Azione 20 dell'11 maggio 2015

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 11 maggio 2015

Ms alle hopping pagi ne 4 5-56

Azione 20

Società e Territorio Il premio Gottlieb Duttweiler all’inventore del World Wide Web

Ambiente e Benessere L’importanza di permettere alla persona di non identificarsi con la sua malattia, ma di dare un significato a quanto accade

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Politica e Economia La Turchia verso un voto importante

Cultura e Spettacoli Milano rende omaggio a Medardo il Rosso

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di Marzio Rigonalli pagina 25

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Grecia con il fiato sospeso

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70 anni, e la Storia non è finita di Peter Schiesser Una vertigine assale la mente, a ricordare com’era diverso il mondo e quanti e quali eventi l’hanno trasformato in ciò che è, 70 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale in Europa. Gli attori di quei tempi sono morti, gli ultimi testimoni si stanno discretamente accomiatando. C’è altra Storia che preme. Tuttavia, la capitolazione tedesca davanti agli alleati occidentali e ai sovietici, l’89 maggio 1945, andrebbe ricordata ancora, non solo per la vittoria su regimi sanguinari e tirannici, ma perché segna la fine definitiva della preminenza degli imperi europei sullo scacchiere mondiale. Gli Stati Uniti emersero dal conflitto mondiale come la nuova superpotenza, Gran Bretagna e Francia erano esausti, la Germania distrutta. L’era degli imperialismi fondati sul colonialismo stava per terminare, l’Europa usciva di scena. Finita la guerra, una dopo l’altra le «colonie» ottennero una qualche forma di indipendenza, che tuttavia nei decenni successivi non ha quasi mai portato a una distribuzione minimamente equa del potere e delle risorse. Nel frattempo, l’Europa aveva voltato le spalle a quel mondo, una parte attratta dalla modernità simbolizzata dagli

Stati Uniti, un’altra con desiderio di rivoluzione. Sappiamo che alla fine vinse il consumismo sul comunismo. E dopo il crollo del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, venuti giù senza colpo ferire, in molti credettero che il capitalismo di mercato avrebbe conquistato il mondo, con il sogno di benessere e consumismo, e con esso sarebbe venuta la democrazia, lo stato di diritto ovunque… In molti credettero che la Storia fosse finita. Settant’anni dopo, in Europa, dobbiamo constatare che ad essere finito è solo il sogno di una fine incruenta della Storia. Una Russia che non riesce a fare a meno del sogno imperialista ce lo ricorda violentemente in Ucraina e con minacce velate contro altri Paesi lungo la sua frontiera europea. Ce lo ricordano le trasformazioni sociali, le guerre civili, le lotte ideologiche in altre parti del mondo (in particolare arabo), dove la deconolizzazione ha significato solo la sostituzione dell’élite dominante, da straniera a indigena, e un enorme flusso migratorio verso i centri degli ex imperi coloniali. E tutto questo ci coglie impreparati. Sapevamo che la Storia non era finita, ma pensavamo che rimanesse almeno un po’ più immobile: che ci permettesse di godere del benessere materiale che la pax americana ci aveva concesso. Invece, pur in una

cornice di ricchezza mai conosciuta altrove e nei secoli, ci sentiamo più fragili e più poveri (poiché in un mondo votato alla crescita non arricchirsi vuol dire impoverirsi). Storditi, assistiamo al risveglio della Cina, dell’Asia in generale, più ricca ma sempre autoritaria; all’affermarsi di uno strano connubio di forza economica e intransigente fondamentalismo di pensiero come nel caso delle ricche monarchie arabe; alla moltiplicazione delle ricchezze nel mondo, ma perlopiù con metodi da capitalismo selvaggio; come pure all’arrembaggio disperato di masse di decolonizzati alle coste europee – e non sappiamo come difendere quella sorta di «esilio dorato dalla Storia» che ci eravamo costruiti negli ultimi settant’anni. In particolare, non si sa più bene come rivitalizzare il progetto di un’Europa che sappia unire le sue ricchezze umane. Ma lo sguardo a ritroso su questi 70 anni, non offre anche motivo di vanto e di soddisfazione? Potevano i nostri nonni immaginare, in quei tempi di totalitarismi, genocidi e distruzioni, la pace e il benessere che abbiamo conosciuto? Forse ce ne siamo dimenticati, ma verso il resto del mondo abbiamo ancora dei vantaggi, in valori umanistici, ma anche tecnologici, economici, che potrebbero aiutarci a capire che abbiamo ancora qualcosa da offrire alla Storia umana.


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Società e Territorio Una biblioteca per piccoli grandi lettori Da 35 anni un gruppo di volontarie gestisce con passione la Biblioteca dei ragazzi di Besso diventata con il tempo un punto di riferimento per bambini, ragazzi e genitori pagina 5

Volontariato: anziani meno soli Tenere compagnia una volta alla settimana ad una persona anziana, un servizio offerto dai volontari della Croce Rossa che a volte vede sbocciare preziose amicizie

Trentacinque anni di libri e di bambini

Incontri Nata dalla volontà di alcune mamme nel 1980 oggi la Biblioteca dei ragazzi di Besso è un importante centro

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bibliotecario per l’infanzia gestito con tanta passione da un piccolo gruppo di volontarie

Letizia Bolzani 35 anni. Se detto così non vi fa effetto, provate a mettere in fila, una dopo l’altra, all’incirca dodicimilasettecento giornate spese, con amore e pazienza, ad offrire ai bambini l’amore per la lettura. Senza mai cedere alla fatica, alle inevitabili delusioni, alle mille grane della quotidianità. Senza mai spegnere la fiamma della passione. E senza guadagnarci nulla. O meglio, «arricchendosi» tantissimo, ma certo non in denaro. Le volontarie della Biblioteca dei Ragazzi di Besso possono festeggiare con onore i 35 anni della loro biblioteca. La quale, da bibliotechina di quartiere che nel 1980 nasceva, per volontà di alcune mamme, in un locale di quella che era la Villa Ginevra, in via Moncucco, oggi è uno dei centri bibliotecari per l’infanzia più importanti della Svizzera italiana. Allora era nata da un gruppo di mamme della scuola elementare di Besso: visto che il quartiere e la scuola mancavano di biblioteca, le lungimiranti signore si erano unite in associazione, condividendo i libri che avevano a casa e autofinanziandosi, per acquistarne altri, con torte e lavoretti. Il successo dell’iniziativa fu immediato, e pian piano la Biblioteca poté ingrandirsi, contando in seguito anche su un contributo annuale della città di Lugano e di alcuni enti privati. Da una ventina d’anni ha sede nel complesso della scuola elementare di Besso, in uno spazio ampio e luminoso, offre ai bambini e ai ragazzi più di 15’000 libri di narrativa e divulgazione, nonché eventi di animazione alla lettura, narrazione e aggiornamenti per adulti. Tutti possono accedervi, anche chi risiede fuori Lugano. Per ripercorrere le tappe essenziali di questi 35 anni di libri e di bambini, abbiamo incontrato alcune volontarie «storiche»: Rosa e Giovanna, responsabili del settore 6-10 anni e degli incontri in biblioteca; e Olga, che si occupa degli 11-14 anni. Ai libri per i più piccoli si dedica invece Angela. Allora giovani mamme, ora giovani nonne, ma senza perdere neanche un briciolo di energia. Anzi, aumentandola grazie all’esperienza in più. Quali sono i cambiamenti più rilevanti, in questa evoluzione? «Ogni volontaria porta qualcosa di sé nell’evoluzione della biblioteca. È bello essere un gruppo che

Conoscere la Svizzera

Bambini Le scuole comunali di Lugano

ospitano un’esposizione ideata da Elisabeth Alli per stimolare la scoperta del territorio Roberta Nicolò Raccontare la Svizzera ai bambini. Impresa apparentemente semplice, ma che potrebbe facilmente scivolare negli stereotipi. Per Elisabeth Alli, spiegare il nostro Paese ai più piccoli è un’esigenza che l’ha spinta a scrivere ben 3 libri per l’infanzia e un quarto in uscita. Testi illustrati che hanno il compito di avvicinare i bambini a questo Paese, a conoscerne la storia, le peculiarità paesaggistiche ed il grande valore umano che fanno, della Svizzera, un Paese capace di unire le differenze. «I miei genitori sono arrivati in Europa nei primi anni Settanta in fuga dalla guerra civile in Nigeria e io sono nata qui, in Ticino, dove sono stata inserita in una famiglia locale, quando i miei genitori biologici sono dovuti tornare in Africa. In quegli anni la situazione era precaria, non avevo né il passaporto rossocrociato né quello nigeriano e non potevo quindi lasciare il Paese. Da bambina ho visitato la Svizzera in lungo e in largo, ascoltando le tante belle storie che mi raccontava la nonna. Mi è stato trasmesso il rispetto per i valori che stanno alla base della democrazia, la forza di volontà per restare uniti malgrado le differenze culturali e linguistiche delle varie regioni, l’amore per il Paese», ci racconta Elisabeth. Elisabeth Alli è rimasta, oggi è svizzera a tutti gli effetti. Laureata in antropologia e sociologia all’Università di Losanna, una volta divenuta mamma, ha cercato il modo più adatto per trasmettere anche ai suoi figli i valori che la conoscenza del territorio in cui si vive può offrire. Ecco quindi nascere il progetto editoriale «La Svizzera in un libro», che è diventata, oggi, un’esposizione allestita a rotazione presso diverse sedi dell’Istituto Scolastico comunale di Lugano. Mostra che ha come obiettivo quello di stimolare i bambini alla scoperta del territorio e alla ricerca della propria identità. Il tema identitario non è accessorio ma primario «la Svizzera è un Paese storicamente multiculturale, abbiamo 4 regioni linguistiche rappresentanti di 4 diversi retaggi, che convivono e contribuiscono al

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

benessere comune all’interno di un sistema democratico. È un grande esempio da dare ai bambini. Spiegare che il desiderio di restare uniti ha motivato il popolo svizzero ad affrontare un territorio a volte ostile, impervio, e che proprio con unità questo territorio è stato “addomesticato” li aiuta a comprendere e riconoscere le peculiarità individuali come arricchimento per la comunità. La Svizzera con la sua storia è un ottimo esempio di libertà. Attraverso i giochi didattici proposti dalla mostra interattiva ci sono infinite possibilità educative. Il mio lavoro si ispira alla dichiarazione dei diritti del fanciullo, convenzione ONU che iscrive il dovere di educare i bambini alla cittadinanza. Per essere cittadini occorre conoscere e noi abbiamo il compito fondamentale di offrire loro gli strumenti più adeguati». Ecco allora che i fiumi, le montagne, le lingue nazionali ma anche i dialetti, diventano mezzo e simbolo allo stesso tempo. Rispettare i fiumi del nostro Cantone significa anche rispettare i mari. Conoscere il valore di un eroe come Tell apre la mente a riconoscere il merito di altri grandi uomini e donne come Einstein, Gertrude Belle Elion o Martin Luther King. I simboli dell’identità territoriale del Paese di accoglienza sono, anche per i bambini stranieri, un arricchimento e un buon modo per interagire su un terreno comune: «parlare di territorio apre allo scambio tra i bambini provenienti da diversi Paesi o regioni. Qui abbiamo le montagne, in altre regioni troviamo le pianure, se ne parla, si racconta, si mette in rete – chiarisce la Alli – durante i laboratori propongo sempre il gioco delle bandiere, ogni bambino porta le sue bandiere del cuore, tutti hanno quella svizzera e poi ognuno aggiunge altre bandiere. Porto ad esempio me stessa, ho quella svizzera che è il Paese in cui sono nata e cresciuta, poi quella nigeriana che rappresenta il Paese dei miei genitori e quella norvegese che è una delle componenti nazionali di mio marito, tante bandiere arricchiscono. Spiego che si può avere una bandiera anche viaggiando o impegnandosi a scoprire nuove terre. È un Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

si confronta e si motiva reciprocamente» ci dice Rosa. «Entrando più nello specifico, uno dei cambiamenti più importanti degli ultimi anni è rappresentato dall’attenzione sempre maggiore verso i primissimi lettori, concretizzata con l’adesione al progetto Nati per Leggere, con nuovi spazi e nuovi libri dedicati ai piccolissimi. I primi lettori arrivano dentro i passeggini, per loro e per le loro mamme la biblioteca è aperta appositamente il giovedì mattina dalle 9 alle 11». «Effettivamente negli anni abbiamo notato un abbassamento dell’età dei fruitori, ci arrivano bimbi sempre più piccoli» interviene Giovanna. E il pubblico dei ragazzi più grandi è diminuito? «Un po’ sì, ma ciò non è dovuto al fatto che leggono meno – spiega Olga – ma al fatto che nelle scuole medie ci sono fortunatamente delle biblioteche molto ben fornite. Tuttavia, quello che noi offriamo di specifico è l’apertura estiva: ecco quindi che durante l’estate i lettori adolescenti tornano a trovarci, sapendo di avere uno spazio su cui contare». «Un altro cambiamento nella biblioteca è relativo alla disposizione dei libri – continua Giovanna – prima per casa editrice, ora per tema. I libri sono dunque suddivisi per argomenti e sono disposti frontalmente, e non di costa, negli scaffali, così che i bambini possano vedere subito le copertine». «Inoltre – aggiunge Rosa – abbiamo inserito degli scaffali dedicati ai libri in lingue straniere. E un’altra novità sono gli audiolibri, ottimi per i lunghi viaggi in auto, ad esempio!».

Rosa, una delle volontarie «storiche». (Stefano Spinelli)

15’000 libri in uno spazio a misura di bambino. (Stefano Spinelli)

La Biblioteca di Besso propone anche un ricco programma di eventi, soprattutto di tipo narrativo. Storie, fiabe, spettacoli di narrazione sono appuntamenti tradizionali e molto attesi. Meno frequenti, invece, gli incontri con l’autore. «È una scelta ben precisa – sottolinea Giovanna – perché crediamo che al bambino interessi più la storia, di chi l’ha scritta. Per questo concentriamo le nostre energie su momenti narrativi di qualità, e diversificati per età». Anche gli adulti che accompagnano i bimbi trovano un’offerta libraria per loro: una cinquantina di volumi di narrativa messi a disposizione dalla Biblioteca per Tutti, e un settore di saggistica sulla letteratura per l’infanzia, per aggiornarsi con libri e riviste. Da qualche tempo, inoltre, la Biblioteca è particolarmente attenta anche alla musica, con un cassettone di libri sul tema, afferente al progetto Nati per la Musica. La vicinanza sul territorio con il Conservatorio della Svizzera italiana ha fatto scaturire delle preziose collaborazioni, che danno vita agli eventi «Storie con la musica». Per conoscere il calendario di questi e di tutti gli altri eventi della Biblioteca di Besso, nonché per avere informazioni aggiornate sugli orari di apertura, potete consultare il sito www.labibliotecadeiragazzi.ch. «Organizzare il sito – gestito interamente da una nostra volontaria – e dotarci di un programma informatico nuovo è stata una delle at-

tività fondamentali degli ultimi tempi» osserva Rosa. «Adesso il nostro catalogo è disponibile online, così da casa le famiglie possono sapere subito se abbiamo il libro che cercano. Inoltre, attraverso newsletter, informiamo periodicamente gli utenti su eventi e novità». Ma in questi 35 anni, che hanno visto l’avvento delle nuove tecnologie, cosa è cambiato secondo voi nella lettura dei bambini? «Dobbiamo premettere che noi siamo un osservatorio privilegiato, perché ovviamente da noi vengono i bambini che leggono, portati qui da genitori a loro volta sensibili alla lettura. Comunque direi che in fondo non è cambiato molto. Certo, mutano le mode: oggi c’è Peppa Pig, prima c’erano altri beniamini. Ma una bella storia resta una bella storia, e i bambini continuano ad ascoltarla volentieri». «La scelta oggi è molto più vasta – aggiunge Olga – anche nel settore pre-adolescenti, per i quali trentacinque anni fa c’erano solo i classici. I bambini della fascia elementare tendono a prediligere le serie. Altrimenti, un genere che ha sempre successo è il fantasy, o il mitologico-fantastico, alla Percy Jackson. E occorre dire che i ragazzi non cercano il libro corto, anzi, spesso più grosso è un volume più lo scelgono». Ma i bambini, quando arrivano qui, come scelgono il libro che fa per loro? «Spesso sanno perfettamente cosa vogliono e capita anche che ci chiedano novità che non abbiamo ancora, dan-

Google non ci sono segreti: nei prossimi tre anni userà 150 milioni di euro per finanziare progetti di giornalismo digitale provenienti da tutta Europa, selezionati per originalità, fattibilità e potenziale impatto sul futuro dell’informazione e metterà a disposizione tre centri di ricerca a Parigi, Amburgo e Londra. Tra le testate che partecipano a Digital News Initiative, ci sono la «Frankfurter Allgemeine Zeitung», la «Süddeutsche Zeitung», «der Spiegel», la «Neue Zürcher Zeitung», «Les Echos», il «Financial Times», «The Guardian», «Die Zeit», «El País» e «La Stampa» e presto potrebbe unirsi anche Ringier. Per molti, questa alleanza, è la risposta di Google alle accuse degli editori e della commissione europea per abuso di posizione dominante. Grazie a questo accordo «Google lavorerà fianco a fianco con le redazioni e le organizzazioni giornalistiche per sviluppare un modello più sostenibile per le news», dice Carlo D’Asaro Bion-

do, Presidente Strategic Relationships di Google in Europa. Si ripenserà anche il modo di scrivere gli articoli destinati alla lettura su dispositivi mobili. Emily Bell, in passato responsabile dei contenuti digitali del «Guardian», mette in guardia gli editori dal fare accordi con chi oggi controlla le vie di accesso al pubblico digitale, le vie di diffu-

doci così indicazioni su cosa acquistare – concordano le bibliotecarie – mentre le mamme tendono a chiederci indicazioni su tematiche particolari, e magari delicate, dalla visita medica al divorzio, ad esempio, per aiutarsi ad affrontarle attraverso una storia. Quello che notiamo è che i bambini ascoltano meno i nostri consigli e preferiscono scegliere in autonomia». Ma se scelgono libri non adatti alla loro età? «L’altro giorno una bambina piccola voleva un libro di vampiri, piuttosto horror, per giovani adulti. Abbiamo cercato ovviamente di orientarla su tematiche affini – storie di mostri – ma per una fascia d’età più vicina alla sua». Le novità dunque sono tante e le volontarie della Biblioteca di Besso rinnovano ogni giorno il loro entusiasmo, nello svolgimento del lavoro (anche se non lo definirebbero lavoro, ma passione). Ma i problemi da affrontare non mancano. «I problemi maggiori sono di due tipi: siamo sempre alla ricerca di finanziamenti, oggi più di ieri, perché possiamo contare su minori contributi. E siamo sempre alla ricerca di nuove volontarie, il cui apporto sarebbe prezioso!». Una cosa bella che vi è successa, ultimamente? «Quando è entrata una mamma con il suo bambino, l’altro giorno, e ci ha detto: vi ricordate di me? Ero una bambina che veniva sempre qui in biblioteca…».

Cristina Zanini Barzaghi, Lorenzo Quadri, Giovanna Masoni Brenni e Sandro Lanzetti con Elisabeth Alli durante l’inaugurazione dell’esposizione «La Svizzera in una mostra» . (Ti-Press)

esercizio che apre la mente». I bambini sono scevri di filtri e sanno rapportarsi tra loro con maggiore spontaneità rispetto all’adulto, se accompagnati, sono in grado di far propri i valori di uguaglianza nel rispetto delle differenze e non si sentono minacciati nel fruire di informazioni, storia ed elementi culturali, non peculiari del Paese originario di appartenenza. Lo spazio dell’esposizione è concepito a regola d’arte, proprio per aiutare gli educatori in questo percorso formativo e a trasmettere ai più piccoli un’idea chiara ed organizzata del gioco «sono pannelli di legno, materiale naturale, che si compongono a forma-

re la sagoma della Svizzera, abbiamo scelto la pulizia e l’essenzialità. Ogni pannello propone un tema e dei giochi coi quali i bambini possono essere stimolati. All’interno di questo spazio c’è un salottino in cui i piccoli possono rilassarsi, ascoltare i racconti degli insegnanti e sentirsi accolti» spiega Micaela Groppelli che ne ha curato l’allestimento. Nel salottino che è, simbolicamente, come essere dentro il Paese, si possono svolgere molte attività, sicuramente tra queste il raccontare storie acquista un valore importante per l’ideatrice Elisabeth Alli «occorre recuperare la capacità di narrare storie e miti, oggi le favole sono state mercificate, il mito,

la leggenda, servono a veicolare valori, è importante il percorso che fa l’eroe e occorre dargli la giusta attenzione. I bambini sono curiosi di natura e se gli offri gli strumenti sanno stupirti». Il progetto ha trovato l’appoggio del Dicastero Integrazione e informazione sociale, la responsabile Sabrina Antorini Massa ci spiega: «Il concetto di base è semplice ma quanto mai importante. Conoscere il Paese per sentirsi a casa. I bambini stranieri possono fare un’esperienza diretta e scambiare così con i loro compagni punti di vista. Rappresenta un modo concreto di coinvolgerli in un dialogo costante che li porterà tutti ad essere i cittadini di domani».

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La società connessa di Natascha Fioretti Insieme per il giornalismo

La nuova partnership tra Google e gli editori europei si presta a diverse letture e mostra un dato di fatto: il cambiamento che i giornali stanno vivendo è così epocale che, di fronte alle evoluzioni di un mercato in rapidissima ridefinizione, per non soccombere sempre più editori scelgono di abbracciare un destino comune unendo forze, risorse e competenze. È un segnale di debolezza? Oppure la capacità di pensare il giornalismo e l’informazione out of the box, di mettersi in discussione guardando ad una professione e ad un prodotto cross-border e tecnologico? Da qualche tempo i nuovi progetti editoriali europei sembrano dirci proprio questo: le alleanze salveranno il giornalismo di qualità e produrranno una informazione di nuova generazione. A partire da LENA (Leading European Newspaper Alliance), idea lanciata da alcuni giornalisti svizzeri, di cui fanno parte «die Welt», «El País», «la

Repubblica», «le Figaro», «Le Soir» e anche le due testate elvetiche «Tribune de Genève» e «Tages Anzeiger». La parola d’ordine è collaborazione per promuovere uno scambio tra le redazioni, sia per quanto riguarda i contenuti, sia per quanto riguarda le conoscenze tecnologiche. Javier Moreno, ex direttore di «El Paìs» e capo del progetto, è convinto che «questa alleanza contribuirà in modo significativo alla trasformazione dei nostri giornali», sia dal punto di vista tecnologico, sia dal punto di vista economico, mettendo a disposizione contenuti di qualità accessibili a tutti i lettori sul continente: «ci sono cose che si possono realizzare solo insieme, stando uniti, e che non possono essere raggiunte dal lavoro di un singolo quotidiano». Per Pietro Supino, editore di Tamedia, «è una risposta chiara a due sfide centrali per la stampa odierna: la globalizzazione e lo sviluppo tecnologico». E, mentre per LENA non sappiamo quanto si investirà, per

Altri tempi. (Wikipedia)

sione delle informazioni, con chi ha contribuito a cambiare la forma delle redazioni giornalistiche spostando l’equilibrio del potere dai giornali agli algoritmi. Piuttosto, gli editori pensino a sviluppare le proprie piattaforme. Intanto, questo slancio alla cooperazione e allo scambio da parte di editori provenienti da culture giornalistiche diverse, è un grido di dolore e, al tempo stesso, un atto d’amore per il giornalismo. Il tentativo di trovare risposte e soluzioni urgenti per una professione che da qualche tempo si muove su uno scacchiere mobile e fluttuante, le cui regole sono in costante e rapida ridefinizione. Decidere di farlo insieme al di là dei confini geografici, culturali e di logiche competitive è una bella prova di coraggio e di apertura. E conoscere il nemico da vicino può essere una mossa vincente, l’importante, tra il bagliore di dati pubblicitari e degli utenti, è non perdere la propria identità e ragion d’essere.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

Società e Territorio

«Dobbiamo lottare perché internet resti aperto a tutti»

Ubisoft, l’arte prima di tutto Videogiochi La serie

Intervista Senza Tim Berners-Lee, il padre del world wide web, non esisterebbe

Assassin’s Creed e l’approccio artistico ai games

internet come lo conosciamo oggi. Il 29 aprile gli è stato conferito il prestigioso premio Gottlieb Duttweiler per onorare la sua opera La Rete non è una casella di posta elettronica. I navigatori non possono crollare sotto il peso degli spam: quando sono seduti davanti allo schermo e attivano il loro browser non succede niente. Nessuno gli ordina di fare questo o quello. Possono cliccare su ciò che vogliono. Il fatto che su Internet si trovi un sacco d’immondizia non significa che si sia obbligati a consultarla!

Philipp Löpfe e Hans Schneeberger * Il 29 aprile, il britannico Sir Timothy John Berners-Lee è stato insignito del premio Gottlieb Duttweiler, come ricompensa per l’opera di tutta una vita: l’invenzione del World Wide Web. Benché, Internet renda il mondo più dinamico ed efficiente, il suo inventore lancia un allarme sui rischi di monopolio.

Grazie alla sua invenzione, milioni di persone possono seguire online una formazione superiore. Ne va orgoglioso?

Tim Berners-Lee, Lei ha creato Internet insegnando a parlare ai computer. È soddisfatto del modo in cui le cose si sono evolute?

Le cifre registrano una crescita esponenziale. Presto, circa la metà della popolazione mondiale avrà accesso a una formazione superiore via Internet. Questa evoluzione cambierà il mondo in tutti i campi, dalla salute all’agricoltura, passando per l’educazione.

Gli ultimi vent’anni hanno rappresentato un’avventura straordinaria. Ero al contempo commosso e incredulo vedendo fino a che punto la Rete potesse stimolare l’energia vitale e la creatività. In origine il web era un mezzo di comunicazione destinato agli scienziati. È rimasto sorpreso vendendo a che velocità il mondo se ne è appropriato?

Negli ultimi anni, l’importanza delle reti sociali come Facebook e Twitter è cresciuta considerevolmente. Non rischiano di dominare Internet?

Sì, ma non penso a un’azienda in particolare. I monopoli sono veleno per l’innovazione. Sono cresciuto in Gran Bretagna e, quando ero giovane, solo la Posta vendeva i telefoni. Risultato: gli apparecchi erano tutti neri, pesanti e banali. L’apertura alla concorrenza ha permesso di dinamizzare il settore delle telecomunicazioni. Viceversa, i monopoli rendono pigri gli individui.

Oggi sembra impensabile fare a meno del web. Come descriverebbe il suo ruolo?

Internet consente a chiunque di sfruttare al meglio le proprie doti. Grazie ad esso siamo tutti su un piano di parità: le opportunità sono identiche per ogni individuo, a prescindere dall’ambiente d’origine o dal tenore di vita. Ma soprattutto, Internet rende il mondo molto più efficiente. È proprio questa la causa di una certa inquietudine. Internet è percepito

Tim Berners-Lee. (René Ruis) anche come un elemento perturbatore, che scuote alla radice l’economia e la società.

zie di viaggio stanno scomparendo e le banche sono confrontate a un grande sconvolgimento.

In genere, i cambiamenti sociali generano progresso. Capisco però, per esempio, che i giornalisti della carta stampata non siano entusiasti di quel che sta capitando al loro settore.

Le banche esistono ancora e non s’intravvedono cambiamenti. Stessa cosa per il giornalismo.

Non sono le uniche vittime. Le agen-

Cenni biografici Il britannico Sir Timothy John Berners-Lee, 60 anni, fisico e informatico, alla fine degli anni 80 ebbe la rivoluzionaria idea di creare una rete di comunicazione internazionale, il World Wide Web, più noto con l’acronimo www. All’epoca lavorava per il CERN, l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare e cercava di facilitare lo scambio di dati tra scienziati di tutto il mondo. Ha, inoltre, messo a punto i linguaggi di programmazione Html e Http, il primo browser, il primo server, così come il primo motore di ricerca di facile uso. Pur avendo gettato le basi del moderno

Internet, Sir Berners-Lee non ha voluto brevettare né le sue idee né le sue innovazioni tecniche, preferendo metterle al servizio della collettività. I suoi meriti gli sono valsi il titolo di baronetto da parte della Regina d’Inghilterra. Il 29 aprile, all’istituto Gottlieb Duttweiler (GDI) di Rüschlikon (ZH), gli è stato conferito il Premio Gottlieb Duttweiler, dotato di 100’000 franchi. Conformemente agli statuti della fondazione, questo premio ricompensa dal 1970 le personalità che si sono distinte per aver fornito un contributo eccezionale al benessere della collettività.

Raccontare il mondo Mostra Le foto di Luigi Baldelli alla Casa

dei Landfogti di Rivera, fino al 24 maggio Si è aperta il 4 maggio nella bella cornice della Casa dei Landfogti di Rivera una mostra del fotografo del «Corriere della Sera» e collaboratore di «Azione» Luigi Baldelli. Organizzata dalla Scuola Media di Camignolo, con il sostegno della Commissione cultura del comune di Monteceneri, la mostra – che ospita una quarantina di scatti scelti da Luigi Baldelli fra i suoi lavori degli ultimi vent’anni – resterà aperta fino al 24 maggio. Fotoreporter che ha viaggiato in tutti i continenti negli ultimi due decenni,

Baldelli ha lavorato e lavora spesso con Ettore Mo, uno dei grandi «inviati speciali» del giornalismo italiano. La mostra nasce sulla scia di una collaborazione che Baldelli ha instaurato con alcune scuole del Ticino, in particolare con la Scuola Media di Camignolo. Le fotografie sono in vendita, il ricavato sarà devoluto all’associazione Amici di Padre Mantovani. Gli orari di apertura sono: lunedì, mercoledì e venerdì dalle 17.30 alle 19.30; sabato dalle 9.30 alle 12.00 e domenica dalle 14.00 alle 18.00.

Il web è più di un semplice mezzo di comunicazione. Trasforma il processo economico e modifica il quadro della concorrenza.

Sì, contribuisce a livellare il mercato. Un numero crescente di operazioni commerciali si svolge online. I motori di ricerca indirizzano gli internauti verso i prodotti meno cari. Un tempo, quando per esempio si volevano cambiare i penumatici, ci si recava nell’officina all’angolo della strada, sperando di fare un buon affare. Così, a volte il garagista ci accordava uno sconto solo perché eravamo soci dello stesso club di golf… Oggi, è sufficiente accendere il computer per trovare il prezzo migliore. Diversi scienziati lanciano appelli per un secondo Internet, dato che l’attuale sarebbe ormai irrimediabilmente sovraccarico. Cosa ne pensa?

Non capisco la loro posizione, considerato che Internet è in costante evoluzione. Cosa intendono per «sovraccarico»?

Eppure, su Internet questi monopoli esistono eccome! È il motivo per cui, ad esempio, la Commissione europea ha nel mirino Google. Ha fatto bene?

Ripeto: in linea di massima considero i monopoli nefasti. Per ora, possiamo ancora scegliere tra vari social media e motori di ricerca. Nel nostro laboratorio del MIT (Massachusetts Institute of Technology) stiamo cercando di collegare tra loro differenti siti, allo scopo di permettere agli internauti di controllarli meglio. Esistono due scuole di pensiero diametralmente opposte: secondo la prima, Internet consentirà di risolvere i problemi politici, economici o ecologici, mentre i fautori della seconda paventano una dittatura 2.0. Qual è la sua opinione?

