di Impruneta ha permesso l’attivazione di alcuni percorsi per integrare i progetti puramente curriculari dell’Istituto P.Levi, e in alcuni casi anche per riaffermare la volontà di assicurare una continuità tra l’asilo nido e la scuola dell’infanzia, puntando ad un percorso unitario su ogni bambino per l’intera permanenza nell’ambito scolastico. Per un totale di 13.800 euro. Il focus principale è stato l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua: 1- 5e classi Scuola primaria Paolieri: attività d’aula di potenziamento linguistico per l’inserimento e l’integrazione sociale con la realizzazione di un laboratorio di ampliamento lessicale. 2- Scuole primarie e secondarie di primo grado di Impruneta e Tavarnuzze: “Letture Fantastiche” per ridurre le difficoltà scolastiche derivanti dallo svantaggio linguistico di alunni figli di immigrati. 3- Scuola secondaria di primo grado di Impruneta: attività laboratoriali sull’italiano come seconda lingua finalizzate all’inserimento dello studente all’interno del “Gruppo Classe”. 4- Progetto d continuità tra gli asili nido (comunali e riconosciuti) e la scuola dell’infanzia statale: sono state sperimentate due strade. Una legata alla conoscenza e all’integrazione delle diversità linguistiche e geografiche e un’altra interamente riguardante il sostegno alla genitorialità. “The delle mamme e dei babbi”. Iniziando dal rituale del the preparato alla scuola dell’infanzia, si è lavorato sull’integrazione degli stranieri, non alunni, ma genitori, sfruttando le diverse chiavi di letture offerte da un libro di fiabe “I Bestiolini” che ha per tema la diversità e il rispetto degli altri. “Genitori in classe”. Ovvero una riflessione comune e condivisa sulle e delle diverse culture presenti sul territorio partendo dalla prima esperienza migratoria di riferimento, quella vissuta magari in prima persona dagli stessi genitori “stranieri”. La condivisone ha visto poi approfonditi i temi familiari di ogni vissuto: i piatti tipici preparati a casa, i giochi dell’infanzia, le favole delle diverse tradizioni e culture…) L’obiettivo è stato quello di far vivere l’esperienza della multicultura come dato del quotidiano e positivo, iniziando proprio dai genitori che già per primi hanno vissuto e vivono la diversità.

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Per quanto riguarda l’anno educativo e scolastico in corso, il Comune di Impruneta sta continuando ad investire nell’attivazione di questi percorsi riconoscendo la validità e la necessità degli interventi in programma. Per un totale di 9.600 euro. Il focus principale è stato sempre volto al potenziamento dell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua, guardando all’inclusione dei bambini con diversità di cultura i provenienza. 1- 4e e 5e classi Scuola primaria Sturiale: “Conoscere l’italiano per studiare” per sviluppare quelle competenze linguistiche e comunicative in contesti di vita reale e nelle situazioni scolastiche. 2- 3e classi delle Scuole secondarie di primo grado di Impruneta e Tavarnuzze: “Rafforzamento linguistico e metodologico” per promuovere nei ragazzi quel senso di fiducia nelle proprie capacità di apprendimento e per sviluppare l’abilità di credere nelle proprie potenzialità personali e individuali. 3- Progetto di continuità tra gli asili nido (comunali e riconosciuti) e la scuola dell’infanzia statale: “Giocando si impara a stare insieme” ovvero un progetto multiculturale legato alla convivenza costruttiva in un tessuto sociale multiforme. I bambini della scuola dell’infanzia hanno realizzato visite ai diversi asili nido del territorio, creando delle occasioni dedicate al tema del “Racconto” e condividendo poi con tutte le famiglie la festa finale di fine anno come restituzione del lavoro ai genitori stessi.

