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RiNG 02 – NOVEMBRE 2002

The Dreaming – Fabio Timpanaro

.:ALFiERi DELL’iRREALE:. www.project-ring.com


:NOVEMBRE 2002:

Ring#2

SOMMARIO____________________________

[Ring#2]

Rubriche Cover Story: Alfieri dell’Irreale [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (R)umorismo: Metal Gear Strip [di Sator Arepo, STRIX e Gatsu]. . . . . . . . . . Tesori Sepolti: Jumpin’ Flash [di Marco Barbero] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . People: Hiroshi Yamauchi [di Gatsu]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Me Nintendo: GameN [2 di 2] [di Gatsu] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sega Saga: Wow Entertainment [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Opera Rotas: Videogiocatori o memorizzatori di pattern? [2 di 2] . . . . . Il davide Videoludico DUE [di Nemesis Divina]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cotta di Maglia [di Federico Res]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Frames L’insostenibile leggerezza dell’RPG [di Gatsu]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Enada 2002: stato di salute del coin-op [di Paolo “Jumpman” Ruffino] . . God is a Gamer [di Sator Arepo] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mostrare il Videogioco [di Paolo “Jumpman” Ruffino] . . . . . . . . . . . . . . . . . . Play a While, Play Forever [di Joseph Joestar] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indepth ICO [di DarknessHeir] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Super Mario Sunshine [di Federico Res] ......................... Recensioni Super Mario Sunshine [di Emalord e Paolo “Jumpman” Ruffino] . . . . . . . . . . Onimusha 2 [di Emalord e Amano76] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ikaruga [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pro Evolution Soccer 2 [di Sator Arepo] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Super Metroid [di Federico Res] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . F-Zero X [di Federico Res] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Castlevania: Harmony of Dissonance [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . .

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:RUBRICHE:

Ring#2

Alfieri dell’Irreale___

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[Cover Story]

di Nemesis Divina Da qui si decide la rotta. Siamo ad un bivio per raggiungere il quale abbiamo bruciato le tappe in un furibondo e rivoluzionatesi trentennio. A braccetto con l’amato tecnologico, siamo balzati d’era in era sino a giungere ‘qua’, dove nessun sognatore s’è mai spinto prima. Cos’è che muove questa nostra strana passione? Di moti astrusi ed inestricabili è distinta, un vorticare affannato e vociante che mulina i suoi bracci senza mira precisa e che pure, sottilmente, offre scampoli di savietà e un panorama futuro possibile, da taluni auspicato. Quante volte ci siamo chiesti cosa ci attrae del VG? Quante volte abbiamo provato a spiegarlo, a spiegarcelo? Liquidiamo sovente con ‘Divertimento’ l’annosa domanda, emozione che affiora ovunque nell’umano agire e che spesso si arroga il centro delle nostre faccende. Ed è dunque Divertimento la damigella che quieta ci compagna lungo il viaggio nostro? Divertimento è dama piacevole, aggraziata e ben disposta ma rappresenta un traguardo sin troppo prossimo per poterci guidare nel tempo a venire (che ci auguriamo essere molto ancora). I motori del videodivertimento sono incorsi in grandi cambiamenti: se dapprima a scuoterci erano sufficienti pochi blocchi bicromatici, ora a malapena ci smuovono le variopinte legioni poligonali. Il panorama tecnoludico ribolle attorno a noi, el suo slancio verso il futuro sembra non prospettare un termine. E noi ancora miriamo a Divertimento, rimanendo immobili mentre tutto intorno a noi muta? Non Divertimento ma, più largamente, “Sogno”: ecco la nuova fiamma che ci deve guidare nei giorni futuri. Il VG è un linguaggio in continuo variegare, si reinventa e si rilegge ad ogni pagina e con

esso noi pure dobbiamo seguire l’update; preparatevi al download di password rinnovate e degli ultimi aggiornamenti del programma Sogno, perché senza di esso rimarrete fermi ad uno stolto iterare che porta completa fede ad una definizione giurassica: ‘passatempo’. Ma è dunque ‘una perdita di tempo’ quella cui anelate? E’ di vuoto trascorrere degli attimi ciò verso cui muovete? E’ sempre e solo Divertimento la vostra inseparabile compagna? Del Sogno, si diceva. Noi siamo i cavalcatori del fantastico, mutevoli e agili, che manovrano in lande insensate ma a noi tanto gradite, non esiste scenario che non ci abbia accolto e cui non si sia tributato il dovuto saluto. In Sogno, abbiamo sì pure Divertimento, ma molto altro e molto di più. Tutto il ricreabile si stende a perdita d’occhio, lontano sfuma nei contorni ma ci basterà raggiungere quei confini per avere a portata di mano nuove, palpitanti emozioni, pensieri e parole. Eppure Sogno non va scoperto chissà dove, va sem plicemente ritrovato. E’ una chiave che tutti noi possediamo ma che troppi smarriscono strada facendo, abbandonando Sogno per Reale senza intuire che, così facendo, anche il Reale ne esce menomato, privo d’una controparte che ne definisce i confini. E il cuore di Sogno è in noi, non nella macchina. E’ nostra la capacità di far vivere l’irreale, di credere nell’ incredibile e di vedere l’impossibile. Siamo figli dell’illusione e del miraggio di un mondo che va migliorando, edifichiamo dimensioni e universi, ed è dentro di noi (non su schermo) che il videomondo esiste davvero, che pulsa vitale (incurante di pop-up e fps) e in cui i personaggi non sono righe di codice ma esseri vividi e caldi. No, l’Emotion Engine non è dentro

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PS2, ma pulsa nelle nostre teste, in continuazione mosso dall’inesauribile carburante della fantasia; quando viviamo su schermo non stiamo srotolando chilometri di pagine in C++, stiamo piuttosto reinterpretando il Sogno di un Game Designer con gli occhi della nostra mente el gusto della nostra passione. La Console Definitiva siamo noi, poiché quello che si agita nel televisore è un vuoto spettacolo senza un cuore di Sogno. [dissolvenza] comunicazione di servizio: Da questo numero Ring propone uno spazio di discussione riservato ai nostri lettori. Il Forum di Ring si propone come uno spazio dove dibattere, a più livelli, le manifestazioni della videointerazione; saranno previste tanto disquisizioni altissime quanto raccolta di info su questo o quel titolo, parteciperete a cruente hardWAR e pure gioirete nell’attesa dell’ennesimo avvento tecnomessianico. Questo Ring offre, sappiatene fare buon uso.


:RUBRICHE:

Ring#2

(R)UMORISMO_________________________

[Metal Gear Strip]

Storia: Sceneggiatura e disegni:

A cura di:

Sator Arepo STRIX

Gatsu

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:FRAMES:

Ring#2

L’insostenibile leggerezza degli RPG_________

[Del perché e del percome nessun videogioco riuscirà mai a competere con il gioco di ruolo classico]

di Gatsu ________Once Upon A Time Anno 1913. Un simpatico omino, chiamato H.G Welles, pubblica Piccole Guerre, il nonno del wargame 3D come noi oggi lo conosciamo (mi auguro che vi sia noto perlomeno il celebre Warhammer; se pur sfruttando l’11% della vostra materia grigia non capite di cosa sto parlando, bhè, sappiate che si tratta di una sorta di “gioco da tavolo” dove ogni giocatore comanda e gestisce un esercito estremamente personalizzabile di miniature fantasy o fantascientifiche, nel tentativo di raggiungere determinati obiettivi decisi a priori). Nel suo libro, Welles insegnava come ricreare la guerra in salotto, armati solo di primitivi soldatini e di tanta fantasia. Con il passare degli anni, il wargame attira nuovi appassionati e conseguentemente si arricchisce di regole aggiuntive, nuovi modellini, nuove ambientazioni. Basandosi probabilmente sul leggendario War Games del 1962, il bollettino della società Castle & Crusade pubblica nel 1972 un regolamento dedicato alla simulazione di guerra medievale battezzato Chainmail. Il tomo riportava le firme di due ragazzi destinati a diventare famosi: Gary Gigax e Jeff Perren. Narra la leggenda che modificando ed espandendo Chainmail nel corso di svariate sessioni di gioco, Gary Gigax ebbe una geniale intuizione: creare un gioco che lasciasse molta più libertà d’a zione ai giocatori e che permettesse loro di aggirarsi per sinistri e oscuri labirinti sotterranei. L’idea si concretizzò nel 1974, quando assieme a Dave Arneson diede alle stampe la prima, mitologica, edizione di D&D, denominata all’epoca Dungeons & Dragons: Rules For Fantastic Wargames Campaignes Playable With

Paper And Pencil And Miniature Figures. Nacque il primo gioco di ruolo della storia, e per nostra somma gioia i regolamenti seguenti ebbero titoli più corti.

nosce né l’intera trama dello “spettacolo” (o avventura o campagna) né particolari che il personaggio che interpreta NON può conoscere per coerenza con il suo background. » La definizione di cui sopra è lungi dall’essere perfetta ma cercheremo di farcela bastare. Vediamo ora brevemente, prima di passare agli “RPG videoludici”, le differenze fra le tre categorie entro cui si possono classificare gli RPG classici.

______________Definizioni Non ci soffermeremo nell’analizzare la successiva evoluzione del gioco di ruolo nel corso degli anni (troppo lungo, troppo fuori tema), vi basti sapere solo che gli RPG classici possono essere attualmente raggruppati in tre categorie abbastanza distinte ma, volendo, complementari: Sistema Tradizionale, Sistema Storytelling e Sistema Diceless. E’ innanzitutto necessario definire in maniera semplice il gioco di ruolo: «Gioco che consente ai giocatori di impersonare (a vari livelli interpretativi, si va dalla sola interpretazione astratta fino a quella fisica) svariate entità, ognuna (presumibilmente) coerente con l’ambientazione di gioco, dotata di tratti peculiari e personalità ben precisa, sottostante a determinati vincoli dettati dal regolamento (riportati generalmente in una “scheda”) e con background e obiettivi definiti o quantomeno definibili. Giocare ad un gioco di ruolo è come interpretare una parte a teatro, con l’unica differenza che il giocatore NON co-

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Sistema Tradizionale. Nel gioco di ruolo tradizionale, le regole detengono una funzione fondamentale per il corretto svolgimento della sessione. Se da una parte questo avvantaggia la corretta risoluzione di ogni possibile eventualità, dall’ altra spesso inficia pesantemente la scorrevolezza della narrazione. Sistemi del genere presentano spesso problemi come il powerplay (giocatori che tendono a rendere i loro personaggi delle indistruttibili macchine da guerra) e quello di una certa macchinosità di fondo, che limita pesantemente la fantasia del Master (colui che “narra” gli eventi e interpreta tutti i personaggi secondari con cui i giocatori si troveranno ad interagire). Sono generalmente RPG apprezzati dai giocatori più inesperti o da chi non desidera “concentrarsi troppo” sull’interpretazione. Vedremo più avanti che la maggioranza degli RPG videoludici si basano su questo Sistema. Qualche esempio di gioco appartenente a questa categoria si ha con: D&D, AD&D, GURPS, Martelli Da Guerra, Cyberpunk, Shadowrun, ecc. Nota: ognuno dei giochi menzionati presenta un diverso bilanciamento fra regole e am-


:FRAMES: bientazione, tanto che alcuni potrebbero sconfinare in altre categorie anche a seconda della condotta del Master (che ad esempio potrebbe infischiarsene delle regole per favorire la scorrevolezza…Tali pratiche sono tutt’altro che rare nel mondo degli RPG, quindi non prendete per oro colato tutto quello che vi sto raccontando…). Sistema Storytelling. Ritenuto generalmente un “sistema avanzato”, ha la pregevolissima caratteristica di concentrarsi principalmente sullo sviluppo dell’ambientazione e sull’interpretazione dei giocatori rispetto ai loro personaggi. Le poche regole che ci sono, coprono le eventualità più carat teristiche dell’ambientazione a cui fanno riferimento e lasciano al Master la facoltà di improv visare in tutti gli altri casi. Non più costretto da rigidi regolamenti, il Master può anche permettersi di incentrare un’intera sessione sulla narrazione e sui dialoghi fra i personaggi. I giochi che sfruttano questo sistema, affrontano generalmente tematiche “adulte” o comunque favorevoli ad un gioco di stampo più interpretativo che regolistico. Celebre esempio è la collana dedicata al World Of Darkness della White Wolf , che comprende: Vampire : The Masquerade, Mage – The Ascension, Wraith – The Oblivion, Werewolf – The Apocalypse e Changeling – The Dreaming. Impossibile non nominare anche il GDR più “pesante” e discusso della storia (ma per quel che mi riguarda, il più affascinante) Kult: Reality Is A Lie, talmente “estremo” nei contenuti che alcuni dei suoi supplementi furono ritirati dal mercato. Notevole anche The Call Of Cthulhu, basato sui racconti del Solitario di Providence, H.P. Lovecraft. Il nostro confronto con gli RPG videoludici riguarderà soprat tutto l’attuale impossibilità te cnica di replicare questo tipo di approccio al GDR. Sistema Diceless.

Ring#2 Per certi versi simile o addirittura sovrapponibile al Sistema Storytelling, il Sistema Diceless di distingue per una caratteristica fondamentale: la totale mancanza di dadi. Il che non significa necessariamente l’impossibilità di determinare ca sualmente alcuni eventi, anzi, ci sono alcuni sistemi che sfruttano carte, tarocchi o altro e che garantiscono dei risultati di gioco molto diversi da quelli ottenibili con l’utilizzo di un semplice valore numerico. Emblematico il caso di Everway, che tramite evocative illustrazioni, dava spunti a Master e giocatori per continuare a “creare” il mondo di gioco in maniera coerente. Ad ogni modo in questo approccio le regole non hanno praticamente nessuna importanza, caratteristica che lo avvicina notevolmente ad una sorta di teatro improvvisato. Molti giochi Storytelling possono essere adattati a Diceless senza difficoltà, ma il ge nere presenta anche giochi nativi come Amber o il già citato Everway.

___Oriente e Occidente: due diverse scuole di pensiero Concluse le doverose premesse, passiamo ad un argomento che più si addice alle pagine di Ring: la trasposizione videoludica degli RPG. Fin dai tempi del Commodore 16 (probabilmente anche prima, ma per manifesta non-esistenza non posso confermare) ci furono innumerevoli tentativi di trasportare su video il complesso mondo dei giochi di ruolo. Ora, questo articolo non si propone di analizzare nascita e storia dell’ RPG per console/computer, ma piuttosto di determinare perché

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al giorno d’oggi, anche avendo a disposizione macchine potentissime, siamo ancora molto distanti dalla riproduzione di un vero gioco di ruolo. Se ne può sicuramente discutere a lungo (se volete scatenare flame mortali, vi consiglio di porre la questione su it.hobby.giochi. GDR), ma penso che ogni navigato giocatore possa confermare senza esitazione che il vero scopo di un RPG è in primo luogo quello di favorire interpretazione e trama, e solo successivamente quello di simulare qualcosa. Tale principio venne bellamente ignorato nel corso degli anni, tanto che ambedue le principali correnti di pensiero sugli RPG videoludici (occidentale e orientale) tendono piuttosto a concentrarsi sulla simulazione che non sull’interpretazione, seppur con alcune sostanziose differenze. Per favorirne l’analisi mi avvarrò di due recenti titoli rappresentativi di ciascuna categoria: la serie Baldur’s Gate per gli uomini dell’Ovest e quella di Final Fantasy per il popolo dell’estremo oriente. Badate bene che quello che dirò avrebbe lo stesso valore anche rapportando titoli come la saga di Ultima o quella di Diablo con Secret Of Mana, Chrono Trigger, Dragon Quest, Valkyrie Profile, Breath Of Fire et similia. Dunque, partiamo dalla concezione euro-americana di RPG videoludico: è un dato di fatto come Baldur’s Gate consenta una sostanziosa personalizzazione dell’avatar. All’inizio del gioco siamo chiamati a dargli un nome, un sesso, un volto (scegliendo fra varie opzioni/ immagini/modelli), una classe di appartenenza e a stabilirne le caratteristiche di base. Pur dovendo osservare pedissequamente le regole imposte da AD&D (d’altra parte il gioco si avvale della licenza ufficiale del celebre GDR), siamo liberi di creare un personaggio del tutto nuovo, che non “è mai esistito” prima che noi decidessimo di crearlo. Modelliamo il nostro avatar nella maniera che più ci


:FRAMES: aggrada dando il via anche ad una serie di spiacevoli conseguenze: se prima che noi mettessimo mano all’editor il nostro personaggio non ha mai “vissuto”, che schifo di caratterizzazione psicologica potrà avere? Prendiamo per vero il fatto che anche nel gioco di ruolo classico sia regola comune che ogni giocatore crei il suo personaggio dal nulla (in realtà non è sempre così, anzi). Se da una parte i giocatori godono di un certo potere nello sviluppo del proprio alter ego (come può accadere in Baldur’s), spesso sono anche subordinati alle necessità del Master (ad esem pio, una campagna ambientata nelle miniere di mithril può presupporre tutti personaggi nani). Ad ogni modo, anche un personaggio appena creato dovrebbe avere un proprio background e conseguenti obiettivi primari e secondari (es. vendicare l'assassinio della famiglia brutalmente trucidata da un clan rivale e abbandonare le proprie terre in cerca di fortuna per riabilitare il nome in declino della casata di appartenenza), elementi CHE DECIDE IL GIOCATORE e che possono essere attivamente inglobati nell'avventura (fra un evento e l'altro, il Master può decidere di disseminare indizi sui presunti colpevoli), cosa che non trova nessun parallelo nei videogiochi. Il personaggio videoludico occidentale è spesso così neutro che di più c’è solo il bagnoschiuma della Roberts. Tutto questo per ovvie necessità di trama (che non si può modificare a seconda del passato di ogni ipotetico personaggio creato), mentre in un vero RPG il personaggio del giocatore "ha già vissuto" an che se è stato appena creato, e i suoi trascorsi tendono ad influenzare sia il suo presente che il suo futuro. E’ sicuramente vero che nel corso del gioco le circostanze ci costringeranno a decidere per una certa condotta piuttosto che per un’altra (dandoci la sensazione di manovrare un personaggio rispettivamente

Ring#2 buono/malvagio/bastardo/avido /caritatevole, ecc..), ma nonostante tutto, questo tipo di approccio evade più di un requisito fondamentale fra quelli elencati nella definizione di RPG (Gioco che consente ai giocatori di impersonare svariate entità […] ognuna [..] coerente con l’ambientazione di gioco, dotata di tratti peculiari e personalità ben precisa, sottostante a determinati vincoli dettati dal regolamento (riportati generalmente in una “scheda”) e con background e obiettivi definiti o quantomeno definibili). Ci sono alcuni sotterfugi che i programmatori spesso hanno usato per ovviare a questo problema: paradigmatico il caso di Planetscape: Torment, dove il personaggio si risveglia e non ricorda più nulla del suo passato. Caso plausibile, certo, ma per quanto tempo si potrà ri correre al trucchetto dell’eroe che non si ricorda una mazza? Oltretutto, la vera e propria condotta di gioco si avvicina troppo all’approccio ruolisticamente chiamato EUMATE (Entra Uccidi Mostro Arraffa Tesoro Esci), in voga spesso fra i giocatori inesperti e adattabile SOLO al Sistema Tradizionale (l’EUMATE è praticamente inesistente negli altri due Sistemi). Va comunque dato atto a Baldur’s Gate e colleghi di rappresentare piuttosto bene l’universo di AD&D e ambientazioni derivative, con la possibilità di raccogliere migliaia di oggetti, compiere subquest di varia natura (quasi tutte incentrare sul combattimento, purtroppo), guadagnare punti esperienza, risolvere le questioni in modi anche molto diversi fra loro e arruolare i membri del party a seconda delle necessità. Ad ogni modo, questa “Via dell’RPG videoludico all’occidentale” non permette altro che non sia la simulazione del solo regolamento e della parte più superficiale dell’ambientazione di un GDR basato sul Sistema Tradizionale: pur spesso impreziositi da una trama interessante, è quasi del tutto assente la libertà d’azione che dovrebbe

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contraddistinguere un RPG appartenente ad uno qualsiasi dei tre Sistemi. Leggermente più vicino al Sistema Storytelling appare invece l’approccio di una saga come Final Fantasy e dei migliaia di giochi simili prodotti da svariate case Giapponesi fino ad oggi. Sarebbe più giusto dire che i giapponesi tendono ad utilizzare un sistema “misto” fra quello Tradizionale e quello Storytelling, pur favorendo nettamente il primo a dispetto del secondo. Se è vero infatti che molti RPG giapponesi propongono punti esperienza, collezione di armi, oggetti, incantesimi o complesse meccaniche di avanzamento in modo più o meno simile alle controparti occidentali (cambia lo stile, ma la sostanza è quella), è anche vero che nella stragrande maggioranza dei casi tali giochi possono vantare una caratterizzazione dei personaggi di gran lunga più profonda ed una trama generalmente più complessa, fantasiosa ed epica rispetto alle produzioni euro-americane (spesso anche grazie al fatto di non doversi basare necessariamente su un archetipo di “mondo di gioco” già esistente).

Prendiamo qualche eroe tipico della saga: Cloud sarebbe stato lo stesso se il suo passato non fosse stato tanto tormentato? Ma soprattutto, se Cloud non avesse avuto QUEL passato, lo svolgimento di FF7 sarebbe stato lo stesso? E Tidus avrebbe avuto un senso se avessimo potuto crearlo noi dall’inizio? E’ forse un caso che, in FFX, Tidus dica “Questa è la MIA storia”? E’ palese come lo stesso Sakaguchi voglia sottolineare questa differenza fra i


:FRAMES: due modi di intendere il videogioco, ed a questo proposito è essenziale una sua dichiarazione divenuta celebre:”Non penso di poter fare un buon action game, preferisco raccontare storie”. Ecco qui la chiave. Il gioco di ruolo in primo luogo deve raccontare storie, anzi, meglio, deve creare storie con l’aiuto di tutti i giocatori coinvolti. Ovviamente Sakaguchi esagera, ogni episodio di Final Fantasy ci racconta certamente una bella storia, ma ci costringe troppo spesso a combattere per ingannare il tempo. E questo è purtroppo un grave difetto di tutti gli RPG di stampo nipponico (e non solo), quello di rendere valida l’equazione “gameplay di un RPG = tanti combattimenti + compravendita di armi/oggetti + un paio di enigmi insulsi”. Nel prossimo paragrafo vi dimostrerò che esistono numerose situazioni che vengono totalmente escluse dagli RPG per computer/ console per pigrizia creativa e per insuperabili (?) limiti hardware. __________Venezia Dismal Prendiamo ora in analisi il background perfettamente plausibile di un personaggio di Vampiri: I Secoli Bui, versione medievale di Vampiri : La Masquerade: «Valentino Venier nasce a Ve-nezia nell’anno del Signore 1167 d.C. La sua famiglia, i Venier, appartiene alla casta dei piccoli mercanti di spezie, molto diffusa all’epoca. Valentino cresce in una condizione economica abbastanza soddisfacente, tanto che il padre, Mario, si può permettere l’acquisto di una lussuosa abitazione nelle vicinanze di Piazza San Marco (divenuta poi residenza fissa della famiglia), una villa nell’entroterra veneto e decine di ettari di terra lavorati da contadini al suo servizio. All’età di 5 anni Valentino inizia ad essere seguito da un maestro che lo inizia alla scienza e alla filosofia.

Ring#2 Pochi anni più tardi un secondo maestro si aggiunge al primo con il compito di rendere Valentino un provetto musicista. Valentino impara a suonare la fidula e l’arpa, sua grande passione. Il 12 giugno 1180 d.C. la madre viene rinvenuta annegata in un canale. Viene accusato di omicidio Gustavo Tonon, grande rivale del padre, che però viene rilasciato per mancanza di prove. Valentino rimane sconvolto dall’accaduto e da quel momento viene tormentato ininterrottamente da incubi e visioni. Il padre, anche lui molto provato, si rinchiude in sé stesso e si dedica esclusivamente ai suoi affari, facendo decadere drasticamente il rapporto padre-figlio che fino a quel momento non si era mai incrinato. All’età di 20 anni inizia a frequentare Caterina Valdor, una splendida ragazza di Venezia proveniente da una famiglia di rinomati mercanti di stoffe, con la quale si sposa due anni dopo. Caterina si ammala però durante la gravidanza di un male incurabile e perisce durante il parto, portandosi con sé anche Roberto, il figlio appena nato di Valentino. Sconvolto, Valentino, abbandona il padre e la sua città natale per viaggiare senza meta in tutta Europa, alla ricerca di un buon motivo per continuare a vivere. Dopo aver girovagato a lungo, giunge finalmente a Parigi, dove ha occasione di conoscere e di conversare con alcuni dei più importanti filosofi dell’epoca. E’ qui che si stabilisce per alcuni mesi, guadagnandosi da vivere come trovaliere. E’ a Parigi che viene a conoscenza della morte del padre, defunto di morte naturale il 6 dicembre 1190. Valentino mantiene i rapporti con la famiglia di Caterina, scrivendo periodicamente corpose lettere e concedendo loro anche qualche sporadica visita. Durante la sua permanenza in città conosce Vladimir Enrique, attore di teatro drammatico e grande appassionato d’arpa. Fra i due nasce un’ami-

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cizia molto forte, tanto che Vladimir, soccorrendo un Valentino ormai moribondo dopo esser stato assalito per strada da un malintenzionato, decide di rivelargli la sua vera natura, cioè quella di vampiro Cappadocio. Vladimir abbraccia Valentino per sottrarlo alle braccia della morte, ma la gioia di Valentino per questa sua nuova condizione non dura a lungo: con il passare dei giorni si rende conto di essere diventato un mostro assetato di sangue umano. Come se la sua profonda disperazione non fosse sufficiente, anche Vladimir lo abbandona: durante un furioso combattimento con Sebastian Sundin, un Cainita Malkavo di ottava generazione, Vladimir soccombe e viene prosciugato. Sono passati 8 mesi dall’accaduto, ma Valentino non riesce ancora a farsene una ragione , e medita vendetta. Inoltre non si è ancora abituato alla sua condizione di vampiro, e, quando può, si ciba di animali. Conosce solo superficialmente i compiti del suo clan, ma non è molto interessato allo studio della morte. Sogna di poter tornare a vivere a Venezia e rimpiange, ogni giorno di più, la sua condizione di mortale.»

Già ad una rapida analisi mi sembra palese che esistano pochissimi videogiochi che possano vantare fra le loro fila un personaggio tanto realistico e complesso (ma, vi faccio notare, descritto in due colonne). Tralasciamo pure l’ambiente nel quale il nostro Valentino è cresciuto, e trasportiamo la sua vicenda in un qualsiasi mondo fantasy pseudo-medievale: perché quasi nessun viggì ci mette nei panni di un


:FRAMES: personaggio così pregno di carisma? Le risposte sono abbastanza ovvie, e cioè che pur rappresentando un’entità inte ressante, l’applicazione in termini di gameplay del background di Valentino è pressoché nulla. E’ ovvio che non è il personaggio adatto per affrontare centinaia di scontri casuali o di subquest per ricevere particolari oggetti in cambio. Nonostante tutto, le potenzialità espr essive del veneziano sono enormi: basti pensare alla condizione nella quale si trova il nostro neo-cainita, costretto a cibarsi dei suoi simili contro la sua volontà, traumatizzato per la perdita di moglie, figlio e maestro, desideroso di vendetta nei confronti di Sebastian e, soprattutto, condannato a vivere per sempre senza motivi che lo spingano a desiderarlo. Non è difficile immaginare Valentino Venier come protagonista di un film drammatico o di un libro, e allora perché è così complesso immaginarlo come protagonista di un videogioco? La risposta è piuttosto semplice, e si può riassumere prendendo atto dell’inadeguatezza del modello strutturale del videogioco come noi oggi lo conosciamo. Gli RPG sono costretti entro rigidi argini da una scarsa spinta innovatrice di matrice commerciale/ economica (quanti anni sono che ci vengono riproposti in modi sostanzialmente identici?) ma anche da grossi limiti di programmazione e dell’hardware su cui il software è destinato a girare. Perché al nostro personaggio non è concesso di fare la pipì in mezzo alla strada? In un vero RPG si può, e ad ogni azione corrisponde una reazione appropriata (che ne so, il poliziotto lì vicino tenta di arrestarvi per atti osceni in luogo pubblico). Perché non posso insultare un paesano che non sopporto? Perché non posso decidere IO cosa far dire al mio personaggio, senza avvalermi di frasi preconfezionate? Provate a pensare alle potenzialità di una tale applicazione: il paesano che abbiamo insul-

Ring#2 tato potrebbe spargere la voce e far si che in paese il nostro eroe venga visto con diffidenza, o il poliziotto potrebbe dar luogo ad un divertente dialogo dove dobbiamo tentare di convincerlo che in realtà stavamo an naffiando un povero fiore morente. Cosa serve dunque per raggiungere tali risultati, senza che i programmatori impieghino 10 anni per sviluppare un gioco che preveda tutte le nostre possibili azioni? _Ritenta, sarai più fortunato Prima di passare alla soluzione del problema, credo sia doveroso fare una breve panoramica su alcuni giochi che in un certo senso si avvicinano di più al concetto di RPG che vorrei veder realizzato… Va innanzitutto spezzata una lancia in favore dei MMORPG come Ultima Online o Phantasy Star Online. Pur sostanzialmente privi di una “solida trama di fondo” che possa coinvolgere in termini epici il giocatore (nessuno ha notato delle similitudini a livello di storia fra FFX e Il Signore Degli Anelli?), godono del grosso vantaggio di dare all’utente una discreta libertà d’azione e la possibilità di far dire al proprio personaggio quello che si desidera. Che questo poi risulti macchinoso (scrivere con la tastiera mentre si gioca è un flagello) e spesso privo di poesia (Giocatore 1: “Ehi, andiamo a fare il culo a qualche non morto, che mi servono 2000 PX?”; Giocatore 2: “Si, ma aspettiamo anche ErPatata che è andato a ciulare oggetti ad un niubbo che ha appena iniziato a giocare”) è un altro discorso, ma l’idea è sicuramente vincente. Certo c’è la necessità di interagire con altr i giocatori, e la cosa può essere più un difetto che un pregio (per i motivi esposti sopra). Manca ancora una reale libertà d’azione (nel senso che ci è permesso fare solo determinate cose) e la possibilità di parte cipare ad una storia realmente coinvolgente (sorry, NON consi-

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dero coinvolgente pompare il personaggio). Promettente sembra anche essere il famoso Project Ego, recentemente rinominato Fable, che fa sperare per un’interazione nettamente più marcata fra giocatore ed ambiente circostante (cosa che, fra l’altro, è già concessa dal tene rissimo Animal Crossing di Nintendo, che pur non essendo un RPG in senso stretto presenta diverse idee innovative in merito). Vedremo se le promesse saranno mantenute. Personalmente ritengo che lo stesso Shen Mue (1&2) di Yu Suzuki sbatta sul tavolo diverse idee che molti RPG di stampo nipponico (ma anche occidentale) dovrebbero rielaborare ed ampliare (in quanto spesso solo abbozzate), a partire dalla cura maniacale con cui sono riprodotti gli ambienti (basti pensare alla quantità di negozi in cui è bello anche solo entrare a chiedere informazioni), l’opportunità di interagire con ogni abitante, la necessità di lavo rare per guadagnarsi il pane, la possibilità di perdere tempo e soldi semplicemente intrattenendosi nei vari locali o quella di influenzare la trama a seconda delle scelte di gioco.

Molto deludente l’adattamento videoludico di Vampiri La Masquerade, esempio lampante di come NON si dovrebbe rovinare un RPG basato sul Sistema Storytelling: pur tecnicamente valido e supportato da una trama interessante, il gioco si riduce ad un mero clone di Diablo in 3d, caratteristica peraltro lontanissima dalla filosofia di fondo del manuale White Wolf.