Non si tratta di emettere pronostici. La scelta spetta a noi: Internet non è come la pioggia o il sole. Possiamo, e dobbiamo, difendere con le unghie e con i denti una società aperta e democratica, garantendo che la Rete resti accessibile a tutti. * Redattori di Migros Magazin

Luigi Baldelli

Effettivamente, con il senno di poi, si può dire che Internet si sia sviluppato molto rapidamente. Ma gli inizi sono stati difficili: è stato necessario convincere gli organi direttivi e aumentare la capacità dei server, ciò che ha richiesto un duro lavoro.

Filippo Zanoli Un uomo incappucciato corre e salta per le cime di una Firenze rinascimentale, si aggrappa alla scala e sale sulla cupolona di Santa Maria del Fiore. Il colpo d’occhio è impressionante, la città è praticamente perfetta, ricostruita in digitale da un team di assi della grafica 3d in quello che è uno dei più grandi successi della storia del videogioco: il secondo episodio della saga Assassin’s Creed ideata dalla francese Ubisoft. Il protagonista, un assassino di nome Ezio Auditore, si muove nelle vie del borgo mediceo a ridosso della congiura dei Pazzi. I maggiori gioielli architettonici d’Italia sono riprodotti alla perfezione, tanto bene da essere stati utilizzati in diverse aule di storia da docenti «illuminati» (soprattutto negli Usa) per mostrare com’erano le più importanti realtà del Rinascimento. Un piccolo smacco per l’industria videoludica italiana che ha perso una grande occasione per mano di un’azienda fondata dai rivali di sempre: i cugini transalpini. Ubisoft, nata nel 1986 in un piccolo borgo della Bretagna dall’estro di cinque fratelli, è oggi al terzo posto fra i più grandi sviluppatori indipendenti di videogiochi. Un traguardo ottenuto con la forza persuasiva di kolossal di grido e brand da milioni di fan: il già citato Assassin’s Creed, ma anche Tom Clancy’s Rainbow Six, Splinter Cell e Far Cry o titoli un po’ più frivoli come Just Dance e Trials. Alla base di tutto c’è sempre stata la cura dell’elemento artistico, sin dal primo Rayman (1995), un gioco praticamente disegnato a mano in antitesi con la moda dei poligoni e degli effetti speciali della prima Playstation. Un successo che ha portato un collettivo italiano indipendente a imbarcarsi, con il sostegno di Ubisoft, in una piccola grande avventura: una mostra basata sugli impressionanti lavori realizzati dal team creativo dietro al successo di Assassin’s Creed. Nasce così dalla mente di Neoludica Gameartgallery il progetto «Assassin’s Creed Art (R)Evolution» che dal 2012 gira l’Italia. Il suo più recente exploit è l’allestimento al Lucca Comics & Games, nell’azzeccatissima e rinascimentale Villa Bottini, che è stato visto da 80mila persone in 4 giorni. Gli ideatori, Debora Ferrari e Luca Traini, sono esperti d’arte e appassionati di nuove frontierie: «Assassin’s Creed – spiegano – trae la sua forza vitale dall’arte soprattutto dal secondo episodio, con la sua full immersion nel Rinascimento italiano. Poi è rimasta una costante: come la strepitosa Costantinopoli ricostruita in AC: Revelations e la riproposizione di una natura incontaminata del nuovo continente (fra romanticismo e Rousseau) in AC 3. In AC: Unity, ambientato in una Parigi ottocentesca, questa curatissima osmosi di orizzonti classici e improvvisi incendi tonali romantici prosegue con coerenza. La particolarità è data dalla cura filologica della ricostruzione storica. I modelli artistici di riferimento sono quelli consacrati dagli ultimi cinquant’anni dal cinema storico d’autore. Il Ponte di Rialto in legno del Carpaccio invece di quello odierno (prebarocco) in muratura che troviamo in AC 2 è il simbolo di questo impegno estremamente produttivo». E l’arte videoludica è contagiosa? «Diremmo proprio di sì – continuano – nel lavoro che ci siamo prefissati, quello di sensibilizzare il mondo dell’arte ai videogiochi e viceversa, dal 2008 a oggi abbiamo scoperto un crescente cambiamento negli atteggiamenti degli artisti stessi. In Italia siamo riusciti a valorizzare oltre 50 game artist, così come a scoprire giovani nuovi talenti».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Società e Territorio Anna e Myriam: dall’incontro tra la volontaria della Croce Rossa Svizzera e l’anziana signora è nata una vera e propria amicizia. (Stefania Hubmann)

La Marcia mondiale delle donne arriva in Ticino Solidarietà Tra il 14 e il 17 maggio

la carovana che attraversa l’Europa per promuovere i diritti delle donne passerà da Chiasso, Lugano, Bellinzona, Biasca e Faido

Stefania Prandi

Anziani meno soli Volontariato Fare compagnia a una persona anziana una volta

a settimana, un servizio semplice e prezioso offerto dalla Croce Rossa

Stefania Hubmann Sono stati i libri a far scoccare tra Anna e Myriam, due signore del Luganese estranee e con vite molto diverse, la reciproca simpatia, divenuta col tempo una vera e propria amicizia, basata sulla stima e sul rispetto. A sei anni dal primo incontro la volontaria di Croce Rossa Svizzera e l’anziana signora continuano a trascorrere insieme un paio d’ore il martedì pomeriggio, condividendo la passione per la lettura e le rispettive esperienze di vita. Racconti gioviali e animati che hanno eccezionalmente condiviso con noi alla presenza di Ivana Mojana, coordinatrice dei volontari del Servizio visite a domicilio della Sezione Sottoceneri (da gennaio 2015 riunisce le sezioni Luganese e Mendrisiotto). Un servizio molto apprezzato, sollecitato da continue richieste per le quali si cercano nuovi volontari e che da Lugano, dove è nato vent’anni or sono, si auspica di poter presto estendere al resto del territorio sezionale. Ma torniamo sulla cima della collina di Breganzona, dove la signora Myriam ci attende e ci riceve con grande simpatia. «All’inizio non volevo assolutamente qualcuno che venisse a farmi visita come suggeriva mia figlia», afferma con fermezza. Figlia che in effetti «mi ha messa davanti al fatto compiuto». Rimasta vedova a 84 anni, con tre figli presenti ma anche impegnati professionalmente, Myriam rischiava di sentirsi un po’ isolata. In realtà nella sua casa, da cui gode una splendida vista, alla vigilia dei 90 anni, che compirà il prossimo agosto, si sente perfettamente a suo agio. Esce poco, ma cucina e soprattutto legge moltissimo, in media un volume a settimana, di cui discute con Anna che l’ha conquistata portandole per caso un libro scritto da una sua zia. I primi tempi i loro incontri erano caratterizzati anche da una passeggiata nei dintorni, mentre ora restano in salotto o in giardino a chiacchierare. Un momento prezioso per entrambe, come ci confida anche Anna. «Ci siamo subito trovate bene insieme. Myriam mi racconta delle sue letture, ma discutiamo

anche di molto altro: cucina, viaggi, parenti, amici. Dopo aver dedicato tanto tempo ai bambini, in famiglia e alla Biblioteca dei ragazzi di Pregassona dove sono ancora attiva, desideravo vivere una nuova esperienza con gli anziani. È molto gratificante e la calorosa accoglienza che mi è riservata si vede anche nei piccoli gesti, come i fiori di benvenuto che trovo ogni volta che arrivo». Myriam da parte sua attende con particolare piacere la visita di Anna; quel giorno cura con maggiore attenzione anche l’abbigliamento e si gode questo scambio intellettuale molto vivace. In effetti afferma serena che rimanere in casa non le pesa, perché ora viaggia con il pensiero attraverso i racconti di Anna, la cui vita è molto intensa. La segue con la mente, perfettamente lucida, così come su cartine e atlante con un interesse davvero ammirevole.

Sono più di cento gli anziani che beneficiano del servizio e il loro numero è in crescita, per questo motivo la Croce Rossa cerca nuovi volontari La perfetta intesa che regna tra le due solari signore, che per età potrebbero essere madre e figlia, non è del tutto casuale. Croce Rossa Svizzera, dopo un colloquio iniziale e una breve formazione del volontario, cerca il miglior abbinamento possibile tra quest’ultimo e la persona anziana da visitare. Le richieste sono molto diverse, spiega Erika Fogliani, responsabile di tutti i servizi di volontariato della Sezione del Sottoceneri. «Le esigenze cambiano in primo luogo a dipendenza che si tratti di visite a domicilio o in casa per anziani. Nel primo caso spesso si desidera avere qualcuno che, oltre ad offrire compagnia, possa accompagnare l’anziano in piccole passeggiate, stimolandolo e aiutandolo a uscire di casa. Le persone visitate sono quindi ancora

in parte autosufficienti e con un buon grado di mobilità e lucidità mentale. Nelle case per anziani si tratta invece per lo più di visite volte all’ascolto e alla conversazione con persone con maggiori problemi di salute. In ogni caso il volontario svolge solamente un ruolo di compagnia, mentre il supporto assistenziale è assicurato da altri enti». In genere un volontario visita un anziano, chi ha più tempo ne segue magari due. L’importante è garantire regolarità alle visite (una volta alla settimana per un paio d’ore) e disponibilità a lungo termine per poter instaurare una relazione con la persona che si va a trovare. Attualmente gli anziani che beneficiano di questa compagnia sono poco più di cento, visitati da circa novanta volontari. Questi ultimi sono in maggioranza donne di diverse fasce d’età. Alcune sono molto giovani e proseguono nel volontariato l’esperienza avviata sotto forma di stage durante il percorso formativo nel settore sociale. A tutti Croce Rossa Svizzera propone una formazione di base di un giorno per capire scopi e organizzazione dell’associazione, due corsi specifici sulle persone anziane (quattro incontri l’uno sull’arco di un anno) e riunioni regolari. Questi momenti obbligatori possono essere ulteriormente arricchiti da formazioni facoltative e dalla supervisione di uno psicologo. «Tutte le formazioni sono offerte da Croce Rossa Svizzera quale sostegno all’attività di volontariato», precisa la responsabile. Gli interessati a seguire l’esempio di Anna e degli altri volontari che aiutano gli anziani a sentirsi meno soli sono invitati a rivolgersi al mattino al Servizio Volontariato di Croce Rossa Svizzera (tel. 091 973 23 33). Un appello alla solidarietà che l’associazione ha di recente rilanciato con un buon riscontro anche attraverso la richiesta di collaborazione della Città di Lugano, dove sempre più persone anziane vivono sole a casa propria o risiedono in una delle sei residenze comunali.

Arriva in Ticino la Marcia mondiale delle donne; tra il 14 e il 17 maggio passerà per Chiasso, Lugano, Bellinzona e Biasca. La carovana, che sta attraversando l’Europa da nord a sud e da est a ovest, è partita dalla Turchia il 7 marzo e concluderà il suo giro in Portogallo, il 17 ottobre. L’iniziativa, alla sua quarta edizione (dopo quelle del 2000, 2005 e 2010), è promossa sul territorio ticinese da Donne Amnesty International della Svizzera italiana (Daisi) e InterAgire/Comundo, in collaborazione con Botteghe del mondo, Coopi Suisse, Tavolino magico e le Acli. L’obiettivo, spiegano le organizzatrici, è «raccogliere le testimonianze delle donne incontrate. Chiederemo: avete mai subito un’ingiustizia, avete trovato il modo di rispondere?». Inoltre, con la kermesse si intende sensibilizzare la popolazione e le istituzioni per «porre fine agli abusi fisici, sessuali e psicologici nei confronti delle donne» e per arrivare «al versamento di pensioni sociali corrette, all’applicazione della legge sull’uguaglianza in ambito lavorativo e all’equa divisione dei compiti in ambito domestico». E si vuole promuovere «il messaggio di una Svizzera solidale, che apre le proprie frontiere alle vittime di guerre politiche, economiche ed etniche». La Marcia mondiale delle donne ha fatto suo lo slogan «Pane e rose» – pane contro la povertà e rose per una migliore qualità di vita – coniato nel 1912, con lo sciopero delle operaie tessili di Lawrence del Mississippi, negli Stati Uniti. L’idea dell’iniziativa, invece, risale al 1995 quando in Québec, in Canada, 850 donne percorsero 200 chilometri in 10 giorni, per chiedere il miglioramento delle loro condizioni economiche. Al loro arrivo davanti al Parlamento, trovarono 15mila persone ad accoglierle e a sostenerle. Due mesi più tardi, una delegazione di «marciatrici» partecipò al Forum mondiale delle organizzazioni non governative per le donne in Cina, a Pechino, e lì nacque ufficialmente il coordinamento. Nel 1998, a Montréal, vennero stabilite una serie di rivendicazioni per il miglioramento delle condizioni di vita femminili, con l’adesione di grup-

pi e associazioni di 161 Paesi. Il lancio ufficiale della Marcia mondiale delle donne è stato l’8 marzo del 2000 a Ginevra. Attualmente, sono oltre 6mila le associazioni che sostengono il progetto e che cercano di sensibilizzare contro diseguaglianza sociale, oppressione di genere, violenza contro le donne, razzismo e omofobia. La tappa ticinese della Marcia sarà accompagnata da una serie di iniziative. Entrando nel dettaglio degli appuntamenti: la mattina del 14 maggio, la carovana in arrivo dall’Italia sarà accolta alla dogana di Chiasso con cerimonia di apertura e accensione della torcia. Poi procederà per la strada cantonale in direzione Lugano dove è attesa attorno alle 16.30 in piazza San Rocco. A seguire ci sarà la presentazione in anteprima dello spettacolo Geografie, creazione del Teatro delle Radici di Cristina Castrillo. Alle 19 appuntamento con la cena comunitaria organizzata in collaborazione con il Centro Bethlehem - Mensa sociale delle Acli e il Tavolino Magico. Venerdì 15 maggio alle 9.30, in piazza della Riforma, dopo il saluto del sindaco Marco Borradori, partenza dal Municipio di Lugano in direzione della capitale, dove l’arrivo è previsto per le 16.30. Alle 18 nella corte del Municipio di Bellinzona, la performance delle artiste Elena Boillat e Beatrice Lupi intitolata Aiutami a capire. Io ti aiuterò a vedere. Seguirà la cena comunitaria al Centro spazio aperto di Bellinzona animata dalle Botteghe del mondo. Il 16 maggio, alle 9, la Marcia mondiale delle donne si rimetterà in viaggio dalla corte del Municipio di Bellinzona e, attraversando il mercato cittadino, andrà verso nord. Durante la giornata farà tappa a Biasca e proseguirà in treno fino a Faido. L’ultima serata ticinese sarà dedicata al tema della migrazione, con un’esibizione dell’artista Carola Behrend nell’aula magna della scuola media di Faido, e una cena africana all’ostello dei Frati cappuccini. La mattina di domenica 17 maggio 2015 una delegazione accompagnerà le marciatrice fino a Zugo. Informazioni

daisi.ch@gmail.com; tel. 058 854 12 10.

Informazioni

www.crocerossaticino.ch/sezione-delsottoceneri La partenza della Marcia il 7 marzo scorso dalla città turca di Nusaybin. (Keystone)


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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Il declino dell’ozio «L’ozio è il padre dei vizi» – ci dicevano quando eravamo bambini. Non si è mai saputo chi fosse la mamma. Quale che sia la giusta genealogia, se fosse vero che l’ozio genera il vizio verrebbe da pensare che la nostra è un’epoca virtuosa, perché, a quanto pare, l’ozio sta scomparendo. Questo è il parere di molti studiosi che si sono dedicati a ricostruire la storia del tempo libero, da un passato ormai lontano ai giorni nostri: se, una volta, all’ozio erano dedicate le scarse pause del «tempo libero», oggi si è passati al «tempo organizzato», che è la negazione dell’ozio. E davvero, quando mi capita di sentire l’occupazione delle giornate di qualche allievo della scuola media, ho l’impressione che sia così: finita la scuola bisogna correre a lezione di danza, oppure all’allenamento di calcio, o al corso di nuoto; poi bisogna «chattare» e rispondere al diluvio di SMS e di messaggi in Facebook; da

ultimo – ma proprio da ultimo – c’è talvolta qualche compito a casa da svolgere. Alain Corbin ha calcolato che a metà dell’Ottocento il tempo di lavoro era pari al 70% della vita trascorsa da svegli. Nel 1980, invece, la maggior parte di chi lavorava passava in ufficio o in fabbrica solo il 20% del suo tempo di veglia. Si capisce che negli anni Ottanta nascesse anche il «problema del tempo libero», e Corbin colloca all’incirca a quel tempo la genesi del bricolage, del giardinaggio, del turismo di massa e delle altre forme odierne d’intrattenimento. Ma il suo studio si arresta prima dell’avvento di internet e dei recentissimi mezzi di intrattenimento. In passato, in mancanza del televisore, la gente affollava i tribunali durante i grandi processi: lì trovava violenza e sesso a volontà. Oggi si trova di più e di meglio collegandosi in rete.

Altri hanno calcolato che nei Paesi industriali ognuno dispone mediamente, nell’arco della propria vita, di un capitale medio di oltre duecentomila ore non dedicate al lavoro, pari a circa 26 anni. Siamo ancora ben lontani dal sogno utopico del rivoluzionario Paul Lafargue, che nell’Ottocento profetizzava un tempo in cui la giornata lavorativa si sarebbe ridotta a tre ore, ma un progresso è indubbiamente stato raggiunto. E comunque il progresso non si ferma: Jeremy Rifkin basandosi sull’incremento delle nuove tecnologie, preconizza per un futuro non lontano La fine del lavoro, quando gran parte del lavoro «di massa» sarà rimpiazzato da macchine intelligenti e ci saranno fabbriche virtuali senza più nessun operaio. Una settimana lavorativa di trenta ore è dunque la previsione di Rifkin per un domani abbastanza vicino. Un ulteriore progresso verso la liberazione del tempo.

Ma è davvero solo progresso? La conoscenza del passato dice che ogni volta che conquistiamo qualcosa la paghiamo con la perdita di qualcos’altro… Una battuta di Friedrich Dürrenmatt dice così: «C’è sempre il buon vecchio detto: è bello nascere svizzero, è bello morire svizzero. Ma che si fa nel frattempo? La mia risposta è tipicamente svizzera: si inganna il tempo con il lavoro». Che si farà, dunque, con la costante riduzione progressiva del lavoro? Semplice: a questo punto interviene l’industria del divertimento a strutturare e a saturare il tempo liberato. L’ozio, dunque, sembra destinato a scomparire. Peccato. Ripenso all’Elogio dell’ozio pubblicato da Stevenson nel 1877; ad un altro scritto, con lo stesso titolo, che Bertrand Russell pubblicò nel secolo scorso. L’ozio elogiato da questi autori non è fatto di una pigrizia inerte e di un’indifferenza apatica: si ricol-

lega all’otium degli antichi, che certo non era tempo dedicato al divertimento sfrenato, ma pausa di letture e di meditazione. Era lo «stare soli con se stessi» caro a Seneca e a tanti saggi del passato, e oggi generalmente evitato come la peste dai giovani, nei quali prevale l’imperativo del «rimanere sempre connessi»: magari fisicamente soli, ma con la mente altrove, impegnata a chiacchierare in rete con «amici» assenti o sconosciuti. Quella solitudine, che fu cara a Dante, a Petrarca e a tutti i grandi della civiltà passata, era tempo d’incontro con se stessi: quando, cessate le fatiche, gl’impegni e i fastidi quotidiani, diventa possibile il dialogo interiore; lasciar vagare la fantasia, ripensare il vissuto, capire ciò che si è, seguire l’insegnamento di Nietzsche – «Divieni ciò che sei». Ma se questo desiderio di conoscersi e di sollevarsi sopra se stessi viene meno, il tempo libero è solo tempo vuoto.

dintorni, uno è chiamato Piccolo Matterhorn. Non solo natura ammaestrata con misura, ma alberi sradicati, fessure di grotte segrete. Hudibras decifro, in ginocchio; sulla parte inferiore di una strategica panca in pietra, a fianco del torrente, è inciso il titolo magico del poema eroicomico di Samuel Butler. Grotta con finestra, ancora un paio di ponti, ci siamo. Una fine mattina d’inizio maggio la gola si apre magistrale nell’eremo di Santa Verena (493 m). Il torrente d’un tratto diventa canale con tanto di chiusa che ormai associo sempre al commissario Maigret, ai lati due rocce vertiginose a strapiombo e sullo sfondo un pezzo di cielo e il dorso della catena montuosa Weissenstein. Attaccata alla roccia sinistra, la cappella di Santa Verena, sulla destra quella di San Martino. Mentre qui, sempre a ridosso della roccia umida e annerita, incontro il pezzo forte: la casa di legno dell’eremita illusionisticamente in miniatura; sembra quella mangiabile della strega

di Hänsel e Gretel. Una luce dentro segnala la presenza di suor Benedikta che pranza con formaggio e una mela, ma se la invitate al ristorante Kreuzen al limitare del bosco, ordina volentieri fegato di vitello al madera con patatine fritte. Il giardino, circondato da uno steccato basso, è fatto – croce di pietra in mezzo a parte – solo d’arte topiaria: simil-labirinto di bossi potati in forma di quattordici ossobuchi. La grotta buia dove viveva la patrona dei mugnai, pescatori, comandanti di navi, infermiere, casalinghe, è proprio dietro la chiesetta di San Martino e volendo ci si può andare. Mi accontento del buco di Santa Verena. Donne con l’inesaudito desiderio di maternità, da secoli, vengono qui a infilare la mano nel Verenaloch. Un buco nella roccia grande quanto un pugno che secondo la credenza popolare, non alimenterebbe solo la speranza di fertilità, ma lenirebbe anche cuori infranti e malati vari. Senza motivo, così per sport, ficco la mano nella roccia.

determinate sempre più dal dominio di fattori economici. Come sta avvenendo, adesso, in un momento di crisi di cui fanno le spese, innanzitutto, le donne. La cosa, però, non fa notizia. C’è ben altro da pensare, si sente ripetere. Tutto ciò per dire che, in forme diverse, più o meno acute, la condizione femminile rappresenta un disagio permanente di cui le donne stesse devono essere consapevoli e responsabili. Spetta anche a loro reagire, non solo protestando ma proponendo. Del resto, le difficoltà possono diventare un motore dagli effetti persino creativi. Ed è quel che ha voluto e saputo fare Osvalda Varini, quando nel 1990, avviò l’esperienza di Dialogare, rivolta appunto alle donne, e in particolare a quella generazione di mezzo, in bilico fra famiglia e professione, per mettersi o rimettersi in gioco. L’epoca era favorevole, l’economia tirava e sembrava aperta alle istanze femminili. Ma per entrare nel mondo del lavoro, dopo la

pausa dedicata a gioie e dolori strettamente familiari, occorreva esaminare lucidamente la propria scelta, distinguere fra vaghezza e concretezza. A sua volta, Osvalda, laborantina e poi psicoterapeuta, mamma di due bambine, aveva sentito crescere dentro sé quest’esigenza di apertura verso la collettività in termini solidali. E l’aveva captata, intorno a sé, diffusa fra donne di ceto ed età diverse. Strada facendo, Dialogare, fedele alla sua denominazione, ha allargato il discorso, ottenendo l’ascolto di un pubblico, non più esclusivamente femminile, e allargando le attività: dall’ambito dei servizi e della consulenze a quello della cultura, dello svago, della riflessione. Nel 1988, da una costola dell’associazione, nasceva Triangolo, destinata ai pazienti oncologici. Insomma, le antenne che Osvalda Varini aveva alzato, coraggiosamente un quarto di secolo fa, continuano a raccogliere i bisogni, anche invisibili, di una società accecata dall’euforia tecnologica.

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf La gola della Verena a Rüttenen Eremita cercasi. Così, in sintesi, diceva un annuncio sul giornale la primavera scorsa. La prima donna eremita in sei secoli si licenzia e lascia vacante il posto nella gola della Verena, territorio comunale di Rüttenen, alle spalle di Soletta. È dal 1442 che lì dove ha vissuto Verena (260-320 ca) – santa molto popolare nella Svizzera tedesca nata nell’antica Tebe egizia e morta a Zurzach – è attestata la presenza di un eremita. Nonostante il nome perfetto, Verena Dubacher, dopo cinque anni di servizio – non per solitudine ma per lo stress causato dai molti visitatori la domenica – a sessantott’anni va in un ospizio. Centodiciannove candidati, la spunta suor Benedikta, cinquantun anni, divorziata, quattro figli. È il ventitré giugno 2014, la notizia viene data dal patriziato solettese, proprietario dei luoghi dove mi sto dirigendo. L’arte di perdersi: coppia felice di cicogne sul camino della Kantonsschule. Sono le due uniche cicogne cittadine, me ne avevano parlato

l’anno scorso in un bar, in occasione della gita ad Altreu, il paese delle cicogne. Avrei dovuto prendere la St. Niklausstrasse, però un cartello con su Einsiedelei mi ha distratto e sono andato da quella parte. Continuo a naso ora. Verenaweg, la imbocco e dopo cinque minuti residenziali entro nel bosco. Subito manti di aglio orsino in fiore, un bianco stellare a sei punte, riunito in sfere. Ponticello fiabesco sopra il Verenabach, il torrente in gran forma per le piogge di questi giorni che segue e segna tutto il percorso lungo la gola boschiva. Parallela, dall’altro lato del sentiero, si snoda una lieve roggia. Il muschio ammanta le pietre decorative lungo il fiume. Mi ricorda un po’ l’atmosfera dell’Ermitage di Arlesheim, ma qui è tutto concentrato in un’unica passeggiata. Questa passeggiata romantica che porta all’eremitaggio, prima inaccessibile, è stata creata nel 1791 dal barone Louis Auguste Le Tonnelier de Breteuil (1730-1807), ex ministro francese delle finanze in

esilio per via della più storica delle rivoluzioni. Un ponte di legno porta sulla sponda sinistra, benefico l’effetto delle tante cascatelle biancastre. Lassù nella roccia è scolpita, in latino, un’iscrizione a proposito della paternità viaria del barone esule. Una scolaresca femminile fa jogging. La conformazione rocciosa di queste gole turistico-religiose è molto simile a quella calcarea, incavata e carsica vista ad Arlesheim, sprazzi di morfologia giurassiana dunque, tra il verdino stordente delle foglioline di noccioli. Una panchina nella grotta. Undici uomini illustri sono ricordati man mano nella roccia come l’industriale Kottmann o lo storico Glutz von Blotzheim, al quale hanno dedicato un masso erratico. Ecco Amanz Gressly (1814-1865), geologo e paleontologo che tra l’altro ha trovato le prime ossa di dinosauro della Svizzera: il suo nome si legge su un sorprendente megalite muschioso in mezzo al fiume. Dodici in tutto i massi erratici qui nei

Mode e modi di Luciana Caglio «Dialogare»: 25 anni con le antenne alzate Coincidenze della cronaca. C’è un nesso fra questa ricorrenza e la nostra attualità politica, cioè fra un’associazione che promuove la causa delle pari opportunità, e una tornata elettorale che le smentisce. Rieccoci, dunque, a parlare delle Cantonali 2015, che, dopo una smisurata campagna mediatica, dovevano riservare una sorpresa, una brutta sorpresa: nessuna donna in governo. Un’eccezione, rispetto agli altri cantoni, che è valsa ai ticinesi l’etichetta di maschilisti. Come considerare questo risultato: un episodio anacronistico a sé stante o un indicatore di tendenza? Comunque, si è verificato e ha riaperto un problema che sembrava risolto: la presenza femminile nella vita politica, data per scontata, si ripropone, invece, con rinnovata urgenza. E mette in luce una delle tante lacune di una parità, ufficialmente raggiunta, ma tutt’altro che effettiva, e spesso camuffata. Rivelatrici, in proposito, le liste dei partiti per il Consiglio di Stato, quindi per le cariche più alte,

dove figuravano anche candidate, alla stregua però di comparse marginali, a titolo decorativo o di scaricacoscienza. Del resto succede correntemente nell’ambito economico e professionale.