Joele Risaliti - Vice Sindaco Ripropongo parte di quanto esposto nella giornata della memoria (questa la versione quasi integrale) A pensarci adesso, la Belle Epoque sembra una festa. Cominciata nel 1889 a Parigi e naufragata in mezzo all’Atlantico del Nord nel 1912. Erano feste da non perdere per niente al mondo quelle del varo della Tour Eiffel e della crociera inaugurale del Titanic. Di quella tragica del transatlantico inaffondabile, della sua eroica orchestra, sappiamo già tutto. I naufragi sono tragedie indimenticabili. Della festa per l’inaugurazione dell’Expo Universale di Parigi possiamo immaginare, la nuova torre in ferro dell’ingegner Eiffel, la più alta del mondo, era stata costruita in due soli anni e doveva essere provvisoria, restare in piedi per la sola durata dell’Expo. Ne era il cancello d’ingresso. Varcandolo si entrava in un mondo nuovo dove si scoprivano cose che dovevano migliorare definitivamente la vita degli uomini. Tutto, a parte la torre, doveva essere definitivo, irreversibile: la luce elettrica, il telefono, l’aspirina, i raggi X, il treno, il cinematografo, la disponibilità di materie prime, la stabilità dei mercati, i viaggi organizzati; anche Einstein e la relatività vengono dalla Belle Epoque. Fuori dalla festa nelle metropoli c’era il popolo degli abissi descritto da Jack London, fuori dalla festa nelle campagne c’era la pellagra che massacrava i contadini. Ma la festa era potente, irresistibile. Di fianco alla Tour Eiffel al tempo dell’Expo c’era uno zoo di specie animali in forma umana; c’era già da una dozzina d’anni. Ospitava selvaggi, le gabbie ricostruivano i loro habitat originali. Si chiamava Jardin zoologicque d’acclimatation. Mangiando liquirizia e bevendo assenzio si passava tra beduini del deserto, pigmei dell’Africa nera, cosacchi delle steppe. Non so come lo zoo si rifornisse dei pezzi più pregiati, come li trattassero, non so se di notte gli dessero una coperta e un pigiama per dormire, se la cucina per tutti fosse ormai quella francese, se (ma si sa che questo è difficile) si riuscisse a far riprodurre le specie in cattività. Non lo so, ma me lo chiedo. Così come mi chiedo quale alibi scientifico avesse rimesso in auge l’ abitudine dell’Impero romano di esibire i barbari nella capitale. Almeno quello dei Romani era un

