Balarm Magazine | Idee, personaggi e tendenze che muovono la Sicilia | numero 5

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ph. Dodo Veneziano

Il MARCHESE e lo Spirito Santo Nell'esordio alla regia di Lorenzo Bertuglia, le vicende di un "Don Chisciotte palermitano" di LAURA MAGGIORE Leggenda narra che un nobile palermitano, un po’ per invidia, un po’ per fede, decise un giorno di intraprendere un viaggio verso Gerusalemme. Non avendo, però, i soldi per compiere tale impresa, decise di percorrere la distanza tra casa sua e la Città Santa dentro le mura del suo antico palazzo. L’affascinante storia del marchese Ciminna ha ispirato libri e spettacoli teatrali; Lorenzo Bertuglia, ne è rimasto così colpito da sceglierlo per il suo esordio alla regia. Per lui, Ciminna è il “Don Chisciotte palermitano”. Così, all’inizio di quest’anno, “Il Marchese Ciminna e lo Spirito

Santo” è stato presentato al cinema ABC di Palermo, riscuotendo anche un discreto successo. Ma come ha fatto questo ragazzo a coronare questo sogno costato dieci mila euro? «Tutto è cominciato due anni fa con il soggetto e la prima stesura della sceneggiatura – racconta -. L’approccio “da gioco” col tempo è diventato sempre più serio e professionale, ma era necessaria una maturazione, non solo da parte della troupe, ma anche dal punto di vista produttivo perché senza fondi il sogno era destinato a svanire». Un giorno, proprio come in un film, Lorenzo riceve un’eredità. Sono poche migliaia di euro, ma è una partenza che lo incoraggia a cercare un finanziamento pubblico: «ho bussato a tante porte, fino a quando, una Giunta ‘illuminata’ ha deciso di approvare il progetto e mi ha messo a disposizione l’intero paese di Caprileone. Tuttora quando ho cali di autostima, vado lì a sentirmi chiamare maestro». Nel suo cortometraggio, il giovane palermitano, usa una regia semplice, pochi movimenti di macchina, inquadrature quasi statiche perché «quando ti accorgi della tecnica perdi l’effetto film. – spiega - Ostentare i movimenti di macchina é come parlare solo per avverbi: bisogna usarli solo quando serve. Volevo raccontare una storia, piuttosto che dimostrare come so muovere la camera». Nel suo film, Lorenzo, usa il “viaggio” come metafora di un’esplorazione interiore dove cose e persone evolvono da uno stato materiale a uno spirituale. «Mi piaceva analizzare questo cambiamento dall’apparire all’essere» spiega. Un’analisi di vizi e virtù della sicilianità resi attraverso i contrasti tra buio e luce. «Ho dato al mio direttore della fotografia, Dodo Veneziano, delle foto prese da alcuni film per fargli capire cosa volevo – dice Bertuglia - lui mi ha fatto la ‘lista della spesa’. Alla fine avevamo un parco luci da colossal». Sono nate così le atmosfere del film, dove il buio rappresenta una materialità che evolve fino alle inquadrature volutamente sovraesposte della spiritualità. «È stato il mio primo lavoro importante – racconta il giovane presidente dell’Associazione Ottavadarte – un progetto in cui si sottolinea la professionalità con la presenza di un direttore artistico (nonostante si tratti di un corto), Salvatore Pietro Anastasio». Lorenzo, infatti, tiene a sottolineare il lavoro di gruppo svolto: «Il film non è mio, secondo me è stupido dire che il film è del regista, il cinema è il risultato del lavoro di squadra. Il regista è un organizzatore, un direttore d’orchestra che ha il compito di motivare tutti: se la troupe è entusiasta del progetto, il prodotto finale riuscirà sicuramente bene. Io spero d’esserci riuscito». balarm magazine 36

CINEMA

ph. Silvio Zaani

CINEMA

Luca VULLO, dallo zolfo al carbone Nel documentario del giovane regista nisseno l’avventura umana dei siciliani emigrati in Belgio Viaggio al centro della terra. Forse basterebbe questo titolo di verneriana memoria per trasmettere il senso profondo di avventura di cui è permeato il documentario di Luca Vullo “Dallo zolfo al carbone” presentato lo scorso mese di marzo in un’affollata sala del cinema Arlecchino da Ignazio Buttitta e Alessandro Rais. Ma qui non è l’avventura immaginaria ad essere raccontata, quanto l’avventura umana dei siciliani emigrati in Belgio nel dopoguerra per lavorare nelle miniere di carbone. E’ la vicenda della povertà di tanta parte delle nostre province, della voglia di farcela costi quello costi, foss’anche scendere nel ventre della miniera facendo quotidianamente i conti con la paura, il rischio, il sudore, la polvere, il caldo insopportabile, l’attesa - a volte disperata - delle mogli, la sera. Immagine dopo immagine, il regista ricostruisce con la tensione degna di un film d’azione, la storia di quel Patto Italo-Belga che nel 1946 sancì l’impegno del Governo di rifornire le miniere belghe di manodopera a basso costo trasferendo migliaia di operai italiani, siciliani soprattutto, minatori di zolfo o semplici contadini, nelle città di Charleroi e dintorni, con l’offerta di un viaggio a spese dello Stato, di un contratto di lavoro stabile, di un alloggio, di potersi presto ricongiungere con le famiglie. L’arrivo in Belgio riservò, invece, la certezza di un impegno massimamente usurante

di PAOLA CATANIA

di almeno 5 anni nelle miniere, di case ex baracche dei prigionieri di guerra, di condizioni di vita da apartheid, dell’impossibilità di trovare un impiego diverso, perché no, all’aria aperta, di un destino di enfisema polmonare. E tuttavia la massa silenziosa dei nostri uomini lavorò, lavorò e lavorò. Nelle interviste realizzate con il supporto di associazioni locali da Vullo, emerge la proverbiale fierezza dei siciliani, la nostalgia del passato ma anche la consapevolezza di essere riusciti a salvare se stessi e le proprie famiglie dal degrado e dalla fame, l’orgoglio di avere figli e nipoti finalmente integrati nel tessuto sociale. Il sole fuori dal tunnel con cui chiude il regista vuol dire tutto questo. Luca Vullo, nato a Caltanissetta nel ‘79, laureando al D.A.M.S. di Bologna, autore di altre opere di inchiesta (www.lucavullo.it), vuol far girare “Dallo zolfo al carbone” nelle scuole prima di dedicarsi al nuovo lavoro sull’emigrazione in Argentina. I contributi scientifici di Anna Morelli, Girolamo Santocono e Antonio Buttita, di cui ha punteggiato il film fanno, infatti, di questo un tassello emozionante di memoria civile. Senza dubbio, però, è la qualità del racconto che colpisce lo spettatore. Per quadri e con il supporto della musica originale di Giuseppe Vasapolli, sono i protagonisti di allora che stabiliscono il contatto con il pubblico. Che si commuove e comprende. balarm magazine 37


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