Osvalda Varini. (CdT - Nicola Demaldi)

I concorsi, anche per incarichi di alto livello, sono sempre aperti a lui come a lei: ma, in pratica, dove sono poi le donne che dirigono banche, grandi aziende, giornali, scuole superiori, o siedono al vertice dei vari enti pubblici che contano, radiotelevisivo, ospedaliero, turistico? Sono domande, anzi denunce, che rischiano di apparire viziate da un rigurgito di veterofemminismo, oggi fuori moda. In realtà, fanno capo semplicemente a un necessario bisogno di chiarezza e di verifica nei confronti del principio stesso di parità, iscritto nelle nostre costituzioni, ma raggirato persino nelle più consolidate democrazie. Persiste, insomma, una vulnerabilità specifica della condizione femminile. E l’esistenza stessa della definizione la dice già lunga. Sottintende discriminazioni, rinunce, timori, come d’altro canto, aspirazioni e spinte liberatorie. E si giustifica, quindi, l’intervento di un femminismo adeguato ai tempi, in grado di affrontare minacce subdole,


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Ambiente e Benessere La castagna d’India L’ippocastano è un albero ovunque apprezzato per le sue qualità estetiche pagina 15

Eleganti e ricche di colori Le magnolie vantano un numero di ibridi sorprendente sia per la quantità sia per la colorazione dei loro fiori

Questione di punti di vista Opinioni e gusti di chi segue da tifoso le cronache radiofoniche e televisive, ma anche quelle della carta stampata

L’amico degli zingari Viaggiatori d’Occidente La straordinaria avventura di Jan Yoors

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Claudio Visentin Siamo nel 1934 nei dintorni della città belga di Anversa, nelle Fiandre. Jan Yoors è un ragazzino di dodici anni che marina la scuola e si avvicina incuriosito a un accampamento di zingari di passaggio, un gruppo di rom lovara. Jan comincia a giocare con i loro bambini, sino a notte fonda. La mattina dopo gli zingari riprendono il cammino ma Jan sceglie di restare, cullato dal dondolio del carro e dal rumore ipnotico degli zoccoli dei cavalli che battono sulla strada. Si apre un tempo di meravigliose scoperte: lo scolaro si trasforma in un fanciullo sano e abbronzato, sempre scalzo, con i capelli lunghi e arruffati, che indossa abiti sgargianti e cenciosi. Perde presto la nozione del tempo, dal momento che in viaggio tutti i giorni sono uguali e per i rom esistono solo due grandi stagioni: l’inverno che costringe alla detestata immobilità e la luminosa stagione dei viaggi. Solo di tanto in tanto l’incontro con altri gruppi o la celebrazione di matrimoni interrompe questa regolarità con balli e banchetti. Jan torna a casa dopo sei mesi di vagabondaggio, senza aver mai dato notizie di sé alla sua famiglia di artisti, che peraltro lo accoglierà senza scomporsi troppo, accettando anche in seguito la volontà del figlio. E così negli anni seguenti Jan si divide tra due appartenenze apparentemente inconciliabili: durante l’inverno è un gagio (ovvero «contadino», come i rom chiamano con disprezzo gli stanziali) ma al ritorno della bella stagione si risveglia in lui il desiderio della strada e basta la notizia di una comitiva accampata nei dintorni per suscitare il desiderio inarrestabile di ripartire. Col tempo Jan viene adottato da una famiglia rom ed è considerato un membro a pieno titolo della kumpania,

L’uomo non è la sua malattia Psiche e corpo L’importanza

di accompagnare l’ammalato nelle cure e nel dare un significato alla propria sofferenza

La concezione del dualismo anima e corpo (dove, secondo il contesto in cui la si nomina, «anima» è intesa come tale, come «coscienza» o «mente») affonda profonde radici che originano da Platone secondo il quale la psyché viene separata dal corpo e assunta come organo dei numeri e delle idee con cui è possibile costruire un sapere oggettivo e universale. Per lungo tempo, ben poco influisce la dissonanza delle idee di Aristotele che invece identifica l’anima con la vita: malgrado la concezione aristotelica che fa di corpo e mente un tutt’uno, l’Occidente prosegue lungo la via tracciata da Platone e puntualizzata poi da Cartesio, per il quale il corpo è senza dubbio separato dalla mente. Oggi Ornella Corazza, docente e ricercatrice nel campo della salute mentale all’Università dell’Hertfordshire, in Inghilterra, definisce «impossibile la nascita della medicina moderna senza la riduzione del corpo a organismo» e così ne riassume l’evoluzione: «Scienza e religione stabilirono a quel punto una santa alleanza: alla scienza la competenza sul corpo ridotto a sommatoria di organi, alla religione la cura dell’anima». Per la prima volta nel 1931 il corso della storia devia da questa linea attraverso la denuncia del filosofo e matematico austriaco Edmund Husserl che scrive: «Occorre illustrare ed evitare gli errori seducenti in cui sono caduti Cartesio e i suoi successori». Errore che consiste nella riduzione del corpo a sommatoria di organi. A questo punto il paradigma del dualismo mente – corpo cambia, attraverso lo sviluppo delle idee di Heidegger, Sartre, MerleauPonty, e parallelamente nasce la psichiatria che, con Jasper, Binswanger, Minkowiski e tanti altri, rifiuta il dualismo anima e corpo per ripresentare il concetto originario di rapporto del corpo col mondo ben riassunto dalla Corazza: «Il nostro corpo non è al mondo come lo sono tutte le cose. Tutte le cose sono al mondo, ma il corpo è al mondo come colui che ha un mondo che non è solo il luogo che lo ospita, ma anche e soprattutto il termine in cui si proietta». Una lunga introduzione storica del percorso che disegna il concetto di mente e corpo come imprescindi-

bili l’una dall’altro era necessaria alla comprensione della conferenza che lo scorso mese di aprile si è tenuta a Massagno e il cui tema era «L’uomo vale più della sua malattia». La serata pubblica, che ha visto come oratori la dottoressa radio-oncologa Marta Scorsetti (dell’Istituto clinico Humanitas di Milano) e Tullio Proserpio (assistente spirituale all’Istituto dei tumori di Milano), era organizzata dall’associazione Medicina e persona e moderata dalla dottoressa Alessandra Franzetti Pellanda, primario del servizio di radioterapia alla Clinica Luganese. Per chi è malato, il mondo perde la sua fisionomia, perché durante la malattia ad aver senso non è più il mondo, ma il corpo che la malattia trasforma da soggetto di intenzioni a oggetto d’attenzione: lo spazio che si focalizza si riduce giocoforza alle dimensioni dell’organismo e il tempo scandisce il decorso della malattia a cui il malato spesso non riesce a dare senso. Nei racconti dei curanti che si trovano in prima linea a occuparsi di ammalati gravi, la serata ha voluto dare spunto proprio nel tracciare una via da percorrere a fianco dei pazienti e dei loro famigliari, per aiutarli a dare un senso alla loro sofferenza. Ecco spiegata e giustificata l’introduzione storica basata sul concetto di mente legata al nostro corpo che oggi, anche per convinta affermazione di Tullio Proserpio, «l’Occidente va recuperando per rapporto al passato». Secondo i relatori, che hanno portato ad esempio storie di pazienti ammalati di cancro, non esistono ricette universalmente applicabili per alleviare la sofferenza legata alla malattia. Malgrado ciò, Proserpio afferma che «la condizione di solitudine spesso indotta dalla malattia sprona a cercare qualcuno, un legame che trascina gli uomini nei quali il desiderio di vita rimane forte». È perciò fondamentale che tra medico e paziente nasca e cresca un rapporto di fiducia, e soprattutto di vicinanza, che vada oltre la pura applicazione di competenze scientifiche. In questa linea si riassumono gli innumerevoli esempi di cura e accompagnamento che la dottoressa Marta Scorsetti ha raccontato, dai quali è scaturito che l’incontro e la disponibilità all’ascolto da parte del curante nei confronti del paziente, e la loro relazione, devono far parte del percorso di cura,

sé un’immagine di magico potere; ma tra loro i rom lovara non usano nessuna forma di predizione del futuro. Anche l’aspetto trasandato o la finzione di grattarsi continuamente sono espedienti per scoraggiare ogni contatto. I rom sostano in aree marginali, senza aspettarsi nulla e senza nulla chiedere. Hanno un’idea disinvolta della proprietà privata e specie nel bisogno non disdegnano piccoli furti di erba, legna o pollame, pur sapendo che questi comportamenti attirano l’odio dei contadini e le frequenti persecuzioni della polizia, accettati con fatalismo e senza odio. Se interrogati, i rom si prendono gioco dei loro interlocutori, risponden-

do a caso o in modo sempre diverso. Come si dice, se poni la stessa domanda a venti zingari, otterrai venti risposte diverse; d’altro canto se poni per venti volte la stessa domanda a un solo zingaro, otterrai ugualmente venti risposte diverse… Nel 1939 Jan, irrimediabilmente diviso tra due mondi, è costretto a compiere una scelta dolorosa. Come dicono i rom, «con un solo sedere non puoi cavalcare due cavalli», e questa ambivalenza si svela quando il suo padre adottivo Pulika combina per lui un matrimonio con una fanciulla della kumpania. Jan capisce che è concluso il suo tempo giovanile e spensierato nel mondo degli zingari e si allontana, ma di lì a

poco sarà la Seconda guerra mondiale a farlo tornare sui suoi passi. Infatti a diciotto anni, nel 1940, Jan si arruola nelle forze armate inglesi e viene rimandato nella Francia occupata per riprendere i contatti con i rom e coinvolgerli nella Resistenza al nazismo, superando la loro atavica diffidenza. Mentre svolge con successo la sua missione, Yoors viene arrestato, torturato ed è a un passo dalla morte. Ma per questa via condivide la sorte degli amici zingari, perseguitati dalla Gestapo, che manderà a morte mezzo milione di loro nei campi di sterminio. Fu anche così che saldò il suo debito morale il bambino che volle essere uno zingaro. Annuncio pubblicitario

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Keystone

Maria Grazia Buletti

un gruppo di famiglie legate da vincoli di parentela. Ha così occasione di conoscere dall’interno in ogni suo aspetto il mondo rom. I lovara rimangono volutamente ai margini della società, sempre in viaggio per partecipare alle fiere, per incontrare i parenti o per cercare moglie ai propri figli. La loro organizzazione sociale, basata sulla famiglia, è estremamente fluida, ma vitale e coesa. Sono legati soprattutto dalla lingua, il romanì, derivato dal sanscrito e mantenuto gelosamente segreto. Nel racconto di Yoors, gli zingari sembrano vivere in un eterno presente appassionato e senza rimpianti, in continuo movimento come i rami di un albero o la corrente del fiume. Sono indifferenti al possesso materiale e quando la fortuna li assiste sono prodighi sino alla dissipazione. Il denaro è fatto per essere speso e calcolano il valore della moneta locale in base al prezzo di una sposa, di un cavallo o del necessario per un banchetto. Yoors incontra e racconta i rom lovara in un passaggio cruciale della loro storia secolare. Negli anni Trenta del Novecento molto è ancora come è sempre stato: questi zingari si guadagnano da vivere allevando e vendendo cavalli, e viaggiano ancora nei solidi carrozzoni colorati di legno dalle alte ruote. Ma gli spazi per la loro attività si restringono sempre più e già s’intravede un mondo senza cavalli, dove anche i rom passeranno alle più pratiche ma assai meno poetiche roulotte. La comunicazione e la reciproca comprensione con gli stanziali è prossima allo zero. Certo gli zingari hanno con loro rapporti quotidiani attraverso il commercio o la divinazione, ma anche la lettura della mano o lo smercio di amuleti sono solo un mezzo per guadagnare qualcosa e per proteggersi dagli estranei, alimentando intorno a

in quanto un simile rapporto di fiducia crea un dialogo che potremmo definire «intimo», caratterizzato dal reciproco rispetto e, dunque, in un certo senso privilegiato per entrambe le parti. Secondo la relatrice, al momento in cui questo tipo di approccio è realizzato: «Tra curante e paziente si crea una sorta di spazio di mistero e d’imprevedibilità in cui ciascuno pone domande all’altro in una totale libertà» per trovare un senso a ciò che stanno vivendo. È perciò importante e necessario che i bisogni psicologici e spirituali dei pazienti oncologici siano riconosciuti quanto quelli terapeutici. «Questi bi-

sogni possono differire notevolmente da persona a persona, sia nel proprio sentire sia nella loro espressione, come pure nei tempi in cui si manifestano» dice Proserpio secondo cui, per offrire risposte adeguate servono una valida e consona preparazione professionale, la pratica sul campo e tutta l’umanità del curante stesso «il quale deve cercare di evitare approcci troppo teorici o dottrinali». Ascoltare è spesso difficile ma necessario; rispettare la libertà dell’ammalato e delle sue idee, dell’evoluzione del suo percorso è dovuto; il dialogo è la strada migliore a tutto vantaggio del

percorso di cure. Tutto ciò permette alla persona di non identificarsi con la sua malattia, ma di percorrere un cammino che aiuti a dare un significato a quanto sta succedendo. Entrambi i relatori concordano sulla risposta alla domanda «Perché un uomo vale più della sua malattia?», affermando: «Nell’essere umano il desiderio di vivere è molto potente e sovrasta la malattia stessa». Prendendosi cura con una visione olistica del paziente, oltre che della sua patologia, i curanti sapranno aiutarlo a percorrere meglio possibile la sua strada, «qualsiasi cosa ne sia della sua malattia».

Fare la cosa giusta

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Ambiente e Benessere

La castagna «matta» che curava i cavalli

Biodiversità È il seme dell’ippocàstano, un sontuoso albero che adorna viali, parchi e giardini

Alessandro Focarile, testo e foto Il giovane Alessandro Magno il Macedone (356-323 a.C.) forse faceva curare i suoi cavalli – che lo dovevano condurre vittorioso fino in India – con le castagne «matte», dette anche castagne d’India. Dopo molti secoli, il medico e naturalista senese Pier Andrea Mattioli (15001577) annotava nelle sue Epistole che a Costantinopoli (attuale Istanbul) si trovavano delle castagne dette «cavalline» «…per giovare a i cavalli bolsi, e che tossiscono, date loro a mangiare». Lo stesso personaggio compose anche i Commentari a Dioscoride, opera nella quale nominò ben 600 piante allora conosciute per le loro proprietà medicinali. E dai Balcani (patria d’origine) dapprima importò in Italia e successivamente fece conoscere in altri Paesi europei i semi (cioè le castagne) dell’albero. Dopo oltre duemila anni dall’epoca di Alessandro Magno, il sommo naturalista svedese Carlo Linneo (1707-1778) fondò la moderna sistematica, ovvero la metodica classificazione di tutti gli esseri viventi animali e vegetali allora a lui conosciuti. Linneo dava loro un nome di derivazione latina o greca, comprendendo tutti gli organismi (oltre cinquemila) allora noti. Con questo metodo, ognuno di questi ebbe un cognome (il genere) e un nome (la specie). E l’uomo fu nominato Homo sapiens. Tra questo ricco contingente, annoverante gli interi regni animale e vegetale (come si chiamavano in passato i viventi), Linneo nominava anche l’albero generatore delle castagne «matte», il castagno dei cavalli: Aesculus hippocàstanus, dal greco Hippos.

L’ippocàstano è elegante e imponente ma può perdere i rami morti improvvisamente in caso di forte vento costituendo in città un potenziale pericolo L’ippocàstano è un bell’albero. Raggiunge 25-30 metri di altezza, ha una architettura elegante e imponente. La chioma è espansa fino a 8-10 metri di diametro, molto fitta e di aspetto tondeggiante. Ha, tuttavia, la sgradevole caratteristica di perdere improvvisamente i rami morti in caso di forte vento, costituendo un potenziale pericolo nelle alberature urbane. È un albero che richiede un clima temperato, privo di estremi termici e con moderata piovosità. Preferisce suoli freschi e leggeri, meglio se calcarei. Il genere Aesculus annovera molte specie in Nord America e nell’Estremo Oriente, ma la nostra specie europea ha un’area di distribuzione naturale molto isolata: tra la Grecia settentrionale, l’Albania, la Macedonia e la Bulgaria. Da queste regioni, e grazie ai vivaisti che hanno proseguito il pionierismo del senese Mattioli, l’ippocàstano è stato diffuso fino alla Scandinavia meridionale e in Gran Bretagna, costituendo ovunque l’albero emblematico delle aree verdi cittadine. Il concetto di parco, inteso quale servizio di pubblica utilità, ha subìto una graduale evoluzione in tempi moderni. Da puro elemento di arredo a una vera e propria collocazione funzionale nell’assetto urbano e territoriale (il verde pubblico). Il parco ebbe un grande sviluppo nei secoli sedicesimo fino al diciottesimo, soprattutto in Italia, Francia e Inghilterra. Nei parchi, nei boule-

Controluce del fogliame.

vards, nelle allées e nei Prospekt russi, un elemento arboreo riservato e indispensabile a ornare ville principesche e residenze signorili del passato, come albero d’alto fusto. Con l’avvento della rivoluzione industriale sorse il problema e la necessità di creare delle aree «verdi» all’interno degli agglomerati urbani, non tanto e soltanto per motivi estetici, quanto per tentare di migliorare la qualità dell’aria, all’epoca veramente anti-igienica. In definitiva le autorità amministrative presero coscienza della necessità di creare dei polmoni verdi per salvaguardare la salubrità dei propri cittadini. L’ippocàstano, da allora, è stato largamente impiegato per le alberature stradali in virtù della sua ricca ed elegante chioma ombrosa, e della bella e prorompente fioritura primaverile. Particolare importanza sta assumendo, per le notevoli implicazioni di carattere urbanistico (il verde urbano), il grado di resistenza dell’ippocàstano all’inquinamento atmosferico, con la conseguente maggiore o minore resistenza alle patologie indotte da funghi e batteri. È facile osservare che questi alberi sono immuni dagli attacchi di funghi lignicoli (i polipori) e di licheni, che non possono insediarsi a causa del molto tannino contenuto nella corteccia.

L’albero è ovunque apprezzato per le sue qualità estetiche. Oltre al suo portamento generale, l’altra caratteristica che qualifica come ornamentale l’ippocàstano è la sua vistosa fioritura, che avviene in aprile e maggio, a seconda dell’altitudine e della posizione geografica. Le sue infiorescenze sono raccolte in grandi (fino a 30 centimetri di lunghezza) pannocchie ricche di fiori, collocate sui rami terminali. Fioriture che ricordano la vaporosa delicatezza del dipinto Les danseuses di un maestro dell’Impressionismo: Edgar Degas (1834-1917). L’impollinazione avviene grazie agli insetti, specialmente le api. Il frutto è ovoidale, con aculei, ricorda il riccio delle vere castagne (Castanea sativa) e contiene 1-3 semi bruni e lucenti, ricchi di amido, ma velenosi per la presenza di un glucoside tossico e amaro: l’argirescina. Tuttavia sono considerati capaci di curare la tosse dei cavalli (donde deriva il loro nome scientifico) e di tenere lontani i malanni influenzali secondo la medicina popolare di un tempo. Il nostro albero è dunque apprezzato ovunque per le sue qualità estetiche e per la sua frugalità. Nonostante l’importante contributo dell’uomo che ne ha favorito la diffusione e nonostante l’abbondante produzione di semi, gene-

I fiori (18 millimetri).

Foglie minate dalla Cameraria ohridella.

Le castagne (i semi).

ralmente fertili, non è mai stata notata un’espansione spontanea dell’albero le cui plantule hanno una moria precoce. E grazie all’attività vivaistica è stata importata dal Nord America e diffusa la specie congenere: Aesculus pavia, che si differenzia per i suoi fiori di un bel rosso acceso. Attraverso l’ibridazione delle due specie si è ottenuto il cultivar carnea con i fiori rosei, molto apprezzato dai giardinieri. Il legno del nostro albero, abbastanza duro e omogeneo, è poco pregiato come legname da opera. L’ippocàstano è una specie molto vecchia (si conoscono resti fossili attribuiti all’Eocene, 35-40

milioni di anni or sono) e nel corso della sua lunga evoluzione ha elaborato sostanze chimiche repulsive che tengono lontani gli insetti che si potrebbero cibare del suo legno: gli xilòfagi. Tuttavia è stato scoperto recentemente che nella sua patria d’origine (i Balcani) è fortemente attaccato da una minuscola farfallina (Cameraria ohridella) descritta della regione del Lago di Ohrida tra Macedonia e Albania da due entomologi dell’Università di Skopije (Deschkče e Dimič, nel 1986). I bruchi dell’insetto, a causa della loro vita, hanno il corpo fortemente appiattito, in quanto erodono delle gallerie tra le due pareti delle foglie (per tale ragione sono chiamati «minatori»). La loro alimentazione provoca estesi ingiallimenti (necrosi) su tutto l’apparato fogliare, conducendole a una precoce caduta fuori stagione. In anni recenti la farfallina si è rapidamente diffusa dai Paesi balcanici a tutta l’Europa dove è presente l’albero, provocando estese morie delle chiome, ma senza compromettere la vitalità dell’albero. In Svizzera, la farfallina è presente ovunque. Ma come è stato osservato a Faido in Leventina, a un’estesa moria delle chiome, è seguita una vistosa e anomala fioritura, e quindi dei frutti contenenti le castagne «matte», che si sono però rivelate tutte sterili. Si direbbe che l’ippocàstano reagisca con una riduzione nello sviluppo vegetativo, tale da compromettere il ciclo biologico ma non la sua vita. Abbiamo ammirato una seconda fioritura tardo estiva! Bibliografia

David Carr, 1979, Broad-Leaved Trees, The Gardener’s Handbook, I.B.T. Batsfird Ltd (London) 143 pp. Mario Ferrari & Danilo Medici, 1988, Alberi e arbusti in Italia, Edagricole (Bologna) 967 pp. Heinrich Walter & Herbert Straka, 1970, Arealkunde. Floristisch-historische Geobotanik, Verlag Eugen Ulmer (Stuttgart) 478 pp.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Ambiente e Benessere

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Eleganti. È questo il termine che per primo viene in mente per descrivere queste belle piante che ogni inizio di clima mite ci regalano fioriture magnifiche. Hanno una storia molto antica. Risalgono, infatti, al periodo terziario (da 65 e 1,8 milioni di anni fa). Da noi sono giunte circa 128 specie appartenenti al genere Magnolia e alla famiglia delle Magnoliaceae. La classificazione riprende il nome di Pierre Magnol, medico francese e appassionato botanico direttore del giardino di Montpellier a cavallo tra il 600 e il 700. A dedicargliela fu il frate botanico Charles Plumier. Queste piante sono originarie delle regioni temperate e tropicali dell’Asia orientale, e si trovano in particolare nell’India himalayana e soprattutto in Cina e Giappone dove la loro coltivazione avviene da secoli. Contano un numero minore per specie quelle invece dell’America orientale, partendo dal Canada fino al Brasile. Le magnolie vantano un numero di ibridi sorprendente sia per quantità sia per la colorazione dei loro fiori. Si ritiene che il primo ibridatore europeo fu Étienne Soulange-Bodin, un agronomo e ufficiale di Napoleone che nel lontano 1830 incrociò una M. denudata con una M. liliflora. Entrambe di origine cinese, le due specie furono introdotte dapprima in Inghilterra e successivamente in Francia verso la fine del 1700 e dal loro incrocio nacque la decidua Magnolia x soulangeana. Questo ibrido è forse ancor oggi il più popolare grazie alla sua taglia contenuta, la fioritura abbondante e precoce e la buona adattabilità. Alta da tre a cinque metri, decidua con portamento della chioma arrotondato, ha corolle erette bianco rosato che si aprono in aprile all’apice dei rami. Molte sono le sue cultivar, più di 70, tra cui Amabilis che non raggiunge i cinque metri con fiori a forma di tulipano rosa tenue dolcemente profumati, G.G. dalla crescita lenta, compatta e boccioli scuri con l’interno chiaro, Lilliputian con uno sviluppo intorno ai quattro metri e fiori anch’essi rosa e Red Lucky in grado di fiorire anche due volte l’anno, in primavera ed estate, con petali bianchi che diventano rosa molto intenso alla corolla. Tra tutte le magnolie, una descrizione particolare la merita M. stellata, un grazioso arbusto deciduo giapponese, adatto ai giardini medio-piccoli visto che raggiunge solo i due metri d’altezza e ha una bella chioma larga. In marzoaprile mostra i suoi fiori a stella formati da 12-18 petali stretti e lunghi. Predilige un terreno neutro, non troppo calcareo, miscelato con torba, compost di foglie e concime organico. Anche lei annovera diverse varietà, come la Dr. Massey con corolle rosa porpora ricchissime di petali e molto bella abbinata sia a Rosea sia alla classica M. stellata dai fiori più semplici e bianco puro. Facili da coltivare grazie alla loro resistenza al gelo, arrivando addirittura a sopportare punte di

-30°C, prediligono esser posizionate al sole o a mezz’ombra. Voraci di concime, è bene distribuire in autunno e a fine inverno del letame maturo o un altro concime organico attorno al tronco, avendo però l’accortezza, ogni anno, di allontanarsi progressivamente di una decina di centimetri dal fusto. Così facendo si distribuisce in maniera opportuna il concime alle radici capillari, che si sviluppano orizzontalmente alla chioma. Le magnolie temono il caldo e l’aridità estiva, dunque, almeno per i primi anni, è utile bagnarle bene soprattutto in primavera ed estate, mentre non saranno necessarie grandi potature, ma solo una pulizia dei rami rovinati o con crescita disordinata. Amanti di terreni fertili e ben drenati, prediligono suoli ricchi di humus, e alcune specie, come ad esempio M. acuminata, M. grandiflora, M. kobus tollerano anche suoli alcalini. Impossibile parlar di magnolie in Canton Ticino senza menzionare un grande estimatore e collezionista di queste belle piante, lo scomparso sir Peter Smithers. Grande botanico inglese e uomo politico al fianco del creatore di James Bond, all’apice della sua carriera decise di trasferirsi a Vico Morcote e fu uno dei primi a portare varietà particolari di magnolie nelle nostre zone, regalandoci la gioia di veder sbocciare questi magnifici fiori con una collezione che vanta più di 170 esemplari. Le magnolie che oggi troviamo in commercio hanno la positiva caratteristica di fiorire già a 2-3 anni dall’innesto, mentre per quelle nate da seme bisogna aspettare dai 10 ai 20 anni prima di veder schiudere i primi boccioli floreali. Si dice che molte siano le varietà, ma ancor di più sono gli ibridi che si caratterizzano per la grandezza del fiore, il colore, la fragranza e lo sviluppo della pianta. Come non stupirsi davanti ai fiori gialli di M. acuminata «Large Yellow» e «Yellow Lantern» con fiori giallo limone che si aprono a inizio aprile, oppure di fronte ai petali esterni blu di Magnolia acuminata «Blue Opal»? Come descrivere il profumo intenso di «Susan» e «Galaxy», anch’essi ibridi decidui dalla taglia ridotta? La mia preferita rimane però Magnolia «Sunrise»: alta al massimo 180 cm, decidua, produce in primavera da aprile a maggio magnifici fiori crema striati di rosa acceso; è l’ideale in giardini piccoli o coltivata in un capiente vaso. Sono, infatti, i nuovi ibridi quelli che vengono maggiormente ricercati per via delle dimensioni ridotte, che nulla hanno a che vedere con la sempreverde ed enorme M. grandiflora, in grado di arrivare ai 25 metri, adatta ad antichi giardini di ville ottocentesche, ma sicuramente sproporzionata nei ridotti spazi verdi del ventunesimo secolo. Gli ibridi a foglia caduca fioriscono prevalentemente in primavera e se disponete di un ampio angolo del giardino, vi consiglio di coltivare più esemplari per deliziarvi di colori ed aromi di queste piante eleganti. Laura Nolte

Anita Negretti


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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana

Minestrone di coste Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 600 g di coste colorate · 1 cipolla · 4 spicchi d’aglio grossi · 1 cucchiaio d’olio d’oliva · 1 rametto di rosmarino · 1.2 l di brodo di verdura · 60 g di pasta per minestra, ad esempio ditaloni · sale · 1 scatola di fagioli bianchi di Spagna (di 270 g peso sgocciolato) · 200 g pomodorini datterini · sale marino. 1. Staccate le foglie delle coste dai gambi. Tagliate i gambi leggermente di traverso in pezzi di 3 cm. 2. Tritate la cipolla e l’aglio. Fateli appassire nell’olio. Aggiungete le coste e il rosmarino e bagnate con il brodo. Fate cuocere a fuoco basso per circa 15 minuti. 3. Nel frattempo, lessate la pasta quasi al dente in acqua bollente. Scolatela e passatela sotto l’acqua fredda. 4. Sminuzzate le foglie delle coste. Sciacquate i fagioli sotto l’acqua fredda e fateli sgocciolare bene. Aggiungete al brodo i fagioli, la pasta e i pomodori e fate scaldare bene il tutto. Aggiustate di sale e servite.

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Ambiente e Benessere

Mi piace lo sport alla RSI? E sui giornali? Sportivamente Le cronache sportive in diretta suscitano pareri discordi. Se ne può discutere per migliorarne

la qualità, anche se – come è inevitabile – lasciano pur sempre il tempo che trovano Alcide Bernasconi Leggo che una settimana fa si è svolto un dibattito dal titolo «Lo sport alla RSI. Mi piace?». Pubblico pochino, dicono. Soprattutto, ci viene da aggiungere, se si tiene conto di chi, in privato, dice peste e corna in merito alle cronache di calcio e di hockey alla tv. Non abbiamo assistito alla discussione perché in altre faccende affaccendati. Ma di cronache radiofoniche e televisive ne abbiamo ascoltate mille, forse duemila. Ricordo con nostalgia i radio-telecronisti Giuseppe Albertini e Tiziano Colotti, ma anche Sergio Ostinelli, preciso e veloce nel descrivere quanto accadeva sul campo, attenendosi ai fatti, per commentarli nei ritagli in cui il gioco era fermo oppure languiva. Tre cronisti per tre e anche quattro squadre di calcio ticinesi e due di hockey, per corse ciclistiche e campionati di sci alpino, per qualche gara di formula uno (Albertini ne ha raccontate alcune). Altre discipline erano affidate al commento di collaboratori occasionali, anche a noi della stampa scritta. Nessuno sentiva il bisogno, allora, di chiedersi se andasse bene così. Qualche commento salace, pure cattivo, si sentiva già allora, ma le cose sono peggiorate col tempo. I benedetti-maledetti derby hanno ulteriormente incattivito i rapporti fra le tifoserie che non sono mai stati per la verità un esempio di sportività. Del resto, accade così in tutto il mondo dello sport competitivo, forse escluso il rugby, incredibile ma vero. Eppure ci si ostina a mandare in campo le squadre con i giocatori che tengono per mano bimbetti innocenti che li guardano con occhi grandi così. Gioca-

tori i quali poco dopo il fischio d’inizio se le danno (di brutto, come direbbe un telecronista di oggi), insultano arbitri e avversari oppure fingono d’aver subito falli inesistenti. Certo, lo sport, calcio e hockey tanto per dire, non sono attività per ragazzini e ogni tanto i colpi duri, le infrazioni pesanti e non solo occasionali succedono. Ma a tutto c’è un limite. Così come non si capisce perché non si faccia qualcosa di efficace e concreto nei confronti delle tifoserie che hanno scelto gli stadi dove sfogare le loro insulse, sciagurate battaglie, disinteressandosi completamente di quanto avviene in campo, non solo all’estero ma bensì sempre più frequentemente anche nei nostri stadi, nuovi di zecca o vetusti che siano. Torniamo però alla domanda iniziale: «Piace lo sport così come raccontato della RSI?». A me, francamente importa poco. Se un certo modo di esporre le cose a cui assisto in tv non piace assolutamente, vuoi per l’insistenza su vere e proprie quisquilie, o ancora per una presunta mancanza di obiettività, cerco un commento più gradito, questione di punti di vista. Altri, invece, a prescindere cambiano sistematicamente il canale. Potessero, sceglierebbero perfino un commento in lingua cinese. Un giorno succederà. Non succede invece che si discuta pubblicamente della qualità delle cronache della stampa scritta. Forse perché il pubblico è soddisfatto? Tutt’altro. Di solito il tifoso dice in faccia al cronista quel che pensa e, anche se spalleggiato da altri insoddisfatti lettori, ha così il coraggio delle proprie azioni, sia pure infiorate da qualche pesan-

Kubilay Türkyilmaz (a sinistra) cocommentatore insieme a Sergio Ostinelli per la TSI, durante la qualificazione in Coppa del Mondo tra l’Ungheria e la Svizzera. 20 Agosto 1997 – stadio Nep, Budapest. (Keystone)

te insulto. I tifosi scrivono ai giornali. Pretendono in qualche caso risposte. Un giorno Sergio Caratti, direttore del «Corriere del Ticino», giornale nel quale ho lavorato fino al pensionamento, mi portò una lettera scrittagli da un amico direttore di scuola, oltre che sindaco del paese di cui ero originario (lui non lo sapeva e nemmeno Caratti, suppongo). Una lunga lettera per chiedere al direttore di non permettermi più di scrivere dell’Ambrì Piotta – la sua squadra del cuore – perché avevo dimostrato con la cronaca fra Lugano e ZSC del weekend precedente il mio sviscerato amore, privo di senso critico, per l’HC Lugano. Il direttore scrisse i suoi appunti, forse dopo aver telefonato all’autorevole lettore (!), e consegnò il tutto al

capo redattore Mauro Maestrini. Dissi che mi rifiutavo di fare ogni commento, conoscendo gran parte dei tifosi di allora, e se ci fossero stati altri reclami, allora potevo anche dire due parole. Non successe nulla e così continuai a scrivere dell’Ambrì, del Lugano, di tutte le altre squadre e della Nazionale. Questo per dire – come mi par giusto che sia – che le critiche dei cronisti sportivi nella maggior parte dei casi lasciano il tempo che trovano. A proposito di cronache, mi spiace molto che mio padre, grande appassionato di tennis, non abbia potuto vedere all’opera Roger Federer. Quando lasciò questo mondo, ormai molti anni fa, egli non sapeva dell’esistenza di questo nostro campione in erba, così neppure

noi. Avrebbe vissuto incontri memorabili del nostro asso della racchetta, cercando, ne sono certo, di imitarne qualche colpo il giorno appresso, giù nel campo del TC Lugano, sparando le sue bordate, a settant’anni suonati, dopo aver cominciato a palleggiare appena andato in pensione. Sono certo, altresì, che avrebbe assistito alle gare più belle col commento in italiano, poi in tedesco e infine in francese. Le sue giornate di Wimbledon sarebbero state interminabili! Certi commenti, quando ci sono da festeggiare certe vittorie come quelle di Federer, sono sempre belli e non necessitano di dibattiti sulla qualità, la competenza, lo spirito di osservazione di chi le racconta.