:FRAMES: ______Format C: for cortex Il futuro è nell’intelligenza artificiale, o quasi. Se questa conclusione sembra forse troppo ovvia, bisogna anche vedere perché la questione non è così facile come sembra. Cercherò di essere sintetico e chiaro, ma mi sto apprestando ad esporvi qualche interessante concetto di informatica, quindi mi auguro una certa elasticità mentale da parte vostra. Poniamoci intanto un importante interrogativo: perché è difficile far pensare un computer come noi? A questo risponderemo in seguito, per il momento concentriamoci sul QUANTO è difficile far pensare un computer come noi. Per presentarvi la questione, mi aiuterò con il celebre “Problema del Commesso Viaggiatore” che sarà ben noto a tutti gli ingegneri all’ascolto. Un commesso viaggiatore deve visitare un certo numero di città (N); conosce la lunghezza (o il tempo o il costo, a seconda dei casi) dello spostamento necessario per recarsi da una città all’altra: vuole determinare il percorso più breve (o più veloce o più economico) che gli permetta di partire da casa sua e di farvi ritorno dopo aver visitato ogni città una sola volta. Come può fare? Ora, senza entrare troppo nel dettaglio, vi basti sapere che, supponendo ad esempio il numero di città uguale a 6 (N=6), il numero di cammini possibili (non necessariamente più brevi, veloci o economici) è 446. Per N=7, la cifra sale a 2678. E così via, in progressione esponenziale. Va detto che il suddetto problema, rappresentato su carta, può essere risolto (perlomeno finché N è abbastanza basso) da un essere umano in pochissimi secondi, effettuando minimi calcoli, semplicemente perché la nostra capacità razionale ci consente di scartare a priori tutte le possibilità palesemente inaccettabili. Provate ad immaginare il sud-

Ring#2 detto problema per un N molto grande: per risolverlo un computer sarebbe costretto ad effettuare migliaia (quando non milioni) di calcoli, mentre una persona qualsiasi potrebbe essere in grado di trovare la soluzione effettuando al più qualche decina di passaggi. ___Celebrate The New Skin Appare quindi evidente come sia improponibile adottare l’attuale tecnologia per simulare il pensiero umano: se per risolvere un problema relativamente semplice come quello appena esposto sono necessarie montagne di conti, come è possibile pensare di avvicinare la macchina al nostro modo di pensare, così poco definito e in continuo subbuglio? I nostri processi logici sono poco prevedibili e spesso soggetti a migliaia di stimoli diversi, quindi il problema è tutt’altro che elementare. E’ tempo di iniziare a parlare di Reti Neurali. Innanzi tutto, cos’è una Rete Neurale? In parole semplici, può essere definita come una struttura artificiale che può produrre risultati intelligenti, simulando il funzionamento della mente. Ma perché il nostro cervello è così potente (parlo di quello dei redattori di Ring)? Per almeno tre ragioni fondamentali:

1 - elevatissimo numero di neuroni 2 - elevatissimo numero di dendriti, che generano reti di collegamento tra i neuroni 3 - elevato numero di vescicole e funzionamento analogico delle stesse, il che vuol dire che la quantità di sostanze chimiche rilasciate variano impercettibilmente a seconda dei segnali

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ricevuti e dalla direzione da cui provengono e concorrono a generare infinitesime sfumature di valore e combinazioni con altre sinapsi e dendriti So che vi state addormentando, cercherò di concludere qui la parentesi biologica: il ragionamento, quindi, avviene tramite il percorso che le scariche elettriche effettuano all’interno del cervello e tra un neurone e l’altro. I sentieri seguiti dai segnali vengono determinati in base all’apprendimento, secondo determinate mappe neurali. Come questo sia possibile, non lo so, ma credetemi, la meccanica tramite cui funziona la vostra materia grigia è circa questa. Una Rete Neurale artificiale è composta, similmente al nostro cervello, da neuroni. Ciascun neurone è un’entità di elabora zione di valori a sé stante (ma connessa con tutte le altre) e presenta un vettore di ingresso, una funzione di trasformazione, un livello soglia e un valore di uscita. I neuroni vengono generalmente disposti in strati, da cui il nome Reti Neurali Gerarchiche. Il numero di neuroni da disporre su ciascun livello non dipende da qualche legge o regola di costruzione delle Reti, ma dall’esperienza che si è accumulata nel corso del tempo. Non esistono certezze per le Reti Neurali, ma solo dati empirici, esperienza e una certa dose di intuito che deriva dalla familiarità con il problema che si vuole risolvere. Ciascun neurone elaborerà i dati tramite una funzione caratterizzata da una data forma e da parametri che possono essere modificati. La modifica avviene in sede di addestramento della rete, ovvero nel momento in cui la rete impara, generalmente effettuata automaticamente dalla rete stessa e non subordinata agli utenti o ai programmatori. E’ ovvio che utilizzando una Rete Neurale per gestire un RPG, sarà necessario un addestramento preventivo da parte dei programmatori, per impedire che all’inizio del nostro gioco l’AI sia di basso livello e che si porti a soglie


:FRAMES: accettabili solo dopo prolungate sessioni di gioco. Una volta che un neurone ha elaborato un risultato, il valore viene trasmesso ad uno, più o tutti i neuroni dello strato successivo, basando il criterio di scelta sulle precedenti esperienze. La Rete Neurale sopra descritta, può essere realizzata sia a livello hardware (ciascun neurone sarà un piccolo proces sore connesso ad altri esemplari simili tramite piste di ingresso/uscita) che software (ogni neurone sarà un processore virtuale, ovvero una procedura che, giunto il suo turno, effettuerà le elaborazioni che le competono). Ambedue questi approcci presentano svantaggi e vantaggi che dovrebbero essere attentamente vagliati da un’eventuale team di sviluppo hardware/software, ma che io non vi starò ad elencare per

Ring#2 misericordia nei vostri confronti. ______________Here again Appaiono ad ogni modo evidentissimi i vantaggi che l’utilizzo delle Reti Neurali potrebbe portare al mondo dei videogiochi (e non solo), magari incrociandolo con quello dei Sistemi Esperti, entità informati che in grado di specializzarsi in determinati argomenti. Opportunamente addestrata, una Rete Neurale potrebbe permettere un dialogo libero paragonabile solo a quello ottenibile giocando con un altro giocatore (risponderebbe in modo coerente alle nostre sollecitazioni verbali) o ancora farebbe agire i PNG e l’ambiente di gioco nella maniera più logica rispetto al mondo di cui fanno parte, senza appesantire il lavoro dei programmatori che

dovrebbero preoccuparsi solo di addestrare bene la Rete e di creare un’interfaccia utenterete-gioco flessibile e potente. Per il momento questa è solo fantascienza, ma chissà che un giorno gli RPG su computer/ console non possano davvero raggiungere e superare i loro vecchi fratelli cartacei, aggiungendo oltre all’esperienza “creativa” pure quella audiovisiva. “Ci siamo sbarazzati di quel che era brutto. Ci resta da creare il bello” Oscar Wilde _____________Bibliografia - Kaos n°34 – Marzo 1996 – Nexus Editrice - Informatica – Database e Sistemi Informativi vol.3 – Jackson Libri

Enada2002: stato di salute del coin-op_______

[Level Report]

di Paolo “Jumpman” Ruffino E’ stato davvero come fare visita ad un malato. La 30° edizione dell’ENADA, esposizione degli apparecchi da divertimento automatici (leggi “cabinati”), si è svolta alla Fiera di Roma dal 9 all’11 di Ottobre ed ha mostrato lo stato di salute dei coin-op per quel che riguarda la produzione mondiale e l’industria italiana. Ed è stato come far visita ad un uomo anziano, a guardarlo in faccia non ci si può astenere da un confronto tra come era prima, in gioventù, e com’è adesso. Ma il coin-op non fa nulla per uscire bene da questo confronto, anzi perde anche l’onore abbassandosi ad una conversione di un gioco da casa (Pro Evolution Soccer the Arcade) e a cabinati in cui è possibile scegliere a cosa giocare, una volta inserito il gettone, da una lunga lista di vecchie glorie. Insomma, un MAME a pagamento. Ma, ancora come accade per gli anziani, ad essere scanda-

loso non è tanto il naturale invecchiamento o il degrado a cui ci si può ridurre talvolta in età avanzata, ma la totale mancanza di rispetto da parte di chi non sa stimare il lavoro svolto durante il resto della vita. Il videogioco da sala, al giorno d’oggi, non solo è gravato da una povertà di offerte e di idee, ma è anche costretto a combattere nel nostro paese contro l’ottusità di certi provvedimenti legislativi che rischiano di dargli il colpo di grazia. E i videogiocatori, come se non bastasse, se ne stanno infischiando bellamente. L’attività svolta dalla SAPAR AGIS, l’organizzazione che tutela sindacalmente circa 2500 operatori del settore e mette su questa fiera ogni anno dal 1972, sta svolgendo un’attività eroica. La sua proposta di modifica alla legge che sta facendo la fortuna di chi specula con i videopoker è volta a portare chiarezza e trasparenza. La SA-

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PAR si impegna da anni per una regolamentazione che separi videogioco e videopoker, una distinzione necessaria affinché non vengano penalizzati i gestori che non hanno nulla a che fare col gioco d’azzardo, e necessaria anche per evitare disastri come quello avvenuto recentemente in Grecia. La proposta della SAPAR sarebbe dovuta rientrare nel decreto omnibus del 7 luglio scorso, ma nonostante il Governo avesse espresso la sua piena approvazione, al momento della discussione in aula gli on.li Benvenuto, Giorgetti e La Malfa si sono scagliati veementemente in suo sfavore. Anche molte testate giornalistiche hanno visto la proposta della SAPAR come un tentativo di liberalizzare il videopoker quando invece l’obiettivo era esattamente quello opposto. La proposta della SAPAR chiedeva di predisporre gli apparecchi in modo da impedire


:FRAMES: manomissioni dei gestori, limitare la vincita massima a 10 euro (oggi alcuni gestori convertono eventuali vincite con premi in denaro anche di 200 euro, vero e proprio gioco d’azzardo!) e limitare il costo di una partita ad un massimo di 50 centesimi. Infine di proibire il gioco ai minori di 18 anni. Una simile regolamentazione avrebbe permesso di far sopravvivere molti gestori onesti, e capirete quanto questo interessi anche noi videogiocatori che non vorremmo avere nulla a che fare coi videopoker. L’atmosfera per quest’anno è stata molto sotto tono, ed è un peccato perché il lavoro svolto per renderla piacevole è stato fatto. Gli appassionati di videogiochi non hanno trovato moltissimo, ormai si può dire che il videogioco da sala tiri avanti più con le idee originali che con le prodezze grafiche. Konami è andata avanti con la sua serie Mocap proponendo Mocap Golf, un simulatore di golf in cui bisogna impugnare un bastone elettronico con dei sensori di movimento. Ogni spostamento viene percepito e visualizzato su uno schermo posto per terra in cui è raffigurata la pallina da mandare in buca. Muovendo questo stecco del cazzo per l’aria dobbiamo cercare di colpire la pallina virtuale. Risultato: la gente vi prenderà per idioti, e tali vi senti rete nelle prime partite perché riuscirete solo a sfiorare la stramaledetta pallina di merda. Quando vi sarete calmati se avrete ancora voglia di giocare forse troverete in Mocap Golf un buon simulatore, originale nella forma e realistico nell’uso delle strategie. Sempre di Konami è Pro Evolution Soccer The Arcade, già citato in pre cedenza. E’ possibile formulare tattiche e sostituire giocatori come nella versione casalinga, ed anche la giocabilità, a parte qualche modifica nei controlli dovuta al passaggio dal Dual Shock ai bottoni del coin op, è abbastanza fedele all’originale. Da segnalare anche la nuova versione di Dancing Stage

Ring#2 Euromix, sostanzialmente identico al predecessore a parte nuove basi musicali e qualche ritocco grafico. Namco ha presentato Soul Calibur2 e Sega Virtua Fighter 4 Evolution, diverso da VF4 per l’aggiunta di due personaggi e per la possibilità di cambiamenti climatici durante i combattimenti. Ancora da Sega Virtua Striker 2002: più squadre (63), più stadi (13), più poligoni e più intelligenza artificiale, il tutto grazie alla Triforce di Namco, Sega e Nintendo, che a questo punto fanno davvero bene ad unirsi se vogliono fare qualcosa di decente. Divertente Soul Surfer, simulatore di Sega dove nei panni di un surfista dobbiamo compiere una serie di tricks in un certo limite di tempo muovendoci sopra una pedana. Imbarazzante The King of Route 66 (Sega-AM2), simulatore di camion giganti che, in alcuni precisi momenti, chiede al gio-

catore di dare dei comandi vocali in una radiolina collegata al coin-op. Un altro modo per sembrare dei perfetti cretini. Buona l’idea di Sega per Initial D, gioco di corsa in cui possiamo salvare i nostri progressi su una scheda di memoria personale, da inserire ad inizio partita. Idea buona, se mai i gestori italiani ne vorranno sentir parlare. Infine da segnalare Metal Slug 4. Il passaggio da SNK a Mega Enterprise si sente, mancano quegli spunti geniali che hanno reso grande la serie anche se alla fine l’esperienza rimane più che degna della vostra attenzione. Insomma, il coin-op sta male. Per tanti motivi, perché è naturale il passaggio all’home entertainment, perché la faccenda videopoker toglie soldi ai gestori nostrani in modo vergognoso, perché è vecchio e secondo i dottori, a questo punto, non c’è più niente da fare. :AVOID MISSING BALL:

Presentato alla fiera ed edito dalla stessa Sapar, Avoid Missing Ball è un testo decisamente interessante per gli obiettivi che si propone e per il modo con cui li raggiunge. Marco Cerigioni, l’autore del libro, è da anni attento agli sviluppi del mercato del coin-op, come dimostra la sua attività presso la rivista Automat, testata dedicata all’intrattenimento a gettone ed organo della stessa Sapar. Con questo testo vuole ripercorrere la storia dei videogiochi da sala che, per quanto strano possa sembrare, non è mai stata fatta in modo adeguato. Cerigioni lascia da parte il mercato casalingo ed offre un quadro completo del mercato coin-op, comprensivo anche di quegli anni a noi più vicini in cui questo settore ha perso il suo ruolo dominante. Più che una limitazione, la scelta di analizzare solo il coin-op permette di approfondire aspetti altrimenti sottovalutati. Ma a rendere più piacevole la lettura sono soprattutto i continui riferimenti al nostro mercato, a come i coin-op sono arrivati in Italia e a come sono stati accolti. Attraverso aneddoti e statistiche che difficilmente si possono trovare in altri testi, Cerigioni offre spunti di riflessione e fornisce dati significativi anche sulle industrie di coinop nostrane che pure si sono dimostrate valide concorrenti sul mercato internazionale (Zaccaria in primis). Molto il materiale attinto da una fonte preziosa come la rivista Automat, in attività da ormai 30 anni, e molti gli spunti che po -trebbero interessare chiunque voglia approfondire le proprie conoscenze sulla storia dei videogiochi. Due difetti sono però da considerare. Il primo, poco grave, è la tendenza di Cerigioni a mettere l’articolo davanti ai nomi dei videogiochi (il Pong, il Pac Man, la Sega Daytona…), deformazione professionale che alla lunga infastidisce! Secondo problema è la difficoltà nel reperire questo testo, per il quale bisogna contattare la stessa Sapar sul sito www.sapar.it o all’indirizzo e-mail: sapar@sapar.it. Marco Cerigioni Avoid Missing Ball: trent’anni di storia dei coin-op videogames in Italia e nel mondo Sapar editore –332 pagine – 25 euro

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:FRAMES:

Ring#2

God is a Gamer_________________________

[Intervista al padre del mondo così come lo conosciamo]

di Sator Arepo __________Dietro le quinte «Buongiorno, sono Roxy e sto chiamando dagli uffici del Paradiso, se per lei va ancora bene, posso fissarle un incontro di quaranta minuti con il CEO.» Mai messaggio in segreteria causò un simile spruzzo di cibo in via di deglutizione. Quella nata come una proposta cabarettistico/provocatoria per il secondo numero di Ring, era stata accolta senza problemi dalle alte sfere celesti; e senza la richiesta di visionare prima le domande. Era incredibile. Era uno scherzo? Sarei rimasto ateo ancora a lungo? Con tali quesiti a corto raggio sul glottide, prendo l’eurostar per la capitale e mi presento in perfetto orario, bello come il sole, alla reception degli uffici vaticani. Roxy – che scopro essere la segretaria factotum del Padre dell’umanità – mi accoglie con un sorriso da srotolameto di lingua fino al pavimento. Mi stringe la mano, la pelle levigata ed un profumo angelico, mi consegna alcuni depliant e mi accompagna in quella sala con quell’affresco ispirato alla copertina del doppio album dei Guns ’n’ Roses. Una leggera pressione sul pulsante nascosto sotto il piede di San Loreto da Cigoli, ed un tubo in plexiglass compare al centro della sala. Alla base dello stesso giunge una pedana in stile Metroid, sulla quale montiamo. Pochi istanti dopo sono in grado di vedere le previsioni del tempo senza l’ausilio della computer grafica. La terra diventa sempre più piccola mentre l’ascensore sale alla velocità del pensiero; certo non il mio, troppo concentrato sulla scollatura di Roxy. Il Paradiso non è male. Le strade presentano

concentrazioni minime di accattoni e i palazzi sono tutti coloratissimi e tondeggianti. Sembra di essere in un sogno di Gaudì. O in un videogioco Nintendo. Mentre salgo la scalinata che conduce all’ufficio del Big Boss, mi ricordo di una cosetta. Non mi confesso dal ’91. Ho decine di peccati non denunciati. Sono un evasore confessionale. Mi chiedo se Dio possa essere al corrente di questa macchia nel mio curriculum. Proprio mentre un portone bianco si apre, rivelando un ufficio più ikeiano di quanto non fossi disposto a credere, mi persuado che no, Dio non può certo essere ovunque nello stesso momento…

disegnano la storia della Bibbia a fumetti… Comunque fino a poco tempo fa avevo proprio quel look. Decisi di smetterlo in seguito all’ incendio in una convention di tolkeniani a Phoenix, accaduto qualche anno addietro. Tutti quegli appassionati di fantasy periti tra le fiamme, per un madornale errore degli impiegati celesti, finirono qui in Paradiso. Ed allora non ti dico che due palle ogni volta che li incrociavo: «Wow, he’s Gandalf!» gridavano, e poi tutti a chiedermi autografi in elfico e a tagliarmi frammenti di barba per farci non so quale pozione magica, o per venderli su internet, non ricordo.

____L’ intervista da Pulitzer Ring: Prima di tutto mi lasci dire che la immaginavo diverso. Dio: Diverso in che senso? Ti aspettavi di essere ricevuto da un triangolo con un occhio al centro? Oppure avevi in mente la classica figura del vecchiobarba-lunga-capelli-lunghibianchi? Ring: La due! Dio: Sì, è un’immagine classica, presente, tra l’altro, anche su quel soffitto dipinto… Ring: Intende la Cappella Sistina? Dio: Proprio lei. Guarda, una autentica vergogna le maestranze dell’epoca: tu chiedi una mano di bianco e quelli ti

Ring: Comunque il pizzetto le dona; toglie un due/tremila anni dall’età che le Sacre Scritture non si fanno scrupolo di attribuirle. Sono invece dubbioso sulla tintura dei capelli. Dio: Sto male? Ring: Male no. Però io l’avrei estesa a tutta la capigliatura. Così com’è mi va un po’ troppo sul Nathan Never. Dio: Capisco. Scusa un attimo – preme il pulsante dell’interfono comunicante con la segretaria – Roxy? Schedula per piacere tre mesi di Purgatorio al barbiere in via Tre Lame… no, non quello vicino alla rosticceria, quell’altro, quello pieno di riviste delle Edizioni Paoline… Ring: Er… ingegnere? Vogliamo iniziare a parlare di videogiochi?

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:FRAMES: Dio: Video che? Ring: *Plonk* Dio: Ah ah! Scherzo. Inizia pure con le domande figliolo. Ring: A quale gioco sta giocando al momento? Dio: Ho iniziato Devil May Cry spinto dall’accattivante titolo. Volevo massacrare a colpi di fatality quel lucifero di un Lucifero. Però sono rimasto molto infastidito dalla lentezza del gioco, nonché dalle bande nere e l’immagine deformata. Ring: Dio gioca con i prodotti PAL. Scoop! Dio: Eh, io non vorrei, ma le consolle (sic) me le passa il Vaticano, e sono tutte europee. Comunque ho già provveduto a sollecitare mio figlio; mi pare sia già riuscito a produrre un chip per PS2 che risolve ogni problema di incompatibilità territoriale, inoltre assicura al possessore l’Indulgenza Plenaria. Ring: Quali giochi non incontrano i gusti del Padreterno? Dio: Sicuramente gran parte dei titoli prodotti da quel Moulinex (sic), ma io dico: uno fa la divinità tutti i giorni dalle nove alle cinque (domeniche escluse), con tutte quelle cavallette e le noiose comparsate nelle visioni degli ubriachi, e poi, tornato a casa, allentata la tunica e tolta la dentiera, secondo loro io dovrei mettermi a giocare ad una simulazione di Dio?! Ma siamo impazziti? Ring: Quello di quest’anno è stato senz’altro uno dei più scoppiettanti E3 degli ultimi tempi, quale titolo le è rimasto maggiormente impresso su ogni console? Dio: Sulla PS2 direi il Final Fantasy online, per la possibilità di fare i party con altra gente. Non vedo l’ora di organizzarne uno, inviterò senz’ altro quella vecchia spugna di Allah, e sicuramente non mancherò di avvertire Manitù, anzi, Roxy perpiacere fai un post-it per ricordami di avvertire Ma-

Ring#2 nitù, porta sempre un sacco di fumo, luilì.

Ring: Ma perché?

Ring: Guardi che con “party” in questo genere di giochi non si intende una festa tra amici, si tratta in verità di… Dio: Tu senza dubbio non sarai invitato al mio party. Ring: Okaaay. Passiamo alle altre console. Dio: Del Crossbox (sic) non conosco molto, ma ne apprezzo la forma e la consistenza: si sposa alla perfezione con il celebre versetto Giovanni 23:10 – non guardare l’orologio, pagano! – che mi accingo a citare: «Il peccatore, che dalla vita vorrà trarre divertimento, dopo il duro lavoro nei campi, sarà costretto a trascinare per la sua abitazione una pesante lapide. Una lapide con una croce sopra impressa. Tale sarà il divertimento del peccatore. Un telecomando venduto a parte consentirà inoltre al peccatore, per un modico prezzo, di usare la lapide crociata al fine di vedere lungometraggi in DVD» Ring: Nella Bibbia c’è veramente scritto “DVD”? Dio: Certo. O almeno, c’è nella versione writer’s cut. Ring: Per quanto riguarda Nintendo? Dio: Del parco giochi Nintendo sono molto attratto dalla grafica del nuovo Zelda, ma credo non faccia testo, visto che sono parte in causa della stessa. Ring: In che senso? Dio: Nel senso che l’idea del cel-shading è stata mia. Ho mandato quel trombone dell’ Angelo Gabriele… Ring: Non era Arcangelo? Dio: Declassato. Troppi glu glu e vrooom e skrieeee e spatapam. Ha decimato la schiera dei cherubini, quello lì. Non gli era bastato lo sbaglio di persona durante l’Annunciazione… Stavo dicendo? Ah sì! Ho mandato Gabriele per quaranta notti consecutive a bisbigliare a Miyamoto durante il sonno: “Cel-shadiiiiiiiiing”.

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Dio: E’ lo stesso motivo per cui ho fatto inserire le scalette ed il flickering nei titoli PS2: non mi piace la piega che stanno prendendo i giochi delle ultime generazioni. Troppo realistici. I programmatori implementano, che so, l’environment mapping non tanto per realizzare giochi più belli: essi in realtà desiderano creare un mondo ad immagine e somiglianza di quello vero, vogliono costruire un’altra Torre di Babele, anelano ad elevarsi al rango di Dio. E questa è una bestemmia! ED IO NON POSSO TOLLERARE UN SIMILE AFFR… Ring: Ingegnere si calmi! Non si anticotestamentizzi, la prego. Mi dica, le piace Miyamoto? Dio: Da pazzi. E ti dirò una cosa. Quando egli passerà oltre, avrà l’onore di sedere alla destra del Padre. Ring: Ma non è il posto di Gesù? Dio:Oh, lui lo manderò dove c’è più azione: a fare lo standista allo SMAU. Adora lanciare magliette e tappetini per il mouse a folle di ragazzotti zainati; gli ricorda quella storia dei pani e dei pesci. Ring: Mi parli più diffusamente di suo figlio. Dio: E’ il vero hardcore gamer della famiglia, ricordo benissimo quanto era preso per quell’ interpretazione in Metal Gear Solid 2… Ring: Alt. Stop. Fermi tutti. Gesù Cristo in MGS2? Dio: Ma sì: giorni di provini per il casting del gioco, e poi la delusione di essere stato scritturato solamente per interpretare


:FRAMES: il mercenario russo numero dodici. Sicchè il figlio di Dio ha fatto ciò che tutti nella medesima situazione farebbero: ha chiesto aiuto al genitore potente. Da principio Kojima era inamovibile. Parlava di genetica mancanza di talento. Ed ha continuato su questa lunghezza d’onda almeno fino alla quarta piaga. Poi, stremato, ha tirato fuori dal kimono la pappardella sul maggior impatto di Snake sul videogiocatore se quest’ ultimo prende i comandi di un altro personaggio. Ring: Sta cercando di dirmi che Raiden e Gesù Cristo… Gesù Cristo e Raiden… Dio: Non dirmi che non te ne eri accorto.

Ring#2 Ring: Er… senza barba non lo avevo riconosciuto. Certo che una raccomandazione simile non la si riceve tutti i giorni! Dio: Eh eh! Come diceva il Poeta: “Vuolsi così colà dove si puote”. Ring: Purtroppo non conosco granché del Lucio Battisti seconda maniera. Cambiamo argomento, qual è il suo joypad preferito? Dio: Sicuramente il Dual Shock. Ne apprezzo il simbolismo fortemente cristiano dei pulsanti: il quadrato rappresenta le quattro virtù cardinali, la croce non credo necessiti di spiegazioni, il cerchio è un occhio stilizzato e, se lo sovrapponi al triangolo, ottieni il Divino OcchiotriangoloTM.

Ring: Molti lamentano l’assenza dei “continue” nella vita reale. Dio: E cosa c’entro io? Ring: Come cosa c’entro io? Lei è o non è il Fattore? Dio: Fattore sì, ma con alcuni distinguo. Io ho creato il pianeta Terra: ho stirato pianure lasciando qua e là grinze di montagne, ho pettinato foreste, ho pisciato fiumi, ho scorreggiato venti, ho fumato vulcani ed espulso boccate di nuvole. Ma gli esseri umani no e poi no. C’era dietro troppo lavoro di R&D da svolgere. Mi sono limitato ad acquistarne il format da una civiltà aliena di passaggio in questo quadrante. E’ un concetto di marketing molto semplice, si chiama make or buy.

Ring: E i tasti dorsali?

Ring: Quindi le religioni sono sbagliate.

Dio: I tasti dorsali non significano nulla.

Dio: Tutte. Ma questo è meglio che non lo scrivi.

Mostrare il Videogioco____________________

[E3]

di Paolo “Jumpman” Ruffino E3, ovvero fare la festa al videogioco, mostrandolo. Esposizione dell'Intrattenimento Elettronico. Intratteniamo il Vostro Sistema Nervoso. Fare la festa all'immagine del videogioco, guardandolo. Guardiamo ciò che toccheremo. Esposizione dell'immagine della merce, che è a sua volta immagine. E se pensiamo che chi visita l'E3 fotografa o filma le immagini dei videogiochi quelle che noi vediamo sono immagini di immagini di immagini. Immagine alla terza. I3. E3 come videogioco, cioè gioco di immagini, CON le immagini (l'E3 del futuro sarà un vi deogioco in cui potrai giocare quello che giocherai). Gioco di fantasia su quello

che sarà il futuro, perché il vi deogioco è sempre in divenire, non è mai fermo in nessuna sua manifestazione (strano che gli screenshot non vengano mai "mossi"). Come Gianni Canova ha notato che è il cinema l'unico vero video-gioco perché gioco-di-occhi, così possiamo dire che il videogioco è l'unico vero cinema perché gioco di movimento. Movimento sullo schermo, nell' hardware, sulle dita del giocatore. Movimento di immagine e di ciò che forma l'immagine. Lo screenshot è una forzatura, un voler costringere il videogioco a stare immobile. La promessa che sottintende lo screenshot è che sarà libero a breve, o non appena il giocato-

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re lo vorrà. Non esistono vid eogiochi dove niente si muova. La scena non interattiva è innaturale (ma non per questo da eliminare). La scelta di Sony di chiamare Emotion Engine l'hardware di Playstation2 è in fondo voler spacciare per nuovo qualcosa che non lo è. E i videogiocatori se ne sono accorti presto. Emotion, emozione, cioè movimento di sentimenti. Qualunque videogioco è movimento emozionale perché gioca col sistema nervoso. Giusto è infatti chiamarlo electronic entertainment. E giusto è festeggiarlo immaginando immagini di immagini di immagini.


:FRAMES:

Ring#2

PLAY A WHILE, PLAY FOREVER______________

[Per una breve grammatica della struttura arcade: forme, modi, evoluzioni]

di Joseph Joestar Il genere arcade ha incarnato per anni, ad occhi profani, la sola possibile espressione del videogiocare. Fosse respingere una pallina, mangiarla o distruggerla, l’arcade ha imposto l’immagine del videogioco come prodotto di consumo veloce e poco impegnativo, tutto sommato stupido, viste le minime capacità percettivo -motorie che gli “occhi profani” hanno sempre considerato richiedesse. Quante difficoltà a spiegare gli adventure-text, o le simulazioni strategiche, a chi al massimo ha riconosciuto a malavoglia la folgorante giocabilità di Tetris. Figuriamoci cercare di far capire l’ingegno richiesto e la soddisfazione derivante dall’utilizzo dello sparo singolo invece che del laser multiplo per affrontare e sconfiggere quella particolare ondata di nemici nei pertugi posti a tre quarti del secondo livello. Eppure l’arcade, assieme a degli stereotipi negativi tutt’oggi duri a morire, ha fornito per primo delle strutture narrative e modali in grado di rendere plausibilmente interattivo il porsi di fronte ad uno schermo. Intento dichiarato del presente articolo sarà quello di chiar ire alcuni punti fondamentali dell’arcade, approfondirne altri, tentare di definire i perché l’arcade si possa considerare non solo un genere specifico, ma parte fondamentale dell’idea e del procedere stesso del medium videogioco. ___________Back to basics In un saggio sul cinema di azione, e più in particolare sul così detto “arcade movie”, Simone Bedetti e Lorenzo De Luca individuano il fondamentale schema narrativo arcade nei seguenti tre elementi base: 1) il raggiungimento di un obiettivo; 2) il superamento di livello; 3) il percorso di ascesa (spaziale e/o simbolico). Il raggiungi-

mento di un obiettivo (tipicamente riassunto in: salvare la situazione, conquistare/ottenere un premio o sconfiggere un nemico, con tutte le possibili variazioni derivanti dall’incrocio di questi tre motivi) si attua tramite l’attraversamento, da parte dell’eroe protagonista, di un percorso particolare costellato da ostacoli e prove di varia natura. Il percorso da superare è suddiviso in un insieme di livelli, di difficoltà sempre maggiore, e si esplicita in un movimento di ascesa, a volte spaziale, altre volte metaforico, nel sistema dato. La struttura temporale di tale schema, poi, procede a blocchi-livelli separati da segmenti: il segmento che unisce un blocco-livello al successivo viene inteso in senso narrativo come una pausa nella storia, a livello tecnico come la volgare pausa hardware del computer durante il caricamento di un software (o comunque durante il pur breve accesso ai dati in memoria), e, nel cosmo fittizio del videogioco, come la fine del livello precedente e l’inizio del successivo; mirabile tentativo di annullare almeno due di queste tre pause è lo storico SWIV – pur presentando dei momenti morti nell’azione-narrazione (alcuni secondi in cui sullo schermo non comparivano avversari da affrontare), mascherava la pausa hardware/software e quella di cambio del livello in un unico flusso continuo di caricamento dati/scorrimento della grafica. Altri arcade assimilano a regola procedurale o semplicemente mascherano nel proprio continuum queste pause in diverse maniere, a volte mischiandole in maniera opportuna fra di loro: dal cambio di avversario nei picchiaduro (esempio: un qualsiasi Street Fighter), al conteggio dei bonus accumulati durante il livello, a brevi intermezzi grafici (esempio: 1941 il

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refill di carburante sulla portaaerei). Esplicitata in forma il più possible brevis la matrice narrativa dell’arcade consideriamo ora con maggior attenzione due aspetti derivanti dal precedente schema: il ruolo dell’eroe e il tempo-spazio arcade (comprese le possibilità di azione, del giocatore e del computer, all’ interno di quest’ultimo piano).