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bottino militare e la schiavitù ne era un corollario. Alcuni di quei barbari divennero generali romani. Il Jardin zoologique d’acclimatation era il culmine, aberrante solo per noi oggi, di una curiosità alimentata da teorie scientifiche che dimostravano l’evoluzione della razza umana. Bastava guardar dentro le gabbie per provare compassione per loro, i visitati, e consolazione per noi, i visitatori. Consolazione perché almeno è chiaro siamo umani noi; non importa se stiamo bene o male, siamo civili: la nostra razza bianca si è meritata il progresso, ci siamo evoluti, ci siamo tirati su, rispetto a loro siamo avanti di secoli e paghiamo il biglietto per vederli. L’italiano più famoso insieme a Garibaldi era, allora, Cesare Lombroso, la sua smisurata collezione di crani lo rendeva un’autorità mondiale nel classificare e smascherare delinquenti, cretini, prostitute e altre varianti degenerate della razza. I centimetri non sono un’opinione, è quel che uno ci vede a far la differenza. Per Lombroso alcuni criminali nascono tali e sono diversi da noi, sono riconoscibili ma non possono esser puniti, perché è inutile punirli. Sono irrecuperabili, ragion per cui l’umanità ha il diritto dovere di difendersi per estirpare il male da sé stessa. Il razzismo è sempre la riscoperta di qualcosa che c’era già, è un’idea antica ma alla fine dell’Ottocento viene potenziata. Trova una conferma razionale nella scienza. Se c’è stato un tempo in cui gli scienziati son diventati sacerdoti di un culto feroce del progresso, quello è stato, è successo nella Belle Epoque. Anche Francis Galton era uno scienziato famoso, quasi come Cesare Lombroso, ma per noi oggi Galton è soprattutto il cugino di Darwin. Ammettiamolo, non è facile presentarsi nella comunità scientifica come il cugino di Charles Darwin, bisogna lavorare il doppio, dimostrare di non esser un raccomandato. Difficile classificare Galton che nella vita fa l’esploratore, il meteorologo e l’antropologo. Inventa il sacco a pelo, scopre l’anticiclone e come Lombroso s’interessa ai criminali; non ai loro crani ma alle loro mani. E anche grazie ai suoi studi che l’analisi delle impronte digitali diventa strumento d’indagine riconosciuto come scientificamente attendibile in tribunale. Ma non gli basta: Galton raffronta i tipi naturali, prova a misurare le capacità mentali ereditarie, a classificare gli umani per categorie. E evidente in tutto questo l’enorme influenza degli studi del cugino sull’evoluzione nel regno animale. Galton studia l’ereditarietà dei caratteri, si guarda attorno e si chiede perché nascono i criminali, e quelli sbagliati, gli inferiori; perché certi nascono belli e certi brutti? Ma soprattutto: perché nascono le brutte? Se fossero tutte belle sarebbe meglio. Come si può migliorare la specie? L’ideale di Galton è:«Una pupa per ogni secchione». Ma se non si possono obbligare le belle ad accoppiarsi con gli intelligenti, si può almeno fare in modo che i criminali e gli inferiori non si riproducano. Galton battezza una nuova scienza, la chiama eugenetica, ma è difficile tracciarne i confini. L’eugenetica non è un’invenzione, è un principio ispiratore in cui medici, inventori, politici, filantropi, filosofi e un dittatore troveranno i fondamenti, la giustificazione nobile per decidere sulla pelle altrui in nome del bene della nazione, della razza, della società, del quieto vivere, dello stile di vita, della sicurezza, della decenza. L’eugenetica nasce da aspirazioni etiche e porta a storie tragiche. Charles Darwin non accetterà mai la deriva di Galton e di tutti quelli che con il compasso, il metro e i quiz cercavano di stabilire i parametri fra umano e subumano, fra razze elette e razze inferiori, ma suo cugino aveva molti altri estimatori. Uno tra questi ha dato un grande contributo alla diffusione in America delle idee dell’inglese. Alexander Graham Bell è uomo di chiara fama e molti meriti; viene considerato a lungo l’inventore del telefono (anche se, giustamente, per noi italiani, e anchemper il senato degli Stati Uniti dal 2002,