Giochi Cruciverba Ficarra e Picone raccontano che in una sala da ballo un signore si avvicina ad una signora che nessuno invita a ballare e chiede: «Balla?» – La signora felice risponde: «Certo!» E il signore: «Bene…» (Frase: 4, 5, 7, 2, 5, 3)

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ORIZZONTALI 1. Universo, spazio siderale 6. Erto, scosceso 11. Divenne San Paolo 12. Unico 13. Contraffatti 14. Farfalle notturne 16. Un’imposta 17. Successione periodica 18. Da solo conta poco 19. Sono destinate alla vendita 20. Pronome personale 21. Le iniziali dell’attore Accorsi 22. Traboccante 23. Adatto a Londra

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24. Pezzo di terra 25. Un gruppo di attori 26. Sermone 28. Nome maschile 29. Celebre romanzo di Verga 30. Famoso ladro gentiluomo 31. Conveniente, opportuno 32. Si scambiano facilmente VERTICALI 1. Una lode a Dio 3. Si può fare di qualità 4. Ispirava i poeti 5. Variano di viscosità 7. Padre di Esaù e Giacobbe

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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8. Persone facili da raggirare 9. Un tratto dell’intestino 10. Bagna Rostov 13. Lieto, propizio 14. Convalida il documento 15. Ordinanza nell’antica Roma 17. Scompartimento dell’alveare 19. Regione dell’Italia meridionale 20. Un Marco cantante 22. Nello stesso apparato del 9 verticale 23. Parigi a Parigi 24. Renato... Fiacchini 25. Si scopre per rispetto 27. Pari nell’ammenda 28. Topo latino

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Politica e Economia Grecia contro tutti Il braccio di ferro fra Atene e l’Europa al banco di prova

Le crepe dell’italicum Matteo Renzi canta vittoria per la riforma delle legge elettorale ma alla fine dei conti non è stato un successo indolore

La lunga mano di Islamabad Assassinata in Balochistan, grande provincia del Pakistan, l’attivista dei diritti umani Sabeen Mahmud

Il conto del franco forte 30 miliardi di perdite per la BNS nei primi 3 mesi del 2015 a causa della rivalutazione del franco

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Keystone

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Erdogan il neo ottomano

Elezioni turche Se il presidente otterrà i due terzi dei seggi del Parlamento potrà modificare la Costituzione

e sanzionare il suo controllo assoluto sul Paese. Un risultato decisivo anche per il futuro del Grande Medio Oriente

Lucio Caracciolo Le elezioni politiche in Turchia del prossimo 7 giugno saranno decisive non solo per quel Paese ma anche per il futuro del Grande Medio Oriente. La posta in gioco è altissima. Il presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdoğan, che alla guida del partito islamico Giustizia e Sviluppo (Akp) ha vinto tutte le elezioni dal 2001 a oggi, punta a ottenere una maggioranza qualificata di 367 seggi, necessaria a cambiare la Costituzione per trasformare la Turchia in repubblica presidenziale. Così sanzionando il suo controllo assoluto sulla politica nazionale. Il risultato del voto resta tuttavia incerto. Gli ultimi sondaggi danno l’Akp in flessione, anche se intorno a un solido 40%, seguito dal Chp, il partito repubblicano di centro-sinistra, poco sopra al 25%. I veri arbitri della partita saranno però i curdi. Per la prima volta la minoranza etnica più rilevante della Turchia si presenta con liste proprie, non più con candidati indipendenti in liste altrui. Il

partito curdo Hdp conta infatti di superare la barriera del 10% necessaria a entrare in parlamento – una soglia di sbarramento fra le più alte al mondo, inventata dai militari nel 1980 per garantirsi contro il rischio dell’avvento di una forza politica curda in parlamento. Il consenso attorno all’Hdp sembra crescere, come attesta anche il risultato ottenuto dal suo giovane leader Selahattin Demirtaş alle elezioni presidenziali dell’agosto 2014, quando arrivò a sfiorare il fatidico 10%. Se i curdi ce la facessero, Erdoğan dovrebbe rinunciare ai suoi propositi di cambiamento costituzionale, che i suoi avversari dipingono come un colpo di Stato soft, perché la vittoria dell’Hdp avverrebbe a scapito dell’Akp. Paradossalmente, l’Hdp potrebbe diventare, all’opposto, la chiave del successo di Erdoğan, se non dovesse raggiungere la soglia richiesta per l’ingresso in parlamento. In tal caso, infatti, nei distretti curdi dove l’Hdp otterrà comunque la maggioranza relativa i suoi voti verrebbero dirottati sul secondo partito, ovvero sull’Akp,

che così raggiungerebbe il suo obiettivo massimo. A quel punto il presidente plenipotenziario potrebbe dettare ai curdi i termini dell’accordo con cui risolvere la loro antica disputa con lo Stato centrale – un obiettivo perseguito da Erdoğan anche attraverso trattative segrete con il leader del Pkk (partito dei lavoratori curdo) Abdullah Öcalan, recluso a vita (per ora) nelle galere turche. Negli ultimi mesi il presidente ha avviato la ricucitura con le Forze armate. Da sempre autoproclamate custodi della Turchia laica, kemalista, queste hanno recentemente ottenuto da Erdoğan alcune significative concessioni. Anzitutto il presidente ha smentito se stesso, mettendo da parte le accuse nei confronti dei vertici militari e della stessa intelligence, già sospettati di complottare contro di lui. Segno di debolezza di Erdoğan, che temendo di essere rovesciato dalle Forze armate e rendendosi conto di non poterle umiliare per sempre ha deciso di stringere un’alleanza, vedremo quanto tattica, con i suoi massimi (ex?) avversari interni.

Allo stesso tempo il presidente deve affrontare una fronda sempre più visibile all’interno del suo partito. I suoi critici, che fino a ieri mugugnavano in privato, sono diventati più espliciti. Per loro, Erdoğan si sta inimicando il mondo con le sue politiche repressive (Gezi Park), con le sfortunate avventure geopolitiche (liquidazione, per ora fallita, del regime siriano) e con le tensioni con Stati Uniti ed europei. Il loro riferimento è l’anziano ex presidente Abdullah Gül, ma lo stesso premier Ahmet Davutoğlu, già ideologo della politica estera di Erdoğan, suo fedelissimo consigliere e poi ministro degli Esteri, ha lasciato filtrare il suo dissenso, salvo rientrare nei ranghi in attesa del voto. Sul piano geopolitico, un eventuale successo di Erdoğan che gli permettesse di insediarsi in modo semitotalitario ai vertici della Turchia potrebbe comportare alcuni importanti mutamenti nella geopolitica regionale. La Turchia starebbe preparando una vera e propria invasione della Siria per abbatterne il

regime o ciò che ne resta e annettersi una parte del territorio. Così formando una testa di ponte da estendere all’Iraq sunnita, che si costituirebbe come entità autonoma sul modello del Kurdistan iracheno. Un disegno neoottomano, corrispondente ai sogni di grandezza del «sultano» Erdoğan. Per il quale il leader turco si muoverebbe in sintonia più o meno profonda con i sauditi e con le altre petromonarchie arabo-sunnite della regione, intenzionate come Erdoğan a sbarrare la strada alla crescente influenza iraniano-sciita tra Mediterraneo, Golfo e Asia centrooccidentale. Quanto al negoziato con l’Unione Europea, è morto e sepolto, ammesso sia mai nato davvero. In caso di sconfitta dell’Akp – ovvero di non raggiungimento del quorum dei tre quinti dei seggi necessario a cambiare la Carta fondamentale – dovremmo fare i conti con un periodo di instabilità nel Paese e quindi in Medio Oriente. Caos si aggiungerebbe al caos, con conseguenze del tutto imprevedibili.


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Politica e Economia

Braccio di ferro con Atene Ue Grecia da una parte, i suoi creditori e l’Europa dall’altra. Le tensioni durano da mesi e sono in gioco importanti

interessi. L’11 maggio nella riunione dell’Eurogruppo non sono esclusi colpi di scena

Marzio Rigonalli Un governo che propone un timido percorso di riforme alle prese con 18 governi che chiedono un pacchetto di riforme molto più incisivo. Uno Stato contro 18 Stati. Uno scontro serrato all’interno dell’eurozona, formata da 19 Paesi. È la sintesi, molto succinta, del negoziato in corso da ormai tre mesi, tra la Grecia e tutti gli altri Paesi dell’Eurogruppo. Un negoziato che non ha ancora trovato uno sbocco, e che finora è stato caratterizzato da numerose dichiarazioni e prese di posizione pubbliche, alternanti tra l’ottimismo ed il pessimismo, e probabilmente, da violenti sfoghi verbali dietro le quinte. È un braccio di ferro che occupa gran parte della scena politica ed economica europea. La posta in gioco è nota. Si tratta di trovare un compromesso che consenta alla Grecia di restare nell’eurozona, camminando da sola, e quindi, uscendo in tempi ragionevoli dalla spirale dei debiti in cui si è immersa negli ultimi cinque anni. È un percorso faticoso che il governo greco vorrebbe affrontare in un modo che non vien condiviso dagli altri governi dell’Eurogruppo. Il primo ministro greco Alexis Tsipras ha vinto le elezioni parlamentari del 25 gennaio, difendendo un programma centrato sulla fine della politica di austerità e sul rifiuto della troika, l’organismo rappresentante la Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea, che dettava gran parte della politica economica del governo greco. Un programma completamente diverso da quanto era stato deciso ed applicato fino allora all’interno dell’eurozona, con Paesi in difficoltà, come la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e Cipro.

Sul negoziato incombe lo spettro «Grexit», ossia l’uscita della Grecia dall’euro. Verrebbe visto come un precedente pericoloso, un passo indietro nel progetto di costruzione europea Fece anche molte promesse elettorali di carattere economico-sociale, come l’aumento del salario minimo e il reintegro di un buon numero di funzionari pubblici che erano stati licenziati dal precedente governo. Per rispettare il programma elettorale e garantirsi la sopravvivenza politica, Tsipras ha cercato e sta cercando di indurre gli altri governi dell’eurozona a modificare la politica di rigore applicata negli ultimi anni ed a rinunciare ad una parte del debito greco, che ammonta a 340 miliardi di euro ed è pari al 175% del PIL. Ha agito ricorrendo ad alcuni mezzi di pressione. L’8 e il 9 aprile si è recato da Putin a Mosca. Tra i due Paesi vi sono alcune affinità culturali e religiose significative. La chiesa ortodossa svolge un ruolo importante in Grecia e lo stesso vale anche per la chiesa ortodossa russa dopo la caduta del regime comunista. Vi sono legami economici, fondati sugli scambi commerciali e sulla presenza delle banche sui rispettivi mercati. E in Grecia non mancano le simpatie per Putin e per il modo in cui dirige la Russia. Tsipras è uscito dal coro europeo e si è schierato contro le sanzioni economiche decise dall’Unione europea nei confronti di Mosca, nell’ambito della crisi ucraina. Con il suo viaggio

Il primo ministro Tsipras ha chiesto a Berlino un risarcimento di 279 miliardi di euro per i danni causati dall’occupazione nazista. (AFP)

in Russia, il primo ministro greco ha però voluto anche inviare un messaggio all’Ue. Mostrare che la Grecia, qualora fosse necessario, può appoggiarsi su governi amici, forti come quello russo. Il messaggio ha provocato qualche apprensione isolata in seno all’Ue, vista la prospettiva di una forte presenza russa nel Mediterraneo orientale, ma non ha avuto nessun effetto pratico, dati gli scarsi risultati della visita del capo del governo greco a Mosca. Tsipras ha rispolverato anche la vecchia questione dei risarcimenti di guerra, per fare pressione soprattutto sulla Germania. Atene chiede a Berlino 279 miliardi di euro come risarcimento per i danni causati dall’occupazione nazista durante la Seconda guerra mondiale. L’importo comprende un prestito che il regime nazista ottenne dalla banca nazionale greca e che non rimborsò, nonché le riparazioni per i crimini commessi contro la popolazione civile durante l’occupazione. Il governo tedesco ha respinto la richiesta, affermando che la questione è già stata risolta sia giuridicamente che politicamente. Negli ultimi tempi, però, in Germania si sono sentite autorevoli voci che sostengono di dover discutere in merito con la Grecia. Prima fra tutte la voce del presidente tedesco Joachim Gauck, che in un’intervista alla «Süddeutsche Zeitung» dello scorso 2 maggio ha evocato il dovere morale del suo Paese di prendere in considerazione la richiesta greca e di valutare la possibilità di dare un risarcimento. Infine, per indurre i creditori ad allentare la loro intransigenza, il primo ministro greco ha evocato anche la possibilità di indire un referendum, qualora l’Eurogruppo imponesse un accordo non condiviso dal governo greco. Un’ipotesi che non piace in Europa, visto l’esito negativo riscontrato in passato da altri referendum in seno all’Ue. L’Eurogruppo ed i creditori della Grecia hanno a disposizione la potente arma degli aiuti. Li verseranno soltanto se le riforme che il governo greco accetterà di fare, verranno giudicate in grado di far ripartire l’economia greca ed offriranno le necessarie garanzie per i prestiti forniti finora. I creditori hanno presente le principali cause che hanno determinato la situazione greca, ossia un apparato statale con un numero smisurato di funzionari, una grossa sacca di

privilegi lasciati alla chiesa ortodossa ed agli armatori, una diffusa corruzione ed un’altrettanta diffusa evasione fiscale. In particolare, chiedono al governo greco di modernizzare l’amministrazione pubblica, di aumentare le entrate con le privatizzazioni e con una fiscalità più incisiva, nonché di procedere alla riforma delle pensioni. Sul negoziato in corso incombe lo spettro del «Grexit», ossia l’uscita della Grecia dall’euro. È un ipotesi che trova qualche sostenitore all’interno dell’eurozona, ma che finora è stata respinta. Tsipras sa che la popolazione greca è favorevole all’euro e che il ritorno alla moneta nazionale aprirebbe una fase di grande incertezza economica e politica, sul piano interno e nelle relazioni esterne della Grecia. Dal canto suo, l’eurozona, pagherebbe un costo sicuramente sopportabile in termini economici. Le banche europee sono meno esposte e, negli ultimi anni, la zona si è rafforzata, con la rete di salvataggio creata con il Meccanismo europeo di stabilità, l’Unione bancaria e l’azione della Banca centrale europea. Una rete che oggi può contenere l’estensione delle tensioni finanziarie dalla Grecia agli altri Paesi. Il costo politico, però, sarebbe più elevato. L’uscita della Grecia costituirebbe un pericoloso precedente. Rafforzerebbe le forze che, in altri Paesi, mirano allo stesso obiettivo e darebbe fiato alla speculazione che si porterebbe sul prossimo anello debole. L’unione monetaria non apparirebbe più come un processo irreversibile, bensì come un progetto dal quale ci si può staccare. In definitiva, ci troveremmo di fronte ad una situazione completamente nuova, che verrebbe vista come un passo indietro nel progetto d’integrazione economica e uno smacco per le idee che sono alla base della costruzione europea. Negli ultimi giorni è cresciuta l’incertezza sul negoziato, con pesanti ripercussioni sulle borse europee. Tsipras ha compiuto un gesto nei confronti dell’Eurogruppo, rimaneggiando la squadra dei suoi negoziatori. Ha messo in seconda fila il suo ministro delle Finanze, il turbolento Yanis Varoufakis, che con il suo agire rendeva difficile la trattativa e si era creato molte antipatie tra i suoi interlocutori, ed ha messo in primo piano George Chouliarakis, una personalità a lui vicina, noto per essere

un abile negoziatore. La Grecia, però, è sull’orlo del default. Le casse dello Stato sono vuote e Atene deve far fronte a precise scadenze riguardanti i rimborsi ai suoi creditori. Dal canto suo l’Eurogruppo continua a chiedere una lista di riforme credibili. Il clima è teso e le

accuse reciproche non mancano. Un colpo di scena non è escluso. La prossima riunione dell’Eurogruppo è prevista l’11 maggio. Potrebbe rivelarsi ancora interlocutoria, ma potrebbe risultare anche decisiva, per lo meno per i prossimi mesi. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Politica e Economia

E l’italicum va

Nuova legge elettorale Matteo Renzi blinda il suo potere

Alfredo Venturi D’accordo, non tutti sono a bordo, ma adesso la nave va. Così Matteo Renzi a proposito delle vistose crepe che si sono accentuate nel suo partito durante il percorso parlamentare che ha portato alla nuova legge elettorale. È una vicenda all’insegna del paradosso: paradossale vedere una norma di simile portata, che idealmente richiede un vasto consenso, votata da un numero di deputati inferiore alla stessa maggioranza di governo, paradossale il ricorso a ripetuti voti di fiducia, paradossale che la regola numero uno della prassi democratica abbia visto la luce in un’aula semideserta, paradossale che Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi, abbia respinto alla Camera quella stessa legge che aveva approvato al Senato. Nonostante ciò Renzi si mostra più che soddisfatto e canta vittoria: così entra nel vivo, dice, il mio programma di cambiare l’Italia. Parlando con gli imprenditori li rassicura: con questa legge avremo governi stabili, presupposto per il rilancio dell’economia. Non c’è dubbio che il presidente del consiglio ha vinto la partita, ma non è stato un successo indolore. La sua legge elettorale, italicum secondo il gergo politico romano, non è tale da entusiasmare. Certo raggiunge il suo obiettivo primario, garantire un chiaro mandato di governo. Se si votasse oggi con questo sistema, e se prendessimo per buoni i sondaggi, il Partito democratico dominerebbe la Camera con 340 deputati su 630. Arriverebbe a questo risultato con poca fatica. In una sola giornata, se ripetesse l’esito delle regionali di un anno fa e dunque superasse il 40 per cento. Oppure grazie a un ballottaggio fra le due liste che al primo turno avessero raggiunto il maggior numero di voti, una delle quali sarebbe sicuramente il Pd. Questo significa che il partito del presidente potrebbe godere del premio di maggioranza anche con un risultato relativamente modesto al primo turno. Basta che si classifichi al primo o al secondo posto, e poi prevalga nel ballottaggio. Come avversario nel secondo turno avrà i grillini o il centro-

destra. La seconda possibilità sembra più favorevole a Renzi, e anche questo allontana l’ipotesi di elezioni anticipate, visto che Berlusconi ha bisogno di tempo per riorganizzare le sue truppe piuttosto sbandate, che a quanto sembra intende inquadrare in un Partito repubblicano all’americana. Non si vota oggi, e del resto la legge non sarà operativa prima del luglio 2016, mentre il presidente del consiglio insiste sulla volontà di raggiungere il termine naturale della legislatura nel 2018. Ma c’è chi teme che l’erosione dei consensi possa indurlo prima o poi ad affrettare i tempi: le manifestazioni di protesta contro la sua riforma della scuola, da parte di quel corpo docente che è un serbatoio tradizionale di voti per il Pd, hanno fatto squillare un campanello d’allarme. D’altra parte Renzi, nonostante i brontolii di una parte non indifferente del partito di cui è segretario, si sente rafforzato dall’approvazione dell’italicum. Eppure gli avversari non demordono: alcuni hanno vanamente invitato il presidente della Repubblica a negare la ratifica, ma Sergio Mattarella, che è stato giudice costituzionale, non la ritiene lesiva della Carta. La interpreta come il recupero, dopo la pronuncia della Corte, della funzione legislativa da parte del parlamento, e tiene anche conto della forte maggioranza trasversale che la votò in Senato. Gli oppositori sperano che la Corte applichi a questa legge lo stesso criterio con cui dichiarò incostituzionale la precedente, quella che si fregiava dell’elegante etichetta di porcellum. Di questa legge, approvata nel 2005 dalla maggioranza di centrodestra guidata da Berlusconi, otto anni più tardi furono dichiarati incostituzionali due punti: la mancante previsione di una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza e il blocco delle liste, la cui composizione era appannaggio esclusivo dei partiti senza che gli elettori avessero libertà di scelta. Basterà l’indicazione della soglia del 40 per cento al primo turno per salvare la legge di Renzi? E basterà, venendo al secondo punto, il blocco limitato al capolista? Il fatto che il capo

dello Stato, il costituzionalista Mattarella, abbia ignorato gli inviti a non firmare sembra garantire che l’italicum non correrà simili rischi. Le opposizioni, esterne e intestine, confidano nella possibilità di un referendum abrogativo, ma questa è una strada in salita, perché l’abrogazione non può riguardare la legge nella sua interezza e quindi bisogna trovare l’intesa su singoli punti critici. Nel clima sovreccitato dei palazzi romani c’è chi non si dà per vinto: perché dunque non rivolgersi all’elettorato e chiedergli di cancellare la «legge truffa»? Questo termine richiama un lontano precedente, la norma che il governo guidato da Alcide De Gasperi volle nel marzo del 1953. In quegli anni il precario equilibrio dell’incipiente Guerra fredda doveva fare i conti con un Partito comunista che sembrava avvicinarsi al potere per via elettorale. La proposta si prefiggeva, proprio come l’italicum, di rendere più stabile l’esecutivo, ma a differenza dalla legge di Renzi si guardava bene dal premiare chi non avesse già raggiunto nelle urne la maggioranza assoluta. La «legge truffa», come subito fu chiamata da chi non era d’accordo, si limitava a garantire il 65 per cento dei seggi della Camera a quel partito o a quella coalizione che avesse totalizzato il 50 per cento più uno dei suffragi. Quando gli italiani andarono a votare, il 3 giugno 1953, i partiti centristi raccolti attorno alla Democrazia Cristiana di De Gasperi, cioè le forze laiche dei socialdemocratici, dei liberali e dei repubblicani, e le formazioni regionali Südtiroler Volkspartei e Partito sardo d’azione, si prepararono a cogliere il frutto della nuova legge. Ma gli elettori dissero no: la coalizione che doveva superare il 50 per cento si fermò al 49,8. Allo scatto del premio di maggioranza mancarono 54 mila voti. Un anno più tardi la legge fu abrogata mentre De Gasperi usciva di scena e l’instabilità politica divenne a Roma un marchio di fabbrica. È appena il caso di notare che se guardassimo il meccanismo maggioritario voluto da Renzi con gli occhi del 1953, altro che di «legge truffa» dovremmo

Keystone

con una riforma strappata a forza a un parlamento riluttante. Operazione che una sessantina di anni fa non riuscì a De Gasperi

parlare. In effetti un buon sistema elettorale dovrebbe conciliare due principi di per sé poco conciliabili: rappresentatività democratica e stabilità politica. L’italicum soddisfa appieno il secondo requisito sacrificando il primo. Votando in quella maniera si dà vita a un governo in grado di operare senza problemi, ma grazie a un parlamento ben lontano dal rispecchiare fedelmente gli umori e le volontà popolari. È lo stesso inconveniente che attira tante critiche sui modelli con collegi uninominali a eliminazione diretta, che possono portare al «governo della minoranza». Una rappresentatività perfetta richiederebbe il proporzionale puro, che d’altra parte rischia di paralizzare l’azione dell’esecutivo. Del resto non si limitano a questo le critiche e le riserve che hanno investito la nuova legge. Nell’occhio del ciclone è anche il fatto che l’elettore troverà sulla scheda il nome prestampato del capolista, la sua libertà di scelta sarà limitata all’indicazione di altri due candidati. Soprattutto nel caso delle liste minori, quelle che si divideranno i 290 seggi lasciati a disposizione dal vincitore, gli eletti saranno scelti nella quasi totalità dalle segreterie dei partiti. Criticate anche le pluricandidature: lo stesso capolista potrà essere proposto in molti collegi, fino a dieci. Generalmente accettata invece la soglia di sbarramento del tre per cento al di sotto della quale non si partecipa alla ripartizione dei seggi: altro limite alla rappresentatività motivato con l’obiettivo di non disperdere i voti. Infine l’eventuale ballottaggio è li-

mitato alle due liste che avranno ottenuto più suffragi, senza alcuna possibilità di apparentamento. Per questo i rappresentanti delle forze minori parlano di norma liberticida. E fin dall’interno del Pd le critiche si levano feroci: questa legge uccide il bipolarismo, tuona la mite Rosy Bindi: è la legge del partito unico. Mentre le opposizioni hanno condotto contro l’italicum una battaglia campale, la dissidenza del Pd ha cercato fino all’ultimo di smussarne le asperità, di attenuarne gli effetti negativi sulla rappresentatività e sulla libera scelta degli elettori. Renzi ha resistito non soltanto perché non gli piace affatto mostrarsi arrendevole o perché considera perfetta la sua legge, ma anche perché una modifica alla Camera avrebbe imposto un ritorno al Senato, dove la fine del patto del Nazareno gli avrebbe negato la massiccia maggioranza trasversale ottenuta al tempo dell’idillio con Berlusconi. Senza contare la fronda interna del partito che non gli rende certo la vita facile. Almeno fino a quando non avrà completato le riforme che ha in mente, per esempio sbarazzandosi dell’infido Senato. Già approvata in prima lettura, l’innovazione che riduce la Camera alta a un ruolo poco più che cerimoniale non entrerà comunque in vigore prima della prossima legislatura, ma intanto proprio qui, dove i numeri sono precari, la minoranza Pd intende mettersi di traverso. Troppo sicuro di sé, Renzi ignora il principio che non conviene al vincitore umiliare gli sconfitti: anche per questo non tutti sono rimasti a bordo della sua nave.

Anche Marquez aveva un sogno Paso doble Lo scrittore colombiano amava il giornalismo ma non riuscì mai a fondare un proprio giornale,

così ripiegò sulla fondazione di una scuola a Cartagena de Indias che ora festeggia i 20 anni Angela Nocioni C’è una cosa che a Gabriel Garcia Marquez (nella foto) non è riuscita. Avere il suo giornale. Fondarlo, scegliersi i giornalisti e poi dirigerlo. L’idea era fare il giornale migliore del mondo. Quello che doveva mostrare a tutti come si fa un giornale ben fatto. Ci ha provato e riprovato per decenni. Niente, impossibile. Lui, lo scrittore perfetto, l’autore di Cent’anni di solitudine, sognava di fare cronaca, quella di tutti i giorni, su un giornale suo e non ha potuto. Negli anni Ottanta aveva messo a punto il progetto editoriale di un giornale, «El Otro» si doveva chiamare (L’Altro). Non arrivò mai in edicola. Trent’anni prima era riuscito a pubblicare un quotidiano piccolissimo. Si chiamava «Comprimido», (Compresso). Aveva solo quattro pagine ed era l’antenato della free press. Durò sei giorni. Che Garcia Marquez fosse innazitutto un reporter è storia nota. In un vecchio articolo pubblicato nel luglio del 1981 scrive: «Prima d’ogni altra cosa io mi sono sempre sentito un giornalista». Quindici anni dopo, in una conferenza a Madrid, dice di destestare «le manipolazioni maligne», «le pesantezze im-

punite», «il tergiversare velenoso». Pare avercela soprattutto con «l’uso imbecille delle virgolette». A un certo punto della sua vita, dopo aver lasciato le collaborazioni con i giornali con cui si mantenne a lungo in gioventù, diventa così furioso con gli errori dei colleghi, la sterminata folla di colleghi considerati da lui degli incapaci, che smette di concedere interviste. Il perché lo spiega in un pezzo del 15 luglio 1981 titolato «Intervista? No, grazie». Lì se la prende con i cattivi intervistatori. Ne fa un elenco per categorie. Quelli che fanno sempre le stesse domande, le domande già fatte da altri alle quali l’intervistato ha risposto altre mille volte e non si capisce perché dovrebbe continuare. Gli accondiscendenti, tanto

ansiosi di essere d’accordo con l’intervistato da risultare sdolcinati e appiccicosi. Gli aggressivi, che cercano di esasperare l’interlocutore fino a fargli dire quello che in realtà non pensa. Infine gli estrapolatori professionsiti, quelli che isolano chirurgicamente una frase per farla diventare un buon titolo dopo averne stravolto il senso. Innamorato del bloc-notes, lo scrittore colombiano detestava il registratore. Lo definiva un «invento luciferino». Diceva che, secondo lui, il cronista con quell’attrezzo in mano si distrae, non presta attenzione a quello che gli viene detto, perché pensa che nella registrazione rimane tutto. È lì che sbaglia, sosteneva Garcia Marquez «perché il registratore non s’accorge dei battiti del cuore che è l’importante di un’intervista, perché il registratore sente, ma non ascolta». Manie, regole auree e suggerimenti d’oro che lui sognava di portare dentro a un giornale tutto suo. Quando capì che non ce l’avrebbe fatta, cercò di lasciarli almeno in eredità ai posteri, pensò di farne una scuola. Non una scuola di scrittura, ma un posto dove i cronisti migliori potessero raccontare come si fa a scrivere un bel pezzo. Fu così che vent’anni fa, a Cartagena de Indias,

nacque la Fundación para el Nuevo Periodismo Iberoamericano. Garcia Marquez ne parlava come del suo sogno realizzato. In realtà fu il suo ripiego, il suo piano B. Un ripiego brillante, di grande successo, il ripiego di un genio, ma pur sempre un ripiego. L’argentino Martìn Caparros racconta a «El Pais» quella «calurosa mañana» di vent’anni fa in cui Gabriel Garcia Marques entrò in pantaloncini corti e scarpe da ginnastica, nella sala delle riunioni del giornale colombiano «El Universal.» Lì lo aspettavano dieci giornalisti giovani provenienti da varie parti dell’America latina. Per ragioni più ideologiche che professionali, Gabo aveva deciso che nella Fondazione dovessero entrare solo latinoamericani. Gli americani e gli europei, fuori dalla porta. Lo accompagnava Alma Guillermoprieto, collaboratrice messicana della rivista «New Yorker». L’idea era creare uno spazio, una culla, dove vecchi cronisti avrebbero lavorato come maestri, avrebbero passato i trucchi del mestiere ad alcuni fortunati giornalisti molto giovani, considerati promettenti, presi qua e là in varie redazioni di giornali del continente latinoamericano. Le lezioni erano lunghe

chiacchierate, conversazioni che duravano di solito una settimana. Si parlava dei piccoli trucchi del mestiere e di grandi questioni. Hanno insegnato lì Tomás Eloy Martínez, Ryszard Kapuscinski, Carlos Monsiváis. La Fundación para el Nuevo Periodismo Iberoamericano è un’istituzione simbolica in America Latina. Più che una scuola è una rete di relazioni importanti, una lobby di grandi autori. Fitta di intrighi, di amori fugaci, di odi duraturi, è molto popolata e molto invidiata. Per i suoi seminari sono passati 10,000 giornalisti. È stata uno dei motori del lancio della cronica latino-americana, del gusto della bella scrittura, dell’arte letteraria applicata alla cronaca quotidiana. Qualche giorno fa, come omaggio al suo fondatore, una moltitudine di ex alunni è scesa in strada a Cartagena de Indias. Tutti vestiti di bianco con la guayabera, le tradizionale camicia caraibica fresca di cotone. Con in mano un quadernino per gli appunti e una maschera di Gabo sorridente davanti al viso. Un esercito di cronisti. Scrive Martìn Caparros che sono andati a fare «quello che i giornalisti veri fanno: scendere in strada, guardare, domandare, infastidire quanto più possibile, vivere per raccontarlo».