__So you want to be a hero Il “viaggio” dell’arcade presenta quasi sempre un eroe solitario – sia esso un’astronave, una figura antropomorfa o altro – spoglio, unico, isolato. Durante il viaggio egli acquisisce poteri ed esperienza necessaria per rimettere in ordine il proprio mondo, eliminandone le parti ipertrofiche o aliene che, specularmente, assume o addirittura assimila, rendendoli parte della propria identità. Nemici eliminati ed ostacoli superati donano infatti all’eroe bonus ed oggetti che egli deciderà o m eno di caricare su di sé per un eventuale utilizzo, spesso vitale per il proseguio del viaggio o il successo finale dell’avventura. Non solo chiavi, quindi, ma anche tipi differenti di armi o di utensili da poter modificare o potenziare. Il movimento dell’ eroe nell’arcade, sia a livello macro che micro testuale, si realizza dalla semplicità alla varietà, dall’uniformità alla co mplessità, e dalla indefinitezza alla personalizzazione. Non è raro che, già all’inizio della pa rtita, venga sottoposta al giocatore una rosa di alter-ego fra i quali operare una prima scelta distintiva e personalizzante. Le armi poi, nel loro specifico, sono considerate come vocazione, modo per essere qualcosa, atti-


:FRAMES: vità che fanno il personaggio – e di riflesso anche la persona 1 che guida quel personaggio . Beam, sparo multiplo, laser, pod-slave, fucili a più canne, barre energetiche maggiorate, vite bonus e quanto altro sono aggettivi necessari sia per garantire la varietà del testo che il suo corretto svolgimento. La forza di un personaggio arcade è stata per anni nella sua riconoscibile iconicità, una via raffigurativa che permettesse un confine labile e fertile fra tratti distintivi dell’eroe virtuale (necessari soprattutto in seguito, esternamente al gioco stesso, per renderlo vendibile come pupazzo, portachiavi, figurina ed ogni altro merchandise possible) e possibilità identificat orie da parte del giocatore. Oggi, a fronte di personaggi più caratterizzati e distinti graficamente e narrativamente, la componente primaria dell’immedesimazione continua a funzionare: non tanto per un cambio nei gusti dei giocatori quanto per l’allineamento, da parte dei personaggi dei videogiochi, a trasformazioni riscontrabili in ambiti differenti da quello videoludico. In tal senso la linea che da Rick Dangerous porta a Lara Croft non è meno marcata e sintomatica di quella che da Pac-Man porta a Pikachu, evoluzioni che hanno compresso e riassunto in sé, nell’arco di una ventina d’anni, movimenti storici più generali e di amplissima portata secolare. Nel caso RickàLara assistiamo al ribaltamento del concetto “maschile-movimento vs femminile-stanzialità”, e cioè al sovvertimento o quanto meno alla confusione dei punti cardinali associati alla superfluità spermatica e alla parsimonia dell’uovo, vale a dire all’orientamento centrifugo maschile e a quello centripeto femminile. Una soluzione post-moderna, che va sicuramente oltre quella che potremmo definire la “fascinazione glutinea” esercitata dalle chiappe idealmente e poligonalmente scolpite di Lara Croft. Nel trapasso digitale PacàPika siamo testimoni di una trasmutazione a più ampio

Ring#2 spettro dei valori personali e sociali: entrambi gialli e rotondi, sono espressioni piene di quell’impulso mediatico intrinseco al medium del videogioco che va sotto il nome di elettricità. Ma mentre agli albori, o quasi, del videogioco dobbiamo guidare una pallina gialla tutta bocca sempre uguale a se stessa nonostante ogni trasformazione, all’ultimo, o quasi, estremo evolutivo della scala ci troviamo ad allenare e curare una bestiola tutta pelo e carineria sorretta dal proteismo delle proprie ed altrui forme fornite da un campo identitario che ammette in sé ogni tipo di moltiplicazione immaginabile – un’infinita età dell’adolescenza nella quale la persona può accettare o meno, può rendere fattivi o meno i cambiamenti indotti nell’io dall’esperienza. Pac-Man risulta essere la realizzazione di un’unica identità compatta alla disperata assimilazione di quel cibo che è disponibile in quantità limitata e sempre fissa, per soddisfare la semplice necessità del v ivere, in lotta contro i fantasmini della storia (i “né produttori né consumatori” che bloccano il mercato e chi di mercato vive); Pikachu è l’emblema dell’assillo del collezionismo e dell’accumulazione di quel superfluo che sono segni primi e più evidenti dei periodi di vacche troppo grasse. Se Pac Man è il precapitalismo inglese dei signorotti di campagna, Pikachu è il neo-liberismo consumistico di fine millennio.

___________Time and tide Il tempo del gioco, in questo caso specifico dell’arcade, è un tempo-livello necessariamente ripetuto e ripetibile, un insieme di blocchi lineari ai quali, una volta dato il via2, è inevitabile sottrarsi se non in maniera completa. Il tempo-livello dell’ arcade diverge dal tempo linea-

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re della scienza così come dal tempo ciclico del mito, tanto che l’eterno ritorno del mito si trasforma nell’eterno presente del gioco. Non esiste un passato che non possa essere rivissuto non solo come se fosse nuovo, ma come realmente nuovo grazie al reset di impostazioni, record e memorie che si verifica all’atto della morte dell’eroe (a meno di una risposta affermativa al classico “Continue?” – vedi ancora la 2 nota ), né un futuro che non sia stato già programmato o programmabile, a prescindere dalle proprie azioni, previste e programmate esse stesse. Vale la pena di citare un esempio meritevole come Gods, nel quale una struttura complessa di eventi a tempo dava l’illusione di un gioco maggioramente vivo e modificabile. Il videogioco quindi somiglia in sé al tornado che all’inizio del “Mago di Oz” stravolge ogni coordinata di riferimento del reale pur lasciando tutto e tutti al proprio posto di partenza. Eppure questo tempo, e soprattutto le azioni compiute dall’ eroe nel suo corso, tende verso una fine, un obiettivo: un tempo la cui concezione escatologica non priva il giocatore del libero arbitrio, la possibilità di muovere, pur all’interno di un numero multiplo ma finito di pixels, lo sprite che lo rappresenta, il simulacro con il quale si è concesso l’immersione attraverso lo specchio del monitor. Nel mondo oltre lo specchio, formato da valori nuovi ed altri, non solo invertiti, il giocatore ha a propria disposizione una qualche chance di variazione personale, sia intrinsecamente al modello di gioco proposto, sotto forma di snodi narrativi o percorsi multipli, che estrinsecamente ad esso, come la decisione di quale mossa compiere fra quelle messe a disposizione ed in che momento. A loro volta le combinazioni di mosse possono essere in non poche occasioni di gioco ferreamente predeterminate, al fine di superare un dato punto – basti ricordare i laser game di Don Bluth, costruiti su di una


:FRAMES: esasperante ginnastica percettivo-reattiva, una sorta di esperimento pavloviano leggero – e pur senza giungere a questi eccessi, in quanti arcade capita di imbattersi nella scelta fra di un pattern di cui si conosca la comprovata efficacia ed una soluzione personale? Il non usare quella tale combinazione di mosse-armi, magari rivelata dai programmatori stessi in qualche sede, comporterà la pun izione del giocatore da parte del gioco. Sarà forse possible sup erare il nemico/prova in questione, ma ad un prezzo (vite, soldi, tempo, fatica) sicuramente superiore. Gli avversari virtuali al contrario non hanno alcuna possibilità di scelta. A tale r iguardo, nel corso della storia degli arcade, due sono le fondamentali idee progetturali basandosi sulle quali si sono sovente decisi e programmati i pattern che governano il comportamento degli antagonisti dell’eroe: una d’origine, ancora oggi in uso, che chiameremo “ad inverso”, ed una piu’ recente, che indicheremo con l’etichetta “per analogia” – tenendo come punto di riferimento uno dei funzionamenti più semplici ed allo stesso tempo più pervasivi dei processi cognitivi che si verificano nella mente umana: lo schema3. Nella concezione ad inverso, in maniera appunto inversa che nella mente umana, piccoli pezzi di informazione decisi a priori danno vita a comportamenti eternamente ripetuti: le ondate di nemici sono anticamente sempre uguali a se stesse, mentre odiernamente risultano organizzate in maniera più varia e variabile ma comunque riconducibile a degli uguali movimenti base (basti pensare ad un qualsiasi shooter 3d in prima persona). Nella elaborazione per analogia ci troviamo invece di fronte ad un parziale adeguamento del processo informatico di fronte alle mosse del giocatore: il computer è di fatti in grado di “leggere” gli schemi di comportamento del giocatore, proponendo a sua volta, sulla base di

Ring#2 tale lettura, degli schemi antagonisti.

_________Colonne portanti Inventariati e discussi i precedenti, nodali, aspetti dell’arcade, sono ancora molte le sfaccettature sulle quali varrebbe la pena spendere qualche parola, in un modo o nell’altro tutte collegate e discendenti dagli ambiti “eroe” e “spazio-tempo” dell’arcade, ma nel presente articolo si è ritenuto opportuno limitarsi a sottolineare quegli aspetti che, prima e più di altri, rivelano il genere arcade come un macro-genere, un sistema di principi, regole e convenzioni che non solo hanno dato vita ad intere schiere diacroniche di tipi fortemente caratterizzati di giochi, ma hanno anche e soprattutto attraversato trasversalmente l’intera produzione videogiochistica della storia. Arcade come fonte primaria dell’intero discorso videoludico, quindi, come corpo nel quale poter rinvenire quei segni che, opportunamente analizzati, catalogati e comparati, si possono astrarre a fondamento generale di tutto il passato e presente operare videogiochistico.

[2 Grazie ad

un’operazione che ha sia del sacro che del laico: mettendo il gettone nella fessura, o versando al sacerdotecassiere del negozio di videogiochi il proprio obolo, ci si spoglia dei beni terreni per compiere un particolare viaggio in un altrove composto da regole diverse che nell’attuale qui fisico. D’altra parte, ben meno metaforica, si può benissimo considerare il meccanismo “denaro in cambio di divertimento” (o, al posto di divertimento, “sospensione dall’abitudine quotidiana della vita”) come ultimo corollario, in ordine di tempo, dell’odierna industria dello spettacolo, della quale il videogioco risulta in questi anni il figlio prediletto.] [3 Con tale concetto si intende un processo cognitivo nel quale i comportamenti ripetuti, propri o altrui, vanno a formare degli schemi di risposta e di interpretazione del reale, i quali a loro volta, sedimentandosi nella struttura neurale del cervello, permettono alla persona di dare una pronta risposta ad ogni situazione, sia nuova che conosciuta, di reagire in maniera tutto sommato vantaggiosa e “giusta” agli accadimenti più o meno prevedibili nei quali incappa quotidianamente - senza dover impegnare tutto il proprio ammontare di risorse cognitive, ma attivando solo una minima struttura necessaria (lo schema, appunto).] _____________Bibliografia

__________________Note

[ Tramite una salutare alienazione che permette al giocatore la sperimentazione ludica sembra qui possibile il recupero di una dimensione “ingenua” della personalità infantile; non la r iscoperta del fanciullino, ma la possibilità di un nu ovo inizio, di una rinascita virtuale nella quale è concesso essere, ancora ma da capo, se stessi o qualcosa di completamente diverso, pur sempre nei modi e nelle forme previste dal gioco.] 1

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-Bedetti S., De Luca L., 2000, Il cinema secondo Van Damme, Castelvecchi, Roma -Leed E. J., 1992, La mente del viaggiatore, il Mulino, Bologna -Taggi P., 2001, Vite da For-mat: la tv nell’era del Grande Fratello, Editori Riuniti, Roma -Caprettini G.P., 1997, Segni, testi, comunicazione, Utet Li-breria, Torino -Stella R., 2002, Corso di Teo-ria e Tecniche delle Comunica-zioni di Massa, pro manuscrip-to, Padova


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ARCHETIPI E STIMOLAZIONE DIRETTA_______ [ICO] di DarknessHeir

Spesso, ci si trova in situazioni per descrivere le quali le parole sono inadeguate, insufficienti. Spesso un’immagine vale più di mille parole. Due verità non scritte: odiose e malestrue, in quanto nel corso degli anni sublimate in tedianti frasi fatte. Ma delle frasi fatte, è davvero giusto disprezzare il valore intrinseco solo perché il villico di turno se n’è servito per riempirsi la bocca, per l’ennesima volta? Archetipi... Fumito Ueda ne utilizza diversi nel suo splendido Ico. E poche parole, di cui una buona parte (prima di aver completato l’avventura almeno una volta) incomprensibili. ______...Più di mille parole Archetipi: Ico e Yorda ne sono due esempi lampanti. Il primo è il classico bambino da manga/ anime/rpg nipponico: un piccolo, agile imberbe che grazie alla sola volontà ries ce a trionfare in una situazione apparentemente oltre la sua portata. La sua “normalità” (riferita al con testo in cui vive, ovvero un villaggio presumibilmente modesto e poco civilizzato) è manifesta in ogni aspetto della sua figura: nei tratti rustici, indigeni, nelle vesti elaborate quanto lo può essere il vestiario del suo ambiente sociale/culturale/ economico, nelle movenze sciolte ed ingenue tipiche dei ragazzini della sua età. Nel ri spetto della (minimalista) trama del gioco, poi, sul capo egli porta un paio di infami corna: distintivo apodittico della nega-

tività che, suo malgrado, si tra scina. Una caratterizzazione, la sua, che certamente non brilla per creatività: corna a parte, l’impressione di “già visto” per mane piuttosto insistentemente. Lo stesso discorso vale per Yorda: la fanciulla misteriosa e silente (sotto molti aspetti, dall’ apparenza molto simile a quella di Rei Ayanami di Evangelion), fragile nonché latrice di risorse ben nascoste dietro alla sua apparente futilità. Anche la sua caratterizzazione è dunque decisa: tutte queste caratteristiche sono subito evidenti nell’ osservare il candore che ne adorna vesti e sembiante, le movenze insicure, il viso diafano che di rado s’accende di espressioni smussate, evanescenti. Due personaggi stereotipati, infine. Due “frasi fatte”. Semplici, attorniati dall’aura del dejà-vu: ma per questo poco efficaci? Niente affatto. ____________Stimolazione Evocativo come non mai è invece l’aspetto scenografico del titolo. Un impatto emotivo addirittura più forte di quello con cui gli splendidi Another World e Flashback lasciarono a bocca aperta ai tempi dell’Amiga. Il castello è immenso, e si estende a perdita d’occhio: nel groviglio di torri e strutture di incomprensibile funzione è difficile capacitarsi riguardo al luogo in cui ci si trova; gli unici attimi in cui è possibile sviluppare un’adeguata idea sulla propria posizione, sono solitamente quelli seguenti alla risoluzione degli enigmi di una data zona; ci si accorgere di trovarsi ancora all’inizio dello schema, solo in una posizione che era prima occultata od apparentemente irraggiungibile. Oltre il castello, ecco che il

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mare dispiega le sue calme spire; una distesa piatta e corrusca, impossibile da rimirare per intero con il semplice sguardo, così come col semplice sguardo risulta impossibile cogliere particolari dell’entroterra che si estende al di fuori delle mura dell’ottundente fortezza. Sopra, il cielo; il terzo ed ultimo elemento scenografico principale, come gli altri sconfinato e brillante. La presenza del sole non è mai esplicita, così come le condizioni del cielo non sono mai completamente definibili. Una danza di luci ed ombre enfatizza la duplicità della volta celeste: anche quando del tutto splendente, essa infatti non appare mai nitida; una sorta di caligine superiore la attornia. Allo stesso modo, capita di rimanere accecati dal sole levando lo sguardo all’indirizzo di un cielo che si credeva essere livido. Il coinvolgimento emotivo è dunque alto: l’atmosfera che si respira in ogni anfratto del mondo di Ico si impone sin dai primi istanti di gioco. Con un background così efficace, dei personaggi più originali od approfonditi sarebbero davvero necessari? No, e questo lo deve aver pensato lo stesso Ueda. Più opportuno è sfruttare i vantaggi di una caratterizzazione talmente diretta. Il coinvolgimento è presente,si diceva, i personaggi “funzionano”… Cosa manca? Un “messaggio”, un significato nascosto. E di conseguenza, ecco affacciarsi nuovi archetipi. _______________Archetipi Sin dall’antichità, il tenere per mano un individuo di sesso opposto denota la presenza di un legame affettivo. L’usanza è tuttora presente, ed utilizzata dalla maggior parte delle strut-


:INDEPTH: ture sociali: da quella di tipo occidentale a quelle delle tribù più selvagge. Quale, degli atteggiamenti “corali” di Ico e Yorda, è quello che si è visto il maggior numero di volte? Ecco un secondo strato della caratterizzazione dei due protagonisti: i due incarnano pedissequamente la concezione della “coppia” presente nella mentalità collettiva: fattezze e ca ratteri opposti (ricordiamo qui le differenze somatiche, le domande di Ico ed il silenzio di Yorda, e molto altro), eppure comuni, nel profondo. Entrambi si ritrovano infatti confinati nella fortezza, senza speranze di sopravvivere. Tenere per mano Yorda, nell’economia del gameplay, ha un duplice valore. A volte è irrinunciabile: per difenderla più efficacemente dagli attacchi delle ombre, o per rendere possibile la materializzazione di particolari passaggi. Per il resto è accessorio: la fanciulla viene condotta per mano per evitare tempi morti durante l’esplorazione. Che sia irrinunciabile o accessorio, è rilevante il fatto che tenere Yorda per mano, (perpetuando in tale modo un comportamento universalmente riconosciuto come “gesto d’amore”) ha un ruolo fondamentale nell’ambito del titolo. Uno dei due perni sui quali si basa l’intero gameplay: l’altro, essenziale per il proseguimento, è la collaborazione. I due devono collimare, per proseguire. Sono una “entità u nica” divisa in due corpi, di cui il giocatore controlla una metà. Sono, necessari l’uno all’altra, poiché nell’aiutarsi il beneficio che traggono è comune. Ora, togliete i riferimenti videoludici al precedente paragrafo. Avrete il messaggio lanciato da Ueda: il vero significato della parola “amore”. La sua accezione più nitida, avulsa da tutti gli elementi secondari che ne hanno decretato la capitolazione nell’epoca attuale. Un messaggio straordinario nella sua semplicità: no, non si faranno divagazioni romanti-

Ring#2 che. Si prenderà coscienza che Ico è il primo titolo in grado di comunicare il proprio significato attraverso il gameplay.

_____________Essenzialità Ma non è finita. Il capolavoro Sony è infatti foriero di un ulteriore significato: e per spiegarlo, torniamo per l’ennesima volta a parlare di archetipi e stimolazione diretta. La Regina è il personaggio che ci interessa: oltre ad essere la malvagia figura muliebre di turno, essa colpisce per la sua somiglianza a Yorda: somiglianza che ha portato molti ad identificarla con la madre. Ricordiamoci di quest’impressione. Altra stimolazione diretta: il castello, il mare, il cielo. Tre elementi estesi, giganteschi, i cui contorni sono sfumati da luci ora abbacinanti, ora quasi assenti. Quale l’impressione suscitata da un simile impianto scenico? Il ricordo d’infanzia. L’atmosfera favolistica ed irreale fatta di ricordi che si fanno man mano sempre meno nitidi, soprattutto nella componente visiva. Il retrogusto malinconico che si assapora tanto negli spazi del castello quanto nel richiamare alla mente un (piacevole) ricordo del periodo in cui il mondo era, nelle dimensioni e nel funzionamento, troppo grande perché noi potessimo comprenderlo appieno. Procediamo. Ico deve uscire dal castello: per farlo, non c’è altra via se non sconfiggere la Regina. Prima dello scontro finale, a partire dal momento in cui si ritorna nel salone iniziale, alcuni elementi degni di essere colti si prospettano agli occhi del giocatore.

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La Regina rivela di voler utilizzare il corpo di Yorda perché il suo va gradualmente disfacendosi: queste brevi parole, assieme all’impressione materna della nemica finale ed all’atmosfera da ricordo infantile, suggeriscono una riflessione che l’autore muove, riguardo al gap generazionale. Senza perderci in eccessivi dibattimenti, è possibile notare come il più diffuso degli errori che i genitori commettono, di norma, nell’educazione dei figli, è il voler imporre loro il proprio modello di vita. Errore: sbagliato alla luce delle lapalissiane differenze che contraddistinguono due generazioni differenti, a prescindere dalla quantità di anni che le separa. Nello spingere i figli a condurre un’esistenza uguale alla propria, i la categoria dei genitori commette un altro grave sbaglio: considerare la progenie quale semplice emanazione del proprio essere. Una sorta di traccia del loro passaggio sul mondo.

In virtù di questo, le analogie tra queste considerazioni ed il comportamento della regina appaiono dunque ovvie. Per concludere, ecco che le corna del giovanissimo protagonista si colorano di significato: esse sono una maledizione. Non solo, esse sono la causa per cui gli è stato imposto il sacrificio. Un’amara considerazione: Ico non è libero. Ico è malvisto, allontanato, sacrificato con il consenso della sua stessa famiglia. Ico aspira alla libertà, e per aprirsi la via al confronto con la Regina, oltre al quale la libertà giace, deve ne-


:INDEPTH: cessariamente combattere, sopraffare i ragazzini come lui che non hanno avuto la forza (e la fortuna) per farlo, e che per questo si ritrovano ad essere inutili, innocue ombre. Un rifiuto all’appiattimento ed alla mentalità massificata, per altro favorita dall’influenza negativa di genitori in torto. Un incitamento a combattere: semplicemente sfidando la Regina, Ico perde un corno, quasi a significare che egli si

Ring#2 trova sulla giusta strada per liberarsi: ed ecco che, non a caso, il secondo corno gli viene reciso in seguito allo scontro. ______________“On tuà…” Aggirandoci sulla spiaggia, chiedendo per quale motivo abbiamo combattuto tanto se la nostra “amata” non è più con noi, scorgiamo un’inconfondibi-

Chiare e fresche e dolci acque

le presenza femminile. Un sospiro di sollievo. Yorda… Ci sarebbero diversi aspetti della ragazza (ma non solo) da esaminare, aspetti che renderebbero quest’analisi variegata oltre il limite dell’utilità. L’invito è manifesto attraverso un cordiale “On tuà”: continuate a se guirci, ci sono altre meraviglie celate nella splendida opera di Fumito Ueda, che meritano un’ attenta analisi…

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[Super Mario Sunshine]

di Federico Res Evoluzione. Rivoluzione. Buttando un occhio sull’albero genealogico di Mario emerge un moto periodico dove rotolano – alternandosi – questi due termini/forze. Evoluzione, rivoluzione. Mario Bros, Super Mario Bros. Super Mario World, Mario 64. Super Mario Sunshine. Evoluzione, rivoluzione, evoluzione ad libitum… ma nell’ultimo periodo troppa gente s’è riempita la bocca di evoluzione/rivoluzione, e darci un morso adesso farebbe schifo a chiunque. Contando poi la buona quantità di bile vomitata su Dolphic Island. Per cui concediamoci un rapido flashback al 1995, dove, giulivo e giocondo, se ne sta beato Yoshi’s Island: la cellula impazzita che sfugge al fato ciclico. Pensiamo a come siano simili, in fondo, Yoshi’s Island e Super Mario Sunshine: entrambi in vacanza in luoghi splendidi e lontani – l’isola degli Yoshi al tempo dell’infanzia di Mario nel primo caso, l’isola tropicale Delfinia nel secondo – entrambi latori di approcci innovativi e freschi. Esiste pure un link più diretto, che va oltre la semplice presenza del dinosauro mangiafrutta in SMS, ma avremo tempo per discuterne. Ora limitiamoci ad osservare come, al pari di Yoshi’s Is-

land, SMS sia una splendida/ splendente vacanza. In un tempo e un luogo ben distanti dallo spirito dei tempi, fatto di tecnocentrismo e mediocrità al chilo. SMS è volontà di scuotersi di dosso l’ingombranza del genitore; l’invadenza di un futuro tendente alla videoesperienza [si veda più avanti] e inteso come l’unico possibile. SMS è una ‘vacanza’ nel puro game design. E tanto forte è la metafora da sembrar quasi voluta… Sfonderemo una porta aperta, preparatevi. In una progressione incalzante di quattro assiomi e relative disamine, metteremo a nudo l’essenza di Super Mario Sunshine. Per quale motivo lo scoprirete poi, intanto inforcate gli occhiali da sole ché la luce potrebbe abbagliarvi…

Artwork di Chiara Belvisi

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Primo Assioma L’universo ludico deve catturare lo spettatore nella propria dimensione, senza mai assumere la forma di una sterile successione di livelli. Uno dei tratti che distingue Mario dalla pletora di platform game odierni è la capacità di offrire al giocatore veri e propri mondi. Mondi che ad ogni episodio della saga si rigenerano – come accade in Zelda, anche se lì il processo avviene su scala parecchio più alta – per configurarsi in fogge inedite e fresche. Super Mario Sunshine è l’apoteosi di questo processo: il suo mondo è organico, avvolgente, splendido ed esuberante come le bollicine di una bibita ghiacciata. E’ palpabile la spinta ad avvolgere chi gioca già nel fulcro stesso di Dolphic Isle: l’acqua, l’elemento più fresco che esista e anche quello più diffuso in SMS, che spesso tracima i confini del tv per invadere salotti e camerette… E il sole, la luce: presupposti ancestrali che istillano linfa ad un sistema di livelli/regioni eccezionalmente coerente. Un sistema che è un punto d’approdo nell’evoluzione di Mario: Delfinia (o Dolphic Town) è raccordo anulare tra i livelli/regioni, e al tempo stesso


:INDEPTH: regione vera e propria. Risultato di un processo che ha visto la mappa di SMB3 divenire prima luogo d’esplorazione esclusivamente visiva [SMW], poi raccordo e luogo d’azione secondario [il castello di Peach in Mario 64] e infine livello/regione a sé stante. Delfinia è zuppa di miniquest, livelli segreti e Shine da scovare, centinaia di monete da raccogliere, e al tempo stesso svolge appieno il ruolo di portale per tutti i livelli/regioni di SMS: queste cifre (unite alla facoltà di con servare nel tempo le mutazioni) ne fanno un elemento parte dell’esperienza di gioco al pari degli altri livelli, e tutto ciò concorre a creare un mondo che cattura e che mai sfocia in rigide riprese… Secondo assioma In ogni momento il giocatore deve sentirsi appagato, stimolato all’azione e all’esplorazione. Nuove prospettive gli si devono aprire costantemente. Super Mario Sunshine offre una massa debordante di opportunità. La consueta profu sione di meccaniche tipica delle produzioni miyamotiane è qui meravigliosamente incrementata… in soldoni, SMS è pieno di roba da fare. Ma c’è di più: esplorare i livelli/regioni lungo i tre assi svela micromondi concepiti per donar totale libertà al giocatore , enormi spazi (parecchio più estesi rispetto ai prequel) che si adattano alla fisionomia di ogni episodio e sanno intrattenere il fruitore in ogni istante. Mario Sunshine è fatto di pongo. Quasi un modello latore di meccaniche random a sola discrezione di chi intenda viverlo… e ancora. Poderosa rilevanza ha assunto l’asse Z: la trazione verso l’alto è assoluta, il gioco stimola a dominar le vette e questo accresce notevolmente l’immersione nella – freschissima – dimensione interattiva… [prodursi in scalate di mesneriana memoria è pratica di cui si usa e spesso si abusa,

Ring#2 perché richiesto dal gioco e per il semplice gusto (masochistico) di farlo…] Terzo assioma Nell’universo ludico niente deve essere fine a se stesso. E questa è una cosa che gente come Jason Rubin non capirà mai. Nemmeno se ci sbattesse il naso, sotto la piena luce del sole… SMS offre al giocatore la possibilità di raccogliere 120 Soli Custodi (o Shine, in originale). Ma è il modo in cui lo fa a deliziar l’utente: l’accumulo degli artefatti lucenti è splendidamente rivolto alla conquista di nuove terre promesse, all’innesco di evoluzioni nella ‘trama’ [si veda più avanti]; alla scoperta di segreti prima nemmeno immaginati. Completare una missione vuol dire ottenere un nuovo Sole. Ma il giocatore è cosciente che questa non è l’unica via: la raccolta di monete paga. Quelle d’oro si trovano ovunque, e ne servono 100. Scovar quelle blu non è invece impresa da poco, ma dieci sono sufficienti per ‘acquistare’ un Sole. Ed ogni sottogioco – dar la caccia ad uccelli tropicali, ripulire dalla melma le campane di Delfinia al di là del piacere immediato che offre, regala Soli e monete in quantità… SMS è costante gratificazione. Dove ogni progresso è un premio e uno stimolo a mirar ad altri obiettivi; anche quando s’intuisce che il dedalo di segreti è stato penetrato fino in fondo, ma si continua perché a quel punto diventa un obbligo… Quarto assioma Ogni azione deve essere eseguibile nel modo più semplice e intuitivo possibile. SMS è un ulteriore passo avanti nel gameplay. Se il predecessore ha praticamente inventato il 3D, Mario Sunshine ha saputo offrirne un controllo maggiore. L’evoluzione – d’oh – in questo senso è data dallo strumento cardine in mano al

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giocatore: lo Splac 3000 (Flud). Compagno inseparabile di Mario, è determinante nella quasi totalità dell’esperienza di gioco, ma è anche strumento tramite cui Miyamoto e la sua combriccola di programmatori definiscono un approccio al platform 3D più ‘morbido’, in certa misura derivato da Yoshi’s Island1: in modalità jetpak il Flud permette di fluttuare nell’ aria grazie alla potenza dei reattori ad acqua, e tale meccanismo sorprende per flessibilità nell’agir e sulla gittata di salti e planate. Insieme alle modalità ‘spruzzoturbo’ (che spinge Mario a velocità warp) e ‘spruzzorazzo’ (che permette decolli verticali) il jetpak è strumento di controllo sul mondo 3D, e ha permesso al Mario Team di concepire livelli difficilmente affrontabili senza tale aggeggio… perché il Flud non è solo uno strumento in più, è il fulcro intorno al quale i programmatori hanno realizzato ogni singola stringa del codice di SMS. La struttura verticale della gran parte dei livelli è allo stesso tempo causa ed effetto del Flud, come quest’ultimo è causa ed effetto dell’estensione verticale. Agire sul dorsale destro per chiamare in causa i getti del Flud è fin da subito immediato, intuitivo, anche grazie alla foggia per-fetta del pad GC. E sebbene SMS sia tutt’altro che una passeggiata, mirare alla cima non spaventa e non scoraggia come avrebbe fatto sei anni fa… perché, amici roditori, qui risiede uno dei grandi segreti della scuola Nintendo: ‘Innovazione non vuol dire implementare una serie di feature nell’impianto di gioco, senza preoccuparsi di modellare di conseguenza il level design. Ma significa concepire il gioco sulla base di presupposti inediti’, e SMS, come sette anni fa il precursore Yoshi’s Island, ne è ben consapevole… _________Penne alla panna “Prova a dire dieci volte ‘penne alla panna’. Scommetto che ti è venuta fame!”


:INDEPTH: Pensate bene alla frasetta riportata qui sopra. E fate caso al termine videogioco2. La citazione è un frammento di dialogo tra Mario e un esponente carapacico della tribù dei Noki. E, in tutta la sua amabile idiozia, sta lì ad incarnare la completa negazione di un qualsivoglia valore narrativo nella ‘trama’ e nelle interazioni coi personaggi in SMS… allo stesso modo in cui il termine ‘videogioco’ sta lì ad inquadrare un prodotto dove non v’è nulla che non sia concepito per divertire. SMS è in straordinaria antitesi con ogni slancio evolutivo [riferito al VG] che assuma la forma di videoesperienza3. Per quale motivo abbiamo dedicato spazio all’analisi della struttura di Mario Sunshine? Perché abbiamo insistito sull’immediatezza e l’intuitività dei comandi, sul co stante appagamento che si ricava dal gioco, sull’ampia autarchia concessa al fruitore? Non per offrire a programmatori in erba un manuale di game design – ma nessuno vieta di usare questo scritto in tal senso, all’occorrenza – ma per illustrare nel dettaglio l’anima di un grande, meraviglioso giocattolo. L’anima di Mario Sunshine, ben diversa da qualsiasi opera si fregi del titolo di videoesperienza. Perché, laddove Mario non avanza pretese di validità assoluta dei propri pre supposti – nessuna videoesperienza ha realmente bisogno di soddisfare i quattro assiomi sopra discussi, potendo contare su concezioni laterali al semplice ‘gioco’ – è evidente la sua volontà di ribadire il valore del videogioco. Un proposito soddisfatto – lo si accennava qualche riga più sopra – con la pratica di inglobare e far proprio ogni elemento che risulti necessario nel mercato attuale (SMS non ha mai nascosto la volontà di raggiungere più capillarmente le masse): la spinta all’esercizio tecnico si focalizza nella realizzazione – stupefacente – dell’ acqua; l’aumento di early adopters tra i fruitori si risolve in una longevità sensibilmente più bassa nei confronti dei prequel (ma pur sempre dignitosa); l’eccessiva importanza del fat-

Ring#2 tore trama (abusato da platform come Sonic Adventure 2) porta all’implementazione di un costrutto narrativo più sviluppato rispetto al passato. Mario però non si piega certo a dettami esterni, ma utilizza tali elementi al solo scopo di migliorarsi: l’attenzione alla tecnica è riposta sull’elemento chiave di Mario, l’acqua, al fine di renderla il più fresca e ‘bagnata’ possibile [leggete più sopra per capire perché] e in netta antitesi con un engine poligonale invero datato; la longevità ridotta sta lì ad impedire che ci si stanchi di giocare e si abbandoni il giocattolo prima del tempo; la trama si riduce ad un nuovo elemento con cui divertire. Perché SMS è un mondo dove interagire con personaggi e nemici – mentre s’improvvisano sessioni di Mario Soccer per le vie di Delfinia, o si cerca d’evitare un bagno a Yoshi saltando di nave in nave – è sempre e comunque finalizzato all’entertainment. E’ un mondo dove le ovvietà della trama – il puntuale rapimento di Peach, la sorte tragi-comica del Flud nel finale del gioco – non vogliono raccontare, ma indurre al sorriso.

SMS è ideale espressione di videogioco, nella sua accezione più immediata e antica: contrapposto a videoesperienza (videogioco e videoesperienza potrebbero essere gli ideali antipodi del VG, tra i quali si colloca il 99 per cento dei prodotti odierni) è tra i primi posti nella schiera dei rappresentanti del puro e semplice intrattenimento. Perché ne rappresenta l’essenza, si nutre di divertimento al solo scopo di

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divertire. Ma stiamo sfondando una porta aperta, capirete, aperta e spalancata… __________________Note [1 Yoshi’s Island dava la possibilità di prolungare la durata di un salto tramite pressione prolungata del tasto. Mario Sunshine evolve l’idea e al tempo stesso la ripresenta nella sua forma originaria (Mario può saltare in groppa a Yoshi e guidarlo come faceva sette anni fa). Sta qui il misterioso ‘link’ cui si accennava in apertura…] [2 Uso il termine ‘videogioco’ (minuscolo) contrapposto a ‘videoesperienza’ (minuscolo) dove entrambi rappresentano due diverse accezioni di ‘Videogioco’ (maiuscolo, abbr. VG). Semplice, no?] [3 Il termine ‘videoesperienza’ definisce bene tutte quelle opere che, contrariamente a Mario Sunshine, veicolano contenuti emotivi più complessi del semplice entertainment. MGS, REZ, Silent Hill sono solo alcune di esse…]


:RECENSIONI:

Ring#2

L’Idraulico in Vacanza____________________ [Super Mario Sunshine] di Emalord “Quando cerchi un idraulico, non lo trovi mai” Antico detto popolare “La Sindrome di Stoccolma rientra nei disturbi post-traumatici da stress e si verifica nei soggetti presi in ostaggio in diverse situazioni (atti terroristici, sequestri a scopo di estorsione, etc.). E' una dimensione psicologica nella quale il soggetto in ostaggio, dopo un periodo variabile di tempo dall'inizio dell'evento traumatico, sviluppa un sentimento di attaccamento e comportamenti di protezione nei confronti dei suoi rapitori, frutto di una identificazione proiettiva nei loro riguardi, che ha lo scopo di contenere l'angoscia del soggetto. Il nome della Sindrome si riferisce ad un evento di questo tipo realmente accaduto a Stoccolma” Dal block-notes di Rufus Tool, psicanalista [suicida] della Principessa Peach Quando il sole ti brucia i capelli e la canicola ti toglie il fiato, quando l’oasi nel deserto della tua sete infernale si materializza sotto forma di frutta annegata nel ghiaccio tritato, non c’è niente di meglio di un cocktail con agrumi spremuti al momento e spumante frizzante per deliziarti i sensi.