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quello è Meucci). Bell, che era di origine scozzese, diventò cittadino americano. Diventò anche ricco e famoso con la sua compagnia telefonica e fu tra i principali sostenitori del movimento eugenetico in America. Martha’s Vineyard è un’isoletta dell’Atlantico del Nord. Poco tempo dopo che la compagnia telefonica di Bell aveva iniziato a cablare l’America, lo scienziato si recò sull’isola per una ricerca sulla sordità. A quel tempo un quarto degli abitanti ne erano affetti, e per ragioni pratiche il linguaggio dei segni era usato da tutti e tutti lo capivano. Bell si convinse che la sordità era ereditaria e chiamò quella di Martha’s Vineyard una variante peggiorativa di razza umana. Propose di proibire ai sordi di sposarsi perché non si riproducessero. Propose di chiudere le scuole pubbliche per i sordi perché inutili, anzi dannose, perché rendevano più normale la malattia. Lo scienziato Bell non può che lottare contro la peggior malattia che ci possa essere per l’industriale Bell che vende telefoni. I sordi si oppongono al progresso e lui si oppone ai sordi. Ma non è così semplice. Alexander Bell conosceva a fondo il problema della sordità, sua madre era sorda, suo padre era professore di dizione e aveva inventato un metodo di lettura delle labbra e di articolazione di parole per permettere ai sordomuti di comunicare. Anche Alexander aveva insegnato ai sordomuti: professore di Psicologia vocale e dizione all’Università di Boston. Anche sua moglie Mabel era sordomuta ed era una sua ex allieva. La «sua» invenzione del telefono deriva anche da ricerche di Bell per un apparecchio che facesse comunicare i sordomuti. Non si può dire quindi che il problema non gli stesse a cuore, tuttavia per Bell i sordi non dovevano fare figli. Ciò nonostante da Mabel ebbe tre figli, tutti senza problemi di udito. La felice circostanza avrebbe almeno dovuto farlo dubitare della sua certezza sul carattere ereditario della sordità tra generazioni (solo alcuni tipi di sordità sono ereditari). Ma su questo Bell non ebbe ripensamenti. Sapeva naturalmente che se i principi da lui invocati fossero stati applicati prima alla sua famiglia, né lui né i suoi figli sarebbero nati. Tuttavia continuava la sua battaglia. Ormai la logica dell’eugenetica permeava la politica di molti senatori e governatori. Le grandi fondazioni industriali Carnegie, Rockefeller, Harriman, Krupp, finanziavano il movimento e le ricerche sia in America che in Inghilterra e in Germania. Si misurano i cervelli, le percentuali di delinquenti nelle carceri per gruppo etnico, l’ereditarietà dei caratteri spiega quasi tutto, E l’America per prima a usare l’eugenetica come strumento per classificare razze inferiori, per contingentare o respingere gli immigrati come italiani, polacchi, cinesi e irlandesi, per proibire i matrimoni misti. E nel Novecento, tra gli anni Venti e Quaranta, che le idee nate nell’Ottocento trovano applicazione pratica. Hanno una base scientifica, sono ormai accettate da un’élite di medici, politici e gente influente. Gli studi sull’intelligenza umana di cui quelle élite si sentono «giustamente» beneficiarie, perché giustificano la loro posizione di potere e il loro successo, forniscono parametri implacabili per misurare chi è normale e chi non lo è. L’eugenetica ha perso credibilità per gli stermini commessi dai nazisti, ma con meno clamore, per decenni le democrazie nello stesso periodo hanno autorizzato e permesso che decine di migliaia di persone in nome di quella logica venissero sterilizzate, ostracizzate, discriminate. In Europa il paese pioniere delle sterilizzazioni forzate è la Svizzera, ma è difficile tenere il conto e quantificare gli interventi, perché in maniera autonoma e con criteri diversi operavano le singole autorità cantonali e a volte municipali. L’azione è diretta sia verso i malati di mente che verso le minoranze insofferenti alle regole sociali, come gli zingari. In Nord Europa, i paesi scandinavi si distinguono per l’attuazione delle politiche eugenetiche, che cominciano negli anni Trenta e continuano ininterrottamente fino agli anni Settanta.

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La civile Svezia, la civile Danimarca, la civile Norvegia, la civile Finlandia convivono per decenni con impianti legislativi che prevedono l’ostracismo, il controllo, la tutela, la sterilizzazione di intere categorie interne a quelle società. Le idee all’inizio sono cose da poco, molte restano li senza andar da nessuna parte. Altre trovano gambe e camminano, fanno strada, a volte arrivano a un bivio e le strade si dividono.

Il Sindaco - Alessio Calamandrei “Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione, o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano ad odiare, e se possono imparare ad odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell’odio” Nelson Mandela Imparare, da questa parola scaturisce il principio che sta alla base dell’anti razzismo, con un semplicissimo postulato: imparare uguale conoscere, ignoranza uguale razzismo. O meglio il razzismo scaturisce dall’ignoranza e ne è il frutto. Quindi cerchiamo di imparare, tutti quanti, di conoscere, di crescere culturalmente, perché anche e soprattutto da noi dipende il futuro, nella speranza che la parola “razzismo”, diventi per il ventunesimo secolo una parola non più alla ribalta come purtroppo lo è stata per il secolo scorso, ma che entri a far parte a tutti gli effetti di una storia passata.

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