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Politica e Economia

Silenzio, intanto si muore

Fra i libri di Paolo A. Dossena

per ottenere l’indipendenza dal Pakistan di cui non si è mai sentita davvero parte

Franco Cardini – Sergio Valzania, La scintilla, Mondadori, 2.edizione 2015

Balochistan Una regione strategica economicamente e geopoliticamente, che lotta

Francesca Marino Siamo stati tutti Sabeen per qualche giorno, e per qualche giorno ancora saremo tutti Sabeen. Fino a che i suoi occhiali dalla montatura scura e la sua testa arruffata di capelli corti non diventeranno l’ennesimo ricordo, l’ennesima memoria troppo ingombrante che l’inconscio collettivo pakistano si è abituata a rimuovere più o meno in fretta per poter sopravvivere e andare avanti. Si chiamava Sabeen Mehmud, e avrebbe compiuto tra poco quarantuno anni: chi la conosceva la descrive appassionata, forte, spiritosa, combattiva. «La paura è soltanto una condizione della mente, diceva. Una linea. Bisogna decidere da che parte stare». E lei non aveva mai avuto dubbi. Stava dalla parte dei deboli, di quelli che non hanno voce, che non hanno diritti. Dalla parte degli artisti, degli scrittori, dei giovani alla ricerca di uno spazio di libertà e di critica. Aveva aperto The Second Floor, un caffè-libreria-spazio espositivo e di discussione che era diventato in breve uno dei maggiori punti di riferimento di quella parte di Karachi, la parte sana e vitale, che si ribella pacificamente e civilmente alla cultura dominante in Pakistan: la cultura del silenzio e dell’omertà, dello girare la testa dall’altra parte.

Quelli che chiamano «the candlelight mafia», la mafia delle veglie silenziose a lume di candela per protestare contro i molti, troppi crimini impuniti: contro le stragi senza colpevoli, gli omicidi coperti dallo Stato, contro il silenzio e la paura. Non aveva paura, Sabeen. E per questo motivo aveva scelto di ospitare un dibattito per dare voce, ancora una volta, a quelli la cui voce viene coperta da una coltre di silenzio, soffocata dall’esercito e dallo Stato. «Unsilencing Balochistan», era il titolo del dibattito. Lo stesso dibattito era stato programmato quindici giorni prima dalla prestigiosa Lahore University of Management Sciences a causa delle minacce ricevute dall’ISI, i servizi segreti militari. Perché in Pakistan, adesso più che in passato, chi cerca di occuparsi della questione del Balochistan muore. Muore, o fa comunque una brutta fine. Sabeen è morta, Raza Rumi e Hamid Mir, due dei più famosi giornalisti pakistani, sono sopravvissuti a stento ad attentati ai loro danni. Declan Walsh, l’inviato del «New York Times», è stato espulso in malo modo dal Paese dopo nove anni; Carlotta Gall, sempre del «New York Times», anni fa è stata malmenata, minacciata ed espulsa dal Paese. Chi scrive è stata arrestata a Karachi per lo stesso motivo, e la lista è ancora lunga ed è destinata ad allungarsi ancora di più con la complicità e il silenzio di ben due cosiddetti governi democratici. Perché il Balochistan è lo scheletro nell’armadio, un armadio già zeppo di scheletri ingombranti, del Pakistan. Una regione strategica sotto l’aspetto economico e geopolitico, che del Pakistan non si è mai considerata davvero parte e che lotta praticamente fin dalla formazione della «Terra dei Puri» per l’indipendenza. O, almeno, per l’autonomia. Una regione dal sottusuolo ricchissimo, gas, uranio, rame e quant’altro e situata al confine con l’Afghanistan e l’Iran. Con il porto di Gwadar di vitale importanza a causa

AFP

L’attivista Sabeen è stata uccisa perché voleva ribellarsi alla cultura del silenzio e dell’omertà del Pakistan

della sua posizione, dritto in faccia ai paesi arabi. Il Balochistan, oltre a essere di fatto militarmente occupato dalle basi dell’esercito pakistano, viene economicamente sfruttato da anni senza che la popolazione ne possa beneficiare sia pur in minima parte. L’economia della regione è di fatto in mano ai cinesi e parte fondamentale della strategia espansiva di Pechino. In Balochistan, seguendo l’esempio dei «fratelli» cinesi, il Pakistan ha messo in atto da anni una strategia praticamente identica a quella adottata in Tibet: un vero e proprio genocidio fisico e culturale che va avanti ormai da anni in un silenzio assordante da parte del resto del mondo. In fondo, i Balochi hanno soltanto tribù e una cultura antica e difficilmente commercializzabile da parte dell’Occidente.

In Balochistan il governo ha messo in atto una strategia simile a quella adottata in Tibet: un vero e proprio genocidio fisico e culturale E non hanno un capo carismatico e fotogenico come Sua Santità il Dalai Lama. Così, chi prova a fare luce sulle fosse comuni ritrovate nella regione, delle migliaia di persone scomparse senza lasciare traccia, di quelle ritrovate poi cadavere ai bordi delle strade con segni di tortura addosso, rischia grosso. A morire sono studenti, insegnanti, intellettuali, attivisti e ribelli separatisti. Bambini, anche. Bambini ammazzati e gettati per strada perché colpevoli di essere figli o nipoti o fratelli di attivisti.

Lo scorso anno, guidati da un anziano signore ultrasettantenne affettuosamente chiamato «Mama» (zio) Qadir, una folta delegazione di Balochi che, fa bene ricordarlo, sono di fatto cittadini pakistani come gli altri, aveva percorso a piedi tutto il Pakistan per protestare contro il genocidio in atto e per chiedere conto al governo dei cittadini pakistani scomparsi, di quelli uccisi senza processo e senza ragione. Per rompere il silenzio, per dare voce alle voci di quelli che sono scomparsi. Portando, come le madri della Plaza de Mayo, fotografie e nomi di persone care inghiottite dal silenzio. Ma il potere ha paura di un paio di anziani signori, Mama Qadir e Mohammed Ali Talpur. Ha paura di fragili donne come Farzana Majeed, ha paura di tutti quelli che non hanno paura. Ma siccome toccare loro significherebbe creare nuovi martiri e nuovi combattenti per i separatisti balochi, e nuovo sostegno nel Paese per la loro causa, come ha capito Musharraf quando ha fatto ammazzare l’ottantenne Nawab Bugti accusandolo di rivolta, i vigliacchi scelgono obiettivi più facili. Come Sabeen, di cui sono rimasti un paio di sandali di cuoio tra i vetri infranti della macchina. E, per aggiungere la beffa al danno, l’omicidio è stato classificato come atto di terrorismo. In pillole, secondo il nuovo Terrorism Act, a indagare su Sabeen saranno gli stessi individui che l’hanno fatta ammazzare: gli scagnozzi dell’ISI, dei servizi segreti. Tutti lo sanno, ma dirlo apertamente può costare la vita. Non solo: la stessa ISI ha adottato una strategia mediatica di grande impatto, adoperando giornalisti al soldo dello Stato per accusare le vittime dell’omicidio di un’altra vittima. Per insinuare che l’omicidio di Sabeen sia stato ordinato da Mama Qadir e dai separatisti

balochi, ansiosi di ottenere coperture mediatiche. Per accusare Taimur Rahman, che aveva organizzato il seminario poi cancellato a Lahore, di aver praticamente intrappolato Sabeen nell’organizzare lo stesso seminario per poi farla ammazzare. Accuse ignobili, che però mettono in pericolo chi le subisce. Ci sono state proteste nelle piazze, e veglie al lume di candela. Ma un seminario sullo stesso argomento organizzato dall’università di Karachi è stato cancellato dalla facoltà. Organizzatori e studenti non si sono fatti intimidire e il seminario si è tenuto lo stesso all’aperto, in un cortile, nonostante la polizia cercasse di bloccare all’ingresso tutti gli «estranei» alla facoltà. Per motivi di ordine pubblico, ovviamente. D’altra parte, a tutte le università e le scuole pakistane è stata distribuita una circolare governativa che vieta la discussione di «argomenti sensibili», alla faccia della libertà di espressione e di opinione. E secondo gli ultimi accordi tra Pakistan e governo cinese, sembra che in Balochistan verrà inviata una divisione dell’esercito di Pechino per proteggere i cittadini cinesi e i loro investimenti in loco. E i cinesi, come nel caso dei musulmani uighuri che nessuna fratellanza musulmana si cura di difendere, vanno ancora meno per il sottile dei servizi segreti pakistani. Per qualche giorno siamo stati tutti Sabeen come siamo stati «Charlie Hebdo». E spero con tutto il cuore, per il bene del Pakistan, che lo saremo ancora per molto. Perché l’unico vero modo per onorare la memoria di tutti coloro che hanno rischiato e rischiano la vita, di tutti quelli che sono morti, e per sostenere tutti quanti in Pakistan cercano giustizia e verità, è proseguire il loro lavoro dicendo a testa alta: «Io sono Sabeen, io non ho paura».

Nella città libica di Derna, ai confini con l’Egitto, a poche centinaia di chilometri dalle coste meridionali dell’Europa, è sorto un nuovo califfato. Le bandiere nere dell’ISIS che sventolano sugli edifici pubblici di questa città della Cirenaica, sono strettamente collegate ai disordini in Iraq e in Siria. I quali sono a loro volta collegati alle guerre balcaniche di tutti gli anni Novanta, alla persecuzione dei curdi e all’odio che divide ebrei e arabi. Questi avvenimenti hanno la stessa origine, perché questi territori, dal Kosovo all’Iraq e dalla Siria alla Libia, erano appartenuti all’impero Ottomano. La caduta del quale, alla fine della Prima guerra mondiale, è all’origine degli attuali drammi internazionali. Secondo il punto di vista di Franco Cardini e Sergio Valzania, nel loro libro dal titolo evocativo La scintilla, la Prima guerra mondiale non comincia nel 1914, bensì nel 1911, quando il regno d’Italia invade le due province ottomane di Tripolitania e Cirenaica per farne una propria colonia. È un punto di vista condiviso da storici come il britannico Gordon Brook-Shepherd (Royal Sunset, 1987) il quale scrive: «Ogni fase dello smembramento e della fine dell’impero turco fu interdipendente.» Infatti, «era stato l’attacco italiano contro la Libia, nel 1911, a incoraggiare gli stati balcanici a coalizzarsi e a sguainare la spada contro il sultano un anno dopo.» Secondo Cardini e Valzania, quelle due guerre del 1912 e del 1913 che esplosero nella parte balcanica dell’impero ottomano, furono particolarmente disastrose. Anche perché, in quella parte sud-orientale dell’Europa, eccitarono gli animi a tal punto che un terrorista serbo assassinò l’arciduca Ferdinando (erede al trono imperiale austriaco) e la sua imperial-regia consorte Sofia a Sarajevo. Era il 28 giugno 1914. La Prima guerra mondiale esplodeva esattamente un mese dopo. Cardini e Valzania così riassumono la tragica sequenza di fatti: «Senza le cannonate su Tripoli “bel suol d’amore”, forse non ci sarebbe stato nemmeno il colpo di pistola di Sarajevo. Piccoli fatti, grandi conseguenze.» Il «forse» sparisce nel sottotitolo del libro di Cardini e Valzania: «Da Tripoli a Sarajevo: come l’Italia provocò la Prima guerra mondiale.» Chi provocò la Grande guerra causò nel lungo periodo anche la Seconda guerra mondiale, strettamente collegata alla prima («una guerra in due tempi strettamente connessi»). Più precisamente, la Seconda guerra mondiale è preparata dai trattati di pace che seguono alla prima, documenti che creano le premesse anche per le attuali perturbazioni su due aree: «rispettivamente vicinoorientale e balcano-danubiana.» Con i trattati di pace seguiti alla Prima guerra mondiale, l’impero ottomano e quello d’Austria-Ungheria sono sostituiti da Stati dichiaratamente nazionali come la Jugoslavia o l’Iraq, destinati a esplodere. Non solo a causa delle contraddizioni interne, ma anche «delle guerre neocoloniali che hanno segnato il ventennio a cavallo tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo». In particolare, l’avventura americana nell’Iraq del 2003, l’operazione anglo-francese nella Libia del 2011 e l’iniziale appoggio americano agli insorti siriani dello stesso anno, preparano l’ascesa dell’ISIS. La cui bandiera nera si estende in quella Cirenaica dove tutto ebbe inizio, nel 1911.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Politica e Economia

Timori confermati, nubi all’orizzonte BNS I 30 miliardi di perdite del primo trimestre subite a bilancio dalla Banca Nazionale sono importanti.

E la situazione potrebbe peggiorare. Ci saranno misure di difesa più incisive?

Ignazio Bonoli La Banca nazionale Svizzera ha pubblicato il primo resoconto trimestrale per quest’anno. La pubblicazione era particolarmente attesa, poiché valutava ufficialmente, per la prima volta, gli effetti dell’abbandono della difesa del tasso di cambio svizzero sull’euro a 1,20 franchi, deciso il 15 gennaio di quest’anno. Come si poteva prevedere, questo bilancio trimestrale ha confermato i timori che vedevano un netto peggioramento dei conti della BNS. La perdita netta è stata di circa 30 miliardi di franchi, che contrasta singolarmente con l’utile di 4,4 miliardi realizzato nel primo trimestre del 2014. Questa perdita è da attribuire alle posizioni in valute estere per ben 29,3 miliardi di franchi, dovuta evidentemente in gran parte all’abbandono del rapporto minimo del franco con l’euro e alla svalutazione (rispettivamente alla rivalutazione del franco svizzero) delle valute nelle quali sono investite le riserve della Banca. Anzi, questo disavanzo ha perfino raggiunto i 41,1 miliardi, aumentato anche dalla diminuzione dei prezzi delle riserve d’oro. Si dice spesso che comunque si tratta di risultati contabili, intanto perché confrontati con quelli dello scorso anno («dopati» dalla difesa dell’euro) e poi perché tradotti in un franco svizzero a sua volta soggetto a forti spinte al rialzo. A titolo di confronto con i livelli di fine 2014, al 31 marzo, il dollaro americano ha perso il 2%, l’euro il 13,1%, il dollaro canadese il 10,7%, la sterlina inglese il 6,9% et lo yen giapponese il 2,3%. Il prezzo dell’oro è sceso a sua volta da 38’105 a 37’127 franchi il chilogrammo.

La rivalutazione del franco svizzero sull’euro e su altre monete ha lasciato il segno nei conti della BNS. (Keystone)

Queste perdite sono state compensate dai rendimenti degli investimenti in titoli, favoriti dal buon andamento della borsa, per 9,9 miliardi e dal provento per interessi e dividendi per 1,9 miliardi di franchi. Da notare che a quest’ultimo risultato ha contribuito anche l’introduzione di interessi negativi, sui depositi in conto giro oltre una certa somma, per 328 milioni di franchi. I risultati del primo trimestre 2015 riflettono ampiamente l’effetto dell’abbandono della difesa del cambio franco/euro. Questo tuttavia in un contesto che vedeva già una tendenza alla perdita di valore per altre monete e alla

conseguente rivalutazione del franco svizzero. Questa decisione ha avuto effetti anche sull’economia, in particolare sull’industria d’esportazione, anche se in modo differenziato da settore a settore o perfino da impresa a impresa e anche da regione a regione. Nel seguito, le tendenze non sono però cambiate. Il rallentamento dell’economia americana (e l’inizio delle grandi manovre per le elezioni del prossimo anno), nonché la difficoltà di molti Paesi dell’area euro, non lasciano presagire nulla di buono sulle pressioni al rialzo del franco svizzero, nonostante le misure di difesa (tassi negati-

vi) e i tassi di interesse a livello vicino a zero, con un’inflazione pure vicina a zero, ma complice il denaro abbondante in Europa, grazie all’azione della Banca Centrale Europea. Se, da un lato, i risultati del primo trimestre della BNS possono far pensare a una «normalizzazione» nel settore dei cambi, dall’altro non mancano i segnali di un ulteriore peggioramento della situazione. Un recente documento del Dipartimento federale delle finanze e di quello dell’economia indica già alcune possibili misure di difesa più severe. Per esempio un rafforzamento della politica dei tassi di interes-

se negativi, una nuova difesa dei tassi di cambio per alcune monete, nonché, per finire, un’eventuale serie di misure sul controllo dei cambi. Misure difficili da applicare in un mercato «aperto» come quello svizzero e dalle conseguenze imprevedibili. Un livello minimo del cambio sull’euro (se credibile) dovrebbe essere più incisivo del precedente e potrebbe scatenare attacchi al franco svizzero. Un controllo dei cambi (politicamente impensabile in Svizzera) potrebbe però accompagnare le valute estere per un breve periodo. I possibili scenari futuri sarebbero un effetto stimolante dei tassi negativi sulla borsa e sul mercato immobiliare, ma deprimente – per esempio – sulle casse pensioni. Essi potrebbero favorire una corsa alle liquidità (denaro contante o a vista) soprattutto se il tasso (per essere efficace) dovesse aggirarsi attorno al 3-5%. Come combattere la tendenza? Un divieto del traffico contante (totale o parziale) è impensabile in Svizzera sul piano politico se non si vuol giungere a massicci interventi nella sfera privata e tentare di combattere il mercato libero. Il problema sarebbe in parte risolvibile (e in Svizzera se ne parla già) con un interesse negativo, per esempio del 3%, al momento in cui il contante viene versato in banca. Il problema non è però solo svizzero e proprio su questo tema è previsto un convegno a Londra, al quale parteciperà anche la BNS. Per quest’ultima, benché restia ad applicare misure contrarie al mercato e alla sfera privata, i risultati trimestrali possono essere un’importante indicazione dell’andamento annuale, che potrebbe registrare perdite anche superiori, ma si dovrà però essere pronti ad affrontarle.

Tassare maggiormente patrimoni ed eredità? Fisalità Le recenti tendenze europee all’imposizione dei beni patrimoniali (fra cui immobiliari) minano la base stessa

delle economie evolute e non contribuiscono a rilanciare la crescita economica

Edoardo Beretta Le principali organizzazioni economiche internazionali non fanno mistero di caldeggiare l’aumento dell’imposizione fiscale della sostanza patrimoniale, fra cui immobiliare: ad esempio, l’OCSE è particolarmente attiva in tal senso. Recentemente, tale organismo, a cui sono affiliati i 34 Paesi più industrializzati del mondo, ha sottolineato nel suo annuale «Revenue Statistics 2014» con riferimento alla Germania l’opportunità di tassare maggiormente patrimoni e eredità. A prima vista, il ragionamento parrebbe non presentare incongruenze: in base al diffuso principio della progressività fiscale, chi è più benestante è tenuto a contribuire di più rispetto a chi lo sia meno. Purtuttavia, imbracciando un’analisi meno a «scompartimenti», si stagliano all’orizzonte alcuni quesiti, che possono contestare la fondatezza stessa dell’approccio OCSE. Ad esempio, nel caso di una maggiore imposizione dei beni immobiliari (dove questi siano regolarmente registrati e concorrano già alla determinazione delle imposte da pagare) non si può dimenticare come questi siano stati già sottoposti a tassazione: più precisamente, prescindendo da imposte di registro varie all’atto dell’acquisto, i redditi (da base per l’acquisizione dell’immobile stesso) sono già stati a loro tempo sottoposti a imposizione tributaria.

Sebbene l’OCSE poi ripetutamente sottolinei nelle proprie «Economic Surveys» come una maggiore imposizione tributaria del possesso o della compravendita immobiliare non presenti effetti negativi sulla crescita economica, è opportuno accogliere questa rassicurazione con scetticismo, essendo tale mercato da sempre determinante nell’andamento economico. Che queste considerazioni siano oggi trascurate pare frutto di una nuova tendenza alla maggiore tassazione dei beni patrimoniali nel loro insieme così come ad assegnare al patrimonio

un’accezione negativa (tipica della figura letteraria dell’ereditiere). L’origine etimologica di tale termine è, però, a tinte meno fosche e pertiene al «dovere del padre», cioè ai lasciti ai legittimi eredi. In senso inclusivo, il patrimonio è nientemeno che la sostanza economica accumulata nel tempo da un soggetto (anche mediante il percepimento di eredità) e frutto del risparmio. In termini ancora più ampi, esso è quanto distingue le popolazioni dei Paesi sviluppati da tutte le altre. Quindi, la maggiore tassazione patrimoniale disincentiva l’accumula-

Tre generazioni fianco a fianco: le eredità lasciate alle prossime generazioni sono di nuovo maggiormente nel mirino del fisco. (Keystone)

zione di beni durevoli e trasferibili nel tempo, creando le precondizioni per precarietà e riduzione dei risparmi: per giunta, il patrimonio è tassato più volte, cioè dapprima sotto forma di redditi da lavoro (da cui ogni valore economico deriva) e, successivamente, per il mero fatto di concorrere alla sostanza complessiva di un individuo. Da non sottovalutarsi è, inoltre, il dispendio di risorse (di ogni singolo contribuente) connesso al mantenimento immobiliare, che contribuisce a creare esternalità positive, cioè si riverbera in modo benefico su ambiente e territorio. Che l’attuale situazione economica abbisogni di una svolta verso equità e benessere diffusi è indiscutibile. Il problema è complesso a fronte della suscettibilità connessavi, ma certo è che l’incremento dell’imposizione fiscale sia essa diretta o indiretta ha un limite preciso, cioè la sostenibilità da parte dei soggetti economici coinvolti. Né gli incessanti incrementi dell’IVA, che nell’Unione Europea ha raggiunto nel 2014 il livello medio di 21,7% rispetto a quella dell’OCSE del 19,1%, né prelievi una tantum sulla ricchezza privata – come citato a titolo esemplificativo dal FMI nel suo «Fiscal Monitor» del 13 ottobre 2013 – o un’imposizione regolare dei beni (im)mobili possono contribuire durevolmente a: 1) appianamento del debito pubblico, 2) rilancio della crescita economica e 3) maggiore equità sociale. Questi obiettivi non sono, infat-

ti, perseguibili mediante la mera redistribuzione di risorse, il cui effetto – ammesso che non si creda a qualche meccanismo moltiplicativo della ricchezza – è a «somma nulla»: in altre parole, la cessione del reddito dell’uno è l’acquisizione dell’altro. L’unica via da percorrersi (sebbene più impervia) è quella del cambiamento strutturale. Si deve, cioè, riscoprire l’intraprendenza degli anni Ottanta, riattivando quei meccanismi di flessibilità che rendevano possibile (con un «pizzico» di buona volontà) di salire la scala sociale: tale rinnovato spirito dovrebbe, naturalmente, essere plasmato sul contesto post-industriale, cioè tenendo conto della necessità di flessibilità lavorativa (in termini di modi e tempi) e sensibilità alle problematiche di nuove categorie lavorative (ad esempio, di donne, lavoratori part-time ecc.). Una maggiore tassazione del patrimonio (di piccoli e grandi contribuenti) va, invece, nella direzione opposta in quanto penalizza il risparmio: nel migliore dei casi, essa implica il mantenimento di uno stato stazionario, mentre nel peggiore degli scenari un impoverimento della società oltre che conflittualità al suo interno. Il ritorno alla crescita diffusa per i Paesi OCSE è a portata di mano: si tratta di coglierlo, sfruttando la tecnologia, l’apertura ai mercati globali e includendo sempre più individui nel creare nuova ricchezza da aggiungersi a quella preesistente.


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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi La montagna vive La vera novità delle recenti elezioni cantonali ticinesi, anche se di proporzioni modeste, è costituita dall’ingresso in Gran Consiglio di un deputato della lista «Montagna viva». Finora gli interessi territoriali in Gran Consiglio erano rappresentati dalla Lega, per la quale il Ticino intero costituisce il territorio da difendere. In futuro, invece, il discorso di protezione del territorio avrà, per usare un’espressione mutuata dalla statistica, un grado di libertà in più: la montagna. Ma, attenzione, «Montagna viva» non dovrebbe, in sé, essere il solo movimento di una parte contro il resto. Nell’ottica del discorso identitario, che occupa di sicuro una posizione preminente nell’ideologia dei montagnards, il Ticino intero, dalla valle Bedretto a Chiasso, è un cantone di montagna. Senza le sue montagne e le sue valli il Ticino non esisterebbe. Le città e, soprattutto,

gli agglomerati urbani, non contano ancora cento anni. I valori sui quali si fonda l’identità cantonale vengono, non lo si può negare, dalle comunità agricole della montagna. Il Ticino, poi, è un cantone di montagna anche in prospettiva nazionale. Che si tratti di perequazione finanziaria, di mobilità, stradale e ferroviaria, di pianificazione del territorio e protezione del paesaggio, di cambio climatico, di spese per il militare, di energia e, sì, anche di turismo, gli interessi del Ticino sono quelli di un cantone alpino e il Ticino li deve difendere alleandosi agli altri cantoni alpini. La presenza di «Montagna viva» in parlamento potrebbe quindi ricordare ai ticinesi, bombardati negli ultimi decenni da documenti e studi che facevano risaltare l’importanza delle regioni urbane per lo sviluppo economico del cantone, che, di fatto, a livello nazio-

nale, il Ticino continua a restare un cantone di montagna. Tuttavia, non credo che il discorso identitario sia quello che motiverà il rappresentante di «Montagna viva» nei suoi interventi in Gran Consiglio. È più probabile, invece, che gli stessi assumeranno un carattere rivendicatorio in una prospettiva, neo-nazionalista, di lotta tra territori: la montagna contro la città. La Montagna, la grande dimenticata, contro le zone urbane che si appropriano di tutte le risorse del cantone. La Montagna, che diventa sempre più povera, contro la città dei milionari e dei miliardari. Un discorso, insomma, nel quale la nozione di lotta di classe viene sostituita dalla nozione di lotta tra territori con interessi contrastanti. Staremo a vedere. Per il momento, sembra di capire che uno dei bersagli contro i quali il granconsigliere di «Montagna viva»

sparerà le sue cartucce è il programma di aggregazioni. Sappiamo, perché ce l’ha ripetuto molte volte Werner Bätzing, il geografo delle Alpi, che quello alpino è un paesaggio fatto dagli uomini. La montagna e le valli non possono quindi sopravvivere senza abitanti. Che, oggi, in un’economia terziarizzata, non possano sopravvivere senza piccoli comuni resta però da dimostrare. Intanto a chi, in un’ottica di protezione della montagna e delle valli, si oppone alle aggregazioni, si può ricordare che è proprio grazie alle aggregazioni, e meno attraverso la perequazione finanziaria, che nell’ultimo quarto di secolo, in Ticino, si sono ridotte le forti disparità nelle risorse fiscali pro-capite dei comuni. In 25 anni, dal 1982 al 2007, il rapporto tra le risorse fiscali pro-capite comunali nel distretto con il valore più alto (sempre Lugano) e nel distretto con

il valore più basso (nel 1982, Blenio, nel 2007, Riviera) è diminuito da 2,45 a 2,18. Ma la disparità nelle risorse fiscali pro-capite non si è ridotta solo a livello cantonale. Essa è diminuita, in generale, anche all’interno dei distretti, in particolare in quei distretti dove le aggregazioni di comuni sono state importanti. Nel distretto di Blenio la riduzione delle disparità nelle risorse fiscali pro-capite è stata del 79,8%; in Leventina del 56,4% e in Vallemaggia del 54,4%. Purtroppo, i dati pubblicati non ci consentono di seguire la situazione che fino al 2007. Suggeriamo al rappresentante di «Montagna viva» in Gran Consiglio che, tra le sue prime proposte, faccia quella di tornare a pubblicare statistiche regionalizzate, come si è fatto fino al 2010. Potremo così più facilmente seguire l’evoluzione delle regioni di montagna di quanto non possiamo fare oggi.

dire con sempre maggiore frequenza che i poliziotti sono portati a usare la forza in modo più brutale quando sono davanti a un nero. David Simon, creatore della serie tv The Wire, poliziesco-capolavoro ambientato a Baltimora e nei suoi quartieri in cui non si può nemmeno entrare, ha detto dopo la prima notte di scontri: «Quello che sta succedendo ora nelle strade è un affronto al ricordo del ragazzo e una diminuzione della lezione morale assoluta impartita dalla sua morte non necessaria. Se non riuscite a chiedere riforme senza tenere un mattone in mano, allora rischiate di sprecare questo momento che era di tutti noi di Baltimora. Tornate indietro. Andate a casa. Per favore». L’appello non è stato accolto, per giorni a Baltimora c’è stata guerriglia urbana, il coprifuoco è stato tolto soltanto dopo cinque giorni di scontri, con la Guardia nazionale a presidiare la città e centinaia di arresti. Sei poliziotti saranno processati, il neo ministro della Giustizia, Loretta Lynch, è

andata in visita in città, ripetendo uno schema già utilizzato a Ferguson dopo l’uccisione di un altro ragazzo, Michael Brown: cordoglio, non lasceremo che accada di nuovo. Gli amministratori delle città sanno che il rapporto tra la polizia e la comunità è come un matrimonio burrascoso, se non funziona volano piatti, si finisce male. Ora si pensa a una riforma della polizia, Prince arriva per fare un concerto dedicato alla morte del ragazzo e alla città che può e deve trovare una nuova pace, una nuova forma di convivenza, ma mentre fuori dai confini «senza speranza» della parte ovest della città, quella della povertà e della violenza («siamo tutti Freddy, qui», hanno ripetuto i ragazzi intervistati), Baltimora riprende la sua vita normale, le amministrazioni cittadine sono sempre sotto accusa. Come si cura una ferita così? Dando una speranza, dice Obama, dando una speranza economica, dicono gli esperti. Dal 1995, Baltimora ha perso più di 100 mila posti di lavoro nel settore manifatturiero, le aziende dell’acciaio sono

chiuse, il porto, una volta florido e indispensabile, è crollato all’undicesimo posto, e la manifattura conta soltanto per il 7 per cento dell’occupazione della città. Il 24 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà, nel resto del Maryland la percentuale è pari a 10, e infatti il 35 per cento dei cittadini, dal 1950 a oggi, se n’è semplicemente andato. Nelle zone in cui è scoppiata la rivolta, il 52 per cento degli abitanti tra i 16 e i 64 anni non lavora, il reddito familiare medio è sotto la soglia federale di povertà e buona parte delle case fatte costruire negli anni Novanta da Kurt Schmoke, primo sindaco nero della città (gli afroamericani sono il 63 per cento della popolazione attuale), è vuota o a pezzi. La deindustrializzazione ha lasciato un buco di povertà e violenza e l’unico modo per riempirlo, oltre a restaurare il matrimonio con la polizia, è stimolare il settore privato a investire, visto che quello pubblico deve sempre scegliere se costruire una scuola o formare poliziotti: tutto, come racconta The Wire, non si può.

del 2008: «Secondo dati diramati dal ministero della giustizia Usa, gli Stati Uniti nel 2007 hanno stabilito un nuovo primato con una popolazione carceraria di 2,3 milioni di detenuti. Il numero degli uomini (2,1 milioni) supera di dieci volte quello delle donne (208 mila). La percentuale più alta dei detenuti è quella degli afroamericani, che sono il 35,4 per cento del totale della popolazione carceraria, nonostante siano poco più del 10 per cento della popolazione americana. Di fatto il 4 per cento degli uomini afro-americani Usa sono in carcere, contro l’1,7 per cento degli ispanici e lo 0,7 per cento dei bianchi». Seguivano altri parametri interessanti: «Il tasso di incarcerazione degli Stati Uniti, con 762 cittadini in prigione ogni 100 mila abitanti, è circa otto volte più alto di quello della maggioranza dei Paesi industriali. (…) Il notevole costo delle spese di mantenimento dei carcerati, oltre 60 miliardi di dollari l’anno, ha spinto molti Stati ad approvare misure

per favorire la scarcerazione dei detenuti meno pericolosi, per risparmiare sulle spese». La stessa nota dell’Ats alla fine riferiva che il governatore del Michigan Jennifer Granholm aveva commentato i dati precisando che «In Michigan si spendono più soldi per le prigioni che per l’educazione scolastica superiore». Sotto quella pesante serie di dati riguardanti la politica giudiziaria e carceraria degli Usa a mano avevo aggiunto questo monito di un leader politico americano di quegli anni: «È drammatico per un Paese democratico come il nostro che il numero di giovani neri incarcerati sia maggiore di quelli che riescono a frequentare le scuole superiori». Nei giorni scorsi ho invece aggiunto tre nuovi documenti. Il primo è un dato evidenziato dall’economista Richard Rothstein: «Il reddito medio delle famiglie afro-americane è di circa il 60% inferiore a quello delle famiglie di bianchi e inoltre il valore delle abitazioni dei lavoratori neri raggiunge

solo il 5% di quello delle abitazioni dei bianchi». Il secondo un giudizio di David Von Drehle, ex giornalista del «Washington Post» e autore del servizio del «Time»: «L’origine di questi giorni di rabbia, che siano a Ferguson o North Charleston o Baltimora, risale a decenni fa, ed è un misto di diversi fallimenti. Ciascun momento critico è differente: così come sono diverse le risposte date. Ma c’è qualcosa di universale, comunque. Come ha notato Obama durante alcune dichiarazioni nel Rose Garden – che sono state sia determinate che disperate – “penso che noi, come Paese, dobbiamo farci un esame di coscienza. Non è una cosa nuova. È una cosa che va avanti da decenni”». Infine, terzo appunto, le parole del rev. Jesse Jackson ai funerali del giovane assassinato dai poliziotti a Baltimora: «I nostri figli sono i meno istruiti, i più inchiestati, i più incarcerati, i più disoccupati, quelli che fanno più prigione e che hanno la più corta speranza di vita».