Questa semplice riflessione, questo pensiero stupendo di un uomo arso dalla sete e seduto in un bar del centro, viene bruscamente interrotto dall’ apparire di un paio di scarpe. Davanti a me non c’è un cameriere alto e slanciato nella sua livrea, con bicchiere, cannuccia e ombrellino d’ordinanza alla mano. No. Davanti a me si staglia nel suo metro e quaranta circa di altezza, un tizio baffuto armato di sturalavandini, chiavi inglesi, bicchiere, cannuccia e ombrellino alla mano. Indeciso se protestare con la direzione o assaporare il mio cocktail in pace, apro il sac-

chetto della spesa e osservo con le lacrime agli occhi la confezione di Super Mario Sunshine, appena acquistata. _________WHITE RUSSIAN

5/10 VODKA 3/10 LIQUORE AL CAFFE’ 2/10 CREMA DI LAtTE OLD FASHIONED CON GHIACCIO, CREMA IN SUPERFICIE

Nel 1996, la geniale mente di Shigeru Miyamoto dimostrò al mondo che il 3D non era una barriera che ostacolava la giocabilità. Un pl atform in treddì ben programmato, e con un controller fatto su misura, poteva essere divertente e genialmente strutturato come lo erano stati i suoi predecessori. In fondo, i cocktail insegnano che una fetta di anguria che spazia in profondità può essere più polposa e dolce di una fetta di anguria in Polaroid. E se non è saggezza questa. Super Mario 64 è stato una rivoluzione copernicana. Uno di quei prodotti che hanno cambiato il Gioco, con la ‘G’ maiuscola. Ed è per questo che la prima domanda che chiunque di noi si pone nel 2002 è: ma l’anguria,

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Platform Nintendo Interno

Anno:

2002

Game Cube

1 PAL

sarà ancora fresca, sug osa e saporita come sei anni fa? ________________MOJITO 4 CL. RUM CHIARO SODA 2 GOCCE ANGOSTURA 1 CUCCHIAINO DI ZUCCHERO SUCCO DI 1/2 LIME NEL TUMBLER, PESTARE LA MENTA SULLO ZUCCHERO CON IL LIME. AGGIUNGERE GHIACCIO, RUM E SODA. MESCOLARE BENE E SERVIRE CON CANNUCCE E GERMOGLI DI MENTA

Inserire il minidisk nel Giococubo e sentirsi intrappolati in un vortice spazio-temporale è questione di un attimo. Non affannatevi a domandare, la risposta è: SI. Super Mario Sunshine è una mera evoluzione del suo predecessore su Nintendo64. E’ sempre un platform in 3D, ci sono ancora stelle da trovare e collezionare [ora si chiamano Shines], diverse subquest da completare e mondi segreti che si paleseranno


:RECENSIONI: man mano che si procede nell’ avventura. Gli ingredienti del vecchio cocktail sono predominanti, nell’economia del bibitone Nintendo. Mario salta, corre, scivola. Rimbalza di muro in muro per raggiungere lucernari, tetti, campanili. E da lì osserva quali nuove aree è possibile raggiungere, magari con l’aiuto del dinoccolato Yoshi. Le innovazioni, se tralasciamo quelle di carattere tecnologico che elenchiamo con apposita ricetta a parte, si limitano all’introduzione del water-pack. Tutto qui? Direte. Beh, questo waterpack è a tutti gli effetti il gin della situazione. Perché il gin, se bevuto da solo, non è poi ‘sto gran ché. Ma a ben vedere arricchisce ben più di un cocktail, valorizzandolo. Questo “zainetto-parlantespruzz’acqua” che Mario trova all’inizio della sua avventura ha duplice valenza: di arma contro gli esseri melmosi che hanno invaso il villaggio ove Mario è in vacanza, e di ‘propulsore ad acqua’ per volare per brevi tratti, o per fiondare l’idraulico ad altezze altrimenti irraggiungibili. Cosa che invero il gin non fa, ma solo se lo assumete nelle dosi minime consigliate. ____________MARGARITA 5/10 TEQUILA 3/10 COINTREAU 2/10 SUCCO DI LIMONE O LIME SHAKER, COPPETTA DA DOPPIO COCKTAIL BORDATA DI SALE

Come un buon cocktail dipende da ingredienti, mixer e bicchiere adatto, un buon videogame dipende da grafica, gameplay e sonoro, possibilmente serviti freschi. Mettere la grafica sotto la lente di ingrandimento significa essere catapultati in un mondo che fa dei cromatismi il suo punto di forza. Mario si muove in un mondo di colori primari stordente. Un arcobaleno multi-

Ring#2 livello che comincia dal mare e si spegne in cima alla più alta montagna. Il mondo 3D è ottimamente realizzato. Non solo nell’ architettura dello stesso, [Ricco Harbour è splendido per cromatismi e design] ma anche per la sua vitalità. Basta saltare sulle piattaforme più alte e vedrete il paesaggio estendersi fino ad un lontanissimo orizzonte che contempla [quasi] tutti gli stage che vi ritroverete a visitare. Nintendo ha sostituito il castello che faceva da anticamera ai livelli di Mario64 con un villaggio turistico [Nintour?] ricco di segreti da scoprire, shines da raccogliere, e nuovi portali da spalancare per accedere agli stage avanzati. Un mondo vivo, pulsante, pieno di gente intenta a fare del commercio, o semplicemente a farsi i fatti propri. Il tutto con un frame rate stabile a 30Fps. Nella nostra forbice di giudizio merita svariati encomi la rappresentazione dell’acqua in tutte le sue forme, biasimabili sono invece alcune textures particolarmente sfocate e poco ispirate. Difficile dire se sia una scelta per alleggerire il motore grafico, o per simulare una certa ‘pastellosità’ degli ambienti, sta di fatto che a volte l’effetto che ne risulta non è piacevolissimo a vedersi. Mettere la voce ‘Gameplay’ sotto la lente di ingrandimento significherebbe invece aumentare la grandezza del font a dismisura, quindi diremo solo che è presa di peso dall’episodio precedente. Ma non venitemi a dire che è un difetto. Mario [il videoplayer] può fare quello che vuole: decidere di affrontare uno qualsiasi dei livelli a scelta oppure passeggiare senza una meta, sicuro che comunque qualcosa da fare salterà fuori: una so ttomissione, un bonus stage, una sfida con un personaggio seminascosto in qualche angolo dei livelli. Libertà di fare qualsiasi c osa, e la sicurezza che quando una decisione sarà presa Mario obbedirà fede lmente agli ordini impartiti grazie al controller che sembra fatto apposta per questo gioco [ed infatti lo è].

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E le musiche? Se mai un paragone coi cocktail calza a pennello è proprio quello riguardante la colonna sonora. Le melodie di tipo caraibico sono un vero mix di colore, allegria, gioia, sole. Rispecchiano in toto lo spirito giocoso e divertito del prodotto Nintendo, risultando sempre un piacevole accompagnamento, valorizzato anche dai remix di precedenti colonne sonore. Il tutto nello splendore del Dolby Surround Pro-Logic II, che per fortuna non necessita di lenti di ingrandimento per essere apprezzato. Qualcuno noterà a questo punto la mancanza di un seppur vago accenno alla trama. Ecco, non so come dirvelo, ma anche in vacanza Peach ha trovato il modo di farsi rapire. Riuscirà Mario a libera rla? Chi è il misterioso clone mariesco che imbratta tutto il villaggio Nintour e fa rinchiudere il nostro eroe in prigione? E soprattutto: perché lo psicanalista di Peach si è suicidato? Si sentiva forse inutile, un fallito? La risposta, per lo meno all’ultima domanda, nella nostra intro. ___________MARTINI DRY

2/10 VERMOUTH DRY 8/10 GIN MIXING-GLASS, COPPETTA DA COCKTAIL, FETTINA DI LIMONE O OLIVA VERDE

Osservo il mio bicchiere, ormai vuoto. E osservo quel bizzarro cameriere armato di stura lavandini e chiavi inglesi allontanarsi. Ripensando a quel mitico 1996, è davvero difficile immaginarsi fattori di innovazione così alti nelludomondo contemporaneo. Possiamo dire che con Super Mario Sunshine, Nintendo ha semplicemente aggiunto un’ oliva [il concept del waterpack] ed un ombrellino nuovo [le nuove prestazioni grafico sonore] ad un cocktail che era già di per sé perfetto.


:RECENSIONI:

Il giudizio finale è quindi strettamente legato alla personale filosofia degustativa. Se avete gradito gli ingredienti del vecchio mix non avete alcun motivo per disprezzare il nuovo, e l’aggiunta dell’oliva può risultare una piacevole variazione sul tema, anche se la sua reale incisività sul risultato finale può essere fonte di infiniti dibattiti. Un poco come la presunta necessità della mosca nella sam buca. Se invece siete sperimentatori sempre affamati di novità a pr escindere dalla bontà delle de gustazioni passate, potreste pensare che in fondo un’oliva come unico elemento di novità può essere sintomo di scarso impegno e fantasia, e rivolgere quindi il vostro interesse e gradimento altrove. A prescindere dalla bontà delle degustazioni passate, si faceva notare.

Il che significa: Super Mario Sunshine è sempre e comunque splendido. Non quella novità epocale che alcuni si aspettavano, ma sicuramente il miglior platform 3D da 64 bit a questa parte. E’ comunque il caso di festeggiare. Beveteci sopra, offre la casa.

Ring#2

:COMMENTO EXTRA:

Super Mario, Extra Mario di Paolo “Jumpman” Ruffino Niente di più banalmente geniale. Super Mario Sunshine, uno dei capolavori più scontati che vi possa capitare di giocare. La storia è un pretesto per giustificare l’ambientazione, a ben vedere non c’è una trama da raccontare, ci sono solo delle cose da fare, degli obiettivi da completare sconnessi tra di loro. Ed è ovvio che sia così. La grafica è colorata, gioiosa, adatta alla sensazione di vivacità trasmessa dal gameplay. E vi aspet tavate qualcosa di diverso? Il gioco scorre fluido, tra Shines banali e Shines geniali, da prendere trattenendo il fiato. Il jetpack è una ciliegina che in realtà (la realtà è spesso dura da accet tare) semplifica il tutto permettendo di correggere qualche salto imperfetto, di colpire nemici da distanza di sicurezza e di abbreviare dei percorsi altrimenti noiosi da ripetere ad ogni errore. E’ ovvio che sia così, è ovvio che Nintendo si adegui alla tendenza a semplificare il completamento dei videogiochi. Come è ovvio che Nintendo faccia Super Mario e che lo faccia così come te lo aspetti, fottutamente divertente, ovviamente imperdibile. Originalità prevedib ile. SMS è un manifesto. Nintendo vuole cancellare i graffiti (Jet Set Radio?) a forma di M (Microsoft?!), e vuole che sia tu a farlo, nei panni del baffutone. Nintendo ti chiama ad ammettere che il videogioco è questo, è saltare e divertirsi senza tante p arole. Nintendo rifiuta con forza, con questo SMS, qualunque cosa che non sia gameplay puro, allontana come fosse peste la tendenza a fare del videogioco qualcosa di complesso o che in un qualche modo inviti a riflettere sul nostro mondo. In un periodo in cui il videogioco sta cambiando SMS vuole dimostrare che è solo e solamente un giocattolo (per citare lo stesso Miyamoto) e che tale resterà. E in fondo, a pensarci bene (ma solo dopo le ovviamente sudatissime 120 Shines, prima è proibito pensare) c’è qua lcosa di profondo nell’apparente superficialità di Nintendo. Se riusciss imo a dimostrare che SMS è Arte, che il gameplay è di per sé una forma d’Arte, allora Nintendo avrebbe permesso una grande scoperta. Ma a questo penseremo in futuro. Per ora rimane solo un dato di fatto, inconfutabile come il “cogito ergo sum” cartesiano: Super Mario Sunshine è uno spasso da giocare e da vedere. Un continuo stare a bocca aperta, un continuo scoprire cose nuove da fare e modi nuovi per farle. Ancora una volta. P.S.: ma il rapimento della principessa voleva essere un colpo di scena?

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Cameriere, c’è una Mosca bianca nel mio Franchise__ [Onimusha 2] di Emalord

Artisti Vari- “Zuppa di verdure con Fetta di Pane”- Una zuppa scevra da mosche bianche in quanto perfettamente uguale a tutte le altre zuppe

Onimusha, il primo episodio, è stato una piacevole variazione sul tema del “Survival Horror”. Di fatto Capcom ha creato il “Fantasy Survival Horror”. Un samurai al posto di agenti speciali, un castello nippofeudale costruito sulle fondamenta di una mansion del secolo scorso e samurai in putrefazione al posto di zombi in putrefazione. Si, okkei, non è stato un grande passo avanti, lo possiamo ammettere tutti. D’altronde un franchise nato sulle orme di un altro franchise può essere tutto tranne che una novità assol uta. Eppure l’uscita sul mercato di Onimusha2 non è stata una biechissima operazione commerciale basata sulla clonazione di idee già clonate all’ origine. La Capcom che ricicla lo stesso Street Fighter per una decina di volte con variazioni miserrime, per un mercato che sembrava comunque ben felice di ingerire cibo rigurgitato da altri, sembra solo un ricordo. E Ring se ne felicita, perché noi si ama la buona cucina e possibilmente di prima mano. Non che Onimusha2 sia una rivoluzione culturale, questo no. Ma motivazioni valide per un minimo di standing ovation ci sono. Diamo a Capcom quello che è di Capcom, e che Cesare chiuda un occhio. Fermo restando che la trama ha subìto variazioni minime [in pratica cambia il personaggio

principale ma tutto il resto è fotocopia del prequel, Nobunaga compreso], che il gameplay è sempre basato sullo slash’em’ up con enigmi e che l’impianto grafico è la commistione bitmap/poligoni già vista con Resident Evil et similia, vediamo di focalizzare la nostra attenzione su cosa realmente caratterizza questo prodotto.

Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Avventura Capcom Interno

Anno:

2002

Playstation 2

1 PAL

sodio si potesse osservare un promo dell’episodio a seguire.

Utagawa Kunichika [18351900]– “Attore Kabuki nella Parte di Kagemasa”

Katsushika Hokusai [17601849]– “Il Drago di Fumo fuoriesce dal Monte Fuji” –

Un dragone si alza dal monte Fuji. Quella che agli occhi di un osservatore distratto è una semplice stampa, in realtà è la perfetta sintesi della doppia anima del Sol Levante. Da una parte un monte millenario, testimone silenzioso della Storia di un paese ricchissimo di cultura e tradizione. Dall’altra un’icona delle sue leggende e fantasie più prolifiche. Il Giappone, una terra da sempre divisa tra samurai e demoni, tra la Storia che si studia sui libri e quella che si trasmette da nonno a nipote. Capcom, da sempre osservatrice attenta di questa forte bivalenza culturale, con il franchise Onimusha ha probabilmente ricreato il Giappone feudo-fantasy più affascinante di sempre, e visti gli sforzi produttivi non stupisce che già alla fine del primo epi

In Onimusha2 l’ambientazione feudonipponica è rimasta la medesima del prequel. Splendidi fondali in bitmap, sparati ad una risoluzione così alta da risultare perfettamente integrati con i personaggi poligonali, brillano per calore del colore e microcesellature. Il legno è caldo come non mai, il rischio di bruciare il tubo catodico della vostra Tv è sempre in agguato ma ogni singola inquadratura meriterebbe di essere osservata per ore, questo è un dato di fatto. Il villaggio che fa da checkpoint per la prima parte del gioco è persino commovente. Contadini stanchi, mercanti furbi come faine e donnine dai facili costumi calpestano le vie polverose di un borgo medievale così ben riprodotto da portare ai massimi livelli la sospensione dell’incredulità e farci perdere delle mezz’ore a cercare la zucca con il sakè appoggiata sul divano. O che credevamo di avere appoggiato sul divano. Ma è nella seconda parte della storia che percepiamo i cambiamenti più radi-


cali. Dopo aver ripercorso nelle prime ore di gioco i medesimi livelli del Castello Gifu già cal pestati nel prequel, l’idea di essere vittime dell’ennesimo plagio capcomiamo era viva e dolorosa come un cactus infilato nei pantaloni ad altezza garrese. Eppure questa tensione anale si scioglie intorno alla quinta ora di gioco. La supposta di glicerina è il cavallo che vi riporta dal castello Gifu al villaggio. Un cavallo meccanico. Il primo degli elementi steampunk, o feudo-fantasy che dir si voglia, di una schiera sempre più numerosa con l’avanzare del gioco. Questa componente tecnologica di ferro, vapore e bulloni cambia completamente lo spirito del gioco, molto più di quanto sia lecito pensare. Di fatto siamo passati da un Giappone feudale in preda a schiere di demoni, ad un Giappone feudale in preda a schiere di demoni che usano navi volanti, motoscafi a vapore e robot ante-litteram fatti di legno e metallo grezzo. Per quanto quest’innovativa ambientazione abbia un impatto minimo sul senso globale della trama e non cambi assolutamente un gameplay che punta tutto sul versare ettolitri di sangue e sulla risoluzione di enigmi, la sensazione di vivere un gioco ed una storia sostanzialmente differenti rispetto al predecessore è molto forte.

tro personaggi in cerca d’autorità. Un pa nzone amante dell’ alcool, un giovane ninja, un esperto di armi da fuoco ed una guerriera dal passato oscuro. Innovazione assoluta in un gioco del genere, Jubei dovrà pa ssare parte del suo tempo colloquiando con tutti gli NPC o facendo acquisti in appositi negozi alfine di ottenere regali e oggetti speciali da dare ai nuovi amici, che come risposta lo affiancheranno durante le battaglie più impegnative o lo premieranno con medicine, proiettili ed oggetti speciali. Perché a volte può bastare del ghiaccio tagliato fine con qualche goccia di limone a conquistare l’amicizia di qualcuno, come insegna anche Shibata Zeshin. Per quanto anche questo “fattore umano” non sia fondamentale a variare la sostanza del gioco rispetto al suo prequel, il peso di questa innovazione sulla differenziazione dell’esperienza ludica è rilevante. Mentre in Onimusha solo i giochi enigmistici interrompevano il ripetitivo slashing di Samanosuke, in questo secondo episodio, soprattutto nella prima fase, l'interazione con i comprimari abbisognerà di tempo, energie ed impegno, rendendo di fatto meno monotono il susseguirsi delle sequenze narrative.

Shibata Zeshin (1807-1891)“Ghiaccio, Sega e Coppa”

Altra nota di merito per l’alunno Capcom è stata l’introduzione dei compagni d’arme di Jubei Yagyu [Il nuovo protagonista, un mezzo-oni che per vendicare la propria famiglia ed il villaggio distrutto diventerà più feroce e crudele dei suoi stessi nemici. No, non credo che Capcom abbia pagato le royalties a Nagai]. Il novello cacciatore di demoni troverà sul suo cammino qua t-

Utagawa Kuniyoshi [17971861]- “Il Ronin Oboshi Rikiya Yoshikane”

Come Kuniyoshi evidenzia con questa sua opera, un samurai senza un’appropriata vestizione potrebbe essere scambiato per un contadino qualsiasi [e non venitemi a parlare di Itto Ogami, viaggiava con la carrozzella di legno solo perché sponsorizzato dall’Ikea]. Ed infatti,

viene riconfermata anche in questo episodio la microcomponente RPG presente nel 2001. Ogni demone passato a fil di spada, e se ne contano a centinaia, emanerà una o più auree colorate che saranno prontamente assorbite ed immagazzinate dal nostro eroe. Non con un guanto apposito, come faceva Akechi, ma direttamente tramite un tatuaggio [tribale] presente sul palmo della mano. In ogni punto di salvataggio Jubei convertirà tutto il mana accumulato in energia per evolvere armi ed armature, rendendoli ancora più efficienti e mutandone l’estetica. I modelli poligonali dei personaggi sono tanto splendidi quanto i fondali bitmap per i quali abbiamo già standigo vato in precedenza. Perfettamente proporzionati ed animati [grazie anche all’opzione 60hz presente nella versione PAL], splendidamente vestiti con abiti d’epoca [a volte sgargianti e teatrali, ma non sembra un difetto] e soprattutto con delle espressioni facciali realistiche come non mai. I visi dei protagonisti riescono a essere dolci, fragili, iracondi, sprezzanti, stupiti. Manifestano come mai prima le emozioni più vere dell’essere umano più vero. Menzione speciale per l’eccezionale Godandantess [“il miglior spadaccino fra tutti i demoni”], il boss nemico più sbruffone, logorroico, teatrale e commovente a memoria d’uomo. Due righe per un demone che meriterebbe tonnellate di testo. Aggiungete a tutto questo ben di dio una colonna sonora eccezionale [molto più calda ed espressiva della precedente], una grafica così pulita e nitida da rendere le sequenze in FM tanto spettacolari quanto quelle di FFX ed avrete le idee chiare su un quadro che forse riproduce cose già viste in altri di pinti, ma che per la sua qualità, potenza visiva e tentativo di differenziarsi dai precedenti lavori del suo autore merita comunque l’appellativo di opera d’arte. Il più bel gioco su PS2 a oggi, a pari merito con altri, secondo a nessuno.


:COMMENTO EXTRA:

Full motion slice________________________

[Onimusha 2]

di Amano76 "Capire la mente delle persone e controllare il loro destino è l' obiettivo delle tecniche ninja" Jubei Ninpucho "Sei contagiato da una maledizione? beh, lo è anche questo paese" Mononoke Hime Da qualche parte qualcuno ha deciso che è il momento delle trilogie. Tre parti per Matrix, tre parti per Il Signore degli Anelli (non vale!), tre parti per Spiderman, tre parti per Onimusha. Una per lanciarli, una per migliorarli, una per sputtanarli e nel buio incatenarli. Questa Banda Bassotti, che ha rubato il cuore di mezzo mondo con le sue gesta cinematografiche, è il risultato di un mercato che si reinventa restando sempre identico a se stesso. Associazione fuori luogo? può darsi, ma sfido chiunque a trovare una serie più "cinematografica" di questa, con protagonisti degli attori veri, con colonna sonora e filmati che competono tranquillamente con il mainstream americano, e con una ambien1 tazione da puro jidaigeki . Perciò diamo per scontato che il secondo Onimusha non sia granché originale, diamo per scontato che il passo in avanti compiuto da Capcom ancora una volta è un piccolo passo per le avventure grafiche e un passo altrettanto piccolo sul sentiero della novità. Cosa resta?

2

_____Ti spacco il culo sotto la luce obliqua della luna La giocabilità, tanto per dirne una. Quella parola brutterrima che non si può fare a meno di

usare quando si deve riassumere il fascino di un gioco che non dipende nè dalle rotondità dei poligoni, nè dal prezzo economico, nè dal nome di chi lo ha concepito, ma da qualcosa che si trasmette viralmente dal cd al joypad. Nel caso specifico di Onimusha 2, si possono distinguere le medesime premesse di Onimusha (1) listandole come segue: colpo letale unico, combo, calcio imparabile, supermossa; tuttavia in questo sequel l'applicazione di tali elementi è passata da una corrispondenza univoca (un certo tipo di attacco per un certo tipo di avversario) alla possibilità di utili zzare un arma in modo tale che risulti versatile contro ogni tipologia di avversario, e questo anche grazie all'introduzione di colpi caricati e di un tipo più complesso di combo, che aggiunti al sistema di combattimento precedente ne colmano il vuoto costituito dallo schematismo tattico. E' possibile inventare decine di soluzioni semplicemente imparando come ma soprattutto quando attaccare: il ritmo è la pietra angolare su cui è possibile costruire sequenze personali, ma è anche la chiave per scardinare gli accerchiamenti più complessi, e cioè quelli con avversari di diverso tipo, ognuno con un proprio tempo d'attacco e reazione. Si passa da una cognitività strat egica elementare (calcio per aprire la guardia, combo per mandare l'avversario a terra, colpo a terra per ucciderlo) a una più complessa (combo fino a stordire senza mandare a terra, attendere che l'avversario carichi nuovamente, ancora combo fino a ucciderlo) fino a giungere

alla libertà di elabor are coreografie che fanno sentire dei piccoli Bruce Lee armati di katana. Ne risulta un interesse a rigiocare, a sperimentare, a editare nuove soluzioni, che per un picchiaduro a scorrimento di oggi... scusate, per un adventure game di oggi è un eccezione eclatante. A questo va aggiunta la possibilità di control -lare altri quattro personaggi, di cui due, Kotaro e Magoichi, con un stile di combattimento talmente lontano da quello del protagonista da soffiare una potente ventata di freschezza sulla strategia di attacco e quindi costituendo un ulteriore elemento di interesse a ripetere l'avventura almeno due volte ancora. _Per una manciata di bambù Poi c'è il carattere cinematografico del tutto. Scegliere attori di successo come Kaneshiro (Samanosuke) o leggendari come Matsuda (Jubei) già di per sé è un elemento di fascino decisivo. Il senso di grandeur è notevole, perchè si tratta di personalità di grosso calibro che con la loro semplice presenza bastano a rendere epica la narrazione, sovrapposta in maniera lampante a quella di un vero e proprio jidaigeki. D'accordo che per un occidentale non significa nulla, ma provate a immaginare come sarebbe Devil May Cry senza il suo carattere stylish.


:RECENSIONI: E così ecco la sceneggiatura leggera ma costellata di momenti di forte emozione, la dscrizione della dura realtà del periodo feudale accanto a scene di lotta assolutamente al di fuori del possibile, il bene che trionfa sul male ma a caro prezzo, e la scontata storia romantica tra il samurai e la nobile in astinenza di atti passionali (amore impossibile perchè caste diverse non potevano sposarsi tra loro). A questo si aggiunge poi la consueta cifra horror della storia, con demoni e orchi sempre intenti a spartirsi le sfortune di esseri umani che finiscono puntualmente tra l'incudine e il martello, manifestazioni infernali il cui design ha perso un po’ di tono per colpa (o merito) di Keita Amemiya, folle illustratore giapponese che preferisce l'inquietante allo spaventoso. Un passaggio di mano piuttosto evidente se si presta un occhiata ai boss del gioco, fantozziani oltremisura, sicuramente più motivati e caratteristici rispetto al primo Onimusha ma comunque troppo

Ring#2 scanzonati per incutere tanto timore quanto i predecessori. Lacrimuccia infine per gli sfondi delle pergamene, ora più banali e non separabili dal testo. _____Appunti sulle tecniche shinobi di Jubei Onimusha 2 si conclude col botto, in un tour de force di filmati adrenalinici e di difficili combattimenti all'ultimo sangue, in un culmine narrativo e ludico che è il loto all'occhiello di questo sequel. Longevo, curato, con il migliore sistema di combattimento mai visto in un adventure: più vario di quello del primo capitolo, più bilanciato di quello di Devil May Cry, più frenetico di quello dei vari Resident Evil o Dino Crisis. Un Ninja Scroll in poligoni (o quasi) che scavalca in ogni ambito il suo predecessore. Da comprare ora.

1

[ jidaigeki (da leggere: gidai ghechi): film di costume. Il jidaigeki è l'unico genere cinematografico giapponese che riesce a competere con lo strapotere nel mercato interno dei film gialli e di quelli romantici. Vengono quasi tutti girati a Kyoto, città che ospita gigan teschi teatri di posa e uno sterminato centro storico perfetto per girare scene d'ambientazione medievale. Al vantaggio di questa specie di Hollywood naturèe, si deve sommare il costo pressoché irrisorio dei costumi (i kimono, anche quelli da cerimonia, sono usati tutt' oggi) l'impeccabile stato in cui sono mantenuti templi e castelli (tutti in assi di legno che vengono periodicamente sostituite) e l'incontaminazione delle campagne. Sia in ambito produttivo che tematico condivide molti aspetti con il western americano.] 2

__________________Note

[ Le immagini a corredo di questo commento corrispondono alla versione di Onimusha per i cellulari.]

Chi non salta è Bianco o Nero______ ________

[Ikaruga]

di Emalord Hop, Hop, Sal-tellare Sal-tellare Hop, Hop, Sal-tellare Sal-tellare Ore 8.00, suona la sveglia. BIP BIP. Mi alzo, indosso le mie pantofole bianche, il mio accappatoio nero e mi diri-go verso il bagno. Mentre mi lavo i denti mi rendo conto che oggi non mi sarei dovuto sve-gliare alle 8.00. Sono in ferie, perdio. Il bagliore nero di un’ otturazione su sfondo avorio mi ricorda che in effetti il mondo non è perfetto, e mentre scaravento dalla finestra la sveglia che continua a fare BIP BIP ogni sessanta secondi mi chiedo perché non ho studiato da odontoiatra. Attraverso le persiane la sento esalare l’ultimo

BIP, mentre il suo châssis bianco si disintegra sul nero asfalto. Un attimo dopo sono in cucina, metto a scaldare un caffellatte e scendo a ritirare la posta. Tra quintali di promozionali cartacei e due quotidiani, una busta attira la mia attenzione. Mentre degusto il caffelatte leggo l’invito contenutovi: “La Signoria Vostra è invitata al ricevimento che si terrà nel Centro Sportivo Treasure della sua città martedì prossimo alle ore 16.00. E’ gradito un abito nero oppure bianco. Si prega di evitare colori sgargianti”

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Sparatutto Treasure Interno Dreamcast

1-2 NTSC-JAP

Anno: 2002 Il martedì successivo mi presento con un carico di curiosità all’indirizzo indicato sull’invito. Una torreggiante quantità di casse stereo disposte lungo tutto il palco appositamente allestito fa da cornice al Presidente di Treasure, che pochi istanti dopo comincia il suo discorso introduttivo.


:RECENSIONI:

Ring#2 E’ usanza, il giorno del matrimonio, che la sposa vesta di bianco e lo sposo di scuro. Ma da recenti studi è emerso che nel corso della vita coniugale l’atteggiamento di vestirsi con colori omogenei porti una maggiore serenità di coppi a. Il Vaticano sta vagliando la possibilità di celebrare il rito del matrimonio solo in presenza di sposi in tuta da palombaro.

“Amici, benvenuti. I centri sportivi Treasure sono orgogliosi di annunciare che da oggi il mondo degli shooter a scorrimento ha fatto un concreto passo avanti. L’introduzione di una nuova disciplina, il puzzle-shooting, ha di fatto reso obsolete tutte le passate tecniche di allenamento e preparazione sportiva prendendo le distanze dalla concorrenza più agguerrita. Il puzzleshooting non è altro che l’evoluzione naturale degli shooter a scorrimento tipicamente arcade. Fino a ieri Treasure ha subito la feroce ma costruttiva concorrenza di altri centri sportivi tra i quali Technosoft, Konami, Sega, Squaresoft, che con attrezzature all’avanguardia come i modelli Thunderforce, Einhänder, Gradius, Panzer Dragoon hanno nel corso degli anni contribuito a sviluppare scrolling in orizzontale, verticale, puntando sull’irrobustimento sia delle due che delle tre dimensioni. Ma il limite comune di tutte queste precedenti metodologie era un allenamento mirato alle articolazioni e ai riflessi motori. Da oggi Treasure fa un sostanzioso passo in avanti e punta anche all’irrobustimento e sviluppo della mente sincronizzando come mai prima reazioni motorie con reazioni neurali, rendendoci di fatto il franchise di centri sportivi più innovativo attualmente sul mercato. Abbiamo ospite sul nostro tatami il Professor Ikaruga, fautore del fenomeno e professore di Puzzle Shooting a Tokyo, promotore di questa nuova attività sportiva in Italia e nel resto d’Europa, vincitore di diversi trofei di atletica a livello intercontinentale. Lasciamogli la parola.” “Grazie, esimio collega.

Da quando lo shooting si è diffuso come attività in tutto il mondo, abbiamo pensato come dovevamo approfondirne e migliorarne le peculiarità se vol evamo sperare di trarne nuova linfa e nuovi guadagni. Per fare ciò, abbiamo dovuto esaminare a fondo le caratteristiche base dell’esercizio fisico e vedere quali parti del corpo non sviluppava. Innanzitutto abbiamo notato una certa staticità essenziale delle navette. In tutti gli shooter del passato le astronavi in-game erano una e sola. Upgradabile, evolvibile, con o senza marmitta catalitica ma assolutamente dotata di una sola ed unica personalità. In Ikaruga [cfr. “Ho dato al progetto di puzzle shooting il mio nome”] l’astronave ha di fatto due personalità. In pratica il caccia interstellare racchiude una doppia anima plasmatica che lo rende di fatto due astronavi diverse, in una. Basta la semplice pressione di un pulsante del joypad e l’astronave gira su se stessa, modificando cromatismi dello châssis e dello scudo. La differenza con gli shooter del passato è che questa sua doppia anima influisce in maniera determinante sul gameplay, risultandone in un fattore fondamentale per la sopravvivenza e non puramente estetico o legato ad un differente arsenale di armi. Per distinguere le due anime del caccia abbiamo scelto i colori base Yin e Yang: il bianco e il nero. Positività e negatività. Un richiamo ad un vecchio progetto Treasure, chiamato Silhouette Mirage, che viste le sue premesse e potenzialità è

stato rivisto in maniera sostanziale nella forma ma non nella sostanza. Per stimolare un rapido e tonificante scambio tra le due anime dell’astronave abbiamo messo di fronte all’atleta un team fortemente motivato diviso in due sezioni, che bersaglierà l’utente con proiettili di plasma bianco o nero con un unico risultato: la morte, o in alternativa la crescita della barra energetica per il super-shot. A questo punto entra in campo il fattore “puzzle” di cui andiamo particolarmente fieri, e che rappresenta la novità sostanziale del prodotto Ikaruga. L’aeronave può assorbire plasma bianco, quando il suo scudo plasmatico è dello stesso colore, mentre sarà irrimediab imente spazzata via da una folata di plasma nero se non inverte subito i cromatismi. Questo “saltare” dallo scudo plasmatico positivo a quella negativo, questo intercambiarsi dell’aeronave per poter sopravvivere, non solo apre nuovi orizzonti sullo sviluppo di cosce, glutei e polpastrelli ma abbisogna soprattutto di un fattivo uso neuronale. All’inizio sembra tutto facile. Un sapiente dosaggio delle ondate nemiche porta il cliente Treasure ad assorbire i primi attacchi con una bassa emissione di sudore e di energie ma con un lento ma costante riscaldamento dei fasci muscolari che così saranno pronti ad affrontare i livelli più avanzati. Dal secondo livello, entrano in campo postazioni fisse che in alternanza alle veloci astronavi avversarie cominceranno a mettere seriamente alla prova prontezza di riflessi e capacità

Il Tao simboleggia l’ambiguità delle cose. L’assenza di un’unica realtà e la possibilità di vedere in ogni oggetto o fatto valenze assolutamente contrapposte. I Level Boss di Ikaruga si fanno forza di questa filosofia per bersagliare con combinazioni bicromatiche l’utente in preda al panico, al quale resta solo da inveire contro chi ha inventato le filosofie orientali.

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:RECENSIONI: decisionale dell’utente. Ed è in queste fasi concitate che risalta la legge di Radiant Silvergun, altro famoso shooter di Tresure: “non esistono colpi impossibili”.

Un perfetto dosaggio del gameplay, una ben definita velocità e direzione dei proiettili nemici, il succitato e ben studiato fattore di puzzling già i ntravisto anche in Bangaioh [Treasure, Dreamcast, 1999], rendono questo prodotto difficile ma non impossibile, tanto che con una certa pratica ed uno studio approfondito dei pattern avversari è possibile passare attraverso livelli apparentemente imbattibili senza perdere una vita.

Ring#2 Durante un’eclisse, l’aureola bianco-abbacinante del sole diventa una corona di luce intorno ad un disco nero che si staglia su un cielo nero. Difficile dire se il fascino di questo fenomeno risieda nella presenza della luce o nella sua assenza. Ikaruga non solo non risponde alla domanda, ma blasta senza pietà chiunque si ponga simili assurdi quesiti.

Completa il quadro una colonna sonora di tutto rispetto, che senza essere mai noiosa accompagna in maniera a tratti sorprendente tutta l’esperienza atletica, dando il necessario ritmo di fondo per sincronizzare le dita, la mente, ed il piedone che batte a tempo sul pavimento” Sono uscito dal centro sportivo prima della fine della conferenza, tra i continui applausi degli astanti e con un gran mal di testa. Non mi è stato facile comprendere il discorso del professor Ikaruga, forse perché non ho mai seguito corsi di shooting in passato, forse perché non capisco cosa possano avere in comune le astronavi con i corsi di cultura fisica. Shooter a scrolling verticale, plasma bianconero, innovazione, frenesia, gameplay perfettamente studiato, prestazioni tecniche impeccabili, grafica stupefacente, elementi puzzle, sono alcuni dei frammenti di conferenza che mi ronzano in

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testa la mattina seguente, dopo un risveglio improvviso e traumatico causato dall’assenza del fedele BIP BIP cui ero abituato da anni. In soccorso mi viene il quotidiano regolarmente infilato nella cassetta della posta. Mentre sorseggio la mia dose minima giornaliera di caffelatte, Rubens Barry mi chiarisce con un articolo di poche ma incisive parole l’impatto che Ikaruga ha avuto sulla comunità ludica, convincendomi tra l’altro a ripresentarmi pochi giorni dopo al centro sportivo Treasure per iscrivermi alla prima serie di corsi in programma. Perché quando un prodotto è della portata di Ikaruga, vale la pena di fare qualche sforzo pur di avere un corpo ed una mente in forma perfetta anche se non si ha molta esperienza di shooting e non si comprende cosa possano avere in comune le astronavi con i corsi di cultura fisica.


:RECENSIONI:

Ring#2

Finalizza Fantasista!_____________________ [Pro Evolution Soccer 2] di Sator Arepo “Rispettate il Calcio, e domate la F.I.F.A.” Tom Cruise in Magnolia. Assieme a titoli come Gran Turismo, Automodellista e Libero Grande, Finalizza Fantasista! testimonia quanto l’idioma del Bel Paese riesca ad affascinare gli sviluppatori nipponici; dispiace pertanto constatare che, nella versione PAL, tale suggestivo titolo sia stato cambiato in favore di un banaleggiante Pro Evolution Soccer 2. Ma questo, come vedremo, è uno dei pochissimi difetti attribuibili al gioco.

te strategica e spettacolare, capace di unire il tatticismo degli scontri del sopracitato gioiello Square con i più immediati duelli di Grandia. Aggiungendo al tutto la bellezza di undici membri del party a combattere, contemporaneamente sul playground, un identico numero di avversari, per mezzo di un sistema di turni che avremmo potuto chiamare sferografia, se non lo avessero già usato altri. In pratica il susseguirsi dei turni è scandito dal possesso di una sfera di cuoio; il giocatore controlla il personaggio più vicino ad essa e può decidere se attaccare l’avversario, oppure se passare ad un altro membro del party. Ma in verità è tutto molto più complesso, e tanto difficile da spiegare quanto, per fortuna, semplice nella pratica. In fine, un numero di personaggi talmente elevato da far sembrare in confronto i 108 playing characters di Suikoden uno scherzo di pessimo gusto. ___Knights of the round ball

La cover della versione giapponese

La serie FF! ha ormai raggiunto un numero di episodi tale da aver maturato la sua personalissima concezione del genere… Un sistema di organizzazione tattica e gestione del party forse più completo di quello dell’ ottimo Final Fantasy Tactics, con possibilità pressoché infini te di variazioni, molte delle quali attuabili in tempo reale, senza cioè il tedioso accesso al menù a tendina, che rimane comunque privo di eguali per praticità e completezza di informa zioni. Una dinamica dei combattimenti al tempo stesso altamen-

Come era logico attendersi, i combattenti costituiscono il fulcro di questo RPG. Un impressionante sistema di statistiche definisce con grande dettaglio tutte le razze che popolano il mondo digitale di Finalizza Fantasista!… Ci sono gli Elfi, come Owen (97 in accelerazione), capaci di muoversi con tale leggadria da non spostare al loro passaggio un solo filo d’erba, così come nel celebre romanzo di Tolkien non affondavano nella neve. Ci sono i Maghi, come Zidane (98 in tecnica), in grado, tramite sortilegi, di nascondere la sfera alla vista dell’avversario. Ci sono i Golem, come Vieri (96 in equilibrio), che non li fai cadere a terra neanche con le canno-

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Strategic RPG Konami Konami TYO

Anno:

2002

P(E)S2

12345678 PAL

nate. Oppure i due Argonath Nesta e Cannavaro: maestosi. Tutto questo non considerando gli innumerevoli multi-classe, ottimi in diversi reparti, come Totti. Un uso accorto di ogni combattente è naturalmente il modo migliore per ottenere una vittoria sul campo; impensabile infatti effettuare un cross a difesa piazzata ed un Nano come Del Piero solitario in area a ricever palla. Addirittura criminale sarebbe incaricare la costruzione del gioco ad un Troll Gattuso, abile solo nel distruggere. ________Summon Gigi Riva La conversione PAL di FF!, una volta tanto, non è quel disastro a cui molte produzioni “quadrate” ci hanno abituato: abbiamo bande nere al minimo storico – manca però l’opzione per centrare lo schermo – ed una velocità di gioco ottimizzata ai 50 Hz che, unitamente alla raggiunta assenza di rallentamenti, garantiscono una ottimale risposta dei comandi. In PES2 non avrete più la possibilità di giustificarvi con un: “Ma cazzo, io avevo tirato!”, inoltre potrete giocare più spesso la carta dell’ azione personale, con maggiori possibilità di successo, grazie alla reattivissima corsa del tasto R2 e ad una variegata scelta di dribbling. Tra i difetti segnaliamo l’immancabile presenza del famigerato renderware e l’impossibilità di spostare personaggi da


:RECENSIONI: una squadra all’altra senza passare per l’editor. Dispiace inoltre che non sia stato corretto un difetto di lunga data, ovvero l’impossibilità di lanciare la ma gia off-side se l’avversario non è entrato in possesso della sfera. Pare una cosa da poco, questa, ma di fatto impedisce l’attuazione del fuorigioco in seguito ad una respinta con i pugni del portiere: invece di far salire istantaneamente la difesa, bisogna attendere che un avversario tocchi il pallone, e a quel punto è in genere troppo tardi per usare tale tattica.

Ring#2 taneamente il controllo della sfera, il tutto senza fare fallo. Ovviamente sbagliare un passaggio, soprattutto a centrocampo, implica il cancel dell’azione d’attacco e la conseguente counter avversaria a difesa indebolita.

______________Meta-RPG

___This is my football story E’ risaputo come ogni RPG originario del Sol Levante ponga grande attenzione sull’elemento trama. Producendo, nel corso dell’avventura, intrecci complessi e ricchi quanto più possibile di colpi di classe. Finalizza Fantasista! non è assolutamente da meno, anzi, questo è forse il reparto che, di episodio in episodio, ha subìto più migliorie. In particolare sono le trame di centrocampo a raggiungere in PES2 lo stato dell’arte. Ogni passaggio della sfera deve essere attentamente ponderato dal giocatore, tenendo in considerazione l’abilità di scambio dell’esecutore, la presenza di elementi di disturbo e le capacità del ricevente in fatto di corsa e stop. Un importante numero di animazioni, aggiunte in questa edizione, rendono inoltre possibili tutta una casistica di eventi che attaccante e difensore devono giocoforza tenere in considerazione: infatti un pallone potrebbe essere male agganciato e scivolare lontano dal possessore, oppure un leggero contrasto potrebbe sbilanciare quest’ultimo quel tanto che basta per perdere momen-

Le più famose riviste americane del settore hanno parzialmente stroncato FF! per via di un – a loro dire – macroscopico errore di progettazione. Tale errore consisterebbe nel fatto che le pur dettagliate statistiche dei vari personaggi non incrementano col proseguire del gioco. Verrebbe così meno un concetto basilare in ogni RPG esistente: la crescita del personaggio. In effetti è vero: con l’eccezione di alcune voci, come l’affiatamento con la squadra e la forma fisica, i personaggi di FF! sono statici. Nessuna evoluzione degli stessi. Ma allora, direte voi, cosa ci azzecca quel “Pro Evolution” nel titolo occidentale? E’ presto detto: i miopi magazine d’oltreoceano non si sono resi conto che FF! presenta una innovativa concezione di crescita. Seguendo la moda della metareferenzialità in vo ga di questi tempi – non dimentichiamoci che FF! è di Konami – non sono le statistiche dei playing characters ad aumentare, bensì quelle del videogiocatore. Finalizza Fantasista! è infatti un RPG che pone grande affidamento sull’esperienza accumulata dal giocatore durante anni di pratica; tutto questo a discapito dei giocatori casuali, le cui chances di vincere contro un avversario più “navigato”

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sono praticamente nulle. Siamo di fronte ad un sistema perfetto: un gioco in cui tutto – perfino un evento apparentemente casuale come uno stop errato – ha una sua precisa ragion d’essere. In tale meritocratico sistema, il novellino non può in alcun caso appellarsi alla proverbiale botta di culo, ed il solo modo che avrà per battere un giocatore di livello superiore sarà quello di raggiungere e fi nanche superare tale livello, mediante pratica, pratica ed ancora pratica. Quindi, per rendere più coreografica questa crescita metareferenziale, ogni volta che completate una giochessa spettacolare, ogni volta che sforbiciate a mezzaria, ogni volta che anticipate il portiere ed insaccate con un tuffo di testa, ogni volta che pennellate una punizione al sette, ricordatevi di posare a terra il joypad, poi spiccate un salto e, con un pugno alzato, gridate: “LEVEL UP!”. Un simile gesto andrà ad ac crescere la sospensione d’incredulità e non m ancherà di far in cazzare il vostro avversario. Ma fa tutto parte del gioco. Un acquisto obbligatorio.

Ultimora Dopo centania di migliaia di caratteri spesi dai fan in illazioni nei newsgroup di mezzo mondo, pare ormai assicurata la conversione di Finalizza Fantasista! per il Nintendo Gamecube. Quasi sicuramente non si tratterà di un por ting fedele; i combattimenti, infatti, si avvarranno di meccaniche di gioco semplificate – arcade, direbbe qualcuno – rispetto all’originale per PS2, inoltre, per rendere evidente il summenzionato divario stilistico, verrà cambiato il titolo in: Chronista Crossa! L’uso di termini italiani nei giochi giapponesi pare aver raggiunto livelli di guardia…


:RECENSIONI:

Ring#2

Tensione al controllo

____

_

[Super Metroid] di Federico Res Non uno shooter – anche se potrebbe sembrarlo – nemmeno un platform. Non un adventure, né un RPG. Ma tutte queste cose insieme. Brani consistenti di DNA tecnoludico – estratti da generi diversi – mescolati nel calderone fumante delle officine Nintendo, ricetta di papà Miyamoto. Perché, seb bene nei titoli di coda il nome del creatore di Mario non compaia, sarebbe da orbi non riconoscere il suo tocco genial/innovatore nella struttura gamedesignica di Super Metroid. Come sarebbe da fessi non accorgersi degli intimi legami esistenti tra i fondamenti di SM e quelli di Zelda, vero manifesto dell’opera miyamotiana. Ma non è nostra intenzione incensare il designer Nintendo ad libitum, vogliamo dar spazio ad un’opera d’eccezione, squisitamente unica. E se avete fame di nomi, segnatevi questi: Yoshio Sakamoto, Makoto Kanoh e Kenji Yamamoto, rispettivamente regista, produttore e musicista di Super Metroid. Imparateli bene, perché si tratta di alcune delle menti dietro ad uno dei migliori giochi mai prodotti su SNES...

ciera alla mano. Nel profondo dei submeandri di Zebes, ove tutto ebbe inizio... Bastardamente complesso. Intricato da far paura. Ventre pulsante di Zebes è un insieme di sei regioni intrecciate a mo’ d’ecosistemi diversi e simbiotici. Crateria, Maridia, Wrecked Ship, Brinstar, Norfair e Tourian: inutile rilevare come ogni regione ostenti il proprio campionario di flora/fauna indigena, e come i pattern del gioco tendano a molestare/lambire i tratti geo-architettonici di ogni ecosistema. Superfluo sottolineare la prestanza del reparto offensivo - si va dai missili alle super-mine, dai proiettili one shot ai laser multipli. Fottutamente necessario osservare come, accanto ad un eccellente/ eterogeneo level design, il gioco offra un altrettanto variegato/intrigante gameplay, e un sistema di controllo prossimo alla perfezione. Samus corre, salta, spara, distrugge. E’ in grado di ‘deporre’ bombe a orologeria dai molteplici usi, è solita mutare il proprio esoscheletro in una sfera capace d’insinuarsi nei cunicoli più stretti. Azioni semplici, azioni composte. Otto direzioni, otto tasti...

Caccia. Violenta e cervellotica. Samus Aran è in lizza per il ruolo di distruttrice della stirpe Metroid, più che mai decisa a compiere la propria missione di sterminio. Costretta nel proprio esoscheletro, plasma gun e cartuc-

Tensione al controllo. Super Metroid è un mondo. Vortica sopra un nucleo action/ adventure per concedersi splendide incursioni nel platform e intelligenti tratti enigmistici. Ma ciò che sottende a tutto il resto, il senso ultimo di SM è qualcosa di più... è qual cosa chiamato controllo. Perché, alla fin fine, ogni caccia che si rispetti si basa sul controllo, e SM non fa eccezioni: è una geniale escalation di stampo gdr, una necessaria/costante tensione verso l’evoluzione. Quella dell’avatar, quella del gameplay: in SM il controllo su Zebes si conquista a suon di

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Sh/Adv/Plat/RPG Nintendo interno

Anno:

1996

SNES

1 PAL

nuovi hardware trovati. Ogni oggetto raccolto è un traguardo, una rosa di possibilità ine dite, un’evoluzione nel gameplay. Samus ottiene l’Ice Beam => il giocatore è in grado di congelare i nemici e usarli come piattaforme per raggiungere zone prima fuori mano. Samus scova la Gravity Suit => il giocatore si libera dall’ingombrante attrito dei fluidi. E ancora. Quando saggiare il terreno a suon di bombe perde il fascino e l’utilità iniziali, il gioco fornisce a Samus l’X-Ray: al giocatore è data la possibilità di sondare ogni centimetro della mappa di gioco coi raggi x, e il controllo sul mondo di Zebes cresce esponenzialmente...

Contrappunti parossistici. Super Metroid invita il giocatore in spazi enormi e sterili, per poi scaraventarlo in passaggi angusti e stipati di trappole e nemici. La superficie deserta e spazzata dal vento di Zebes è una fredda accoglienza, un preludio agli infidi sotterranei. I corridoi deserti, la latitanza di forme di vita diverse da Samus stimolano i nervi a fior di pelle. Attesa. Fraseggi di bassi tenaci sferzano la neb-


:RECENSIONI: bia e il silenzio. Samus S’imbatte in una statua che reca in mano un misterioso dono. Lo fa suo: si tratta di cinque missili per il suo fucile. Non la vediamo, però sorride… improvvisamente la terra trema, le sferzate del sub woofer esplodono in temi sinfonici di raro impatto, la statua si anima e Samus è costretta allo scontro: l’essenza di SM si palesa in tensione parossistica. Il controllo,

Ring#2 si diceva, si nasconde nelle movenze di Samus. Otto direzioni, otto tasti, una quantità imba razzante di azioni performabili: lo scontro costringe ad agire, a pensare, a ragionare sul modo d’agire. E’ uno schema strategico, minuziosamente preparato, e solo in rare occasioni lascia correre un’azione avventata o un colpo sparato a vuoto…

Accanto ad un mirabile concept, Super Metroid affianca un altrettanto superbo design. E’ un rincorrersi di contrappunti, una tensione al controllo, una caccia dove ogni errore può rivelarsi fatale. Al di là d’o gni descrizione, SM è uno dei più grandi giochi mai prodotti per SNES. E dunque uno dei migliori di sempre…

Lo spirito nel guscio

_ [F-Zero X]

di Federico Res _____________1998/2002 “L‘impatto con FZero è sconcertante. Non per opulenti barocchismi estetici, bensì per la loro assenza: i tempi esigono il sangue, quello della macchina, l’orgia visivo-uditiva veicolata dalle nuove tecnologie. In tal senso, F-Zero X è un pestone in un occhio. Un frame rate graniticamente stabile, fluidità fuori del comune, ma numero poligonale [numero dei poligoni contemporaneamente su schermo] pressoché ininfluente. Velocità e fluidità in asettici condotti [piste] librati su fondali poliedricamente inesistenti. Colori vividi e luminosi, tutto il contrario delle atmosfere cupe/ cyberpunkeggianti wipeoutiane. A Nintendo frega poco delle apparenze e, per dio, si vede eccome.”

_____________1998/2002

ridondanze tecniche. Quanto perché, nel suo guscio stilizzato, F-Zero racchiude un gameplay - IL gameplay - che è spirito e soffio vitale. E viene subito fuori, dopo pochi istanti di gioco, quando l’iniziale riluttanza dovuta alle mancanze del lato tecnico ha ormai i secondi contati. Ti esplode in faccia, folgore rivelatrice nei neofiti, ennesima conferma (come se ancora ce ne fosse bisogno) presso i fan di vecchia data. Selezionato il veicolo - scelta obbligata: Blue Falcon - e il primo dei cinque campionati a disposizione - Jack Cup - F-Zero X è più che disponibile a regalare un’esperienza ludica unica, sorretta dai possenti pilastri made in Nintendo: Libertà di movimento : le piste di F-Zero sono immense per estensione, sia in lunghezza sia in larghezza. Dentro a quel guscio c’è tutto lo spazio di cui si ha bisogno per accelerare, frenare, roteare, girare intorno alle navi avversarie… F-Zero X dona al giocatore una libertà spaziale che scongiura - anche se non del tutto - intransigenze e pretese di perfezione curvistica. Giocabilità: i trenta veicoli di F-Zero X si lasciano guidare come gusci di noce sull’acqua. Un tasto per accelerare, uno per richiamare il superboost

“L’impatto con F-Zero X è devastante. E non per - assenti –

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Futurace Nintendo Interno Nintendo 64

1-4 PAL

Anno: 1998 (disponibile dal secondo giro in avanti), i dorsali L e R adibiti ad aerofreni/inclinatori. E una leva analogica che funge da sterzo: un modello di guida che permette d’inclinare l’asse longitudinale del veicolo soltanto durante i salti, liberando il giocatore dal controllo di un parametro fondamentale - quanto ostico da padroneggiare - nel psygnosyano Wipeout.

Longevità: oltre alle varie modalità di gioco ( Death Race, Time Attack, etc.) F-Zero X propone cinque campionati diversi (Jack Cup, Queen Cup, King Cup, Joker e X Cup) costituiti da sei tracciati ciascuno, per un totale di... Nintendo Difference: per un totale, si diceva, umanamente non calcolabile. Le piste di F-Zero X sono virtualmente


:RECENSIONI: infinite, grazie ad un algoritmo abilmente implementato da Nintendo nella X Cup. Ad ogni partita le sei piste dell’ultimo campionato si reinventano da zero, mantenendo un’architettura strutturale semplice ma sempre efficace: alcune puntano sulla pura velocità – prendendo a modello il tracciato Silence -, altre prediligono gallerie interne/esterne o manto stradale parabolico - rifacendosi a White Land 2; altre ancora offrono loop e superfici ghiacciate, assenza di guard rail, tratti infidi e curve a gomito. La X Cup è un mutevole crogiolo d’idee, prende spunto dai primi

Ring#2 quattro campionati e rielabora costantemente - tutti gli elementi inseriti da Nintendo in FZero X...” _____________1998/2002

X è un gioco puro, il più puro che esista. Un guscio perfettamente sferico, cesellato con cura da Nintendo, ripieno di un antico spirito che se ne frega delle apparenze…

…allo stesso modo, F-Zero X è la straordinaria sintesi di tutti gli elementi portanti dei racing futuristici, epurata dagli orpelli più tecnici. Nel sistema di controllo – ispirato a quello di Wipeout, a sua volta derivato dal primo F-Zero per SNES -, nella conformazione dei tracciati, nella semplicità del modello di guida collimano alla perfezione tradizione e modernità. F-Zero

Crepuscolo… el di Lei abbraccio

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[Castlevania Harmony of Dissonance] di Nemesis Divina _________Clavicembalo nel chiar di Luna “When the sun has wept upon the waveless lake, and the mists steal in with ease…” E’ un sangue predestinato, quello che scorre nelle mie vene. Mia la memoria degli Avi, eredità d’altissimo lignaggio che ha attraversato gli oceani del tempo e che arriva oggi a me, immacolato e scarlatto flutto di vita. Carico a spalle la nomea di antichi e gloriosi, Essi han fatto Leggenda e vergato pagine di vicende e perigli contro il demone Uno, progenitore infernale, padre di tutti i succubi, immonda schiatta d’una dimensione di grido e disperio, ove l’incauto soccombe el tiranno governa con scettro impietoso e sordido fare. Serro nei pugni una stringa di cuoio, arma leggendaria dei miei passati, eroici Cacciatori in sigillo Belmont. La Storia rimembra se stessa, si guarda e si ritrae in nuove misure, sempre diverse e pur’anco medesime. Come molti prima di me affaccio Castlevania, angoscioso maniero

dimora del Principe Avverso, una stele nera e penosa che sfida ringhiante le terre d’accanto. M’appresto con sprezzo in cerca di gloria, mia di diritto, e sento me presso lo spirito indomito di gesta trascorse, forse mai vissute. E che pur ben conosco.

Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Adventure Konami Interno Game Boy Adv. 1 EUR

Anno:

2002

Bellezza! Ricchezza! Son dame mai dome.

_____ Un rintocco elegante in foggia pregiata “A black velvet painting sprung to elegant life, like a poignant Madonna perverted to night…” E son aule fastose che m’appresto a calcare; è Morte che arreda e di gusto Ella abbonda. Arazzi eccellenti e drappi orlettati;

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Impareggiabili artigiani dovettero servire il Tristo Signore, ché mai nessun Belmont ebbe ad incontrare siffatta opulenza. Di passo spedito dunque mi muovo, ma lo sguardo sobbalza d’un capo e dall’altro e maraviglie inaudite s’impongono agli occhi: ori ed argenti, candelabri e lampioni e tessuti regali che ricoprono le forme e infatuano il core. E di colori pure accesi, variegati e di certo splendenti, per quanto inopportuna bruma ne offuschi il sembiante. Ed è un opaco infausto che già cono sco dalle cronache del “Circolo della Luna”, misterioso velo che cala impietoso sul destino di taluni frai Belmont. Una nebbia artifizia che non fermerà il mio passo come pure non fanno gli assurdi, aberranti servi-


:RECENSIONI: tori del Maleficiante. Discendenza corrotta e d’astratte fattezze, numerosissimi bravi al soldo del Nero ma pure mostruosi eccellenti, di pernicioso splendore, coperte d’orrida aura eppur sì composte nel sembrare e nel fare che non posson che muovere l’ammirazione entro me. Osceno di tutte le razze e grandezze mi appare davanti, corpuscoli scialbi e corazzati titani e su tutti i Luogotenenti del Signore del Vuoto: Sulfurea semina del Principe Notte; aborti del buio che calano a frotte. Su gambe ferrose o con ali piumate; fra vesti di fuoco e in squame annerite.

Davvero un circo complicato, grosso e arlecchino ma, nel nome di Belmont, tutto questo non avrà benché minimo sentor di vittoria: Crollano inermi sotto corda ferale; Un sibilo! Un colpo! El nemico è sepolto. Avanzo indefesso, con rapido passo; nell’aria una nenia di malo composta. Il musico di corte esegue svogliato. Eppur rammento d’altri temi eccellenti che ebbero a scortare gli Avi miei noti. Musicamenti fatti di voci solenni e d’orchestre capaci, ottoni splendenti ed archi sì arditi. Or’io che sento? Strimpelli e steccate su composti annoiati; null’altro che un sinfonico incompleto. Eppur tollerato compagno, ché nel silenzio che ottunde persino il gracidare d’un rospo è tristemente gradito…

Ring#2

___Dal sepolcro, la memoria alleata “Lo! The pale moonlight, waves a poetic spell of vital death and decline…” Ma non di Belmont è il mio ricordo più grande. Ché di queste stanze ho distinta memoria e mi si tramanda dal tetro compagno dell’avo mio Richter, impenetrabile, gelido et pallido Alucard. Giacché questa stessa fortezza mi ritorna alla mente attraverso i suoi occhi: stessi gli informi, mostruosi miei avversi, uguali le sale, di foggia e fattura. E come pure il mesto Alucardo, io anche affronto due aspetti di medesima rocca; ma ben più sinistro il mio ardire, ch’egli al tempo ebbe ad affrontare un chiaro rovescio di medaglia mentre io sobbalzo e divido di continuo fra due spettri vicini, un’immagine riflessa del castello istesso eppur svilita, tumida, più violenta e animosa. E di porte assai tante è seminata la via, che portano d’un capo all’altro del gelido mausoleo e dell’infame miraggio suo cupo. E innanzi e in ritorno, la via è smarrita di spesso e continuo. E legioni e legioni di morti e feroci: In soccorso magie ed incanti superni; fantastici accrocchi e le armi fatate; che di scure o pugnale ferisce lo corpo; o con liquido e croce scongiurano il morbo.

Magico Spirito, errante irrequieto! Che cangia repente in fantasma adirato. Agile mi muovo, imprendibile a tutti. Sono il padrone di scarti felini e balletti inconsulti: Due balzi nell’aere e slittate feroci, e su fin nel cielo in colonna di luce. e passeggio il soffitto con stile e diletto mordi la sferza, indi giaci disfatto! Stoccata rapace per l’inerme nemico! Essi crollano come fusti novelli, è una messe danzata che non richiede fatica e così fino al Vampiro, satanasso impunito, che di Castlevania è reggente nonché simbolo osceno. Il suo incanto su Maxim, come un giorno su Richter, è un misfatto celato dapprima ai miei occhi. Vago in cerca di reliquie: le parti di un corpo, del Negro Sovrano, che giacion disgiunte in remoti passaggi. Io cerco e non trovo, e sento che Morte, di laggiù, ride sempiterna ché dietro v’è Lei e l’orrenda cospirazione della Tenebra Occulta. Ma’l tempo scarseggia e l’ombra è calante. Il Sole s’acceca, pauroso a ponente. Rotea la stringa che schiocca funesta Vampiro! Ammorbante! Preparati in resta! La cinghia di cuoio nel sangue si bagna… Ombroso! Sciacallo! Sei pronto alla pugna?

E ancora: Vocabolo sacro che d’un libro se n’esce; e muta con l’arma in giudizio celeste. Acqua! Soffiore! Di Fiaccola in Lampo!