Affari Esteri di Paola Peduzzi Ferguson, New York, Baltimora Il lungo muro bianco tra N. Mount e Presbury Street, a Baltimora, Maryland, Stati Uniti d’America, è ora ricoperto da un grande disegno fatto da un artista di strada. Questo è l’angolo in cui è stato arrestato dalla polizia, il 12 aprile scorso, Freddie Gray, un ragazzo di venticinque anni, afroamericano, sospettato di avere un coltello illegale: Gray è stato caricato su un furgoncino, quando ne è sceso era in coma, è stato ricoverato, è morto cinque giorni dopo per gravi lesioni alla spina dorsale. Sul muro c’è al centro la faccia di Gray, a sinistra una protesta per i diritti civili in cui il più visibile è il reverendo Martin Luther King, a destra la protesta di Baltimora, quella che è scoppiata violentemente dopo l’arresto e la morte di Gray e che per giorni ha bloccato la città e la coscienza degli americani. È stato un anno difficile, questo, per l’integrazione e per il rapporto tra polizia e comunità afroamericana, e la presenza alla Casa Bianca del primo presidente nero della storia non ha aiutato a calmare gli animi. Ferguson,

New York, Baltimora, e poi altri casi più piccoli, ma non per questo minori, hanno riportato a galla risentimenti che parevano sopiti, o che riguardavano soltanto delle situazioni considerate eccezionali. Secondo un sondaggio del «New York Times» e della Cbs, il 61 per cento degli americani ora considera le relazioni razziali generalmente negative: dopo Ferguson, questo dato era al 44 per cento, ed è il dato peggiore registrato durante la presidenza Obama. E soprattutto gli americani tendono a

Zig-Zag di Ovidio Biffi L’attualità e il ritorno del passato «Sono senza parole» ha detto il fotografo amatoriale Devin Allen vedendo il settimanale «Time» con in copertina una fotografia scattata da lui quasi mezzo secolo fa. Quella foto, come spesso capita, più di tanti editoriali e di dichiarazioni di politici, riesce a sintetizzare il dramma che gli Stati Uniti stanno nuovamente affrontando: la violenta protesta della popolazione di colore in alcune città contro la brutalità delle forze dell’ordine su neri sospettati o arrestati. La foto in bianco e nero ritrae un ragazzo nero inseguito da diversi agenti della polizia in tenuta antisommossa; il titolo dice «America, 1968», aggiornato con un 2015 sovrascritto in rosso; il sottotitolo precisa: «Cosa è cambiato. Cosa non lo è». Il settimanale è uscito con questa copertina il giorno prima che venissero incriminati sei agenti per l’ultimo episodio della tragica serie iniziata a Ferguson, continuata a North Charleston e con una terza puntata a Baltimora. Anche «Azione» con i suoi autore-

voli corrispondenti dagli Stati Uniti ha via via commentato questo rigurgito di razzismo che gli americani scoprono proprio in contemporanea con l’avvio della corsa alle presidenziali e soprattutto con l’ultimo periodo alla Casa Bianca del loro primo presidente nero. Se intervengo su questo tema è per rievocare in successione alcuni tasselli che rappresentano un ottimo punto di partenza per capire che le proteste della popolazione di colore sono state originate dalla brutalità della polizia, ma anche dalla vessazione della giustizia contro la popolazione afro-americana. Perché, al di là dei singoli episodi di Ferguson, North Charleston e Baltimora, cioè di uccisioni di sospettati venute a galla solo perché documentate con dei filmati, è la ormai quotidiana iniquità a generare pressione, ostilità e a favorire la violenza. La conferma la trovo, proprio come la foto di copertina del «Time», in questo dispaccio dell’Agenzia telegrafica svizzera che ho in archivio dal giugno


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Cultura e Spettacoli In ricordo di Günter Grass Non solo Nobel: il grande narratore tedesco si è esposto spesso e con veemenza

Starnone a Chiasso Domenico Starnone ci racconta quel che resta del ’68 e l’importanza della scuola

A pochi giorni da Cannes Tris tutto italiano alla Croisette: oltre a Nanni Moretti scenderanno in campo anche Matteo Garrone e Paolo Sorrentino

La magica penna di Pratt Esattamente vent’anni or sono a Losanna moriva uno dei più grandi «fumettari» del ’900 pagina 38

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La materia inesistente Mostre Milano omaggia il grande

scultore Medardo Rosso

Alessia Brughera Da una parte la materia, lavorata fin quasi a dissolverla; dall’altra la luce, manipolata fin quasi a inglobarla nell’opera stessa. Medardo Rosso si è confrontato per tutta la vita con questi due elementi, eleggendoli a protagonisti assoluti della sua arte. “Non c’è nulla di materiale, noi stessi siamo solo scherzi di luce”, sosteneva il maestro, e così dicendo creava sculture come fugaci apparizioni, come impressioni istantanee dalle superfici palpitanti e luminose. Non stupisce, allora, come nel panorama artistico a cavallo tra Ottocento e Novecento i suoi lavori appaiano estremamente moderni, per molti versi precursori delle esperienze dei movimenti avanguardistici. Del resto il poeta francese Guillaume Apollinaire definisce Rosso come «il più grande scultore vivente», mentre il pittore Umberto Boccioni vede in lui un anticipatore delle problematiche formali futuriste, affermando che «è il solo artista che abbia reso con la plastica le influenze di un ambiente e i legami atmosferici che lo avvincono al soggetto». La mostra che la Galleria d’Arte Moderna di Milano dedica in questi giorni a Medardo Rosso ha il pregio di mettere in evidenza proprio la componente di grande modernità della sua intera produzione, supportata dalla vocazione cosmopolita delle sua ricerca nonché dall’eclettismo e dall’anticonformismo della sua personalità. La rassegna è composta dall’importante nucleo di lavori già custodito nelle collezioni della Galleria di via Palestro, a cui si aggiungono opere prestate dal Museo Rosso di Barzio e da altre istituzioni italiane e internazionali. Ne emerge la figura di un artista complesso e sotto tanti punti di vista ancora da scoprire. Se difatti lo si può annoverare tra gli scultori più noti e studiati del panorama europeo tra i due secoli, ancora oggi parte dell’attività di Rosso non è pienamente conosciuta, complice il fatto che lui stesso, in vita, ha reso difficoltoso ricostruirne lo sviluppo cronologico, talvolta tenendo nascoste alcune opere (ad esempio quelle fotografiche), talaltra esponendole a distanza di molti anni dalla loro effettiva creazione (causando non poca confusione riguardo alle datazioni) o

ancora distruggendo preziosi documenti prima di morire (come la sua corrispondenza con gli artisti e gli intellettuali del tempo). Nato a Torino nel 1858, Rosso si trasferisce a Milano nel 1870. La sua battaglia contro le convenzioni e il tradizionalismo incomincia sin da quando si iscrive all’Accademia di Brera, da cui viene espulso dopo nemmeno un anno, reo di aver richiesto, in segno di protesta contro i metodi d’insegnamento, l’adozione di modelli viventi al posto dei manichini. I suoi primi lavori tendono alla ricerca della verità, in perfetta consonanza con le contemporanee indagini del verismo sociale. Di questi esordi artistici nel capoluogo lombardo, la mostra espone alcune opere dal naturalismo marcato e dal realismo partecipe, significative perché ci danno subito l’idea di come per Rosso sia fondamentale la resa degli stati d’animo e delle qualità psicologiche delle persone ritratte. I soggetti provengono dai bassifondi milanesi, da quel proletariato urbano che fornisce un’ampia gamma di individui: emarginati, umili, gente comune. Ecco allora la Ruffiana con il suo ghigno beffardo, la cui prima versione viene esposta nel 1887 a Venezia lasciando gli osservatori sbigottiti perché montata sul battente di una porta in legno su cui l’artista ha inciso la parola «fine», evidente riferimento alla vecchiaia e al tempo che trascorre inesorabile. O il Birichino, bronzo del 1882 in cui già si percepiscono l’insofferenza di Rosso per le forme definite e il suo interesse, invece, per quelle irregolari, dinamiche e vibranti, perfette per accogliere la luce. O ancora il Sacrestano, visione caricaturale dai poco velati accenti anticlericali in cui lo scultore modella la materia in maniera fluida e guizzante. Nel 1889 Rosso si reca a Parigi, dove resterà per ben venticinque anni. Qui entra in contatto con uno straordinario humus artistico e culturale: frequenta i neoimpressionisti, i simbolisti e, soprattutto, Rodin. Sono anni di grandi sperimentazioni in cui, attraverso il bronzo, la cera e il gesso, matura la sua concezione plastica. Ne è un esempio la Grande Rieuse del 190304, opera in cui, nell’aspetto traslucido e caldo della cera, lo scultore plasma

Medardo il Rosso, Ecce puer (1906), gesso patinato. (© Saporetti Immagini d’Arte)

il volto come una sorta di maschera atemporale dai contorni sfaldati e dalla superficie accidentata. I suoi lavori adesso oltrepassano il mero ritratto per divenire l’impressione di un’immagine, la trasposizione di una forma percepita in un istante e tradotta nelle sue valenze psicologiche ed emotive, in cui la luce gioca un ruolo essenziale. Nell’Enfant Juif, del 1893, l’espressione del bambino varia addirittura col variare della luminosità, assumendo sfumature ora malinconiche ora gioiose. In mostra a Milano troviamo anche la splendida Madame X, opera in cera su gesso del 1896 (mai replicata) prestata dalla Galleria Internazionale

d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia; qui Rosso giunge a un grado di sintesi suprema in cui ogni riferimento al reale è completamente bandito e l’approdo all’astrazione è ormai avvenuto. Di grande supporto alla comprensione del suo lavoro è una preziosa sezione dedicata alla fotografia, imprescindibile mezzo che l’artista utilizza per le sue ricerche. Rosso immortala le sue sculture, i suoi disegni, gli scatti di altri e i ritagli di giornale per poi rielaborarli con viraggi, collages, strappi, abrasioni, ingrandimenti e interventi pittorici. Ed è proprio attraverso la fotografia che riesce a identificare l’esatto punto di vista da cui si deve guardare ogni sua opera: quell’u-

nica e sola visuale in grado di farci cogliere appieno la poetica rivoluzionaria della sua scultura, in cui egli racchiude l’uomo e lo spazio circostante, cattura ombre e luci e modella la materia fino a farla dimenticare. Dove e quando

Medardo Rosso. La luce e la materia. Galleria d’Arte Moderna di Milano. Fino al 31 maggio 2015. A cura di Paola Zatti. Orari: lu 14.30-19.30; ma, me, ve, sa e do 09.30-19.30; gio 09.30-22.30 Catalogo 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE www.mostramedardorosso.it



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Cultura e Spettacoli

Alla fine Grass incontrò la verità

In memoriam A poche settimane dalla scomparsa del Premio Nobel tedesco Günter Grass il ritratto

di uno scrittore a volte scomodo e senza peli sulla lingua ma, soprattutto, alla fine molto onesto

Luigi Forte Fu un esordio senza precedenti. Con Il tamburo di latta uscito nel 1959 Günter Grass creò il romanzo della nuova Germania, il bestseller che guardava al futuro facendo inesorabilmente i conti con il tragico passato. Quel libro era la cronaca caotica e farsesca di una manciata di anni che avevano sconvolto il mondo intero, una grottesca autobiografia consegnata nelle mani del nanetto Oskar Matzerath, il cui corpo si rifiuta di crescere per non allinearsi alle responsabilità degli adulti, mentre la mente intelligente e paranoica spazia su un paese devastato dal nazismo, poi diviso in due e incapace di ritrovare una propria identità. Infine, Grass gioca a rimpiattino con la reale consistenza della scrittura, mentre il suo protagonista sentenzia dal manicomio dov’è rinchiuso: «Non ci sono più eroi da romanzo perché gli individualisti non esistono più…». Può darsi che la vecchia epica cominciasse a traballare dopo l’apocalisse tedesca, ma certo la geniale vena narrativa dello scrittore di Danzica, dov’era nato nel 1927, racconta un’altra storia. Quella di un soggetto sovrano che rende possibile una visione unitaria, un’epica consapevole di nuovi compiti, mescolando favola e riflessione, animato da un vitalismo esuberante, da una curiosità sanguigna e corrosiva. Membro del Gruppo 47 a cui si deve la rinascita della letteratura tedesca dopo l’anno zero, Grass creò un picaresco nano che rifiuta di collaborare, allergico a quella società uscita dalla guerra come, pochi anni dopo, lo sarà il mimo Hans Schnier protagonista del romanzo di Heinrich Böll Opinioni di un clown (1963), anch’egli emarginato e insofferente, esempio di una difficile, quando non impossibile, conciliazione fra vita e letteratura. Due autori così diversi, accomunati da un severo impegno morale e da una profonda riflessione su colpa e responsabilità del popolo tedesco negli anni del nazismo. Ambedue insigniti del premio Nobel a coronamento di un altissimo impegno artistico, ma anche di una profonda vocazione di riscatto morale. Uno scrittore è qualcuno che scrive

Schietto e spesso scomodo, lo scrittore tedesco Günter Grass, scomparso lo scorso 13 aprile. (Keystone)

contro l’oblio, diceva Grass. E lui non poteva né voleva dimenticare quel tragico passato incastonato in una curiosa novella come Gatto e topo (1961) o in un romanzo di densa sostanza storica come Anni di cane (1963), dove testimoni e protagonisti di momenti drammatici sono ancora i giovani, come Joachim Mahlke il cui pomo d’Adamo è talmente abnorme da sembrare un topo, o il goffo e grasso ebreo Amsel, abile costruttore di spaventapasseri. Lo scrittore di Danzica è stato l’ostinato cronista della storia tedesca dopo Auschwitz, il narratore di una rinata identità democratica, il «pessimista nazionale» che riteneva prematura l’unificazione. «Restare scettici è meglio che diventa-

re cinici», sosteneva. E al di là del Muro gli faceva eco Christa Wolf, la maggior scrittrice della Rdt, coscienza inquieta e problematica di un socialismo ebbro di slogan e di promesse disattese. Grass si è confrontato con il proprio tempo, riflettendo sul movimento studentesco e sul partito socialdemocratico a cui è stato legato per anni in un libro come Anestesia locale (1969) e ha osservato il presente dall’archivio del passato come nel romanzo fluviale È una lunga storia (1995). Ha usato l’apologo (Il richiamo dell’ululone) per riflettere sulla caduta dei confini e la fine della vecchia Europa e riesumato il genere dell’almanacco per rivisitare l’intero Novecento, ormai algida icona

sulla scena del tempo, ne Il mio secolo (1999). È stato un instancabile viaggiatore con il taccuino in mano e la matita (lui splendido e grottesco disegnatore!) pronta a fissare immagini e sensazioni indelebili come nel romanzo-cronaca Mostrare la lingua (1988) scritto in occasione di un soggiorno a Calcutta fra i «dannati della terra». Diceva di non amare i diari, ma non esitò a riempire pagine di annotazioni: dal Diario di una lumaca sulla campagna elettorale del 1969, in cui accompagnò Willy Brandt in giro per la Repubblica Federale, al più recente Da una Germania all’altra, che tenne a partire dal 1990. Ne esce il ritratto di uno scrittore deluso e amareggiato che non risparmia

nessuno: né il pragmatismo elevato ad ideologia della Spd, né suoi autorevoli colleghi come Heiner Müller, affetto da un cinismo ormai di routine, o Enzensberger che dice solo fanfaronate sul filosofo Bloch. Ciò che manca in queste pagine è il vero idioma letterario, quella scrittura caustica e straniante viva in romanzi come La ratta (1986), apologo sulla vita minacciata e l’inquinamento del pianeta, e ancor prima ne Il rombo (1977), debordante pamphlet femminista, zeppo di trovate e funambolismi linguistici, di cui sono protagoniste undici cuoche in un arco di tempo di quattromila anni. Qui il sapido erotismo dello scrittore, già presente nei suoi disegni e in alcune poesie, diventa alleato della donna nel tentativo di demonizzare ogni mito maschilista e viriloide, però in un’ottica conciliativa, di collaborazione fra i sessi. Ne sapeva qualcosa il patriarca Grass con tre mogli, otto figli e numerosissimi nipoti. Proprio ai figli diede l’incarico di raccontare in un libro di ricordi, Camera oscura (2008) da punti di vista diversi la storia del clan familiare. Mentre lui, un paio di anni prima, aveva scritto la propria autobiografia, Sbucciando la cipolla, e scatenato polemiche a non finire. Era inevitabile: confessò per la prima volta di essere stato dall’autunno del 1944 nelle Waffen-SS come volontario. Non un corpo militare, ma una banda di assassini. Anche se l’allora giovanissimo Grass non fu coinvolto in operazioni di sterminio. Vittima inconsapevole della propaganda di regime, il grande scrittore, coscienza critica della nuova Germania, si era macchiato di un colpevole silenzio. «Certi temi erano sedimentati in me – disse –, ma io non ero in condizione di renderli pubblici». Solo alla soglia degli ottant’anni, ripercorrendo la stagione della giovinezza e riordinando anche moralmente i tasselli della propria vita, lo scrittore ha trovato le parole della verità. Sbucciando la cipolla della memoria, sul filo di una lunga affabulazione, il picaro Grass, scomparso nello scorso mese di aprile, riuscì ad assopire il suo senso di colpa e a battere sul vecchio tamburo non solo la propria storia ma quella di un intero paese.

Tutti i misteri del cosmo Mostre Al Museo Rietberg di Zurigo un viaggio lungo milioni di anni

Marco Horat La ricerca scientifica sta svelando i misteri legati al cosmo, alla sua origine, composizione e relativo sviluppo nel tempo e nello spazio. Vero o falso? Se, come si dice spesso, la scienza, più che fornire risposte, pone domande, allora siamo ben lontani dal capire cosa sia veramente successo miliardi di anni fa, quando si è verificato il famoso Bing Bang che ha dato origine al tutto, e cosa sia capitato in seguito. Restano sempre domande del tipo: prima del Bing Bang cosa c’era? Il nulla senza lo spazio, il tempo e la materia? E ancora: fu una sola esplosione cosmica 14 miliardi di anni fa o una miriade di trasformazioni che nel tempo hanno generato mondi infiniti e la misteriosa antimateria (buchi neri ecc)? C’è di che far girare la testa anche alla persona più insensibile. La cosmologia è lo studio scientifico e razionale dell’universo fisico, ad esempio attraverso l’astrofisica e le discipline che oggi la affiancano; mentre la cosmogonia allarga il concetto prendendo in considerazione anche le teorie e i miti che spiegano la nascita del co-

smo, compreso il nostro piccolo mondo, nel corso dei millenni trascorsi. È questo l’intrigante doppio percorso offerto dal Museo Rietberg di Zurigo, nella mostra Il Cosmo, mistero dell’umanità. Un lungo viaggio che tocca 17 culture in Europa, Asia, Africa e America (se ne potrebbero aggiungere molte altre), dall’antichità ai nostri giorni, grazie a 180 reperti (strumenti, pitture e sculture, testi e altro ancora) provenienti da 20 collezioni diverse tra le quali quelle del Planetarium di Zurigo, e a postazioni audiovisive di grande impatto: il mondo come è stato visto, interpretato e rappresentato dall’uomo nel passato sotto cieli diversi, e nel presente. L’invito è quello di approfondire le proprie conoscenze in materia, allargando l’orizzonte alla preistoria e ad altre culture dove si mescolano osservazioni sul campo (come per il moto degli astri) con la magia e la superstizione, la presenza di divinità positive o negative, di creature fantastiche oppure di eroi; facendo capo a studiosi quali Mircea Eliade o Joseph Campbell e ai loro testi specialistici. Ogni cultura con le proprie storie, certo, legate al contesto ambientale e culturale nel quale sono nate; ma con sor-

greggi di pecore e gli uccelli del cielo. Il buddhismo e l’induismo parlano pure di infiniti universi perennemente in trasformazione fin dalle origini dei tempi e per l’eternità, dove l’uno è il tutto e viceversa. Vuoi vedere allora che per capire il mondo bisogna magari conoscere il mito della creazione degli Yoruba della Nigeria, che raccontano del dio Orisha colpito da una pietra che lo fa esplodere in mille pezzi, così che l’essenza divina si ritrova da allora in tutte le parti dell’universo? Il mondo come riflesso di un dio creatore. Le foto del nostro pianeta prese dai satelliti o dai cosmonauti che ruotano nello spazio su navicelle e stazioni orbitanti ci dovrebbero far capire quanto piccoli siamo nei confronti dell’universo senza fine che ci circonda, ricco di altrettanti innumerevoli sistemi solari e galassie con miliardi di stelle... all’infinito. Davvero un bel mistero.

Globo celeste, India, Lahore, fine 16mo/inizio 17mo secolo. Bernisches Historisches Museum. ( Yvonne Hurni)

Dove e quando

prendenti analogie e punti di contatto. La moderna scienza ci dice che il microcosmo, ad esempio l’uomo, è costituito esattamente come il macrocosmo, dove gli atomi di idrogeno sono la grande maggioranza della materia. Il filosofo

cristiano Origene di Alessandria, vissuto nel III secolo, aveva detto più o meno la stessa cosa, solo in modo più poetico, ricordando ai suoi discepoli come il sole, la luna e le stelle fossero dentro ciascuno di noi, così come le mandrie di buoi, le

Il Cosmo, Mistero dell’umanità. Zurigo, Museo Rietberg (Gablerstrasse 15). Orari: ma-do 10.00-17.00; me 10.00-20.00; lunedì chiuso. Fino al 31 maggio 2015. www.rietberg.ch


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Cultura e Spettacoli

Ricordando Pratt

Con Montanini un pallido 3 maggio

impegnarmi leggo Corto Maltese», Umberto Eco dixit

Visti in tivù «Charlie

Anniversari «Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Hegel, se invece desidero

romanziere, suggeritogli dalla divisa indossata sia pure per pochi momenti dal Burt Lancaster del film Il trono nero (1954) di Byron Haskin. Una sorta di predestinazione se si vuole vedere in questa figura di carta la proiezione del carattere del cartoonist (nato presso Rimini per caso il 15 luglio 1927 da venezianissimi genitori, lì in vacanza) con tutte le sue convinzioni ideologiche e umane e la somma dei suoi interessi culturali vissuti in prima persona tra le popolazioni del mondo, rafforzato da giuste letture (London come Rimbaud, Melville come Maugham, per citare tra tantissimi altri: accomunati in una personale libreria infinita). Avrebbe voluto fosse proprio Lancaster a interpretare in un film Corto Maltese. Film mai nato come altri su progetti successivi preparati con produzioni, e attori. L’unica sua occasione cinematografica, assieme a brevi ruoli da lui vissuti in film di amici, si concretizzò con un suo romanzo disegnato fuori serie: Jesuit Joe. Ambientato in Canada con la regia «patinata» di Oliver Austen.

Corto Maltese era nato come disinvolto avventuriero nel primo romanzo lungo Una ballata del mare salato (1967), realizzato fortuitamente dall’incontro con un imprenditore edile genovese, Florenzo Ivaldi, collezionista di tavole originali, dopo il ritorno di Hugo in Italia dalla proficua intensa formativa sua attività in Argentina (era stato chiamato assieme agli altri adolescenti che a Venezia avevano «inventato» nel 1948 con incosciente entusiasmo il perodico a fumetti Asso di Picche, dall’editore Cesare Civita emigrato laggiù per sfuggire alle leggi razziali di Mussolini e bisognoso per il suo impero di giornali illustrati di mani fresche). Bene. Osservando l’originale della tavola disegnata per il frontespizio viene da pensare che Corto fosse il personaggio di una sola stagione. Nel gruppo di figure che animano la storia, Corto è su un aggiunto brandello di carta velina incollato al foglio Fabriano. Sappiamo invece della sua incredibile affermazione nell’immaginario soprattutto dei giovani, una volta rifinito nell’aspetto e nel carattere propenso all’ironia, obbediente alla propria indipendenza al servizio di avventurose occasioni talora d’aiuto in più aree geografiche alla risoluzione di giuste cause. Al di là dell’aspetto fisico, specchio mentale, come è stato più volte rilevato, del proprio «narratore». Chiamato Hugo Maltese in fumetti di autori amici, cioè Pratt (all’anagrafe privo della seconda «t» e chiamato semplicemente Ugo) infilato nell’abito di Corto. Maestro di Malamocco, lo definì Oreste del Buono avendo abitato a lungo, il disegnatore, in quel sito del Lido lagunare. A conferma del proprio transfert psicologico nel personaggio, come lui «cittadino del mondo», abbiamo i momenti di nostalgici rimandi a Venezia. Anche quando la città d’acqua non è set protagonista della storia narrata. Con l’uso talora scherzoso del dialetto (strizzate d’occhio a veneziani e veneti) ma anche di contraddittoria malinconia dettata dall’ansia di partire. «Ogni volta che vengo a Venezia mi impigrisco... Devo andarmene da questa città. Venezia sarebbe la mia fine» fa dire, Hugo, a Corto nelle venezianissime storie Corte Sconta detta Arcana e L’Angelo della finestra d’oriente.

lista dell’Opéra di Parigi, che ne offre una nuova versione, un po’ più scarna per la verità, per quanto riguarda sia i divertissement sia le pantomime, sia, purtroppo, gli entrechat generalmente danzati da Albrecht. Tant’è, la serata ha comunque molti aspetti positivi. Campeggia, in questa nuova versione zurighese, Yen Han che nel ruolo del titolo supera sé stessa passando con disinvoltura dalla danza realistica del primo atto a quella più lirica, filigranata, soprannaturale del secondo. La ballerina cinese nata negli Stati Uniti è perfetta per espressività (già il viso palesa gran-

de intensità e energia), per capacità di immedesimazione e per tecnica. Accanto a lei, Denis Vieira nel ruolo di Albrecht, appare in verità un po’ sbiadito. Bravi anche Viktorina Kapitonova nei panni della terribile Regina delle Wili e Felipe Portugal in quelli di Hilarion. Resta ancora da dire dell’essenziale ma efficace scenografia e dei costumi di Luisa Spinatelli, del suggestivo light design di Martin Gebhardt, della buona prova della Philarmonia Zürich diretta da Ermanno Florio e delle repliche che si protrarranno fino al 22 maggio e alla stagione prossima.

Piero Zanotto Riassumere in un ricordo giornalistico la complessa personalità umana e creativa di Hugo Pratt a vent’anni dalla morte (20 agosto 1995, in una clinica di Losanna) porta il rischio di scivolare nella approssimazione, quindi nello schematismo. Lasciando inoltre fuori di penna sfumature e approfondimenti. Una riuscita ed esaustiva impresa in questo senso reca la firma del suo biografo ufficiale, il francese Dominique Petitfaux, col libro-intervista (uscito postumo nel 1996) Il desiderio di essere inutile. Titolo voluto da Hugo Pratt come risposta a quegli intellettuali di Francia che non lo consideravano sufficientemente impegnato per carenza di ideologia marxista (o, forse, piuttosto per pura gelosia...) In Francia il veneziano Pratt era stato miticamente adottato a seguito del travolgente successo editoriale raccolto da Corto Maltese, il suo lucroso marinaio d’inchiostro di china: 21 racconti di 20 pagine pubblicati da Pif gadget, periodico emanazione del partito comunista francese. Che gli procurò nel 1977 il Gran Premio delle Arti Grafiche da parte di Mitterrand con consegna ufficiale all’Opera di Parigi e una bella mostra al Grand Palais il 14 marzo 1986, rassegna del suo lavoro che aveva come fulcro scenografico una Corte veneziana con «vera da pozzo» al centro e tanto di toponimo. Omaggio alle sue affabulatorie «bugiarde» Corti Sconte, quindi totalmente inventate, sulla esistenza delle quali Pratt ebbe a pubblicare delle foto. Tanto da trarre in inganno tanti suoi fan soprattutto francesi che le cercarono – poiché lui aveva ingannevolmente fatto credere si trovassero tutte lì – all’interno del Ghetto. Ci cascai per un po’ pure io. Poi, complici i portalettere di Venezia cui avevo consegnato copia di quelle foto, e le confidenze del fotografo Martinelli che ritrasse le corti di tutt’altre insegne toponomastiche, dove figuravano le indicazioni stradali posticce – le rinvenni una dopo l’altra in zona Ss. Giovanni e Paolo, dove Hugo da adolescente abitava, e intorno all’Arsenale. Nel sestiere di Castello. Erano quelli i giorni d’una conclamata gloria dilagante dalla Francia oltre i confini europei in tutto il mondo.