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Le note d’apertura di paragrafo fanno riferimento alla canzone: “Dusk… and Her Embrace” contenuta nell’omonimo album composto dai “Cradle of Filth” [1996 - Music for Nations]


:TESORI SEPOLTI:

Ring#2

Vertigo, ovvero l’elogio della verticalità______ [Jumping Flash] di Marco Barbero Più che un tesoro sepolto, uno dimenticato. Molto si potrebbe scrivere a riguardo di Jumping Flash!, ma non che abbia dato il La ad una rivoluzione. Jumping Flash! è un sovversivo in un mondo conformista, è un profeta nel deserto. E’ pure un po’ sfigato, perché è davvero iettatura fantozziana essere il pioniere storico dei terreni tridimensionali, colui che ha conquistato e colonizzato le piattaforme sull’asse Z, e non vedersi riconosciuto alcun merito e/o primato. E’ avversione cosmica sfidare le regole del game design e non figliare alcun filone. Un precedente isolato, ecco cos’è Jumping Flash!. Alla faccia di chi “Oh, Super Mario 64 è il primo platform 3D della storia”. _______L’ignoranza detersa Terra, 1995. Il poligono fagocitava pixel su pixel di mondi in bitmap. Era il nuovo che avanzava, era la seconda repubblica e come tale era identica alla prima. Cambiavano le facce, quasi per nulla le abitudini. Picchiaduro, sparatutto, giochi d’azione… erano poligonali, non tridimensionali. Tra i pochi a convogliare la potenza (da non sottovalutare) di PlayStation in approcci genuinamente nuovi alla res ludica, Exact si ritagliò un posto d’onore: un futuro loculo. Quello che sarebbe venuto, tuttavia, non è oggi pane da addentare. Oggi è il giorno dell’elogio della verticalità, della vertigine, del cunnilinguus del dito saettante come un’appendice rettiliana che, accarezzando in triplice manovra un umidiccio tasto X, proiettava un coniglio robotico nomato Robbit nella stratosfera digitale, tra le

inebrianti d’altura.

sferzate

del

vento Genere:

Un’idea semplice bastò a spiazzare tutti. Guardando le immagini di Jumping Flash!, inchiodati come si era a una mentalità a due dimensioni, si faticava a coglierne il concept. Asserragliando le proprie dita al pad, di converso, non si poteva fare a meno di picchiarsi in testa, accendendo la metaforica lampadina in un implicito “come hanno fatto a non pensarci prima?!”. Jumping Flash! era il platform visto da Doom. Incastrare la telecamera virtuale nel capoccione di Robbit fu sufficiente a dare, letteralmente, un nuovo punto di vista al genere. Jumping Flash! lo giocavi in prima persona, vivendone ogni balzo, propendendo all’infinito in slanci potenzialmente illimitati. Come se fosse naturale, ci si muoveva rapidi in una sinfonia di piattaforme, isole fluttuanti in un mare di giocabilità, sospese. Vedere il mondo dagli occhi del protagonista rimescolava non solo i meccanismi ludici, srotolava metri su metri di intestino per poi rimescolarli ad ogni caduta. In un mondo videoludico che viveva le sue prime esperienze tridimensionali, le cadute verticali messe in scena da Exact smuovevano qualcosa dentro: dall’eccitazione al tacchino di Natale. La perfidia, e l’attenzione alla fruibilità, posta nella gestione del sal to prevedeva infatti che il balzo successivo al primo inclinasse automaticamente all’ingiù la te-

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(Oryctolagus cuniculus) Coniglio Domestico

Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

SCEI Exact

Anno:

1995

Playstation

1 NTSC-JAP

stina metallica di Robbit inquadrandone i piedi. E’ facile immaginare quanto questo piccolo espediente, oltre a permettere di gestire al meglio gli atterraggi, amplificasse enormemente la portata ansiolitica del terreno che si allontanava o si avvicinava a velocità da sfracellamento. La meccanica sottesa al folle saltellare non era geniale. Sospese nell’aria, camionate di piattaforme: grosse, piccole, piatte, voluminose, quadrate, triangolari, presidiate da nemici incazzosi o abitate da utili power up (tempo aggiuntivo o armi più potenti dello sparo standard). Tra di loro Robbit, in voli pindarici proteso verso la raccolta di quattro carote quattro. E poi via verso l’uscita. Il conto alla rovescia scandiva il ritmo da imporre al proprio deambulare: tranquillo nei primi livelli, quasi forsennato nelle fasi finali. A spezzare la routine il trittico composto da quadri bonus, scontri con mastodontici boss e sezioni (invero un po’ povere) da sparatutto in prima persona. Tutto qua, effettivamente sul lungo periodo un po’ poco. Jumping Flash! avrebbe di certo beneficiato di qualche colpo di genio in più, di un design più ambizioso, eppure era ed è pieno di magia. L’esplosione del triplo salto di Robbit donava libertà. Vagando so gnanti tra le masse poligonali si perdeva poco a poco peso. Ci si sintonizzava interiormente sulla leggerezza esteriore dei luoghi, sul coro di spazi aperti, sugli


:TESORI SEPOLTI: assoli di longitudine poligonale. Ora coccolati dal soffio leggero del vento d’altura, ora risvegliati dalla vertigine, si scandagliavano e apprezzavano gli orizzonti e i profili dei paesaggi: il clima bucolico del primo mondo, la gioia bambinesca del luna park del terzo e poi le musiche, serrate quando serviva, ariose nella maggioranza dei casi nel riuscito tentativo di donare ancora più spazialità a un esistenza ludica apparentemente priva di confini. Nei primi minuti si perdeva l’orientamento, curiosi di raggiungere ogni anfratto del livello, in quelli successivi il tempo incalzava e i ritmi cambiavano forma. Jumping Flash! era un brano drum n’ bass da interpretare: lento e rilassante nella sua forma estetica e indiavolato nelle ritmiche. Jumping Flash! era da ballare fuori tempo, accompagnandosi a un cantato cadenzato “Slancio longitudinale soppressione gravitazionale spazi da colonizzare in vuoti pneumatici palle di vetro avvolgono mondi catartici isole fluttuanti in treddì poligonale esplosione verticale esplosione verticale esplosione verticale”

Ring#2 fiuto del realismo a tutti i costi. La forte stilizzazione di ogni elemento grafico trasmette una vitalità e una classe che, se maneggiata da artisti meno capaci, avrebbe strillato da ogni pixel una genesi forzata da limitatezze computazionali. I pellicani disegnati con una decina scarsa di poligoni, per esempio, avrebbero denunciato sicuramente l’arretratezza del motore grafico rispetto alle brillanti cosmesi odierne, ma così non è. Jumping Flash! è minimalista, mai povero. La forza di tale scelta estetica è evidente nei rari momenti in cui il platform di Exact palesa i limiti tecnologici del ’95, ricercando sprazzi di verosimiglianza visiva. Le primordiali texture che adornano il livello à la Doom all’interno della piramide egizia imbarazzano, simulando effetti di luce eccedenti l’allora livello di conoscenza dei chip di PlayStation. E se nell’Anno Domini 2002 i vuoti d’aria virtuali non ingarbugliano lo stomaco con la stessa intensità di allora, la capacità di divertire è la mede sima di quando lo sguardo vacuo fissava lo schermo immaginando a cosa un tale approccio ludico avrebbe portato. Il futuro avrebbe risposto pragmatico: un paio di seguiti, una sorta di spin off (il tie-in di Ghost in the Shell) e poco più. L’anno successivo Super Mario 64 avrebbe monopolizzato la scena, impallando con la sua mole ingombrante la telecamera di chi aveva scelto di riprendere il mondo delle piattaforme dal punto di vista di Doom, dagli occhi di un robottino conigliforme con il vizio del decollo (e caduta) verticale.

__Odierno disseppellimento Jumping Flash! è vincente nel suo riuscire a rappresentare tutt’oggi qualcosa. Prodotti del genere, facenti leva pesantemente sulla rottura tecnologica portata da nuove tecniche, rischiano un’obsolescenza prematura. L’indirizzo stilistico operato da Exact, invece, risulta pregevole anche ai giorni nostri. La chiave è nel ri-

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Errata Corrige Nel precedente numero di Ring, all'interno della Errata Corrige di pagina 19, è stata corretta la definizione “genere”, nella recensione di Virtua Fighter 4, da “platform” a “picchiaduro”. Abbiamo controllato e, in effetti, Virtua Fighter 4 è proprio un platform. Il revisore probabilmente è stato tratto in inganno dall’ intrinseco difetto del titolo di essere troppo incentrato sui combattimenti.


:RUBRICHE:

Ring#2

L’Ultimo Samurai________________________ [Hiroshi Yamauchi: il nonno che non si spezza e non si piega] di Gatsu Prima che Microsoft si rassegnasse a fare tutto da sola a proposito del progetto Xbox, Bill Gates e i suoi scagnozzi provarono a sondare il terreno in diverse direzioni, cercando di accaparrarsi con la forza la collaborazione di alcune storiche aziende nipponiche. Fra queste, Sega e Nintendo. I fatti hanno fortunatamente dimostrato che nessuna delle due ha ceduto alle lusinghe dei fruscianti dollaroni americani, ma mentre per la prima l’acquisizione da parte di Microsoft sarebbe potuta essere una concreta possibilità (evidentemente i dirigenti “segaioli” hanno intravisto maggiori guadagni in una politica multipiattaforma sulla lunga distanza, come effettivamente è stato), per Nintendo esiste un divertente aneddoto. Minoru Arakawa (ex presidente di Nintendo Of America) ha dichiarato: “Prima del lancio del Gamecube in Giappone ricevetti la telefonata di uno dei dirigenti Microsoft. Mi disse che la sua azienda intendeva comprare Nintendo. Lì per lì pensai che si trattasse di uno scherzo. Noi non avevamo bisogno di denaro!”. Appare evidente come Microsoft non avesse nemmeno messo in conto che un’azienda potesse rifiutare di essere acquisita a suon di vagonate d’oro…ma agli occhi di un hardcore gamer tutto si fa nitido e distinto…forse ce l’hanno insegnato anche i videogiochi: “non tutto è in vendita”. L’atteggiamento di Arakawa rispecchia pienamente il modo di porsi di Hiroshi Yamauchi, l’uomo che per 53 anni guidò Nintendo e che plasmò l’azienda a sua immagine e somiglianza. _______________L’infanzia Nel 1927 Shikanojo e Kimi Yamauchi ebbero un figlio, Hiroshi, il primo maschio Yamauchi

in ben 3 generazioni. Quando Hiroshi aveva solo 4 anni il padre abbandonò lui e sua madre Kimi. Kimi si trasferì poi da una delle sue sorelle, lasciando ai genitori (Sekiryo e Tei) il compito di crescere Hiroshi. I genitori di Kimi crebbero Hiroshi in maniera severa, ansiosi di trasformare il ragazzo in un uomo di buone maniere. Come era logico aspettarsi, Hiroshi si ribellò ai nonni divenendo sempre più intrattabile e arrogante. Era un ragazzo robusto, di bell’aspetto e che si vestiva in abiti eleganti e costosi. Nel 1940 iniziò a frequentare la scuola di Kyoto, ma presto venne la guerra…

_____________La Famiglia Quando suo padre Shikanojo tornò per rincontrarlo, Hiroshi si rifiutò di parlargli e lo umiliò per quello che aveva fatto in gioventù. Non vide mai più nemmeno sua madre. Quando Hiroshi fu vicino ai 30 anni lo contattò una sua sorellastra di cui non conosceva l’esistenza, e gli disse che Shikanojo era morto d’infarto. Hiroshi decise, dopo un intero giorno di riflessione, di partecipare al suo funerale, dove conobbe la seconda moglie di Shikanojo e 4 fratellastri di cui non conosceva l’esistenza. Quando uno di loro gli disse che somigliava molto al padre, Hiroshi si pentì di non essersi riconciliato con il genitore, e da quel giorno il suo carattere divenne meno aggressivo (per modo di dire… continuate a leggere…).

Felice

________La Scuola Militare Tei si rifiutò di mandare Hiroshi nell’esercito, e lo spedì alla scuola militare, dove perlomeno avrebbe potuto mangiare senza problemi la sua porzione di riso giornaliera (vi ricordo che in quegli anni in Giappone il cibo era molto scarso, e la gente si cibava principalmente di patate, alimento notoriamente di scarso valore nutritivo). Già a quest’età Hir oshi iniziava a dimostrare la stoffa del leader: intortandosi uno dei superiori (spartendo con lui le sue porzioni di cibo) Hiroshi riuscì a evitare gran parte del lavoro che aspettava gli allievi della scuola militare e garantendosi quasi ogni giorno il pomeriggio libero.

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Triste _______________Nintendo Quando la guerra finì, Hiroshi iniziò a studiare all’Università di Waseda e più tardi si sposò con Michicko Inaba. Suo bisnonno Fosajiro aveva fondato una società chiamata Nintendo Koppai nel 1889, che dal 1929 cominciò a produrre carte Hanafuda (in sostanza carte per un complesso gioco giapponese). Nel 1949 Hiroshi divenne il 3° presidente di Nintendo introducendo immediatamente importanti cambiamenti: primo fra tutti il licenziamento di tutti i suoi parenti stretti e la precisa volontà di non essere contraddetto in quanto unico detentore del potere su Nintendo! Dal 1965 Nin-


:RUBRICHE: tendo Company Ltd. si dedicò alla produzione di giocattoli, e i primi passi verso l’elettronica furono opera di Gunpei Yokoi, un geniale impiegato che progettò l’UltraHand (1970) e un fucile a raggi di luce (1971), successivamente utilizzato per simulare il tiro al piattello (Laser Clay Pigeon System). Nel 1977 uscì la prima console Nintendo, chiamata Color Tv Game 6, frutto di accordo con Mitsubishi. La console fu accolta con un moderato entusiasmo, ma, sappiamo, Yamauchi non è mai stato il tipo d’uomo che si accontenta…Fu così che Nintendo assunse uno sconosciuto ma talentuoso programmatore, tale Shigeru Miyamoto, che iniziò a lavorare ben presto ad un gioco ispirato a Popeye. Vistisi negati però i diritti sui nomi, sorse la necessità di modificare i prota gonisti: fu così che Bruto venne sostituito da uno scimmione (Donkey Kong), Braccio Di Ferro divenne il baffuto Jumpman (che venne poi ribattezzato Mario, vista la somiglianza con uno dei magazzinieri Nintendo) e Olivia divenne la principessa Peach. Nacque Donkey Kong, un videogioco destinato ad entrare nella storia. Yamauchi decise così di investire nuove risorse in una console tecnicamente eccezionale, in grado di sbaragliare tutta la concorrenza: doveva essere economica ma in grado di far girare centinaia di giochi diversi…nacque così il NES…tutto il resto è storia (che prima o poi vi racconteremo).

Confuso _______L’affare Squaresoft C’è un frangente particolare della storia dei videogames che i Nintendari ricordano bene, e che in un certo senso ha influenzato il nostro modo di gio-

Ring#2 care degli ultimi anni. Correva l’anno 1996 quando fu presentato la prima volta Final Fantasy 7 al pubblico. Nelle intenzioni di Squaresoft FF7 avrebbe dovuto essere l’episodio migliore della saga, grazie al passaggio dal 2d al 3d che una macchina come il Nintendo 64 avrebbe potuto gestire senza problema alcuno. Ricordo ancora quando con le lacrime agli occhi rimiravo le pochissime foto rilasciate dalla stampa specializzata: ripetevo fra me e me “Se il Nintendo 64 può muovere questa roba, sta per nascere la console definitiva”. Ma, si sa, le release date Nintendo non sempre vengono mantenute, e il fantomatico 64DD continuava a subire ritardi sempre più consistenti (uscì molti anni dopo solo in Giappone, e per quel che ne so io fu il più grosso fallimento di Nintendo dopo il Virtual Boy), tanto che Squaresoft decise di spostare il progetto sulla promettente Playstation Sony, dotata di un capiente supporto cd e totalmente in grado di gestire grafica poligonale. Fu una ferita crudele quella che Squaresoft inflisse a Nintendo, e probabilmente questa decisione influì negativamente anche sulle prospettive di vita del 64 bit (non è un mistero che anche in seguito l’N64 rimase quasi totalmente a secco di RPG). Fu un cambiamento epocale, una scelta così grave che comportò la totale rottura dei rapporti fra Squaresoft e la grande N, in passato strettissime alleate. Hiroshi Yamauchi interpretò questa decisione come una sorta di tradimento (non gli si può dar torto, d’altra parte, visto che la saga di Final Fantasy rappresentava già all’epoca un passaporto per il successo) e promise a se stesso che mai più Nintendo avrebbe avuto a che fare con Squaresoft. All’epoca Squaresoft non sembrò dispiacersi molto della notizia: in fondo aveva trovato in PSX la sua gallina dalle uova d’oro, e così è stato fino a qualche anno fa, quando i conti della casa di FF hanno iniziato a tingersi pericolosamente di rosso…

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Nel tentativo di risollevarsi finanziariamente, Squaresoft decise di provare il colpaccio e di buttarsi nel cinema: un film in CG ispirato a FF avrebbe sicuramente giovato alle finanze dell’azienda. Così non fu, anzi: Squaresoft sostenne contemporaneamente le spese per il film (137 milioni di dollari) e quelle per la costruzione degli studios dove il film sarebbe stato realizzato, per un ammontare complessivo superiore ai 400 milioni di dollari. Gli incassi furono tragicamente più bassi delle aspettative, tanto da non coprire nemmeno le spese di realizzazione del solo film. I motivi principali di questo flop sono da ricercare in un’attinenza pressoché nulla con la saga (giusto qualche accenno ai temi ricorrenti di alcuni episodi) e da una sceneggiatura a tratti banale e noiosa (ma, diciamolo, in alcuni punti davvero poetica, come nel finale). Squaresoft si trovò così in braghe di tela, con i conti divenuti ormai scarlatti e ben poche speranze di risollevarsi senza qualche colpo di genio. La sorte volle che in quei giorni venisse presentato il Game Boy Advance, piattaforma sulla quale Squaresoft avrebbe potuto convertire a costo zero (vista la somiglianza fra l’hardware del GBA e quello dello SNES) decine di titoli che nella loro rinnovata forma portatile avrebbero potuto garantire valanghe di denaro in breve tempo (pensate solo a FFIV, FFV, FFVI, Secret Of Mana, Chrono Trigger…). A questo punto Squaresoft si accorse dell’errore compiuto inimicandosi Nintendo, e cercò di rimediare calandosi i pantaloni e adulando all’inverosimile il nuovo hardware della grande N, confidando nel fatto che anche Nintendo avrebbe tratto vantaggio (vendendo più GBA) da conversioni del genere. Suzuki Sakaguchi, il presidente di Squaresoft dichiarò a proposito del portatilino Nintendo: “Veramente attraente. Voglio vedere i nostri titoli su GBA, vogliamo sviluppare su questa piattaforma. Faremo del nostro meglio per avere i nostri


:RUBRICHE: titoli su questa piattaforma” e ancora “Come presidente sto lavorando duro per portare la saga di Final Fantasy sui sistemi Nintendo, e penso che continuerò a farlo anche in futuro”. I nostri però non avevano fatto i conti con Hiroshi, integerrimo samurai incapace di recedere sulla parola data, che commentò così le dichiarazioni di Suzuki, gettando nella disperazione sia i dirigenti Squaresoft, sia i fan Squaresoft possessori di piattaforme Nintendo (come me): “Non c’è nessun contratto con Squaresoft, e su questo punto non intendo più discutere in futuro. Square può dire quello che preferisce, Nintendo non ha nessuna intenzione si firmare un contratto, e ci sono poche possibilità che questo avvenga in futuro”. In seguito i rapporti sembrarono ammorbidirsi (nonostante Yamauchi continuasse a negare ogni relazione, indifferente alle continue lusinghe di Suzuki), tanto che un’insistente rumor parlava di progetti per GBA e GC che Squaresoft aveva intenzione di presentare – si dice – allo Spaceworld Nintendo del 2001. A complicare la situazione ci pensò Sony, che pochi giorni prima della presentazione di questi progetti annunciò di aver acquistato il 19% delle azioni di Squaresoft, guadagnando di fatto l’esclusiva delle serie Final Fantasy. Nonostante le crudeli leggi della finanza non gli lasciassero apparenti alternative, Sakaguchi perseverò segretamente nelle sue trattative con Nintendo (tanto che venne ufficialmente richiamato da Ken Kutaragi in persona, ignaro della cosa), fino a giungere ad un accordo con Yamauchi: una neonata divisione di Squaresoft, la Game Designer Studios, si sarebbe dedicata solo ed esclusivamente allo sviluppo di progetti per GBA e GC, fra cui una nuova edizione portatile dell’eccellente Final Fantasy Tactics e un nuovo gioco chiamato Final Fantasy Chrystal Chronicles, sviluppato su tutte e due le piattaforme e definito “rivoluzionario”. Tutto

Ring#2 questo nonostante il parere avverso di Sony, fermamente intenzionata a non permettere che il marchio Final Fantasy arrivi su GC. La possibilità di infastidire Sony sembrò solleticare Yamauchi a tal punto (anche se, a dirla tutta, Sony, in quanto azionista, non potrà che guadagnarci) che decise di finanziare personalmente Game Designer Studios, sollevando contemporaneamente i cuori di tutti i Nintendari ansiosi di poter rivedere Square sulle proprie console. Vedremo come si evolverà la faccenda in futuro…

Arrabbiato ___________Il Personaggio Abita a Kyoto nella casa che una volta apparteneva al dottore dell’Imperatore Giapponese. E’ stato per 53 anni il presidente di Nintendo, e sotto la sua egemonia Nintendo non ha registrato un singolo anno di perdita per più di 20 anni filati (1981-2001). E’ il principale azionista dei Seattle Mariners, team di baseball che cresce ogni anno di più (l’anno scorso in positivo di 2.6 milioni di dollari). E’ l’uomo sotto la cui supervisione sono nati tutti i personaggi storici di Nintendo: da Mario, a Link, a Zelda, a Donkey Kong, ai Pokemon. Chi è (o cos’è sarebbe meglio dire), davvero Hiroshi Yamauchi? La domanda non ha sicuramente una facile risposta, ma analizzando la sua storia personale e le vicende che l’hanno visto protagonista in tutti questi anni di presidenza, possiamo sicuramente dire: un gran bastardo. Uno con la testa dura, uno arrogante ma che sa il fatto suo, un uomo cresciuto in Giappone quando si andava ancora in giro con la spada al fianco, un uomo che non ha di-

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menticato la lezione che i suoi progenitori gli hanno tramandato: l’onore prima di tutto. Diceva Musashi Miyamoto (il più grande spadaccino che l’oriente abbia mai conosciuto. A lui è ispirato il famosissimo libro La Leggenda Dei Cinque Anelli, di Eiji Miyamoto): “Diventerò il più forte”. Hiroshi sembra quasi un antico guerriero voglioso di ripercorrere i sentieri tracciati da Musashi, più disposto a fare harakiri che non a recedere di fronte alle avversità e ai traditori. E finora ha avuto ragione lui, se in 53 anni di onorato servizio è riuscito a trasformare un’azienda di carte nella società che conosciamo noi oggi: una compagnia che ha inventato un modo di intendere il videogioco a cui tutti gli altri poi si sono ispirati, sempre in grado di innovare un mercato tendenzialmente stantio e con un fatturato indecentemente alto e in perenne crescita. Forse ora, come un vecchio e realizzato maestro di katana preferisce ritirarsi per godersi gli ultimi anni di vita in pace, nella consapevolezza di aver creato una “scuola” destinata a durare nel tempo. Chissà se il suo successore Iwata supererà il maestro, prima o poi. Nel frattempo noi rendiamo omaggio all’ultimo dei samurai.

Yamasan Samurai è opera di STRIX


:RUBRICHE:

Ring#2

GameN________________________________ [Me Nintendo #2] di Gatsu Eccoci qui a riprendere in mano il discorso iniziato nel primo numero di RING. Cosa ha permesso a Nintendo di mantenere sempre un livello qualitativo in-discutibile nel corso degli anni? Scopriamolo insieme…

___The Nintendo Difference l 1996 fu l’anno in cui la famosa Nintendo Difference esplose in tutta la sua potenza: nonostante il Nintendo 64 (nome definitivo del Project Reality o Ultra 64 che dir si voglia) sia stata una console segnata da scelte errate e dal “gioco sporco” della concorrenza, nessuno può negare che per il popolo videoludico il suo lancio fu come una manna dal cielo in termini di innovazioni hardware e software. Partiamo dalla console: l’N64 introdusse le quattro porte per i joypad (oggi quasi un’ovvietà, escludendo PS2) evitando all’utente l’acquisto di costosi addon, una porta d’espansione dedicata al 64 Disk Drive (periferica che analizzeremo fra poco) e la possibilità di espandere la RAM tramite l’acquisto di un supporto a parte. Se le quattro porte pad si rivelarono una scelta vincente (giochi come Mario Kart 64 in multiplayer sono ancor oggi semplicemente irraggiungibili), e l’espansione RAM venne sfruttata da più di un gioco (Turok 2, ad esempio, visualizzava le texture in alta definizione, mentre Legend Of Zelda: Mask Of Majora ne abbisognava per gestire il motore grafico), il 64DD si rivelò un fallimento già dal suo lungo e travagliato concepimento. Destinato ad uscire pochi mesi dopo la console base, nelle intenzioni dei dirigenti Nintendo avrebbe dovuto essere una periferica in grado di sconvolgere il modo di giocare: dotata di supporti ottici parzialmente riscrivibili (più capienti delle cartucce) e di un orologio interno (accessorio che adesso

fa ridere, ma vi ricordo che la prima console ad averlo integrato fu il Dreamcast), avrebbe consentito all’utente di “riscrivere” alcune sezioni del videogames che stava giocando (le effettive modalità rimasero sempre nebulose). In più, l’uso dell’orologio apriva la strada a interessanti possibilità: giocan do di notte ad un RPG, ad esempio, avremmo trovato davvero il mondo di gioco immerso nelle tenebre. Il 64DD fu anche la vera causa dello storico litigio fra Nintendo e Squaresoft, che si lamentava per la limitata capienza delle cartucce e per i continui ritardi dell’add-on (per approfondimenti su questo argomento vi rimando alla rubrica People, dedicata a Hiroshi Yamauchi). La periferica uscì infine, dopo averci fatto sognare per anni con i mai mantenuti Earthbound (Mother 3) e Ura Zelda, solo in Giappone, quando sul mercato dominava già PSX e l’imperatrice PS2 aveva già buttato sostanziose fondamenta, rivelandosi un inevitabile insuccesso. Tornando al N64: la caratteristica più interessante era il suo pad, un vero concentrato di buone idee e tecnologia. Tanto per cominciare introdusse per la prima volta lo stick analogico nel mondo delle console. La portata di tale rivoluzione si può valutare oggi: sia il Dual Shock di Sony (che copiò spudoratamente l’idea in corsa, visto che il pad originario di PSX non aveva levette di alcun tipo), che il pad del Dreamcast, che quello dell’Xbox oggi sarebbero profondamente diversi se Miyamoto non avesse pensato di combinarne una delle sue. Altra novità: la memory card (un po’ inutile per l’N64 visto che molti giochi permettevano di salvare direttamente su cartuccia) andava inserita nel retro del pad, idea ripresa sia da Sega per il Dreamcast (che a

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sua volta la modificò introducendo la geniale Visual Memory Card) sia dall’Xbox di Microsoft. Ed ancora: a chi si deve il “rumbling” dei joypad? Ma sempre a lui, Miyamoto, ed al suo pad che, seppur in maniera un po’ rozza (il Rumble Pak era infatti un accessorio esterno da attaccare alla porta dedicata alla memory card) tracciava ancora una volta la strada da seguire. Ma la vera ragione per cui l’N64 rimase nel cuore di molti (io ne ho avuti due, pensate un po’…), fu il suo software. Pur indebolito da un parco giochi di molto inferiore a quello che poteva permettersi PSX, l’N64 fu forse l’unica console a poter eguagliare lo SNES come qualità della proposta . Senza esagerare, il rapporto “capolavoro-gioco” era su N64 di circa 1:15, cifra molto più interessante rispetto a quella che poteva offrire PSX. Fra i giochi storici vanno ricordati l’esagerato Mario 64 (il primo platform in vero 3D, a mio parere ancora oggi insuperato), Zelda Ocarina Of Time (best videogame ever, e non solo per il sottoscritto), Legend Of Zelda: Mask Of Majora, Banjo Kazooie, Banjo - Tooie, Mario Kart 64, Goldeneye 007, Perfect Dark, Turok, Conker, Lylat Wars, F-Zero X, Super Smash Bros., Mario Golf, Mario Tennis, Donkey Kong 64, Diddy Kong Racing… Il grosso “errore” di Nintendo fu quello di affidarsi ancora una volta al supporto cartuccia: sebbene la capienza massima arrivasse a 512 Mega Bit (64 Mega Byte), non poteva certo competere con i 650 Mega Byte dei cd rom usati da Saturn e PSX. Anche se diversi team hanno dimostrato che in 64 Mega Byte ci stanno tranquillamente capolavori in grado di spazzare via la concorrenza, nulla ha potuto convincere alcune third parties (Squaresoft


:RUBRICHE: in primis) a rinunciare ai FMV, filmati in grado di attrarre la gente ma estremamente esosi in termini di memoria. Un altro svantaggio fu quello di avere come concorrente una console vergognosamente piratabile: la diffusione dei cd rom masterizzati su PSX (verosimilmente non ostacolata da Sony, che puntava a raggiungere la maggior base installata possibile ed a consolidare il brand Playstation), permise al colosso degli elettrodomestici di spuntarla contro Nintendo, una compagnia molto più esperta ma forse meno preparata al “marketing sporco”. Nintendo piazzò 500.000 unità della console al primo giorno di lancio in Giappone, e 350.000 in tre giorni al lancio americano, cifre tutt’altro che disprezzabili. Nonostante la spietata concorrenza di PSX, il Nintendo 64 piazzò in tutto il mondo circa 60 milioni di pezzi. Non male per un sistema da molti ritenuto fallimentare. ________Quel che ci riserva il presente All’E3 del 1999 Nintendo annunciò di essere al lavoro sul successore dell’N64, nome in codice Dolphin. La cosa che stupì tutti fu la collaborazione con il colosso dell’informatica IBM, incaricata di sviluppare la CPU della nuova console: un processore in rame denominato Gekko, costruito con tecnologie totalmente inedite (Custum IBM Power PC "Gekko": 0.18 micron IBM Copper Wire Technology, frequenza di clock 485 Mhz) Lo sviluppo del media destinato al software fu invece affidato a Mastushita, che mise a disposizione un supporto ottico a tecnologia proprietaria, i celebri mini DVD da 8 cm, in grado di contenere circa 1,5 giga di dati. Tre anni dopo il Dolphin era una realtà. Preceduto dal lancio del fratello minore Game Boy Advance (21 marzo 2001), il Dolphin, rinominato per l’occasione GameCube, si proponeva come la

Ring#2 console in grado di riscattare Nintendo dal piano secondario in cui vari eventi l’avevano relegata. Il GBA si presentava invece come il naturale successore del vetusto Game Boy, che dopo anni di onorato servizio, stava mostrando gli ultimi, invalicabili, limiti tecnici. Dotato di uno schermo “panoramico” in simil 16:9 in grado di visualizzare 32.000 colori contemporaneamente e di un processore a 32 bit eccezionale nel 2D (giochi come Yoshi Island o Golden Sun sono lì a dimostrarlo), con un’indefinita capacità 3D (ini zialmente parevano molto limitate, V-Rally 3 ha spazzato via ogni dubbio), il GBA è letteralmente l’asso nella manica di Nintendo; una console in grado di vendersi praticamente da sola. Come se non bastasse i progettisti del portatile Nintendo hanno ben pensato di imparare da Sony (per una volta), dotando il loro pargolo di retrocompatibilità con tutti i giochi usciti finora per le precedenti versioni del Game Boy, espandendo in modo esponenziale il parco giochi della console. Le cartucce del GBA, minuscole in confronto a quelle del suo progenitore, possono contenere ben 512 Mega Bit di dati, esattamente come le cartucce più capienti del Nintendo 64! Questa esagerata quantità di spazio (ricordiamoci che stiamo pur sempre parlando di un portatile) ha già permess o a Konami di inserire i primi FMV della storia dei portatili in uno dei suoi giochi (Silent Hill Novel, una sorta di versione raccontata del primo Silent Hill). Ma non finisce qui: sono numerosissime le applicazioni a cui il GBA sembra prestarsi. Sono già in vendita, ad esempio, accessori in grado di leggere MP3 o di trasformare il GBA in una tv portatile (Game Gear docet). Inoltre internet pullula di applicazioni (come gli emulatori del NES, accessibili però solo agli utenti in possesso del non proprio legale Flash Linker & Flash ROM) e di leggende sul portatile Nintendo: fake o meno, si dice che smanettando

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con il GBA alcuni individui siano riusciti a connettere un player DVD alla console, o a sviluppare addirittura un word processor portatile! Solo il tempo ci svelerà se si tratta di scherzi ben organizzati (ma date un’ occhiata qui: www.gbadev.org) o di feature realmente applicabili al GBA: se pensiamo che Nintendo è riuscita a connettere in rete il vecchio Game Boy, quanto detto non appare poi così improbabile. La caratteristica sicuramente più interessante del nuovo Game Boy è però la sua alta interattività con il GameCube. Tramite un apposito cavetto, è infatti possibile connettere le due console. L’utilità di tale operazione è multipla: il GBA può essere utilizzato ad esempio come pad aggiuntivo (ma limitato) del GC, una bella comodità visti i prezzi non pro prio esaltanti dei pad. Oppure, possedendo giochi compatibili (mi sovvengono Sonic Adventure 2 Battle per GC e Sonic Advance per GBA) si possono scaricare minigiochi sul GBA e, viceversa, uploadare dati o altro sulla memory card del Cubo. Altre applicazioni comprendono il gioco contemporaneo su ambedue le console: immaginate un gioco di calcio dove sia possibile impostare schemi e squadra all’insaputa degli altri giocatori agendo sul portatile, oppure un RPG che scarica il salvataggio sulla sua versione portatile e vi consente di continuare il gioco anche in viaggio. L’effettiva validità di tale idea potrà essere valutata so lo fra qualche anno, quando i giochi predisposti al suo supporto saranno numerosi, nel frattempo Nintendo tenterà ancora una volta di imporre un nuovo standard (in questo senso, Animal Crossing sembra essere davvero una dimostrazione di forza). Non va dimenticata la possibilità di realizzare LAN fino a 4 giocatori senza l’ausilio di nessun HUB (necessario nel vecchio Game Boy per il gioco a 4), oppure quella di giocare in multiplayer con una singola cartuccia.


:RUBRICHE: L’unico appunto che si può muovere a Nintendo, riguardo lo sviluppo del GBA, è quello di averlo dotato di uno schermo troppo scuro: l’inserimento di un interruttore per la retroilluminazione avrebbe sicuramente reso più agevole l’utilizzo della console anche in condizioni di bassa luminosità. Inattaccabile sembra invece essere il pedigree del GameCube: piccolo, leggero, esteticamente geniale, facile da programmare, dotato di 4 porte per i joypad, munito di un supporto capiente e attualmente immune alla pirateria, predisposto per il gioco online e per tutte le periferiche del caso (tastiera, mouse, modem a 56k o a banda larga…), la nuova console “madre” potrebbe davvero rompere le uova nel paniere a Sony (piazzata dannatamente bene in termini di vendite) o a Microsoft, anche considerando che Nintendo possiede l’arma videoludica finale: Shigeru Miyamoto. Vale la pena spendere qualche parola in più riguardo alle innovazioni hardware introdotte dall’ultimo sistema della casa di Kyoto: partiamo dal joypad, elemento perennemente rinnovato da Nintendo. Questa volta nessuno stravolgimento di sorta, ma solo lievi perfezionamenti che portano Nintendo sempre più vicina al “pad perfetto”: il nuovo controller del Cubo vanta due stick analogici disposti in maniera asimmetrica (lo stick destro C dovrebbe servire, più che altro, a gestire le telecamere), una crocetta direzionale (inizialmente esclusa, ma fortunatamente ripristinata nelle fasi finali di progettazione), 4 tasti principali (A, B, X, Y) di dimensioni e altezze diverse, posizionati in modo da essere perfettamente riconoscibili anche senza doverli guardare (idea che non ha nemmeno sfiorato i progettisti ubriachi del pad Xbox, a mio parere il meno intuitivo mai creato), un tasto Start, un dorsale destro (tasto Z, l’unico scomodo da raggiungere) e altri due dorsali analogici e simmetrici con l’interessante caratteristica di fornire un ulteriore

Ring#2 “click” a fine corsa. Altamente ergonomico (a patto di non avere le mani grandi come badili), in definitiva il pad del GameCube è da molti ritenuto il migliore attualmente sul mercato, sia per la sua intuitività, sia per il fatto di presentare dei pulsanti analogici degni di questo nome (256 livelli di pressione sul Dual Shock 2? Ah ah!) Passando ad altro, finalmente Nintendo sembra aver capito l’antifona: più spazio è disponibile sul supporto, più gli sviluppatori potranno realizzare i loro oscuri desideri. I nuovi mini DVD sono stati ben accolti dalla comunità videoludica: oltre alla buona capienza (minore rispetto a quella di un normale DVD, ma più che sufficiente), i mini DVD hanno un tempo di accesso ai dati praticamente nullo (vera spina nel fianco di PS2 e Xbox) e impediscono il diffondersi della pirateria (fattore che ha già colpito sia la console So ny che quella Microsoft). E’ innegabile comunque che un supporto riscrivibile e capiente (come ad esempio l’HD di Xbox) possa favorire lo sviluppo di nuove tipologie di gioco, anche se il conseguente avvicinamento al mondo PC ha fatto storcere il naso a più di qualcuno. La risposta Nintendo a questa domanda è per il momento solo parziale, ma ricca di interessanti sviluppi per il futuro. Nell’ arco dei prossimi mesi è prevista infatti la commercializzazione di memory card dotate di un’entrata atta ad ospitare le SD Card, sorta di memorie flash di capienza variabile fra i 16 e i 1024 Mega Byte; è evidente quindi come questa tecnologia potrebbe essere sfruttata in maniera simile ad un hard disk, con il vantaggio di escludere a priori qualsiasi crash del sistema. Personalmente ho qualche dubbio a riguardo dell’ attuabilità della cosa: i prezzi di supporti del genere sono ancora molto elevati, e le diminuzioni saranno sensibili, presumo, solo a partire dalla prossima generazione di console. Si dice comunque che la speranza sia l’ultima a morire, chissà che Nintendo non abbia visto giusto sull’uso di questa tecnologia

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che in ogni caso ben si presta a sostituire il disco fisso. Sul fronte software il GameCube rappresenta un deciso cambio di rotta nella politica “kids oriented” di Nintendo (anche se qui ci sarebbe molto da discutere, rimando l’appuntamento ad una dei prossimi articoli di Me Nintendo): oltre alle nuove puntate dei caratteristici franchise della casa di Kyoto (Super Mario Sunshine, Super Smash Brothers Melee, F-Zero GC, Star Fox Adventures, Star Fox Armada, Metroid Prime, o il sorprendente Legend Of Zelda : Tact Of The Wind in cel shading), Nintendo si è assicurata, ad esempio, l’esclusiva per gli episodi 0, Rebirth, 2, 3 e 4 di Resident Evil, o ha già pro posto il buonissimo Eternal Darkness, dimostrando un certo interesse anche per il pubblico adulto. Come se non bastasse numerose case che in passato le voltarono le spalle (Squaresoft, Enix, Namco) sono seriamente intenzionate a supportare il binomio GBA-GC. Se a questo aggiungiamo il pieno appoggio di Sega, fino a qualche anno fa pericolosissima rivale, otteniamo un quadro molto soddisfacente a proposito degli sbocchi futuri per la console della grande N. ___The end is the beginning is the end Che il GameCube riesca a imporsi come prima console del mercato appare inverosimile (il distacco in termini di vendite da PS2 è incolmabile, miracoli a parte), ma è altamente probabile che vinca la lotta per il secondo posto a spese del nuovo arrivato Xbox (giuro, non odio la console Microsoft J), riportando agli splendori di un tempo il nome di una compagnia a cui si deve, senza esagerare, gran parte del patrimonio videoludico oggi disponibile. E come qualsiasi amante dei videogiochi dovrebbe dire, “lunga vita a mamma Nintendo”.


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Ring#2

Wow Entertainment________________________ [Sega Saga #1] di Emalord Quella che vi apIl Dream-Team Sega prestate a leggere è una nuova rubrica di RING, che si occuperà a partire da questo mese del mondo Sega. Una software house che dopo i fasti conosciuti con Master System e Megadrive [Genesis] è andata incontro negli anni a seguire ad insucda sinistra in altro: Rikiya Nakagawa (Wow Encessi clamorosi tertainment), Yu Suzuki (AM2), Toshihiro Nagoshi [nell’ordine: 32X – (Amusement vision), Kenji Sasaki (Sega Rosso), Me-ga CD – SaShun Arai (Smilebit), Tetsuya Mizuguchi (UGA), Tetsu Kayama (Sega COO), Hisao Oguchi (Hitturn e Dreammaker), Yukifumi Mukino (Wave Master), Yuji Naka cast] e sovente (Sonic Team), Noriyoshi Oba (Overworks) immeritati, frutto soprattutto di una Signori, si va ad incominciapessima politica gestionale, più re. che di un pessimo parco software. Anno 2000. Si entra nel futuDopo il game over di Dreamro. Ma non è fantascienza, cast, lo smembramento della quella che si paventa alla popocasa madre in tante piccole soflazione videoludica. All’alba deltware houses indipendenti e al la morte dell’ultima console servizio dei loro antichi rivali ha prodotta, Sega si smembra in garantito la sopravvivenza della dieci parti e si diffonde come un casa del porcospino, nonché un virus per contaminare tutte le suo ritorno sul mercato più momacchine dell’attuale Console tivata e combattiva che mai. War. Non è una disfatta, quella Franchise come Virtua di Sega, quanto piuttosto una Tennis, Nba 2k, Jet Set trasformazione. Liberi da politiRadio, Virtua Fighter, Sonic, che di marketing errate e da Sakura Taisen, Panzer Drauna gestione fallimentare sia goon, Shen Mue ed innumenel mondo occidentale che orevoli altri altrettanto famosi ed rientale, i dieci clan Sega posimportanti, stanno lì a significasono seguire le ondate emoziore che Sega vive, e può dire la nali della generazione a 128bit sua anche nel nuovo millennio. senza costrizioni dall’alto. Liberi Questa rubrica si occuperà di andare dove comanda il cuodel passato-presente-futuro re, ed il mercato. della casa di Sonic. Recensioni Nell’anno che da sempre idi giochi nuovi e di retrogadentifica l’immaginario di un ming, nonché speciali e news futuro splendente nascono: su tutto quanto è mondo Sega. Wow Entertainment – SegaIl tutto con un occhio didascaAM2 – Amusement Vision – lico, da fan attento ma disinHitmaker – Overworks – cantato, che non rinuncia Smilebit – Sega Rosso – Soall’ironia e alla battuta. Perché nic Team – United Game ArSega è un mito, ma questo non tists e Wavemaster. significa che non abbia fatto A questi dieci, in realtà, bis opassi falsi, e che non ci si possa gnerebbe aggiungere Visual ridere sopra. Concepts, di fatto undicesimo clan Sega. Ma per motivi che ci

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accingiamo a spiegare, VC è parte di Sega solo sulla carta. Di fatto, questo team stabilitosi in California e con dirigenza di nazionalità statunitense, viene sovente escluso dalla stampa stessa dalla rosa delle affiliate. Ciò è dovuto al carattere tipicamente yankee delle sue produzioni [le serie NBA2K, NFL2K, NHL2K, World Series Baseball2K], rivolte ad un pubblico specifico e caratterizzato da una cultura ben definita, dettaglio tutt’altro che irrilevante quando si pensa a Sega e agli altri team di sviluppo in genere, con produzioni che mietono successi [e critiche] indistintamente nel mondo. Nel pieno retto dei valori individuali, senza assurde scale di valori e di fama, cominceremo questo speciale proprio da Wow Entertainment nasce il 21 Aprile 2000 dalle ceneri di AM1, storico reparto Sega classe 1992. Alla direzione troviamo Rikiya Nakagawa [classe 1959] che si occupa di supervisionare e dirigere il lavoro dei 107 dipendenti attualmente attivi e che ci svela il significato neanche troppo recondito del nome da lui scelto: “con Wow volevamo semplicemente simboleggiare lo stupore che ci auguriamo di far provare a chiunque metta mano sui nostri prodotti” Obbiettivo ambizioso, certo, ma il gruppo di Nakagawa ha delle frecce ben appuntite al suo arco [leggi: dei franchise solidi come la roccia] e solo scelte troppo avventate o lavori inusualmente superficiali potrebbero rovinare la buona reputazione costruita finora. Ecco nel dettaglio la produzione di Wow Ent. dalle sue radici ad oggi. Nota bene: i commenti a margine sono basati su esperienze reali dei membri di Ring.


:RUBRICHE:

Ring#2

______________Wow Saga

1992 Puyo Puyo [Arcade] Il format di Tetris elaborato alla giapponese, terribilmente additivo e divertente. Una combo di quattro goccioline di gel dello stesso colore può provocare sorprendenti effetti a catena a danno del proprio antagonista. Quando i videogames provocano assuefazione. Sempre meglio che sniffare colla.

1995 Virtua Fighter Remix [Arcade / Sega Saturn] Evoluzione di Virtua Fighter, si pregia di poligoni mappati [assenti nel preistorico originale] con una risoluzione leggermente minore

1996 Dynamite Deka [Arcade/Sega Saturn] a.k.a. Dynamite Cop a.k.a. Die Hard Arcade. Sparatutto poligonale a scorrimento, concettualmente basato sul film Die Hard con Bruce Willis. Intrigante, ma di brevissima durata. Più o meno la stessa del film con Bruce Willis.

1997 The House of The Dead [Arcade] Storico shooter con pistola, è probabilmente il franchise più soddisfacente di AM1 per l’impatto avuto sull’utenza. Impatto che ha generato decine di cadaveri, arruolati da Wow come comparse a perdere.

1998 Sega Bass Fishing [Arcade/ Dreamcast] Simulatore di pesca, che per quanto fuori dai canoni e dalle mode ha riscosso un discreto successo generando cloni e seguiti. Il tutto rientra nella politica di sperimentazione Sega e nei suoi piani per i fondi a perdere.

The House of The Dead [Sega Saturn] Un porting fedele dell’originale coin-op. Peccato per la grafica assolutamente deludente, molto al di sotto delle possibilità della console Sega. Effetto collaterale della necrosi?

se in fondo ci sono le pistole [gli estintori] ed i nemici da abbattere [le fiamme]. E’ davvero innovazione? Se si porta a termine il gioco, si può rigiocare nei panni del piromane. Era una battuta.

2000

The House of The Dead 2 [Arcade] Splendido arcade. Grafica avanzatissima per il periodo, bivi nello story mode e gore senza ritegno. Il miglior shooter con pistola di sempre, a parere di chi scrive.

Sega GT [Dreamcast] Il tentativo di Sega di spodestare Gran Turismo, successo mondiale editato per console Sony. Tentativo lodevole, ottimi spunti, ma il mercato ne decreta la sconfitta, seppur onorevole.

1999

Sega Marine Fishing [Arcade / Dreamast] Ennesima simulazione di pesca, ennesimo successo tra gli appassionati del genere. Tutti gli altri giocano a House of The Dead 2.

The House of the Dead 2 [Dreamcast] Conversione arcade-perfect di un arcade-perfect. Un ottimo motivo per possedere un DC, ma ce ne sarebbero molti altri. Sega Tetris [Arcade/Dreamcast] Evidentemente Wow apprezza i puzzle games, ma clonare giochi di successo non è certo indice di fantasia sbrigliata World Series Baseball '99 [Arcade] Un Arcade dall’ottima grafica, per uno sport molto apprezzato soprattutto oltre oceano. Probabilmente a causa dell’overdose quotidiana di calcio dell’utente-medio europeo. Zombie Revenge [Arcade / Dreamcast] La saga di House of The Dead diventa un fighting-shooter a scorrimento, una sorta di Streets of Rage poligonale con zombies assortiti. L’idea non è male, ma lo spin-off si risolve in un banale pigiare sul bottone del fuoco. Peccato perché il monster-design è più che dignitoso. Brave Fire Fighters [Arcade] Follia nipponica allo stato brado. Impugnate un estintore e spegnete le fiamme. Ennesimo shooter, con grafica eccellente [ merito di Sega Hikaru, evoluzione della scheda Naomi] e un concept innovativo. Anche

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World Series Baseball 2K1 [Dreamcast] Dopo l’esperienza arcade del 1999, Wow riprende in mano mazza e guantone con risultati non proprio onorevoli. Negli Stati Uniti il gioco viene subissato di critiche. Quando la grafica non è tutto. Sega Strike Fighter [Arcade] Un simulatore di caccia da combattimento. Ma portare a termine il gioco non garantisce una licenza Top-Gun.

2001 Sports Jam [Arcade] Coin-op sportivo multievento, gradevole ma non epocale Alien Front [Arcade/Dreamcast [on-line version] Un gioco di guerra. Con alieni, carri armati e tanta azione, anche on-line su Dreamcast

2002 Columnus Crown [GBA] Il vecchio puzzle game Columnus, riproposto sul portatile Nintendo. Niente di più di quanto già riportato a titolazio ne. Quando i commenti a margine non servono a nulla di par-


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Ring#2

ticolare. Vampire Night [PS2-edito da Namco–collaborazione] Ennesimo shooter con pistola, ma stavolta esce sotto l’egida di Namco. Wow firma uno storyboard simile a House of The Dead, con vampiri al posto dei morti viventi. Una differenza non esattamente abissale, a dire il vero. Homerun King [Gamecube] Wow ama il baseball. E probabilmente lo vuole far sapere al mondo intiero colonizzando tutte le console esistenti. _____________

Wow !

Non è citato nella lista delle uscite ufficiali, eppure se mai vi capiterà di sentir nominare l’ar cade Inu No Osampo, sappiate che anche questo è opera di Wow Entertainment. Già pr esentato all’ AOU del 2001, questo gioco è stato ribattezzato dagli yankees, semplicemente, Walking The Dog. Lo scopo? Come la titolazione americana lascia intuire, si tratta semplicemente di un “simulatore di passeggiata di cane”. Il Joystick è un guinzaglio vero e proprio, ed il protagonista del gioco, se così vogliamo chiamarlo, è un botolo che ha tanta voglia di farsi quattro passi. Chiunque sia così folle da comprarsi un gettone, proverà l’ebbrezza di portare a spasso un quadrupede che ha bisogno di sgranchirsi le zampe, fare i suoi bisognini, e dare eventualmente la caccia ai gatti del quartiere. Non osiamo pensare ai fiumi di adrenalina che si scateneranno in quest’ultimo caso. Di certo questo cabinato avrà una sua schiera di seguaci, che probabilmente porteranno anche paletta e sacchetti di plastica per rendere il tutto ancora più emozionante. Atro gioco japan-only di Wow Entertainment è Candy Stripe per Dreamcast. Classico simulatore di appuntamenti, genere di grande successo là dove ba tte il sol levante, vi porterà a conoscere e sedurre [ma solo

se siete in gamba] un gruppo di deliziose infermiere disegnate nel più classico stile manga. Atmosfere solari e ridenti, con tanti sentimenti ed un erotismo all’acqua di rose più concettuale che reale, per un genere che si spera prima o poi possa sfondare anche nei paesi latini. Meno singolare, ma degno di menzione i quest’angolo anche il coin-op di Lupin III, sottotitolato: The Shooting. Prodotto nel 2001 e presentato al 39° Jamma Show, basato sulla tecnologia Naomi-GDRom, questo shooter con pistola è una simpatica variante dei classici a tema, con il giocatore che non solo deve eliminare i nemici del pronipote di Arsenio Lupin ma anche, ad esempio, guidare la sua auto ruotando il volante a colpi di pistola. Dopo questa affermazione, però, siamo per legge obbligati a scrivere: Ring raccomanda, non fatelo anche voi a casa. Un must per tutti gli amanti del ladro dalla giacca verde, sempre che non preferiate imitarlo rapinando banche. Clonando le sue stesse idee [l’aveva già fatto con House of The Dead 2], Wow ha poi dato un seguito al coin-op lupiniano, intitolandolo Lupin III: The Typing. Al posto di una lightgun, una tastiera. Più velocemente il videoplayer scrive le frasi che compaiono a video e maggiormente accurata sarà la sua mira. Quando ne ferisce più la penna della spada.

Nakagawa San

Ultima in questo atto di cronaca, ma nondimeno bizzarra, la notizia che Mr. Nakagawa in persona comparirà in un breve cameo nella trasposizione cinematografica di The House of The Dead. E’ stato infatti visto

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aggirarsi sul set canadese allestito da MindFire Entertainment truccato da zombie con una tibia in mano. No, quella della tibia era una battuta. Il film, girato quasi interamente a Vancouver, narra di un gruppo di studenti che organizza un rave-party su un’isola trovandosi improvvisamente assalito da una legione di zombie affamati di carne umana. Ai giovani non resterà altro che rinchi udersi in una casa non molto lontana. The House of The Dead, per l’appunto. Contrariamente alla saga zombistica romeriana, il motivo del risveglio dei morti viene chiarito verso la mezz’ora del primo tempo: il volume della musica techno era troppo alto. Con la regia di Uwe Boll, il film si pregia della presenza di Jurgen Prochnow (Air Force One), Clint Howard (Apollo 13), Will Sanderson (Wolf Lake), Jonathan Cherry (Final Destination II), ed Enuka Okuma (Double Jeopardy) ed è previsto uscire nel corso del 2003. ______Ultimissime da Wow Sega GT 2002 è ormai realtà dopo mesi di screenshots e previews, e sta riscuotendo un ottimo successo sia in versione PAL che NTSC tanto che sarà incluso in bundle nella nuova confezione di X-BOX, in compagnia di Jet Set Radio Future, a dimostrazione che il successo della console Microsoft non può prescindere da Sega e dai suoi prodotti. Anche stavolta l’avversario da battere era la versione a 128bit di Gran Turismo, e anche stavolta il racing game di Poliphony è uscito vincitore nei confronti del prodotto Wow. Ma non è il caso di piangere lacrime amare. A livello tecnico il prodotto Sega sfrutta l’architettura XBOX in maniera esemplare, con una grafica eccellente ricca di effetti speciali ed un sonoro avvolgente. Quello che ancora manca è una maggiore varietà di circuiti, ed una grat ificazione più rapida del giocatore, obbligato anche con questa versione del franchise a maci-


:RUBRICHE: nare chilometri e ore di gioco per avere un parco auto minimamente decente, scordandosi nel contempo di una maggiore varietà di circuiti gommabili. Qualità, queste, ancora reta ggio del prodotto concorrente.

Pinball of The Dead per Gameboy Advance mostra una grafica pseudo-3D eccellente, ma anche una fisica dei rimbalzi ancora da perfezionare. Tre enormi tavole su cui scagliare le biglie argentate, sei boss da affrontare ed i soliti pigroni in decomposizione che vagabondano in lungo e d in largo ad ostacolare le traiettorie. Il prodotto, come tutti i simulatori di flipper in genere, ha una longevità limitata come gioco in se nso stretto, mentre come passatempo potreste riscoprirvi a rispolverarlo più spesso di quanto immaginiate. House of The Dead 3 era senza dubbio uno dei giochi most-wanted per XBOX e ha da poco fatto il suo esordio sul mercato occidentale. Negli Stati Uniti è stato accolto in maniera positiva, anche se non mancano alcune critiche circostanziate. Seppur presenti positive analogie con il suo illustre prequel, l’accusa più dura è quella relativa alla longevità del pr odotto finale: intorno alla mezz’ora. Dal primo colpo sparato alla sconfitta del boss finale intercorre lo stesso tempo di durata della vostra sit-com preferita. Critica pesante, visto il costo del software originale. Una maggiore longevità è g arantita comunque dalla presenza di bivi nello story-mode, retaggio dell’episodio precedente, e da una grafica al top prestazionale della macchina Microsoft. La modellazione dei poligoni, gli strabilianti effetti di luce, ed alcuni dei Boss finali più carismatici ed originali di sempre evite-

Ring#2 ranno di certo la sindrome da “una partita e via”, garantendo molteplici ritorni nella Casa Dei Morti. L’inclusione in bundle dell’episodio precedente, che si sblocca al termine dello story mode, è un incentivo in più all’acquisto ma Ring interpreta questa generosità di Wow come un’ammissione di colpa, più che come un’opera di bene. Dalle prime impressioni raccolte sembrerebbe che HOTDIII soddisfi pienamente i fan del franchise rischiando però di lasciare assolutamente indiffrente il resto del mondo. Nell’attesa che la versione PAL arrivi al più presto per verificare lo stato delle cose, Ring si augura che la versione europea sia accompagnata da una light-gun ufficiale di Microsoft, inspiegabilmente assente per la versione yankee del gioco [che garantiscono giocabilissimo sia col joypad ufficiale che con la light-gun di terze parti, che sembra funzioni perfettamente a patto di non allontanarsi troppo dal video [sic].

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Considerazioni finali

Dalla disamina della produzione Wow dagli albori a oggi, risulta abbastanza chiara la politica di sviluppo intrapresa da Nakagawa e dai suoi colleghi. Una politica orientata prima di tutto verso l’eccellenza tecnica, certificata da giochi tecnicamente rocciosi e all’avanguardia, con uno studio approfondito della macchina su cui operare per poterla sfruttare nel migliore dei modi sia a livello grafico che sonoro. Si riscontrano per contro delle lacune a livello di gameplay, progettazione e longevità. Una grossa fetta della produzione soffre di una certa “sindrome da arcade” anche quando non si tratta di conversioni

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da coin-op, ed è un fattore da tenere seriamente in considerazione quando si pensa ai costi che questo nostro passatempo comporta. Lacune che però intaccano solo parzialmente la credibilità e la solidità di una softco c omunque relativamente giovane, che ha ancora molta strada davanti e tutto il tempo per correggere queste imperfezioni. Per quanto riguarda la politica multipiattaforma adottata da Sega, Wow Entertainment si schiera palesemente dalla parte di XBOX, allineandosi a molti altri dei team di sviluppo di famiglia. Atteggiamento che invero sta meravigliando Ring in tutta la sua circonferenza. Nessuno di noi si sarebbe aspettato di vedere schierati i pezzi più grossi di Sega sulla console di Gates. Shen Mue, Panzer Dragoon Orta, House of The Dead, Sega GT, Jet Set Radio, sono i franchise più solidi di Sega, se escludiamo il Virtua Fighter di SEGA-AM2 finito su console Sony. Vero: Phantasy Star Online, Virtua Tennis, Rez, Space Channel 5, Sega Beach Spikers sono finiti su macchine concorrenti, ma la politica Sega è abbastanza limpida in ogni caso: sperimentare su macchine mainstream [Playstation2 in primis] e tenere i franchise più rocciosi e tecnicamente all’avanguardia per la macchina più potente sul mercato. Difficile dire se Sega abbia preso questa decisione all’unanimità o se è solo un c aso che più clan contemporaneamente, e all’insaputa l’uno dell’altro, abbiano scelto la macchina con la X verde per rappresentare i loro franchise più famosi. Ed è altrettanto difficile dire ora se la scelta si rivelerà vincente o, come trist emente più volte avvenuto nel passato recente, questa politica si rivelerà l’ennesimo grave e rrore di Sega. Mentre il futuro si rivelerà giorno dopo giorno ai nostri occhi fornendo le risposte ai nostri quesiti, non ci resta che succhiare questo momento di grande fermento fino al midollo.


:RUBRICHE: Il “grafico Ring” esposto qui a fianco ha valore puramente simbolico e si basa sull’insieme delle esperienze ludiche che i membri di Ring hanno avuto con i prodotti Wow. E’ solo una sintesi del nostro pensiero, niente di grave. Non nuoce alla salute.

Ring#2

Wow Entertainment 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 PRESTAZIONI TECNICHE

GAMEPLAY

LONGEVITA

:RECENSIONI:

Carne morta su Dreamcast ________________

[The House of The Dead 2]

di Emalord Riprendere in mano oggi House of The Dead 2 significa porsi domande sulla fine di Dreamcast, domande che purtroppo non a-vranno mai una risposta defini-tiva, se non il sentore che più che un omicidio su commissio-ne la fine della splendida con-sole a 128bit di Sega sia stato un vero e proprio suicidio. Mentre il 1999 trotterellava disinvoltamente verso il 2000, usciva in Giappone la conversione per Dreamcast dell’Arcade che aveva riscosso unanimi consensi in tutto il mondo, Stivale compreso. House of The Dead 2 aveva rivoluzionato gli shooter con pistola, presentando uno story mode con bivi, numerosissime locazioni, bonus e power-up, il tutto confezionato con una grafica brillante merito dell’allora avanzatissima scheda Naomi. Molti erano i dubbi circa questa conversione. Retaggio sicuramente della precedente conversione del franchise su Saturn, conversione perfetta per quanto riguarda il gameplay, ma assolutamente insoddisfacente per l’uso che faceva delle possibilità tecniche del 32bit

Sega. In altre parole: la grafica era penosa, ben sotto i limiti estremi di Saturn, ed era proprio questo il timore degli utenti Dreamcast: che la brillante console Sega non ce la facesse per l’ennesima volta a reggere il confronto con l’arcade di provenienza. Timore accentuato proprio dalla bontà tecnica del coin-op, assolutamente di qualità sopraffina. Ma la durata di tali dubbi era destinata ad essere registrata dal personale del Guinnes dei Primati come “Il periodo di tempo più breve mai registrato in assenza di orologi atomici”. Bastava inserire il GD-ROM nel tray Dreamcast, battere le ciglia, ed ogni dubbio era destinato a svanire come nebbia al sole. House of The Dead 2 era l’esatta riproduzione di un coin-op favoloso, e l’entusiasmo dei Sega Hardcore-fans saliva alle stelle. Dal punto di vista della tecnica, Dreamcast ripeteva per l’ennesima volta una lezione che gli utenti Sega ormai conoscevano a memoria: grafica cristallina, totale assenza di popup, antialiasing come se fosse birra all’Oktober Fest [a fiumi]. Insomma, le solite prestazioni eccellenti da primo della classe

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Genere: Etichetta:

Survival Shooter

Sega

Sviluppatore:

Wow Entertainment

Sistema: Giocatori: Versione:

Dreamcast 1–2 NTSC-JAP

Anno: 1999 che alza sovente il gomito. Ma quello che stupiva veramente, quello che dava a questo gioco la cosiddetta marcia in più, erano il monster ed il path-design. I protagonisti putrescenti deambulavano per i livelli in varietà notevole: nei primi stage si affrontano zombie asciamuniti, nudi scarnificati, obesi con cappuccio di pelle nera molto fetish. Mentre in quelli più avanzati si segnalano zombie green-beret e persino techno-morti-viventi che però cominciavano a mostrare segni di stanchezza, risultando meno ispirati dei primi. Niente da dire per i Boss di fine livello. Tutti splendidi, ma anche qui si registra una preferenza per i primi a comparire, quasi Wow fosse cosciente che non tutti i giocatori dell’arcade potessero giungere ai livelli più avanzati, e che quindi la carne al fuoco più saporita dovesse essere messa fin da subito in


:RUBRICHE: bella mostra. Per quanto concerne il path design, se nella parte finale i bivi scompaiono, nei primi tre Chapter sono innumerevoli i cambi di strada attuabili: spara in scioltezza e seguirai una certa strada tra gli appartamenti della città, se invece abbatti lo zombie che assedia la macchina di quel poveraccio ti farai un giretto nei vicoli. Colpisci la chiave dorata per terra ed entrerai in uno splendido quartiere, se non noti la chiave entrerai nella torre dell’orologio. La grafica nel villaggio è ispiratissima e ricca di dettagli ed oggetti da colpire per ricavarne bonus assortiti, mentre nel percorso verso la sede della multinazionale responsabile degli abomini, tutta l’ambientazione diviene più fredda e asettica, a simulare l’ambiente sterile necessario per un esperimento genetico. A livello di gameplay e longevità, il prodotto si segnala per la presenza di un arcade mode [identico alla sala giochi] e di un original mode, dove è possibile fare colletta di item preziosi [continue infiniti, proiettili perforanti] per finire un gioco altrimenti impossibile da portare a termine, mutuando l’incredibile difficoltà dei due ul timi boss dalla versione arcade, dove quello che contava davvero era che gli utenti avrebbero pagato oro [ed infatti lo facevano] pur di vedere la fine del gioco [era così vicina ormai!]. Si segnalano inoltre negli special del GD-ROM alcune prove di tiro a segno ed un Boss Mode, per abbattere in tempi sempre più brevi tutti i “datori di lavoro” degli zombie. Insomma, non si può negare che si è cercato almeno in questo caso di alzare la longevità del pro dotto il più possibile, sia con gli special che con i bivi nello story mode. Tutto questo ben di dio alla fine è pesato su doppiaggio e colonna sonora. Se chiedete agli hardcore fans più accaniti, vi diranno che la colonna sonora monocorde è adrenalinica e restituisce l’atmosfera tesissima

Ring#2 dell’ambientazione, mentre il doppiaggio slavato e senza inflessioni è un omaggio voluto a tutti i film di serie B aventi i morti viventi come protagonisti. Ring accetta questi suggerimenti più che volentieri, ma continua a pensare che entrambi siano atroci, sia la cosa voluta o meno.

Notizia Flash 2

L’avrete capito anche voi: Ring ritiene House of The Dead 2 il miglior shooter con pistola di tutti i tempi. Adrenalico, splendido graficamente, vario e soprattutto piacevole da rigiocare. Per sintetizzare il nostro pensiero è sufficiente portare ad esempio “il teorema di Soul Calibur”: “quando un gioco dopo anni dalla sua uscita è ancora il migliore, lo si rigioca ad libitum in attesa di un nuovo numero uno”

Notizia Flash 1 In un recente incontro con la stampa, il portavoce dello studio di sviluppo Konami TYO, alla domanda su quale fosse l’aspetto di Pro Evolution Soccer 2 di cui andasse più fiero, ha risposto: “La telecronaca”. Dopo un breve silenzio da parte dell’intera sala stampa, letteralmente sbigottita, l’inviato di Ring alza timidamente la mano e puntualizza con educazione che la telecronaca in PES2 è piuttosto mediocre: con commenti monocorde, errori nel raccontare la partita e sovrapposizioni delle voci del cronista e del secondo commentatore. “Esatto – risponde il portavoce di Konami TYO – proprio come nelle telecronache vere!”

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Prime immagini rilasciate e notizie col botto su Metal Gear Solid 3! Reduce dal suo tour presso gli studios Konami, l’inviato di Ring ha avuto l’abilità di car pire informazioni in esclusiva, sul prossimo capitolo del videogioco di Snake (e quell’altro…), orecchiando una telefonata tra Kojima e la moglie, che si mormora essere la vera mente dietro alla serie. Pare che il gioco sarà costituito da un’unica location, tra l’altro molto ridotta: una tipica cameretta giapponese, provvista, tra le altre cose, di una console PS2 ed un Joypad. Dietro a tanta povertà geogra fica si cela la nuova idea geniale di Kojima San (oppure Sama?): Metal Gear Solid 3 avrà una metareferenzialità ta le che sarà Snake stesso, dalla propria abitazione, a giocare pad alla mano con il videogiocatore, facendogli affrontare missioni pericolosissime nei quartieri più malfamati della sua città. Una sola vita e niente barra di energia. Geniale.


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Ring#2

Videogiocatori o Memorizzatori di Pattern?___ [Opera Rotas #2] di Sator Arepo “Nel prossimo numero di Ring scopriremo se un altro mondo è possibile.” Opera Rotas #1 Parte 2 di 2 «10 David, qui Centro, avete raggiunto il luogo del crimine?» «Qui 10 David, affermativo Centro. Attendiamo istruzioni sull’operazione in corso» «Abbiamo un duezeronove barra quattro: un numero imprecisato di terroristi, appartenenti al gruppo sovversivo dei Nazisti-Comunisti, ha preso in ostaggio un’intera famiglia residente in West Los Angeles. Pare che, se non verrà appr ovato un disegno di legge che obblighi le persone a indossare i calzini sopra le scarpe, uccideranno un ostaggio ogni settimana. Vi inoltro i dati degli ostaggi. Donald Foreman. Maschio. Caucasico. E’ il capofamiglia. Ama il Risiko e l’aroma di caffè. Odia le giornate uggiose. Linda Foreman. Bianca. Moglie. Piuttosto forte di petto. Vorrebbe aprire un ristorantino sulla settantasettesima, ma il marito pare ostacolarla. Jacob e Emily Foreman. Bambini. Non abbiamo altri dati al riguardo.» «E’ un bel problema Centro, come faremo a distinguerli dai terroristi?» «Di solito i bambini sono di dimensioni molto ridotte rispetto agli adulti, inoltre, vista la tarda ora, dovrebbero indossare pigiamini variopinti, ripeto, pigiamini variopinti.» «Ricevuto Centro. Operativi tra sessanta secondi. Ok ragazzi, avete sentito tutti la rogna che dobbiamo affrontare. Mi raccomando, facciamo un lavoretto pulito, evitando magari un bagno di sangue tipo quello di martedì scorso al lebbrosario, e solo perché ci era sembrato di essere stati toccati da un ostaggio. Scarpelli, passami la mappa dell’edificio.» «Eccola capo.»