Hugo Pratt in una fotografia del 1995. (Keystone)

Alle spalle tanto altro lavoro, iniziato come appunti disegnati su un taccuino quando Hugo, appena ragazzino, seguì il padre funzionario governativo in Africa orientale, allora colonia italiana. Diceva di avere perduto quei fogli col ritorno forzato a Venezia nel 1943. Aveva vissuto ad Addis Abeba sei anni. Un bel cumulo di ricordi e di amicizie. Nel suo libro autobiografico Le pulci penetranti (1971), rititolato in una successiva edizione Aspettando Corto (1996), c’è una sua foto di quando aveva cinque anni. Se ne sta, il piccolo Hugo, ben piantato sul secondo gradino di uno dei pennoni situato nella veneziana piazza San Marco, fronte basilica. Indossa un elegante abituccio blu di moda marinara: doppia fila di bottoni dorati sul giacchetto, tondo berretto in testa, mani affondate nelle tasche dei lunghi calzoni. E un’espressione di impavida sicurezza. Suggerisce, quella foto, l’immagine di ciò che il suo Corto Maltese sarebbe potuto essere nell’infanzia. Già vestito nell’abito blu di scena. Abito in verità, per stessa ammissione del disegnatore

Per amore di Giselle Danza A Zurigo una Giselle coreografata

Marinella Polli La grande seduzione di Giselle, il balletto fantastico in due atti su musiche di Adolphe Adam e libretto di Theophile Gauthier e altri (dagli Elementargeister di Heinrich Heine), sta in diversi elementi. Per esempio nelle deliziose particolarità della partitura e nel riuscitissimo connubio fra la musica ricca di sfumature e la perfetta drammaturgia articolata in una plausibile concatenazione delle scene coreografiche. Oppure nella freschezza di queste scene coreografiche, nella filigrana delicatezza dei «pas-de-deux», negli straordinari e suggestivi «divertissement» e in quell’atmosfera magica ed eterea che è il «ballet blanc» del secondo atto. Ma risiede, soprattutto, nella romanticissima trama, questa: «Albrecht, giovane aristocratico che si finge povero, ama, riamato, una giovane, graziosa contadina posseduta dalla passione per il ballo e invano ammonita dalla madre che teme per la sua

debole salute. Quest’ultima racconta spesso la leggenda delle Wili, spiriti di fanciulle morte per amore che a mezzanotte escono dalla tomba per danzare freneticamente sino all’alba, costringendo ogni malcapitato nei paraggi a ballare con loro fino alla morte. Dopo che Hilarion, pure innamorato di lei, le dimostra che Albrecht è fidanzato con un’altra, Giselle impazzisce e muore, diventando a sua volta una Wili. Una notte, Albrecht viene sorpreso dalle Wili a piangere sulla tomba di Giselle e costretto a danzare fino allo stremo, ma la stessa Giselle lo aiuta, lo sostiene, lo rianima. Lo salva, insomma, dandogli forza fino all’alba, momento in cui il potere delle Wili viene meno». Si è insomma al cospetto del più perfetto esempio di quel mondo cupo e tragico fatto di spiriti eterei e languori d’amore che è il vero protagonista dei balletti romantici. Una nuova Giselle è attualmente in cartellone all’Opernhaus di Zurigo per la coreografia di Patrice Bart, famoso specia-

www.opernhaus.ch

dal francese Patrice Bart

Hebdo» e libertà di espressione al centro di Nemico Pubblico su Raitre Antonella Rainoldi

La domenica televisiva del nostro scontento. Forse meritavamo tutti qualcosa di meglio per celebrare la giornata internazionale della libertà di stampa, lo scorso 3 maggio. Qualcosa di meglio di un concerto di contraddizioni. Qualcosa di meglio di Nemico Pubblico – Live (Raitre, domenica, ore 23.40), programma condotto da Giorgio Montanini (nella foto). Tema: «Charlie Hebdo» e la libertà di espressione. Ad apertura di puntata ci siamo detti: adesso arriva Montanini e approfondisce il tema, come solo lui sa fare. Un po’ di satira, lo spirito leggero sui social, le interviste «rubate» con una telecamera nascosta, i contributi filmati. La parte più interessante è stata quando il comico marchigiano ha ricordato come in Italia il problema non sia la libertà di espressione, ma il mancato esercizio: «Dobbiamo esprimerci liberamente tutti se vogliamo essere Charlie». Sullo sfondo un concerto di contraddizioni. Tutti a riempirsi la bocca di giornalismo indipendente e poi i

giornalisti scomodi, quelli poco portati all’agiografia e al copia incolla, sono spesso lasciati soli, abbandonati ai margini (anche nella meravigliosa Svizzera, dove la libertà di opinione e di stampa sono garantite dalla Costituzione). Fai il tuo mestiere bene e con coscienza e il partito degli opportunisti gioca a mischiare le carte in tavola, parla un’altra lingua fingendo di parlare la tua. L’intera redazione di «Charlie Hebdo» perde la vita, massacrata di colpi, e centocinquanta scrittori protestano perché il Pen Club, la più famosa organizzazione di letterati al mondo, si permette di assegnare al settimanale satirico un premio alla memoria. E allora? Come mai queste contraddizioni così flagranti? Difficile trovare una risposta nel programma di Raitre. Per fortuna, è venuto in soccorso il pezzo di Pierluigi Battista «Il caso Charlie Hebdo. Quando l’Occidente è stanco della libertà». Mentre seguivamo Montanini, inframmezzato dalle continue interruzioni pubblicitarie, abbiamo letto e riletto il bel pezzo di Battista apparso sul «Corriere della Sera». Vale la pena proporne un passaggio: «Da una parte ci immergiamo compunti nella retorica delle celebrazioni per il settantesimo della Liberazione. Dall’altra alziamo un muro di eccezioni, di distinguo: da qui a qui la libertà può andare, oltre questa linea vai a cercare guai. La stanchezza della libertà è dare la libertà acquisita una volta per tutte. Senza accorgersi che l’autocensura, la paura, i distinguo, la smania di mettere limiti fa arretrare lentamente ma inesorabilmente la soglia della libertà, la svuota, la sfibra, ne fa un guscio fragile e vulnerabile. È la stanchezza, il primo passo verso la sconfitta».


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Cultura e Spettacoli

Moretti guida il poderoso tris italico all’assalto della Croisette Festival di Cannes La kermesse andrà in scena dal 13 al 24 maggio

Fabio Fumagalli Completato dalla presenza di ulteriori nomi di lusso (il tailandese Weerasethakul, Palma d’Oro nel 2013, il filippino Mendoza vincitore della Migliore Regia nel 2009, la raffinata giapponese Kawase e, soprattutto, il portoghese Miguel Gomes, autore tre anni fa di uno straordinario Tabu, che presenterà sull’arco di tre giorni le sei ore dell’attesissimo Le mille e una notte, rilettura delle celebri novelle di Sheherazade alla luce dei fatti sociali, economici e politici del Portogallo più recente) il Festival del cinema di Cannes s’inaugura questo mercoledì per protrarsi fino al 24 maggio. Con già un’eccezione, e non da poco per un festival che, come tutti i maggiori, si fa un vanto del presentare soltanto pellicole in prima mondiale: quella concessa dal direttore artistico Thierry Frémaux al Nanni Moretti da sempre coccolato sulla Croisette di fare uscire in anticipo sugli schermi italiani il suo ultimo Mia madre. Il tutto, intendiamoci assolutamente nelle regole internazionali, che prevedono l’eccezione dell’uscita sul territorio d’origine di un film annunciato in seguito come prima mondiale; ma un favore che talvolta arrischia di tramutarsi in un’arma a doppio taglio. La soddisfazione di poter dire la sua in anticipo sulla casta ristretta dei colleghi internazionali in agguato a Cannes, la tentazione di speculare sulle grandi attese conclamate ha influenzato una

parte dei colleghi italiani? Fatto sta che Mia madre, ultima proposta di uno dei pochi grandi cineasti italiani degli ultimi quarant’anni, è stata accolta con entusiasmo relativo. Largamente a torto, a nostro avviso: una delle ragioni per inaugurare le considerazioni su Cannes 2015 proprio partendo da questa opera commossa e ispirata. * * * Mia madre, di Nanni Moretti, con Margherita Buy, Nanni Moretti, John Turturro, Giulia Lazzarini, Beatrice Mancini (Italia 2015) Come tutti i film di Nanni Moretti, Mia madre è un film sullo smarrimento. Come il pontefice di Habemus papam e i tanti personaggi morettiani che l’hanno preceduta (impossibile dimenticare il leggendario «dì qualcosa D’Alema, dì una cosa, reagisci, dì una cosa di sinistra!» di Aprile) nel suo nuovo film di quasi tutte donne Margherita (Margherita Buy) si perde nei tentativi sempre più vani di comprendere il mondo che le sta attorno. Un mondo che le sfugge sempre più: come quel film che sta girando da regista, su un confronto fra operai e padroni che apparentemente non le appartiene più. Come sua madre, ricoverata all’ospedale che, con altrettanta evidenza, è destinata a spegnersi. In quel vuoto generalizzato qualche figura maschile sussiste. Il divo che sbarca da Hollywood (John Turturro) per assicurare al film di Margherita il marketing internazionale, in un ruolo a trat-

Paolo Sorrentino sarà a Cannes con gli altri due italici moschettieri, Moretti e Garrone. (Keystone)

ti divertente ma che finisce per sfiorare il macchiettismo invadente; e una serie di profili sfumati fra ex mariti e provvisori amanti della protagonista. Ma, soprattutto, Nanni stesso, nel ruolo del fratello che assiste amorevolmente la madre. Una figura di bella umanità che risalta nell’agitazione generale, pur senza abdicare, nel suo ritegno e nella sua partecipazione che si sente autobiografica, a quel narcisismo morettiano che rimane come di dovere un segno irrinunciabile della sua personalità. Mia madre deve molto al suo montaggio, giocato com’è fra indeterminate e dolorose fughe in avanti e inevitabili

flash back; fra l’intimismo dell’annunciata scomparsa della madre e l’apertura verso l’esterno, nelle fragorose sequenze delle caotiche riprese del film di Margherita. È uno dei pregi del film, subito evidenti nella esposizione iniziale delle varie situazioni, perfette nella loro concisione; un’armonia che si protrarrà per tutta la durata della pellicola, glissando fra i vari momenti psicologici, attraversando i suoi toni accorati, divertenti, addirittura – considerando il tema – comici. Con la mano del maestro in pieno possesso del proprio linguaggio Moretti è così capace di filmare tutto il vuoto: senza volerlo spiegare con pedanteria,

ma svelandolo, in quel suo movimento armonioso e solo in apparenza svagato nello spazio e nel tempo, assieme al pudore e alla commozione della propria intimità, oltre che della poetica. Con Mia madre Moretti prosegue, o forse conclude l’aspetto del suo cinema focalizzato su sé stesso iniziato, nel 1978 con l’autoironia ai confini della goliardia di Io sono un autartico, Ecce bombo, Sogni d’oro, Bianca; e proseguito, con sempre maggiore introspezione e esigenza morale, con opere come Caro diario, Aprile e in particolare La stanza del figlio. Parallelamente il regista compie un altro tragitto, rivolto verso l’esterno, e che affiora in uno dei suoi capolavori, Palombella rossa (1978), per svilupparsi meno compiutamente in Il caimano e, in modo sovrano, in Habemus papam. Il cineasta non è più allora (con le sue esilaranti nevrosi, con il suo modo di caricarsi delle contraddizioni che lo circondano, con l’assunzione delle più dolorose scadenze) al centro del proprio universo esistenziale ed estetico; ma è coinvolto in uno sconcerto che è sempre più partecipe di quello di un’epoca alla quale egli fatica ad appartenere. Tenero e pure imperfetto (quel sottolineare un po’ ovvio la mestizia scolorata degli interni, ad esempio), divertente e afflitto, Mia madre è la somma spesso incantata, talvolta forzatamente esitante, dei due mondi poetici dello splendido quarantenne, ora ultrasessantenne. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Samuel Beckett, la conquista del radiodramma

In scena Il Festival Chiassoletteraria è stato anche occasione di un incontro fuori dagli schemi

– In Ticino si sono festeggiati i primi dieci anni della Festa Danzante Giorgio Thoeni Words and Music è una sceneggiatura scritta da Samuel Beckett agli inizi degli anni Sessanta per il terzo programma radiofonico della BBC. Una sorta di atto unico dove il drammaturgo irlandese punta la sua attenzione sulla presenza della voce umana e della musica come due entità che partecipano attivamente all’azione. In altri termini la musica diventa un personaggio e parte integrante del dialogo. Beckett le dà il nome di Bob mentre Joe è sola sulla scena e si esprime con le parole. Words and Music non è dunque stato pensato per essere rappresentato a teatro ma per essere diffuso via etere. Un dato significativo che ha intrigato particolarmente l’estro creativo di Alan Alpenfelt (già protagonista di sperimentazioni radiofoniche online con Radio Gwendalyn) per trasformare con la sua compagnia «V XX Zweetz» il complesso sonoro beckettiano in una trasposizione teatrale. E così è stato. Dopo un primo importante assaggio nel gennaio scorso al Piccolo Teatro di Milano, la dimensione scenica inizialmente intitolata prudentemente A visual Study of Beckett’s Words and Music, ha riaffermato il suo originale passo scenico diventando più semplicemente Words and Music e offrendo al pubblico dell’ultima edizione di Chiassoletteraria tutta la sua potenzialità poetica e immaginifica.

È un progetto ancora «in fieri», ma da quanto abbiamo potuto assistere a Chiasso ha già tutte le carte in regola per essere rappresentato più volte con ampia soddisfazione degli attori in scena e del pubblico. Come Beckett insegna, sarebbe riduttivo ricondurre la pièce a una trama. Si può però aiutarne la definizione: in un imprecisato futuro, che potrebbe anche già essere passato, due personaggi (Bob e Joe, appunto) sono detenuti in un’angusta torre e Croak, un vecchio aguzzino, li visita regolarmente (ne udiamo solo la voce) per ottenere sempre nuove e più precise definizioni di concetti umani come l’amore, la vecchiaia, l’apatia, il viso umano. La genialità dell’architettura drammatica beckettiana permette così di dare forma a un gioco visivo, sonoro ed emotivo, a un disegno che si sposa con la perizia progettuale di Alpenfelt che ha trovato nella sua squadra una dimensione ideale. Dalla bella e forte presenza teatrale di Adele Raes nell’impegnativo ruolo di Joe (sola in mezzo alla scena, proprio come Winnie in Giorni felici) in cui esprime un sorprendente talento espressivo e doti attoriali davvero notevoli, all’efficace partitura musicale live dei Niton (Zeno Gabaglio, Xelius, El Toxique), all’architettura videovisiva (visuals) creata da Roberto Mucchiut. Insomma questo è ancora una volta il segno

Adele Raes in Words and Music.

tangibile della creatività e delle novità che si accompagnano nella nostra regione. Dieci anni di festa danzante

Ci vogliono proprio tutto l’entusiasmo e le capacità organizzative di Tiziana Conte per dare continuità ticinese alla «Festa danzante», una manifestazione nazionale che dunque si articola su tutto il territorio elvetico in un processo sinergico che coinvolge biblioteche, musei, sale teatrali, centri culturali,

ecc. La scorsa settimana si è così consumata anche da noi la X edizione di una manifestazione che ha messo in campo originalità progettuali, divertimento di massa accanto a produzioni di compagnie consolidate. Il tutto per celebrare la danza, non come realtà effimera bensì come patrimonio collettivo da vivere con intensità, partecipazione e senza barriere. Sull’arco di una settimana si è potuto passare da Haiku in movimento di Nunzia Tirelli (ispirato da una sintesi dei componimenti giapponesi per la

grammatica della Laban Notation), a Un acte sérieux della compagnia di Nicole Seiler con Manuela Bernasconi; da Solographies della prestigiosa Cie Linga fino a Neons, ultima produzione di Philippe Saire. Senza dimenticare quello che maggiormente dà sostanza a una festa collettiva, come i «Flash Mob» all’aperto, gli «Apéro Show» con ballo del mattone o, ancora, «Juke Box Party» e balera tradizionale. Fino all’incontro dello Jodel con la danza contemporanea. Un bel movimento, insomma. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Tamburo è chi non si presenta Musica Enrico Brilli e il primo raduno dei percussionisti ticinesi, il 17 maggio a Bellinzona

Zeno Gabaglio Già la notizia in sé merita un certo interesse: per la prima volta nella Svizzera italiana viene organizzato un raduno indirizzato ai percussionisti ticinesi. Un raduno che anziché escludere vuole includere, rivolgendosi al più ampio numero di persone affascinate dall’universo della percussione: dal tamburo alla batteria fino ai più moderni strumenti a tastiera percossa (xilofono, marimba, vibrafono, …) o alle percussioni strettamente intese, con un target d’età che va (quasi) da 1 a 100 e con un livello tecnico d’ammissione che porterà professionisti e dilettanti gli uni accanto agli altri.

Enrico Brilli è il messaggero d’eccezione del primo raduno ticinese dei percussionisti Il tutto si terrà – sotto l’egida della Febati, www.febati.ch – domenica 17 maggio presso la Sala di musica della Civica Filarmonica di Bellinzona: una giornata lunga e intensa che alternerà momenti di workshop a esibizioni nei vari stili e generi. E il dato davvero interessante – si potrebbe anche scrivere sorprendente, pensando a certe chiusure d’orizzonte mentali e musicali purtroppo vissute dalle nostre parti nei decenni passati – è la varietà degli stimoli offerti ai partecipanti. Per la parte dei workshop Luca Borioli presenterà le tastiere, Valerio Felice il tamburo basilese e quello americano, Brian Quinn si occuperà di timing e percezione del tempo, Francesco Portone del cajon, Mike Quinn del lavoro di sezione e Ivano Torre di improvvisazione e tecniche di riscaldamento. Per le esibizioni interverranno, oltre allo stesso Torre,

Il percussionista ticinese Ivano Torre. (Foto Adriano Heitmann)

anche Davide Poretti, Leandro Gianini e Rocco Lombardi. Un cast quindi formato da alcune tra le voci più autorevoli (e trasversali rispetto a generazioni ed esperienze) della percussione nella Svizzera italiana, che riesce così a mostrare un senso di unità e d’identità senz’altro beneaugurante. Si scriveva all’inizio che questa buona notizia sul fronte della vita musicale cantonale costituisce in sé un indubbio valore. Se non fosse che a portarcela è un personaggio dalla storia musicale e umana talmente par-

ticolare che quasi l’attenzione viene distolta dal messaggero a detrimento del messaggio. Enrico Brilli è infatti percussionista dilettante e autodidatta – come lui stesso tiene a precisare – che però è stato protagonista di un percorso musicale potenzialmente invidiabile da molti professionisti: attivo inizialmente nella banda di Chiasso, è stato per anni membro della Civica Filarmonica di Lugano (sotto la direzione prima di Umberto Montanaro e poi di Pietro Damiani), ha suonato con l’Orchestra della Svizzera italia-

na (una dozzina i concerti con l’allora Radiorchestra, diretti da Bruno Amaducci e Francis Travis, con anche una Bohème al Teatro Kursaal di Lugano), è stato batterista nell’orchestra da ballo del campione della musica leggera ticinese Mario Robbiani, e pure si è esibito come concertista accanto a Mike Quinn per tournée internazionali arrivate fino in America. Poi un’improvvisa interruzione e un trasferimento nella Svizzera romanda: niente più musica per quasi trent’anni, neanche una nota. Salvo poi rientrare

recentemente in Ticino e riannodare da subito le fila di un coinvolgente discorso smesso a metà anni Ottanta, ritrovare gli amici e colleghi di un tempo, riallacciare i legami col mondo bandistico e la Febati, creare una Centrale del ritmo che incorpora e collega 131 batteristi e percussionisti di tutto il cantone. E inventarsi, last but not least, quello che nessuno aveva mai provato a fare: il raduno dei percussionisti ticinesi. Per molto meno i Blues Brothers avrebbero continuato a ripetere di essere in missione per conto di Dio…

L’eterna prova dello scrittore Incontri Domenico Starnone, recentemente ospite della decima edizione di Chiassoletteraria ci ha parlato

della figura dello scrittore e del suo ruolo di responsabilità sociale Benedicta Froelich Nella giornata finale della decima edizione della kermesse ChiassoLetteraria, conclusasi lo scorso 3 maggio, lo scrittore italiano Domenico Starnone è stato protagonista di uno degli incontri più riusciti dell’intero festival – un intenso dibattito con gli studenti del Liceo 1 di Lugano, condotto da Fabio Pusterla e trasformatosi in una vera e propria lezione di letteratura. Un’ottima occasione per discutere con lo scrittore della sua trentennale esperienza di narratore, così come del suo ultimo libro, Lacci (Einaudi 2014), molto apprezzato da pubblico e critica.

del clima culturale fascista. Ciò che ho raccontato nei miei libri degli anni ’80 rappresenta, per così dire, l’incepparsi di quel progetto di rinnovamento e, di conseguenza, la delusione e il fallimento dell’istituzione scolastica del post-’68. Con un piccolo gioco di parole, si potrebbe dire che si è passati da una scuola volta a educare al consenso a una scuola «del dissenso», la quale oggi, purtroppo, è ridotta a cercare disperatamente di «darsi un senso». Ho l’impressione che le molte riforme che, in Italia, contrassegnano ogni cambiamento di governo, non siano d’aiuto e, anzi, spesso si limitino a battezzare con nuovi nomi qualcosa di vecchio, senza che la formula cambi realmente.

Il suo ultimo romanzo, Lacci, è incentrato sul personaggio di Aldo, incapace di dire definitivamente addio alla moglie, da lui abbandonata negli anni ’70 per una donna più giovane. In che modo Aldo rappresenta l’attuale debolezza della figura maschile, non più in grado di fungere da pilastro della famiglia?

Io ho scritto molto sulla famiglia, specialmente su quella tipica degli anni ’40 del Novecento, incentrata sull’uomo patriarca che governava su moglie e figli (si veda il mio romanzo Via Gemito, del 2000). Quel tipo di famiglia è stata «smontata» dalla mia generazione, che ha provato a costruirne una di tipo paritario, in cui uomo e donna avessero

Partendo dalla personale esperienza come docente, lei ha basato le sue prime opere sul mondo della scuola italiana. A distanza di anni – e dopo le controverse riforme recenti – cosa pensa Domenico Starnone delle attuali condizioni dell’istruzione in Italia?

Ho cominciato a insegnare a metà anni ’60, e ho svolto questo mestiere per una trentina d’anni. La scuola che conosco è quella legata all’attivismo pedagogico pre-sessantottino, in Italia molto ricco – basti pensare alla pubblicazione di Lettera A Una Professoressa di Don Milani, un prodotto di anni assai densi, tesi a «svecchiare» la scuola italiana, che ancora conservava molte caratteristiche

Domenico Starnone, uno degli ospiti di Chiassoletteraria. (flickr)

eguali diritti e doveri. Tale progetto, nato nel clima di svecchiamento dell’Italia dalla fine degli anni ’50 in poi, è stato in seguito accentuato dai movimenti sessantottini, generando mutamenti nelle abitudini sessuali e nel modo stesso di concepire il desiderio – una trasformazione che ho raccontato in Autobiografia Erotica di Aristide Gambìa (2011). Come terzo libro, Lacci chiude il discorso; e in tal senso si può dire, come lei afferma, che rappresenti il punto d’arrivo della figura maschile all’interno di questo percorso. Aldo tenta di sfuggire allo schema della sua famiglia d’origine, e di dar vita a qualcosa di differente, ma non vi riesce. Quando, con gli anni ’70, il patriarca esce di scena, resta un uomo che, pur avvertendo le responsabilità famigliari, prova anche curiosità verso il mondo esterno: è scisso tra questi due universi, senza poter trovare equilibrio. Si tratta di una situazione drammatica, poiché la condizione maschile (al pari di quella femminile) si ritrova priva di punti di riferimento solidi, e quindi non riesce più a reggere in maniera compatta l’ineluttabile casualità dell’esistenza – né quell’illusione di coerenza che serve come struttura di sostegno alla vita. A differenza della più parte degli scrittori italiani, lei è anche giornalista per diverse testate. In che modo il suo ruolo di commentatore della realtà ha influenzato quello di

narratore di cosiddetta «fiction», e viceversa?

Io penso che il compito di uno scrittore consista nel proporre mappe che servono a orientarsi nel caos del presente. Un autore «rischia» quando scrive per un giornale, così come quando redige un racconto; d’altra parte, la funzione della letteratura è quella di fornire un percorso che aiuti a capire il tempo in cui viviamo. Non è essenziale che la mappa sia esatta, o che conduca in un dato luogo; l’importante è che sia coerente, e che il lettore, nel decidere se farne uso, confronti il proprio presente con quello del racconto. Lo scrittore deve sempre mettersi alla prova ed esporsi: la vera letteratura è, essenzialmente, rischio, e deve avere un ruolo di «scompaginamento», cioè spingerci a rompere con il piccolo mondo con cui ci proteggiamo. I libri servono quindi a creare un ordine all’interno del quale noi possiamo meglio vedere ciò che ci sta intorno – come con un navigatore elettronico, devono imporci di «ricalcolare» il nostro percorso: per consenso, come per dissenso. In collaborazione con



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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Pronto? Qui Calzasporca Ho sempre avuto la curiosità di sapere quali fossero i pensieri dei vecchi quando, stando a letto, gli occhi aperti sul buio, non riescono a riprendere sonno e non si alzano per non disturbare gli altri che continuano a dormire. Ora che sono finalmente diventato vecchio lo so e vi posso garantire che non sono niente di speciale. La notte scorsa ho ripensato alla maestra dei primi tre anni di scuola elementare. Come tutte le vere maestre aveva un doppio cognome, si chiamava Bussone Culasso. Prendeva alla lettera i modi di dire figurati, come «bagnare il naso». A me piaceva primeggiare, non lo nego, ma mi faceva senso essere costretto a dare una leccatina con la lingua sul naso di un mio compagno. Il rito iniziava con la consegna dei compiti in classe corretti accompagnata dall’annuncio della maestra: «Questa volta Gambarotta ha bagnato il naso a Bosia. Su venite qui alla cattedra e tu facci vedere che gli bagni il naso». Non c’erano ancora le classi miste, non mi sarebbe dispiaciuto dare una leccatina al naso di una bambina. Fra

maschi faceva un po’ schifo. In particolare con Bosia, perché lui, mentre gli bagnavo il naso, mi sussurrava una frase che non ho mai capito se fosse un invito o un ordine. Che io peraltro non ho mai eseguito; la mia disobbedienza non ha mai prodotto conseguenze spiacevoli. In cambio non ho mai fatto la spia, non ho mai detto: «Signora maestra, Bosia, mentre gli bagnavo il naso, mi ha detto piano “basme el cul”». Lei avrebbe di sicuro punito il mio compagno, perché in classe era assolutamente proibito parlare in piemontese. (Per quei pochi lettori che non parlano il mio dialetto traduco la frase del mio compagno: «baciami il sedere»). Anche trovarmi nella condizione di avere un naso bagnato da un compagno mi dava enorme fastidio e forse è questa la ragione per cui facevo sforzi disumani per essere il primo in classifica, essere un leccante e non un leccato. C’era ancora la guerra e mia madre allevava sul balcone un gallina per avere qualche uovo fresco; avevo pensato che se mai mi fossi trovato nella necessità di sottoporre il mio naso

stato un segno di civiltà. Tutta colpa di mio padre. Come molti tipografi, aveva un’idea del libro come di un feticcio. L’ho ereditata all’ennesima potenza. Quelli come noi nutrono una smodata passione per le Grandi Opere; mio padre versava una rata mensile alla Utet, io l’ho fatto per decenni con l’Einaudi. Acquistò i tre volumi di Razze e popoli della terra di Renato Biasutti; anni dopo, durante un trasloco, scoprì che avevo messo una striscia di carta come segnalibro in ogni pagina dove c’era la foto di una donna nuda e mi chiese: «Quanto facevi pagare ai tuoi amici?». E io che l’avevo sempre fatto gratis! Lì ho compreso che non sarei mai diventato un imprenditore. Poi arrivarono gli otto volumi de Il Tesoro del ragazzo italiano, un grande aiuto per i primi anni di scuola. Di quelle 6400 pagine, lette e rilette, ricordo solo due frasi. Nel capitolo sulla storia del fascismo, l’autore scriveva: «Siete ragazzi fortunati, insieme al nome della mamma e del babbo avete appreso il nome sacro del Duce». Non era vero, dalle mie

parti il duce l’hanno sempre chiamato il Cerutti. Un capitolo di storia dell’arte cominciava così: «Michelangelo era brutto, aveva un aspetto selvatico e cupo, un viso caprino, il naso schiacciato». Con tutti i doni che aveva avuto in sorte, metti che fosse pure bello! In casa nostra entrarono anche gli otto volumi della Storia Universale di Corrado Barbagallo. Un uomo che da solo è stato capace di dominare la storia di tutti i tempi e di tutti i paesi, a partire dalla preistoria! Adesso ogni storico coltiva il suo orticello e non osa invadere l’altrui territorio. Quel nome mi è caro: quando mi hanno cambiato di sede alla Rai, una segretaria mi rispediva la posta scrivendo sulla busta «Per il professor Barbagallo». Non è mai andata persa! Sono sempre stato fortunato con i cognomi. Una volta ho telefonato a casa del mio direttore, dovevo informarlo che era stata spostata una riunione. È venuta all’apparecchio la figlia, una ragazzina: «Papà, è per te», ha gridato. «Chi è?», ho sentito che chiedeva suo padre. «Un certo Calzasporca».