«Ma, insomma, l’hai tutta scarabocchiata!» «Ammazzavo il tempo mentre dal Centro illustravano il briefing, capo.» «Sei proprio ottuso Scarpelli. Veniamo a noi. Ho deciso che entreremo dall’ingresso posteriore perché la pattuglia in elicottero ci ha segnalato un possibile movimento nei pressi dell’ entrata principale. Voglio che il Team Rosso si avvicini alla finestra e, usando lo specchietto in dotazione SWAT, controlli che non vi sia nessuno all’interno… Scarpelli, chi diamine è Laura?» «E’ la mia ragazza, capo.» «…» «E’, uh, un’amica della chat.» «…» «E’ una donna che ho incontrato una volta in ascensore e che non ho più rivisto.» «Sei proprio ottuso Scarpelli. Team Rosso, una volta sincerativi che nella stanza visibile dalla finestra non vi sia nessuno voglio che, sempre dall’esterno, puntiate i fucili contro la porta che conduce alla camera del fantacalcio, in modo da freddare all’istante ogni malvivente che potrebbe fare ingresso da lì [fig. 1].

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Team Blu, noi procediamo ad entrare… Ok, zona libera. Team Blu: io mi posiziono ai piedi delle scale per beccare eventuali terroristi che potrebbero giungere dal piano di sopra [fig. 2], voi, passando per la stanza “Laura ti amo”, entrate in quella del fantacalcio, perlustrate e ripulite [fig. 3].» «Capo, si è mai reso conto che tende a delegare sempre a me i lavori più pericolosi?» «E’ perché non perdo mai fiducia nel destino, Scarpelli. E’ perché non perdo mai fiducia nel destino.» «Capisco, beh, allora io entro…» «Vai con Dio Scarpelli.» «Oh… Cristo! AAARGH!» «Che succede? Ci sono terroristi nascosti?» «Capo, qui Rosso 1, riesco a distinguere chiaramente Scarpelli con la lingua incastrata nel tostapane.» «Centro, qui squadra d’assalto, missione fallita, ripeto, missione fallita, voglio cambiare mestiere…» «Anf’io fafo!» «Zitto Scarpelli.»


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[fig. 1]

[fig. 2]

[fig. 3]

_Un altro mondo è possibile Nel precedente numero di Ring avevamo evidenziato come, in molti titoli sia “antichi” che delle ultime generazioni, per il superamento delle varie situazioni di gioco si facesse eccessivo affidamento sulla memorizzazione di prestatibilitissimi pattern. Avevamo inoltre isolato un personaggio, Rick Dangerous, come simbolo di tale “indole”, ed eravamo arrivati a chiederci se questa non fosse a conti fatti una caratteristica irrinunciabile del mezzo in oggetto. Vediamo. Nel paragrafo precedente avete assistito ad un estratto del rapporto della quarta missione di SWAT 3 (PC, Sierra, 2000); romanzato meno di quanto possiate immaginare. La sensazione più facilmente estrapolabile dalla sessione di gioco descritta – fatta salva l’idiozia dell’agente Anthony Scarpelli – è l’incertezza.

Ring#2 Ogni stanza potrebbe contenere uno o più malviventi; ma anche no. In ogni istante qualcuno potrebbe improvvisamente comparire da una porta qualsiasi e spianare il mitra sulla nostra persona; ma anche no. E, badate bene, tutto ciò non è valido solo la prima volta che si affronta una data missione, si estende invece a tutte le successive iterazioni; questo perché in SWAT 3, udite udite, niente si ripete. All’inizio di ogni missione, nemici e ostaggi trovano una casuale disposizione sul terreno di gioco e, da lì, cominciamo a recitare il proprio ruolo senza alcun pattern prestabilito, all’infuori di una certa necessaria coerenza a livello comportamentale ed emotivo. Quindi un terrorista che sente movimenti nella stanza adiacente può decidere di irrompervi arma in braccio, oppure di posizionarsi in un angolo e tendere un agguato, oppure di sparare ad un ostaggio. Stessa cosa per questi ultimi, che se ne possono restare buoni e fermi in attesa della liberazione oppure, terrorizzati, correre mani alzate tra nuvole di proiettili, oppure scappare dagli stessi agenti SWAT. Si tratta di un’idea tanto geniale quanto semplice. E’ l’ovomaltina del tenente Colombo. Con una premessa simile viene di fatto annullata ogni speranza di superare un certo frangente grazie all’esperienza accumulata durante il tentativo precedente. In un gioco che non implementa una simile feature, infatti, entrare in una stanza, non controllare a sinistra ed essere freddati da un nemico ivi situato, risulta sì essere un errore da game over, ma alla partita successiva il giocatore, una volta fatto ingresso nella medesima stanza, si volterà immediat amente a sinistra, commettendo un analogo errore – non ha controllato la zona a destra – ma scovando istantaneamente il nemico in agguato. Si giunge quindi al paradosso in cui, pur sbagliando, si è ricompensati dal sistema con la prosecuzione del gioco. Orribile.

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SWAT 3 invece è diverso. Il titolo Sierra, prima di iniziare a giocare, invita l’utente a seguire un esauriente tutorial sulle tattiche da adoperare in tutta una casistica di situazioni. Qual è ad esempio il modo migliore per entrare in una stanza che presenta una porta già aperta? Usare la tecnica del taglio della torta; ovvero porsi di fianco all’entrata e, mediante un movimento laterale e circolare, visualizzare una sezione via via maggiore dell’ambiente in cui si vuole fare ingresso, offrendo però un’ esposizione ridotta del proprio corpo all’altrui fuoco. Una volta assimilato il tutorial, ciò che rimane al giocatore è la sua applicazione in maniera ottimale in tutte le situazioni che si troverà ad affrontare. Anzi, a differenza di giochi simili, sarà letteralmente costretto a farlo, in quanto non potrà d isporre di quella coperta di Linus che è l’Effetto Rick Dangerous. Altro positivissimo effetto collaterale, riscontrabile in un simile contesto, è il fatto che il game designer non è più costretto a spingere sull’acceleratore della difficoltà, causa ndo sovente situazioni assurde in cui non si riesce a superare una certa missione pur non commettendo macroscopici errori. La maggior difficoltà in SWAT 3 non è infatti distribuita negli scontri o in disparità sove rchianti di forze in gioco; è invece da ricercarsi in questa sorta di horror vacui in cui tutto può succedere1. Bisogna quindi riporre grandissima attenzione negli ordini da impartire alle – splendide – IA dei compagni, e nel rispondere con prontezza di riflessi ai numerosi imprevisti che si susseguono, scaturendo spesso sequenze originali e difficilmente ripetibili2 nonché momenti di assoluta suspence: un punto di collegamento con quell’indeterminatezza propria del gioco online3. Verrebbe da chiedersi come mai una tecnica tanto banale – concettualmente – non venga utilizzata in altri titoli appartenenti a generi compatibili. Forse perché è più semplice posizionare le comparse in prestabiliti luoghi e dire loro cosa fa-


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Ring#2

re, piuttosto che dotarli di una intelligenza artificiale più elaborata, volta a fare loro affrontare situazioni non propriamente deterministiche. O forse perché – cattiveria inside – una simile tecnica provocherebbe un sensibilissimo incremento della longevità, a ndando ad incidere pesantemente su un aspetto in genere poco contemplato: la rigiocabilità, e minando quindi pericolosamente la voglia del giocatore di comprare un altro titolo della stessa serie.

Anthony Scarpelli. Matricola: 148937

__________________Note [1 Per questo motivo siete moralmente invitati a settare subito il livello di difficoltà su hard. Niente paura: tale irrobustimento di complessità non si traduce in nemici più abili, veloci e duri da abbattere; insomma, in una giocabilità frustran temente impossibile. Aumentano semplicemente le possibilità decisionali dell’IA avversaria, assicurandone un comportamento più realistico e garantendo missioni varie ed appassionanti.] [2 Ad esempio c’era questa missione in cui dovevo irrompere in una chiesa ortodossa e liberare tutti i sacerdoti ivi tenuti in ostaggio. Con tutte le cautele del caso, entro in un ampio stanzone insieme ad un compagno gestito dalla CPU. Deserto. E’ quindi con una ritrovata serenità che inizio a perlustrare gli armadi, operazione generalmente di routine e poco pericolosa: è difficile infatti trovare terroristi nascosti al loro interno. Al limite gli ostaggi. Ma in quel particolare caso fu proprio un malvivente a palesarsi una volta aperta un’anta. Il bastardo, la camicia seven-

ties e un accenno di calvizie, stringe con due mani una pistola; ma la punta verso terra. In quel caso la direttiva è: catturarli vivi. Gli punto il mitra contro, il mio compagno fa altrettanto, gli ordino la resa mediante pressione del pulsante corrispondente all’esclamazione: «ALZA LE MANI, SACCO DI MERDA!», o qualcosa del genere. Sono così teso che premo diverse volte tale tasto, cosicché la frase mi va in loop. Il terrorista non mi presta ascolto, guarda per terra e ripete tra sé e sé: «E’ finita, non c’è più niente da fare». Però non si decide a mollare quella dannata pistola. Non so cosa fare, sono pronto a premere il tasto sinistro del mouse, per mandarlo al creatore alla prima mossa falsa, ma vorrei evitarlo, e non perché sono un buon samaritano, quanto perché sarebbe uso scorretto di forza letale: perderei rispetto agli occhi dei miei sottoposti. Allora penso a una cosa, ma poi mi dico seee, non funzionerà di certo; però mi rispondo proviamo lo stesso dài, male che vada non succede niente. Poso il mitra e seleziono la pistola, mi avvicino e gliela punto sulla fronte, poi la sposto leggermente verso destra e faccio fuoco. Il proiettile si conficca nel legno dell’armadio, a pochi centimetri dall’orecchio del soggetto. Questi – giuro – strabuzza gli occhi, dice: «Eh? Oh? Mi arrendo!», lascia cadere la pistola, alza le mani, si mette in ginocchio. Fico no? Il gioco non solo mi ha portato a pensare lateralmente, ma ha anche previsto un simile spunto personale e implementato un’adeguata risposta. Senz’altro un argomento per un futuro Opera Rotas…]

[3

SWAT 3 supporta il gioco online previo aggiornamento alla versione Elite Edition – 50 mega ben spesi anche per via dei sensibili miglioramenti all’IA –. Purtoppo la mia esperienza wired con tale titolo non è stata delle migliori; colpa degli americani con cui ho giocato. In pratica non ubbidivano alle mie

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direttive: ordinavo loro di lanciare il gas, e quelli mi rispondevano di lanciarmelo da me. Chiedevo loro di coprirmi, e quelli mi sfottevano sparando al mobilio, rivelando così la nostra presenza al nemico. Allora mi sono incazzato come una iena e li ho freddati uno a uno con un colpo di fucile alla nuca. Poi mi sono sconnesso e non vi ho più fatto ritorno. Sono diventato un terrorista latitante.]

Nel prossimo Opera Rotas parleremo di etica nei videogiochi. Forse.


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Ring#2

Enter the Videogioco el Palmo Accecante

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[Il Davide Videoludico DUE] di Nemesis Divina “be’, ti ringrazio per questa domanda. In effetti Davide lo sento molto vicino, cioè, ho molti tratti comuni a lui e alla sua storia… no, senti, fa finta che non l’abbia detto…” Nemesis Divina Il Davide Videoludico era bimbo elementare d’anni dieci quando incontrò il videogioco per la volta prima. Il videogioco in questione, è importante notarlo, era di genere metareferenziale, tipo MGS2 che una volta ho letto un indepth che ci capivo meno ancora che’l gioco. Comunque, il bello di questo videogioco era che l’ambiente ludico el giocatore si fondevano in un’unica e talvolta indistinta entità, il quadro finale era assimilabile ad opera d’arte. Ecco dunque di che si trattava: Vuolsi un giorno che’l Davide Videoludico scorrazzava ridente entro i confini d’una discarica in quel del paese suo bello. Davide amava quell’ampia decadenza, in tutta la rovina circostante Egli si ergeva incorrotto e sublime. Così almeno si beava di pensare. Trotterella trotterella e che ti vedo? Il Davide s’acquattò con scatto felino ed abile mossa. Mugugni e lamenti provenivan aldilà d’un cumulo marcescente e Davide, curioso come una perpetua sciancata e modenese, si guardò bene dal girar tosto i talloni pe’ errare altrove. Oltre il colle giacevan due corpi completamente ignudi che con perizia e sollazzo si dedicavano a pratiche irripetibili. Davide avvertì un pizzicorìo alla base del collo ma non lo collegò al ra gno radioattivo che poc’anzi l’aveva morso, piuttosto liquidò il prurito con una schiusa di uova piddochine. L’accorpamento fisico cui stava assistendo si protraeva per tempi di siffrediana memoria, tant’è che uno degli avambracci davidiani ebbe un principio di cancrena. Il formicolio diffuso costrinse il Davide a variar postura e mal gliene incolse che pressò, fra palmo e polso, una molle merda scura. Detta merda, per note proprietà fluidod inamiche, funse da lubrificante fra’l manto rifiutizio e quel rifiuto di Davide. Ed egli rotolò strillando e guaendo sin nei pressi dei due cupidi amanti. Tumido come un caco avvizzito, Davide si resse in piedi e, con rapido pensare, stirando le labbra in minaccioso sorriso dicette: “E=MC2”. I due gli furono subito indosso evidentemente non cogliendo a fondo le implicazioni della formula. Fu così che presero a percuoterlo con inaudita bestialità sicché Davide, di ceffone in ceff one, passava dalle mani di uno (ragazzo sulla ventina, capello corto e petto imberbe) a quelle dell’altro (quarantenne esageratamente nerboruto con un pendolo infrainguinale oscenamente protratto). Le botte feceronsi di sempre più forti e violente ma Davide non raggiunse mai la velocità iperluminare, da lui presagita, che ne avrebbe per messo la trasformazione in essere di pura energia… Riposte le oscene pudenda, l’Enorme si accertò che Davide avesse il suo primo e pieno contatto col videogioco. Presolo per l’idrocefalica nuca lo immerse con vigore e ripetutamente in un vecchio televisore ivi disposto alla bisogna. Dalle risate che udiva, Davide desunse che tale videogioco fosse molto coinvolgente. Poi le orecchie gli s’empirono di sangue quindi si limitò ad annotare la notevole longevità dell’intrattenimento in questione. A quanto ne ricorda, Davide fece prima ad addormentarsi per la noia che a svenire dal dolore. Bei tempi, proprio il giorno l’altro il Davide si domandava perché nessuno fosse ancora riuscito ad aggiornare un concept così palesemente vincente… Passarono anni prima che la geografia facciale del Davide riprendesse completamente la disposizione originaria, nel frattempo la pangea anatomica che portava in viso veniva accolta dagli altri pazienti in modi completamente differenti: alcuni, quando lo incrociavano nei corridoi, vomitavano le interiora. Altri vomitavano pure i pantaloni. I dottori confidavano che non sarebbe stato mai più lo stesso. Come avremo a scoprirne, tristemente, si sbagliavano. I medici avvisarono pure che il trauma avrebbe indotto in Davide una visione ‘originale’ delle cose. Fu per questo che, quando il padre gli regalò il PONG, tutti tollerarono che’l ragazzo vi cacasse sopra. Ma PONG amava Davide, gli voleva un bene tenero e

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paterno, per quanto ne comprendesse le meccaniche limitate e primitive. Cioè, lo schermo era lì, fisso e immutabile che presentava sempre e solo i medesimi squallidi elementi in perenne e poca iterazione fra sé. Dico, non è mica Resident Evil che volendo ti rolli pure i cannoni, no, sempre la stessa cosa reiterata ad libitum. L’ad libitum (ah, questi inglesismi…) si riferiva alle volte che Davide se lo menava davanti alla TV dicendo cose tipo “ehi, stai parlando con me? No, dico, parli proprio con me?!” e robe del genere. Insomma, diciamolo, alla fine il gioco era sempre lo stesso. Accendevi il mondo e che ti trovavi davanti? ‘sto rimbambito dal design scontato e completamente privo di caratterizzazione, faceva solo tre cose (1) se lo menava (2) spostava la rotella verso destra (3) spostava la rotella verso sinistra. Non c’è da stupirsi se alla fine il PONG implorò l’eutanasia binaria e, di lassù, tosto gliela concessero. Una vampa accesa e gioiosa investì in pieno il Davide che, in quel mentre, stava eseguendo una difficile stringa di comando che si traduce nella seguente forma scritta: (1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1)(1) … Davide, da tutto questo, avrebbe dovuto trarre un’importante lezione: i videogiochi erano sì fonte di divertimento ma si sarebbero al contempo rivoltati contro di lui, nella maniera più disparata e virulenta possibile. Lezione che Davide si guardò sempre bene dall’imparare… [continua…]

Cotta di Maglia_________________________

[???]

di Federico Res cide ci rende più forti… Ma dal prossimo mese pretendo un sostanzioso ingrossamento nel volume di mail spedite a Cotta di Maglia. Se avete qualcosa da dire, ditela qui: cottadimaglia@project-ring.com

Benvenuti al primo numero di Cotta di Maglia. L’angolo della posta di Ring, per capirci. In questo numero – com’è giusto che sia – troverete un vivido spaccato dei commenti e delle reazioni conseguenti alla nascita di Ring, o meglio, al Neonascimento Digitale del progetto Ring: ad un mese dalla messa online del primo numero i lettori si sono fatti sentire, discutendo Ring presso i newsgroup (parte degli interventi qui pubblicati proviene da it.comp.console), in mail private o scrivendo direttamente a Cotta di Maglia. Abbiamo letto ogni cosa, anche i commenti più brevi e occasionali. Abbiamo assimilato, metabolizzato. E ora siamo qui a rispondere. Perché tutto ciò che non ci uc-

Se volete esprimere idee generali sui contenuti di Ring, fatelo al medesimo indirizzo. Se vi va di discutere con qualche redattore in particolare, e al contempo volete essere pubblicati, rifatevi alla stessa mailbox. Laddove le circostanze e/o le epistole lo richiederanno, il sottoscritto girerà le mail ai diretti interessati, facendosi elegantemente da parte. Tutto chiaro? Bene, cominciamo… First of all Grazie per aver dato vita al un sito così profondamente diverso rispetto a tutti quelli esistenti fino ad ora sulla rete. Finalmente qualcuno che non si limita a giudicare soltanto l'apparenza delle cose e non sto parlando solo di videogames.... Mi è piaciuto moltissimo l'incipit su Silent Hill 1-2! Allora non

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sono l'unico ad essere stato male dopo averlo giocato, premetto che nonostante i molti difetti tecnici considero il gioco Konami un autentico capolavoro; ricco di emozioni, capace di tener incollato allo schermo il giocatore che è disposto ad analizzare tutto quello che il gioco può offrire senza cadere in banalità tipo: "Che due palle le ambientazioni esterne sono mediocri". Insomma sono semplicemente felice che qualcun altro guardi più in là del proprio naso e analizzi le varie cose come Cristo comanda! Non m’interessa se mi pubblicate o meno sul numero in uscita... non scrivo per poi bullarmi con gli amici. Una risposta sarebbe gradita però! Anche in forma privata. Ciao raga vado ad ascoltare i Nevermore e mi faccio qualche altra sega mentale… String Facciamo tutti un bell’inchino a String per i graditi complimenti e per aver dato il calcio d’inizio a questo numero di CdM. Manifestare il mio totale consenso


:RUBRICHE: circa il tuo pensiero sarebbe pleonastico, ma correrò il rischio. Hai colto appieno il significato di Ring, e ciò non solo dimostra che sei un tipo in gamba, ma anche che la nostra voce si è fatta sentire, almeno un po’… il fatto poi che Ring abbia – per il momento, andiamo di corna – conquistato un seguito superiore alle aspettative non può che farci piacere. Come ha scritto Nemesis nella Grand Declaration of War del mese scorso, puntiamo al cuore, ma solo con chi, nel suo cuore, ha ancora la sensibilità del videogiocatore curioso. Vedere che ci sono ancora individui del genere è confortante, perché significa che ciò che stiamo facendo non è del tutto inutile… Al giorno d'oggi pare che l'impegno faccia decisamente tendenza. Prendiamo una rivista generica di videogiochi: le anteprime sono le press-release trascritte paripari, le recensioni sono delle prove di beta se non dei giochi scaricati da qualche sito wa**z, tanto che nessuno parla mai della confezione, delle istruzioni, ecc. E' chiaro che tutto ciò informi, ma lo fa in maniera impersonale, fredda. Creare l'informazione impegnandosi, come pare voglia fare RING, crea tendenza in un mondo dove l'ambito commerciale la fa da padrone [1]. Dal mio canto, pur mettendoci tanta voglia, voi semplicemente non create in-formazione. Se pensate di riuscire a coinvolgere un numero sufficiente di spettatori intorno ad un’analisi storico-sociale-didattica del videogioco penso che otterrete scarsi risultati. Per me potete tranquillamente auto-lodarvi quanto pare a voi (vedi Grand Declaration). Secondo me il sito ha le ore contate. Il videogioco e' sì una esperienza appagante, ricca di spunti e di stimoli, però prima di tutto serve a far divertire, e le letture che riguardano il videogioco oltre a informare devono appagare ricollegandosi all'essenza del divertimento stesso. Le pagine di Ring che

Ring#2 ho letto non mi hanno ne' informato, ne' divertito, ne' appagato. Sono uscito che ne sapevo come prima, ma forse potrebbe anche essere che, essendo un po' un pioniere del videogioco, le mie aspettative siano molto elevate per tematiche simili [2]. Voi fate bene e cercare di distinguervi. Per me, però, dovete essere più chiari. Dovete chiarire quale sia il vostro target. Come inizio mi sembra che stiate un po' brancolando nel buio. Sapete secondo me dove sbagliate? Pensate di essere molto avanti, ma non vi rendete conto che la magia del videogioco sta nell'essenza stessa della più o meno breve esperienza che ti accompagna durante quella che vi piace chiamare "videoiterazione" [3]. Chi videogioca lo fa per distrarsi, per uscire da un mondo reale ed entrare in una realtà diversa. Se poi ci si vuole ragionare intorno e usarli come spunto di riflessione, l'idea non è malvagia, anzi, assai lodevole. Però, il terreno è minato (visto che i videogiochi che permettono tale approccio si contano sulla punta delle dita) e il confine fra articoli-frasi leggibili e le seghe mentali (come la Declaration of War) è assai ridotto. [4] Ciao MASTER Salute Master, di seguito le mie considerazioni al tuo pensiero. Divise per punti ché far tutto insieme mi mette paura… [1] Oddio. Il fatto che “al giorno d’oggi l’impegno faccia tendenza” è fortunatamente solo un tuo parere. Nella tua concezione del presente andare oltre la superficialità significa essere di tendenza? Giuro, per quanto mi sforzi non riesco a farlo un concetto mio. E’ un paradosso imbarazzante… ma forse dipende dalla definizione di ‘tendenza’ che entrambi abbiamo. Nel mio caso è un tantino diversa da quella di “impegno”, anzi, direi che sono come il diavolo e l’acqua santa… a dirla tutta, mi deprime vedere che c’è chi, davanti al cambiamento (a prescindere dalla validità di que-

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sto), parla di ‘tendenza’. Ma siamo qui per discutere, l’indirizzo lo conosci… [2] Forse potrebbe anche essere che si tratti solo di una tua opinione, a prescindere dal fatto che tu sia o no un pioniere del vg. Ho detto forse, non mi picchiare ché se mi tocchi sanguino. Sembra che per tanta gente Ring sia stato informativo, appagante, divertente. Sei certo che il pezzo su MGS2 non abbia nessuna utilità? Neanche per chi dei significati di MGS2 ha colto poco e, guardandosi bene dal gridare allo scandalo, vuole vederci un po’ più chiaro? E per chi non ha mai sentito parlare di dodecafonia o Kandinskij, il pezzo su Rez è davvero inutile? Le stri-sce a fumetti su Ico non ti hanno divertito? Il bellissimo Opera Rotas di Sator non ti ha informato? Non ti ha divertito? Non ti ha appagato (‘no, è finito subito!’ ^_^)? Non dico che avrebbe dovuto farlo per forza, chiedevo soltanto. Ripeto, per tanta gente Ring è stato appagante, informativo e divertente. Per tanta gente tra cui spiccano numerosi pionieri del vg, e questo potrei giurartelo sul mio dek macchiato del venerdì sera… [3] Magari ce ne rendiamo conto, ma tu non ti rendi conto che ce ne rendiamo conto. Ma a chi dovremmo render conto? Francamente, fra tutto ciò che hai scritto questa è l’unica co-sa che potrebbe offenderci. Potrebbe, per fortuna, perché la parte di chi si sente ‘avanti’ la stai recitando tu. T’invito caldamente a dare uno sguardo al nuovo Opera Rotas, all’ intervista a Dio, all’indepth su Ico, a quello su Super Mario Sunshine. E a renderti conto [stronzomode on]. [4] Questo sarebbe un problema se l’attenzione di Ring si rivolgesse unicamente al vitanaturaldurante. Ma così non è. Sarebbe un problema se in Ring ci fossero soltanto gli in-depth, ma così non è. E sareb-be un problema se mancassero le idee. Ma così non è. Insom-ma, sarebbe un problema ma così non è…


:RUBRICHE:

Secondo me il problema di RING è che vuole essere troppo di "rottura" e risulta poco "propositivo". La cosa fastidiosa è cogliere una sorta di compiacimento nell'essere di rottura e di controtendenza. Una sorta di vuota rivoluzione fine a se stessa. Sicumera No, ragazzi, non scherziamo. Siamo di tendenza o siamo di rottura? Ho capito: ‘tendenzialmente rompiamo’. Le palle, ovvio… Ciò che dico del sito nulla ha a che vedere con la considerazione personale che ho per i suoi creatori / collaboratori, anzi. Fatta la dovuta precisazione, devo dire con rammarico che mi aspettavo di molto meglio. Graficamente non mi piace (ma questo è probabilmente l'aspetto più soggettivo di tutto): ricalca fin troppo i gusti metal dei suoi redattori, il che secondo me con i videogiochi ci entra come i cavoli a merenda. [Ti dirò, in Ring di metallari ce ne sono pochi, e personalmente provo una forte allergia per il metal. Ecco, mi sono appena guadagnato l’espulsione dai lidi ringhici:)] Da un sito di viggì mi aspetto un aspetto molto più vivo (anche se con sfondo nero, prendiamo Gamespot), oltre che immensamente più ordinato (e qui passiamo alla struttura). Sembrano pagine a sé stanti, senza un filo comune che le tenga insieme. I contenuti poi, videoludicamente parlando, davvero sono la cosa peggiore (mi raccomando, leggetevi la premessa) che abbia mai letto, a pari merito con i deliri di MBF. Voglio dire che lo stile ampolloso usato, pieno di termini ricercati mal si adatta alla lettura dell'appassionato che ricerca invece un giudizio su un gioco senza doverlo estrapolare da fiumi di parole che necessitano di vocabolario. Ovviamente c'è chi pensa il contrario di tutto ciò (mi riferisco ancora al linguaggio), ma alcuni fattori mi fanno credere che la maggio-

Ring#2 ranza la pensi come me (il fatto che MBF per esempio non vada oltre la paginetta qua e là non credo sia legato solo ai suoi molti impegni di docente). Detto questo non posso che chiudere augurando al Gatsu e soci il migliore futuro possibile, e sperando (personalmente) in un secondo numero più immediato e meno "compito di scuola superiore". Fabio Ho l’impressione che tu non abbia letto la Grand Declaration of War. Nono, non cercare scuse. Vai a leggertela e poi torna. Dai, su… [Risponde Nemesis Divina su ICC. Fabio legge la Grand Declaration (mi auguro) e torna in classe.] Beh, se mi dici che non siete un vero e proprio sito allora mi scarico la versione stampata e me la leggo a mo’ di rivista, dato che è quello che sembrate preferire. ^_^ Per il resto (grafica, linguaggio, etc) sono sicuro che avrete fatto le vostre brave considerazioni prima di imbarcarvi nell'impresa, e ciò, unito al fatto che non volete essere fruibili da tutti, giustifica il fatto che (più che giustamente) non intendete cambiare lo stile. Tuttavia permettimi di esprimere perplessità relativamente alla produzione di un prodotto che non cerca di essere apprezzato dai più. Intendo dire: che incentivi può avere una persona a scrivere qualcosa che sa essere letta da una piccolissima (se va bene) percentuale di anime? Mi fa molto pensare alla sola autocelebrazione. [Il contatore degli accessi di Ring ha lavorato parecchio. S’è pure resettato per stress da super lavoro. Sembra sia parecchia la gente che ci segue, e questa è in un certo senso una scommessa vinta…] Se poi aggiungi che sembra (spero per voi) dover avere molti seguiti periodici, la cosa diventa di difficile gestione anche economica (trovare spunti, scrivere, impaginare, le immagini da mettere...).

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[…] Non è materialismo, ma del resto la maggior parte dei siti (o riviste) che noi/voi tutti leggiamo un pochino di pubblicità la fanno per rimanere vivi. Fabio E un pochino di pubblicità pure Ring se l’è fatta, non dubitare :) Perdonami, per caso stai cercando di diventare il manager di Ring? A parte gli scherzi, posso assicurarti che finora il prezzo di Ring si è calcolato – semplicemente - in impegno e tempo libero. E soprattutto in idee. E per nostra fortuna è un prezzo che ci siamo potuti permettere. Non so dirti per quanto ancora sarà così, ma una cosa è certa: se arriverà il giorno in cui per saldare il conto dovremo prostituirci, quello sarà anche il giorno in cui Ring chiuderà i battenti… Bello questo RING. Sorpresa, stupore e incredulità. Eccoti un presente inatteso e il VG assume i contorni di qualcosa di nuovo. Spero solo non siate fuoco di paglia, che di gran fiamma s'accende per poi avvizzire in fretta... più di tutto gradisco la partecipazione di chi scrive. In particolare il pezzo su Manfred Trenz: ragazzi, io non ho vissuto il periodo di mio (son piccolino) ma leggendo ho percepito l'emozione di chi ha giocato quei giorni. Mi auguro che questo sia uno degli elementi imprescindibili dei prossimi RING e che non perdiate ciò che le riviste su carta hanno smarrito da tempo e che gli altri siti non hanno mai neppure avuto. State facendo un buon lavoro ma un numero lo possono fare tutti... pensate di farcela a continuare così? Me lo auguro. Attenti, vi tengo d'occhio... Rebel Extravaganza PS: a quando il Forum? Mi dicono che pure l’autore del pezzo fosse piccolino al tempo. Nell’ottantanove aveva, uh, nove anni circa. Ma aveva pure qualche amico cui scroccare ore al C64 e pagine e pagine di Zzap! e TGM… e soprattutto era curioso…


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Ring#2

Ah, un messaggio dalla regia. Nemesis ha lasciato due righe per te: “Bello il tuo nick, ma questo non ti rende automaticamente mio successore. Devi fare di più, devi fare meglio. ”Cosa questo significhi immagino lo sappiate solo tu e lui… P.S. Tocchi un punto sensibile. Ci stiamo lavorando sopra per metterlo online con l’uscita del secondo numero di Ring. Ci vorranno una quindicina di giorni – Zzap! – fatto. Fiondati all’ home page e vedi se ci siamo riusciti… Bene, bene, anzi... molto bene. Andate avanti così. Ci voleva un sito come questo, che faccia un po' da coscienza per questi malcitati e maltrattati hardcore gamers. Una rivista cartacea sicuramente non potrebbe permettersi certe cose ma, come giustamente hanno fatto notare, se non lo fa un sito, per di più non a pagamento, chi altri lo può fare? E poi non se ne poteva più di questi siti tutti uguali, allineati e coperti, con il loro Php-Nuke d'ordinanza, il forum d'ordinanza, le news ( oddio, "news" è una parola

grossa, chiamiamoli pure "pettegolezzi" ) d'ordinanza, le recensioni, i maledetti pop-up, i banner, le pubblicità delle su onerie SMS, e tutti gli altri trick e track, flash e shock e sia santificato il tasto "skip intro"... La grafica va benissimo, non date retta, è coerente con quello che c'e' scritto, il nero d'ordinanza è troppo inflazionato ormai per impressionare. E poi ci sono pure Munch e Kandinskij, che pretendiamo di più? Unico appunto? Le Forbici, please. Meno ampollosità e più sintesi. Date forza ai concetti, purificandoli degli orpelli inutili, talvolta si scivola un po' nell'autocompiacimento, e passa la voglia di leggere. E’ meglio che mi sbatti in faccia una frase che sia il risultato di una tua riflessione, senza dovermi per forza spiegare come ci arrivi, così costringi a riflettere anche me... Umberto Ma come. Tutti i filosofi scrivono così… okay, abbiamo afferrato il concetto. Sempre che non ci sfugga… ad ogni modo, da questo numero in poi anche Ring avrà il suo forum (il link lo trovi nell’home page). E sarà

ben lontano dalla mediocrità dei ‘forum d’ordinanza’ tanto diffusi in rete, inutile dirlo… Dico solo questo. In bocca al lupo. Simone Ricordatevi che per entrare nel mito non bisogna solo fare grandi cose, ma anche morire giovani. Tirate le debite conseguenze. Ivan COMPLIMENTI! Al Didimo il Ring piace proprio un sacco :) Un abbraccio, e in bocca al lupo. Simone Capolinea, si scende. Il mese prossimo pretendo un sostanzioso ingrossamento nel volume di mail spedite a Cotta di Maglia. E soprattutto pretendo che qualcuno mi spieghi il significato di ‘Cotta di Maglia’. Pensate, riflettete, scrivete e spedite. A Cotta di Maglia.

Prossimo anello…_______________________ [Ring#3] L’Europa entra nella Console War. E non intende fare prigionieri!!!1

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