Temo però che tale situazione sia ben difficile da immaginare: nella scomoda eventualità di un ciclone, infatti, il turbinio dei venti tutto trascina con sé, di conseguenza l’occhio tutto ha dentro di sé, di ciò che abita sopra o sotto terra in quella porzione circolare di quiete. Dite che qualcosa potrebbe trovarsi così ben protetto sotto il suolo o sotto il mare da potersi dire sotto l’occhio? Ma allora significherebbe che né occhio né ciclone lo turbano, quindi è sotto l’occhio ma potrebbe essere anche ovunque nel mondo. Abbiamo appurato che dire di qualcuno che è nell’occhio o sotto l’occhio di un ciclone significa descrivere una situazione di totale calma oppure di estraneità assoluta agli eventi atmosferici. Quelli che usano questa espressione devono cambiare modo di parlare, devono «fare un cambiamento a trecentosessanta gradi», come si suol dire. Provare per credere, prendere una persona o un oggetto e girarlo di tutti quei gradi. Egli o esso (ma anche ella o

essa, perché si deve parlare senza unificare i generi nel solo maschile, cara la mia lettora, che non sei più lettrice che suona male, sei lettora, come potrai essere direttora, dottora, professora, cerchiamo di abituare l’orecchio, per ora in fase di rifiuto della cacofonia). Egli o esso, ella o essa, dunque, se girano di trecentosessanta gradi tornano perfettamente nella posizione iniziale. Cambiare di quei gradi porta solo a una rotazione, ma a nessun cambiamento. Ci si può divertire ancora con la geometria, anche semplicemente valutando la maggiore ampiezza dell’angolo ottuso rispetto all’acuto: è ottuso l’aggettivo che indica una mente lenta e incapace di comprensione, quindi ristretta, proprio come un angolo acuto. D’altra parte noi diciamo anche, quando siamo stanchi o tristi, che siamo «giù di corda», perché in latino sursum corda significa «in alto i cuori», che quando sono in basso sono giù, i cuori, corda plurale neutro da cor, cordis. Diciamo

anche esser dotato della «bellezza dell’asino» un giovane (o una giovane, pardon) che appare bello/a solo in virtù dell’età in cui tutti hanno la pelle liscia, gli occhi brillanti, le labbra morbide. Che non sono caratteristiche del buon asinello, caro e utile ma non certo bellissimo. Infatti noi traduciamo male dal francese, che la chiama beauté de l’âge. Per non dispiacere alle signore parlando di età, preferiamo nominare il nobile pur poco elegante somarello. Come quel religioso che per primo lesse l’incipit del Vangelo del giorno come in die busillis, invece che in diebus illis, in quei giorni. Inventò, il forse giovane e distratto chierico, il nome del «busillis», di tutti i misteri irrisolvibili e intricati. Quelli che un filosofo potrebbe definire «aporetici», privi di soluzione (alfa privativo e poros, soluzione dei problemi), non fosse che più di una persona ritiene l’aporia una grave malattia della pelle. Che mi venga un’aporia se non vengo a capo di questo busillis.

bert no? Mah. Misteri gaudiosi. Già si sopportano male gli elenchi di Harold Bloom, con la loro voglia di stupire, figurarsi le classifiche di un certo Taylor (a conti fatti 3––). Il problema più serio è che anche l’editoria libraria, a quanto pare, comincia a spacciare per verità degne di essere discusse (e prima ancora tradotte e pubblicate) delle boutade prive di autorevolezza, come accade ogni momento nei social network. Vi si aggiunga il provincialismo di chi crede (o vuol far credere) che il laureato in un college inglese sia comunque più autorevole del laureato a Macerata o a Losanna. La speranza è di fare il botto in libreria: proviamoci, magari salta fuori il bestseller. Purtroppo niente: dunque, passiamo al prossimo. In fondo, se le Sette lezioni di fisica dello scienziato Carlo Rovelli ha venduto 250 mila copie ed è primo in classifica da settimane, nel mercato librario può succedere di tutto. La verità è che i gusti del lettore sono quanto di più imprevedibile

si possa immaginare: basta leggere la lista dei più venduti degli ultimi cinquant’anni e ti rendi conto dell’assurdo. Persino un semiologo, che pensava di stampare il suo romanzo in poche copie per gli amici, nel 1980 è rimasto travolto da un inatteso successo. Ma torniamo a Taylor. Forse l’obiettivo riuscito del suo libro è che finisce, anche senza volerlo, per spingere il lettore a tentare lo stesso giochetto. È come se dicesse: adesso provaci tu… Ed è facile cascarci in famiglia. Così la mia bambina (otto anni e mezzo), dopo aver letto il titolo del libro di Taylor che campeggiava sul tavolo della cucina tra la zuccheriera e una tazza del caffelatte, ha elencato i libri che finora hanno cambiato la sua vita e dunque, per lei, la storia del mondo. Sono, in ordine progressivo di crescita: Spotty fa la torta, Buon Natale Spotty, Spotty va alla fattoria, Spotty vuole bene al papà (detto tra noi: è questo il libro che quando ancora non leggeva cercavo di propi-

narle il più possibile…), una memorabile quadrilogia di Eric Hill (5½). Poi: la dolce trilogia Giulio Coniglio va alla festa, Giulio Coniglio e il topo scomparso, Giulio Coniglio impara a nuotare (5+). Ancora: Pimpa e la stella Lulù, Coccole d’oro, Winnie the Pooh e le meraviglie del bosco. Passando alla lettura in proprio, qualche classico sempreverde e qualche novità: Il grande libro delle fiabe dei fratelli Grimm, Fior di Giuggiola di Anne Wilsdorf, Le fiabe al telefono di Gianni Rodari, Pinocchio di Collodi, Matilde di Roald Dahl, Storie per la buonanotte di Grossman, Alfonsino e la luna di Vargas Llosa… Anche se non ha studiato a Oxford, con il suo elenco Maria (6, ovvio) avrebbe potuto arrivare a quota cinquanta, come Taylor, ma ha preferito fermarsi a 15. Adesso provo a parlarne con la Garzanti, poi eventualmente con l’Einaudi, poi eventualmente con la Mondadori, poi con la Rizzoli… I 50 libri che hanno cambiato l’infanzia… Non si sa mai.

alla leccata di un compagno ci avrei prima spalmato sopra un leggero strato di cacca di gallina, che noi chiamiamo in dialetto «sguicia», una parola che comunica bene l’idea della sua verdognola scivolosità. La nostra maestra ci aveva spiegato che tutto ciò che non è vietato dalla legge è permesso. Mi ero informato, non c’era nessuna legge che vietasse di spalmarsi sul naso della cacca di gallina. E dunque... Un’altra volta mi sveglio nel cuore della notte e penso alla Treccani. Un amico ha provato a vendere in rete la Treccani e ha trovato un solo acquirente disposto a comprarla per 150 euro, purché lui si accollasse le spese del trasporto. «Piuttosto che consegnarla praticamente gratis a uno sconosciuto, se la vuoi te la regalo», mi ha proposto. In casa non c’è posto, l’unica è metterla in garage, parcheggiando l’auto in strada. I padroni dei cani escono alle undici di sera con i loro animali, io potrei confondermi con loro e andare in garage a consultare la Treccani. Domattina ne parlo in famiglia. Averne una in casa è sempre

Postille filosofiche di Maria Bettetini Modi di dire Attenti, siamo sotto l’occhio del ciclone. Lo si diceva a proposito di un gruppo di lavoro in questo periodo sotto osservazione da parte dei dirigenti. «Sotto l’occhio del ciclone»: una posizione scomodissima. O forse no, se «occhio» è la regione di calma quasi assoluta che si trova al centro di un ciclone tropicale. L’occhio è circondato dall’eyewall, un anello alto, una sorta di muro formato da temporali fortissimi. Nell’occhio la pressione è più bassa che al di fuori della tempesta, la temperatura invece è più alta. Si tratta di una porzione circolare di mondo, dal diametro compreso fra i trenta e i sessanta chilometri, in cui regna un calma inquietante, da silenzio prima dell’apocalisse. Anche le immagini sono un po’ paurose, il ciclone nelle immagini appare come una sorta di zucchero filato che ruota intorno alla parte vuota del pentolone, con le dimensioni nell’ordine delle centinaia di chilometri. Sappiamo che la forza di Coriolis devia i venti verso

l’esterno, pertanto li fa ruotare intorno a un centro, che diventa visibile quando parte dell’aria che tende a salire viene spinta all’interno della tempesta, arrivata al centro del ciclone si raffredda e quindi discende di nuovo, si riscalda e fa evaporare le nubi, creando così l’occhio. Ugualmente però vedere al telegiornale le immagini fa provare una sorta di vertigine, di paura e insieme attrazione per il vuoto, quella che Kant definirebbe la percezione del sublime dinamico (riassunta poi nel «cielo stellato sopra di me»). E come sarà trovarsi proprio nell’occhio del ciclone? Forse ci si sentirà come in mezzo a un deserto senza vento, o al mare quando c’è bonaccia, quando in lontananza si vedono le trombe d’aria e le nubi minacciose, ma noi siamo al sicuro. Quindi chi è nell’occhio del ciclone sta bene, «bel tranquillo» come dicono i lombardi. Altra sorte forse toccherà a chi si trova «sotto» l’occhio del ciclone, come il gruppo di lavoro da cui siamo partiti.

Voti d’aria di Paolo Di Stefano I libri che cambiano il mondo Nel furore elencatorio dei nostri anni non potevano mancare I 50 libri che hanno cambiato il mondo: è il titolo del volume di Andrew Taylor, tradotto in Italia da Garzanti. Di fronte a certi libri, viene in mente la dichiarazione di Giorgio Manganelli (più passa il tempo e più merita un 6–): «Non l’ho letto e non mi piace». Ma vedendo la copertina maron del Taylor, è difficile sottrarsi alla domanda: ma chi è questo che si permette un azzardo del genere? Vai a leggere il risvolto e scopri che si è laureato in letteratura inglese a Oxford ed è giornalista da trent’anni: «Suoi interventi sono apparsi regolarmente su BBC e “Sunday Times”». Mica bruscolini. Vai a sfogliare l’indice e rimani leggermente sconvolto nel constatare che tra gli autori determinanti per la storia del mondo ci sono Omero, Confucio, Platone, Machiavelli, Cervantes, Shakespeare, Galileo, Newton, Darwin, Marx, Flaubert, Tolstoj, Einstein, Freud, Joyce, Keynes… Indispensabile una

laurea a Oxford per scrivere pensieri come questo: «È difficile esagerare l’influenza che ha avuto la Bibbia». In realtà, a guardare con attenzione e a leggere meglio tra le righe, i «50 libri che hanno cambiato il mondo» sono esattamente quelli che hanno cambiato la vita di Taylor, che non si sa bene chi sia, né si capisce perché mai gli sia saltato in testa di dirci quali sono i suoi libri preferiti. Fatto sta che invece tutti a discutere sul perché Taylor non abbia inserito nel suo elenco né Dante né Proust né Kafka; e sul perché avendo messo il Libretto rosso di Mao si sia dimenticato del Mein Kampf di Hitler, che pure qualche incidenza sulla storia dell’umanità l’ha avuta. E come si spiega l’inserimento dell’Atlante del cartografo Gerardo Mercatone? E cosa ci sta a fare l’Elenco degli abbonati del distretto telefonico di New Haven se non a segnalare un discutibile gusto dell’originalità? E ancora: come mai Harry Potter sì e l’Encyclopédie di Diderot e D’Alem-


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Ingredienti per la crema di fave: 1 grossa cipolla, olio extra vergine di oliva quanto basta, 300 g di fave fresche sgusciate preferibilmente piccole, sale e pepe. In padella: 400 g di orecchiette di grano arso, 12 pomodori cherry, canestrato foggiano, 1 spicchio di aglio, olio extra vergine di oliva. Procedimento preparazione crema di fave: rosolare una grossa cipolla bianca tagliata in 4, con le fave, in 2 cucchiai di olio extra vergine di oliva. Coprire con acqua e cuocere fino a quando le fave saranno tenere. Terminata la cottura, scolare le fave (conservare un poco di acqua di cottura) aggiungere sale e pepe, 50 g di olio extra vergine di oliva, frullare la crema e mettere da parte. In padella: riscaldare un filo di olio extra vergine di oliva, rosolare uno spicchio d’aglio finemente tritato e aggiungere i pomodori cherry, saltare a fiamma viva per un minuto; togliere dal fuoco, aggiungere la salsa di fave con un poco di acqua di cottura (per rendere la salsa omogenea e cremosa). Cuocere le orecchiette di grano arso, scolarle al dente e saltarle in padella a fuoco vivo con il condimento. Condire con abbondante canestrato e un filo di olio extra vergine di oliva.


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Gli Yogúrt da bév dell’Alto Malcantone

Novità Tre nuovi prodotti vanno ad arricchire l’assortimento dei Nostrani del Ticino:

gli yogurt drink al mirtillo, alla fragola e al naturale. Abbiamo incontrato il produttore Marco Scoglio, titolare insieme alla moglie Isabella dell’omonima azienda agricola di Mugena

Yogúrt da bév naturale, fragola o mirtillo 250 ml Fr. 2.30

Signor Scoglio, da dove nasce l’idea di lanciare lo Yogúrt da bév?

Cosa caratterizza la vostra azienda agricola?

Qual è l’aspetto appassionante di questo lavoro?

Oggigiorno è importante trovare idee alternative che vadano a valorizzare il frutto del nostro duro lavoro di produttori di latte. Guardandoci intorno abbiamo scoperto un apparecchio innovativo per produrre yogurt, formaggi e altri derivati del latte in un sistema chiuso ad alto controllo, sia del processo produttivo sia delle qualità organolettiche del prodotto finito. Da qui l’idea di produrre uno yogurt che abbia però un formato moderno, vale a dire fresco, leggero, nutriente e facile da portarsi appresso per uno spuntino sano quando si è fuori casa.

L’azienda esiste dal 2000, anche se personalmente ho iniziato ad allevare bovini nel 1991. Oggi io e mia moglie possediamo un’ottantina di capi, di cui 45 mucche da latte. La nostra produzione include, oltre al nuovo Yogúrt da bév, anche formaggelle, formaggio e formaggini che vendiamo nel nostro agriturismo. Tengo a sottolineare che siamo molto attenti all’alimentazione e al benessere dei nostri animali: in particolare abbiamo introdotto nella loro razione i semi di lino – una fonte naturale di importanti Omega 3 –, sostanze che ritroviamo successivamente nel latte e nei derivati.

Anche se il mestiere del contadino è impegnativo – dobbiamo sottostare al volere della natura, non esistono domeniche o ferie e l’imprevisto è sempre dietro l’angolo – questa vita in simbiosi con l’ambiente circostante ci ripaga infinitamente. È importante che i nostri consumatori capiscano i tanti sacrifici che ogni giorno facciamo e prediligano le produzioni locali, non solo per sostenere l’economia del nostro paese, ma anche perché così hanno la certezza di mangiare prodotti dalle elevate qualità e in totale sicurezza.

Isabella e Marco Scoglio nella propria azienda agricola di Mugena. (Stefano Spinelli)


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Idee e acquisti per la settimana

Insalate à gogo Attualità Le lattughe nostrane giungono pochissime ore dopo la raccolta

nel vostro reparto verdura Migros

Giovanni Barberis

È il momento perfetto per celebrare la cucina leggera primaverile, per esempio con una ricca insalatona croccante a base di lattughe miste quali «Cappuccio», «Foglia di quercia» oppure «Riccia», ortaggi questi tutti coltivati in Ticino secondo i principi della produzione integrata. Già conosciuta e apprezzata nel Medioevo, la lattuga è composta per il 95% d’acqua e contiene pochissime calorie. In compenso racchiude in sé preziosi oligoelementi e sali minerali. Anche se solitamente la si consuma cruda insaporita con una semplice salsina, può essere gustata anche sotto forma di pesto, zuppa o come ingrediente per fagottini ripieni di verdure. Una volta acquistata, se non consumata subito, può essere conservata qualche giorno in frigorifero in un sacchetto di plastica, lontano dalla frutta matura per evitare che annerisca. Lavate e tagliate la lattuga solo poco prima del consumo affinché rimanga bella croccante.

Ecco la FamigliaBio

La FamigliaBio Pentassuglia e l’orticoltore bio Floriano Locarnini hanno dato il via alla coltivazione dell’orto biologico. (Stefano Spinelli)

Protagonista dell’orto più Bio del Ticino è la famiglia Pentassuglia di Gordola! Papà Tonino, mamma Manuela e le piccole Alice e Zoe hanno infatti vinto il casting FamigliaBio lanciato alcune settimane fa sul nostro settimanale Azione e sul sito famigliabio-migrosticino.ch. L’originale progetto ideato da Migros Ticino in collaborazione con l’Azienda orticola Locarnini SA di Sementina, dà la possibilità alla famiglia Pentassuglia di avvicinarsi alla natura coltivando un orto di ca. 50 metri quadri con prodotti

esclusivamente biologici e di gustare i genuini frutti del loro lavoro. Supervisore del progetto è Floriano Locarnini, orticoltore bio e storico fornitore di Migros Ticino, il quale sarà da prezioso supporto alla FamigliaBio nella progettazione, semina, cura e raccolta dei prodotti. Sul nostro giornale, come pure sul relativo sito, vi aggiorneremo regolarmente sull’evolversi di questo progetto nell’orto biologico di Sementina. famigliabio-migrosticino.ch


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Idee e acquisti per la settimana

Via alle grigliate!

Le giornate fredde sono ormai archiviate e torna la voglia irresistibile di gustare pietanze alla griglia. Se avete deciso di trascorrere la stagione calda accanto al grill, l’indirizzo giusto a cui rivolgervi è quello delle macellerie Migros, che propongono stuzzicanti idee in grado di soddisfare i gusti più disparati. Questa settimana protagonisti dei reparti saranno alcuni tagli di carne con l’osso, nella fattispecie costolette e costine di maiale, racks di agnello e costate di manzo, i nostri macellai vi consiglieranno le modalità di preparazione più idonee. Ecco alcune regole d’oro per delle grigliate riuscite: le carni grigliate sono fra le più saporite, digeribili e leggere. Quasi tutta la carne si può grigliare. Non salare la carne in cottura e non pungerla mai per evitare la fuoriuscita dei succhi. La riuscita di un barbecue dipende anche dall’impiego della legna giusta.

A seconda del tipo scelto, è possibile conferire alla carne un gusto piuttosto dolce, acre oppure intensamente affumicato. È particolarmente indicata la legna di alberi da frutto, quali pera, melo, ciliegio, noce, pecan o quercia. Il carbone di legna è senza dubbio quello maggiormente utilizzato. Chi però possiede un grill con coperchio, ha la possibilità di ottenere un gusto più intenso, grazie all’impiego di diversi tipi di legna. Metodo di cottura diretta 160° – 260º: accendere la legna o il carbone di legna e attendere che si crei la brace. Il punto ideale per iniziare la cottura si riconosce dal sottile strato di cenere che si forma in superficie. Metodo di cottura indiretta 90° – 160º: accendere la legna o il carbone di legna nel contenitore riservato al fuoco, se possibile senza aggiunta di sostanze chimiche. A questo punto iniziare subito con la cottura degli alimenti. La formazione di calore dipende dalla vicinanza del cibo al fuoco. Assicurarsi che le gocce di grasso non cadano sulla brace per poi incendiarsi. Altrimenti il cibo sulla griglia si brucerebbe, formando sostanze nocive. Il metodo di cottura indiretta si consiglia per tagli di carne grandi. Calcolare un’ora di cottura ogni ½ chilo di carne. Per il metodo di cottura diretto sono indicati i pezzi di carne più piccoli. La carne va marinata un giorno oppure diverse ore prima della cottura. Importante: non aggiungere mai sale alla marinata. La temperatura otti-

mauriziovezzoli.com

Attualità Alla Migros l’atmosfera delle grigliate si fa calda grazie ad una varietà di specialità di carne senza pari

male, chiamata temperatura al cuore, garantisce una cottura a puntino della carne. Per rilevarla, si consiglia l‘impiego di un apposito termometro da cucina. Le temperature ideali al cuore

sono le seguenti: 40 gradi: carne rossa (cottura au bleu); 50 gradi: carne rossa (cottura al sangue); 60 gradi: carne rossa (cottura a puntino); 65 gradi: per coscia e lombata di agnello (cottura a

puntino); 70 gradi: per coscia e lombata di agnello (ben cotta); 72 gradi: tagli di prima categoria del vitello, spalla di agnello, petto di pollame, salmone, maiale.

Biscotti per tutti i gusti Attualità Gli apprezzati biscotti della Jowa restano freschi più a lungo grazie

alla confezione richiudibile

*20% di riduzione su tutti i biscotti Jowa dal 12.5 al 25.5.2015

Flavia Leuenberger

Adesso non c’è più pericolo che i biscotti Jowa rimasti diventino secchi. I nuovi imballaggi infatti sono muniti di una speciale linguetta che permette di richiudere perfettamente il pacchetto e gustare i dolcetti in tutta croccantezza e tenerezza anche il giorno dopo. I biscotti freschi Jowa sono preparati con ingredienti naturali, non contengono conservanti e si caratterizzano ancora oggi per una lavorazione in gran parte manuale. Grazie all’assortimento ampio e variato ognuno troverà la sua specialità preferita. Se gli amanti dei sapori più tradizionali optano per le tre varietà di amaretti – ripieni, classico o alle nocciole – altri non potrebbero resistere alle ghiotte creazioni quali i nidi alle nocciole, i discoletti, i savoiardi e i waffeln viennesi; mentre gli amanti del cioccolato troveranno di che soddisfare il loro piacere con le rosette marmorizzate al burro e i biscotti di spelta e avena con ripieno di cioccolato. Infine, ora con essi potresti vincere carte regalo Migros del valore di Fr. 1000.–. Tagliandi di partecipazione nel tuo supermercato Migros.

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Gli amaretti ripieni richiedono una lavorazione manuale (foto sopra). La nuova confezione richiudibile mantiene i biscotti freschi a lungo (sotto).

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui i biscotti della Jowa.


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Idee e acquisti per la settimana

Party di primavera? Attualità Per qualsiasi evento affidatevi

al Party Service di Migros Ticino

L’arrivo della bella stagione invita ad uscire all’aria aperta per godersi piacevoli momenti in compagnia di amici e famigliari. Affinché dobbiate solo preoccuparvi di intrattenere i vostri ospiti, non dovete fare altro che affidarvi al Party Service di Migros Ticino. Qualità, professionalità, convenienza e varietà sono i segni distintivi del nostro servizio catering. Che si tratti di aperitivi, cresime, battesimi oppure matrimoni, i nostri specialisti sono pronti a rendere il vostro evento davvero unico. Siamo in grado di offrirvi un servizio completo e competente in tutti gli ambiti: dalla scelta delle pietanze secondo i vostri desideri alla ricchissima carta delle bevande; dalla fornitura di tutto il materiale necessario alle proposte di location fantastiche; senza dimenticare lo smaltimento dei rifiuti secondo i severi concetti ecologici Migros. Naturalmente tutte le nostre proposte gastronomiche – piatti di aperitivi, buffet, dolci, pasticceria - si possono pure ritirare presso i supermercati Migros. Il Party Service di Migros Ticino è a vostra completa disposizione per una consulenza personalizzata. Scoprite di più sul sito www.migrosticino.ch/ party-service, oppure contattateci al numero 0848 0848 018 o all’indirizzo e-mail party-service@migrosticino.ch.

Vincitori concorso «Vinci la tua spesa» Attualità Effettuata la premiazione presso il supermercato Migros di Melano

Nella foto il Gerente Dario Calori con alcuni vincitori. (Flavia Leuenberger)

In occasione dei festeggiamenti per l’apertura lo scorso mese di marzo del nuovo punto vendita Migros di Melano situato al piano terra della nuovissima casa comunale, facilmente raggiungibile, al numero civico 89 di Via Cantonale, era stato proposto sulle pagine di Azione il concorso denominato «Vinci la tua spesa». La «dea bendata» ha premiato con una carta regalo Migros del valore di 100.– franchi 10 clienti che hanno imbucato il relativo tagliando nei primi tre giorni dell’apertura, dal 26 al 28 marzo scorso. Questi i fortunati vincitori: Barbara Fontana di Corteglia, Lorenza Bagutti-Grassi di Rovio, Assunta Staffoni, Rosalba Bruni, Patrizia Mazza, Samia Sisini e Michel Blatter di Melano, Giorgia Cardillo di Galbisio, Athos Chiesa di Torricella e Mauro Morandi di Viganello.


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Idee e acquisti per la settimana

Top10 CD

Top10 DVD

Top10 Libri

1. Eros Ramazzotti

1. Masha & Orso

1. Sveva Casati Modignani

Perfetto / novità

Animazione

2. Ligabue

Giro del mondo (2 CD+DVD) 3. Antonello Venditti

Tortuga

La vigna di Angelica, Sperling novità

2. Exodus

C. Bale, S. Weaver / novità

Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi 3. Vanessa Diffenbaugh

Le ali della vita, Garzanti / novità

4. Jovanotti

Lorenzo 2015 CC 5. Fabri Fibra

4. Lo Hobbit – la battaglia delle cinque armate

4. Andrea Camilleri

M. Freeman, I. McKellen

La giostra degli scambi, Sellerio novità

Squallor 6. Tiziano Ferro

TZN 7. Il Volo

Sanremo Grande Amore 8. Marco Mengoni

Parole in circolo

Novità Ai banchi gastronomia nuove

proposte all’insegna della qualità

2. Carlo Rovelli

3. The Imitation Game

B. Cumberbatch, K. Knightley novità

Specialità fresche di stagione

5. Hunger Games – Il canto della rivolta parte 1

5. E.L. James

J. Lawrence, J. Hutcherson

Cinquanta sfumature – Trilogia, Mondadori

6. La teoria del tutto

E. Redmayne, F. Jones

6. Marie Kondo

Il magico potere del riordino, Vallardi

7. Interstellar

L’insalata di riso: un classico dell’estate.

M. McConaughey, A. Hathaway 7. Francesco Piccolo

9. Negrita

9 10. Lorenzo Fragola

1995

Momenti di trascurabile infelicità, Einaudi

8. Big Hero 6

Animazione 9. Frozen – Il regno di ghiaccio

8. Alessandro Baricco

La sposa giovane, Feltrinelli

Animazione 10. I Pinguini di Madagascar

9. Andrea Vitali

Animazione

La ruga del cretino, Garzanti 10. Stephen King

Revival, Sperling

Quale accompagnamento ad una ricca grigliata non può mai mancare uno sfizioso contorno. Le specialità fresche stagionali disponibili attualmente ai banchi gastronomia Migros sono preparate accuratamente con ingredienti di prima scelta e sono pronte al consumo. La gamma è composta dalle insalate di riso, cervelas, patate e farro. Que-

ste prelibatezze si possono ovviamente gustare non solo come contorno, ma sono ideali anche come pasto nutriente da portare con sé al lavoro o in occasione di un picnic immersi nella natura. A proposito: oltre a queste, ai banchi gastronomia trovate pure la trota in carpione nostrana: una grande specialità della nostra tradizione. Annuncio pubblicitario

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Idee e acquisti per la settimana

I crostini guarniti con qualche rotolo di Gruyère Cave d’Or conferiscono un sapore davvero speciale alla Caesar Salad.

Caesar Salad con gruyère Piatto principale per 4 persone

Ingredienti 80 g di gruyère, ad es. Cave d’Or 14 mesi 3 fette di pane per toast olio per rosolare 2 petti di pollo sale, pepe 2 cucchiai di maionese 2 cucchiaini di senape 3 cucchiai d’aceto di vino bianco 3 cucchiai d’olio di girasole 1 lattuga iceberg grossa 100 g di carote e sedano grattugiati 12 rotolini di gruyère Cave d’Or Cave d’or

Dalla grotta all’insalata

Preparazione Grattugiate finemente il gruyère. Tagliate a dadi grossi il pane per toast. Dorateli in una padella in poco olio. Cospargete con la metà del formaggio grattugiato e mescolate quando sono ancora in padella. Mettete da parte.

Foto e Styling Ruth Küng

Condite i petti di pollo con sale e pepe. Rosolateli bene in un po’ d’olio per ca. 12-15 minuti e lasciateli raffreddare.

Il microclima delle grotte svizzere del formaggio offre le condizioni migliori per conservare i formaggi. In questo ambiente naturale, le forme di Cave d’Or maturano e sviluppano il loro caratteristico aroma speziato. Per un Cave d’Or, comunque, non è importante solo l’aria, ma anche la durata della stagionatura. Infatti, più il formaggio matura, più il suo carattere diventa intenso e particolare. E così il Gruyère stagiona per 14 mesi, l’Emmentaler per 12 e il Montagne per 5 mesi. Tanta classe si abbina perfettamente anche a una Caesar Salad.

Emulsionate la maionese con la senape, l’aceto e l’olio. Unite il formaggio grattugiato restante. Condite la salsa con sale e pepe. Tagliate l’insalata a bocconi. Mescolate con le verdure grattugiate e la salsa. Servite l’insalata con il pollo e i rotolini di formaggio.

Tempo di preparazione ca. 35 minuti Per persona ca. 31 g di proteine, 38 g di grassi, 10 g di carboidrati, 2100 kJ/500 kcal

Cave d’Or Gruyère Rotoli Gusto: intenso, aromatico 11 mesi di stagionatura 100 g Fr. 5.20 Nelle maggiori filiali

Cave d’Or Emmentaler Gusto: speziato, aromatico 12 mesi di stagionatura per 100 g Fr. 2.70

Cave d’Or Gruyère Gusto: intenso, aromatico 14 mesi di stagionatura per 100 g Fr. 2.65

Cave d’Or Montagne Gusto: piccante, intenso 5 mesi di stagionatura per 100 g Fr. 2.90 Nelle maggiori filiali L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra i quali anche i formaggi Cave d’Or.


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Idee e acquisti per la settimana

Tradition

Biscottini per palati fini

I Sablé con pistacchio e i Petit Gâteau al cioccolato fanno da corona all’ora del tè.

Novità Tradition Sablé con pistacchi 120 g* Fr. 3.50

Sono tre le caratteristiche che contraddistinguono i biscotti della linea Tradition: non contengono conservanti né coloranti e sono prodotti solo con uova d’allevamento all’aperto. Ora l’assortimento si arricchisce dei Sablé con pistacchio e dei Petit Gâteau au chocolat. Questi ultimi sono dei morbidi pasticcini con un fondo glassato di cioccolato al latte, proprio come quelli che sfornava la nonna. I Sablé sono invece finissimi biscotti friabili farciti con pistacchi tostati.

Novità Tradition Petit Gâteau au chocolat 150 g* Fr. 3.70 * nelle maggiori filiali

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche i biscotti Tradition.


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Fleischkäse affettato finemente, TerraSuisse per 100 g

Creme dessert M-Classic in conf. da 6 6 x 125 g, 20% di riduzione, per es. alla vaniglia

Arrosto spalla di vitello, TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Fettine lonza di maiale, TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g

Pancetta contadina Malbuner in conf. da 2 Svizzera, 2 x 134 g

30%

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5.50 invece di 7.90

4.95 invece di 6.20

2.85 invece di 3.60

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12.90 invece di 18.50

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Pesche noci Spagna, sciolte, al kg

Lattuga rossa e formentino Anna’s Best in conf. da 2 lattuga 150 g, formentino 100 g, 20% di riduzione

Tutti gli yogurt Yogos in conf. da 4 4 x 180 g, 20% di riduzione, per es. al naturale

Caseificio Gottardo prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg

Sottilissime di pollo, AIA Italia, conf. da ca. 250 g, al kg

Salametti a pasta fine prodotti in Ticino, conf. da 2 pezzi, per 100 g

25%

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3.60 invece di 4.90

1.40 invece di 1.90

2.05 invece di 2.60

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11.10 invece di 14.80

3.25 invece di 4.70

Meloni Charentais Spagna, al pezzo

Foglia di quercia verde o rossa Ticino, al pezzo

Tutti i tipi di crème fraîche 20% di riduzione, per es. al naturale, 200 g

Tilsiter dolce per 100 g, 20% di riduzione

La Pizza in conf. da 2 25% di riduzione, per es. 4 stagioni, 2 x 420 g

Costa schiena di manzo, TerraSuisse Svizzera, imballata, per 100 g

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6.80 invece di 10.20

Tortine con funghi prataioli, con spinaci, al formaggio o quiche lorraine M-Classic in conf. da 4 surgelate, 20% di riduzione, per es. tortine al formaggio, 280 g

Tutti i frutti di bosco M-Classic surgelati, 20% di riduzione, per es. lamponi, 500 g

Diversi articoli di cioccolato Kinder Ferrero in confezioni grandi o multiple (prodotti a base di latte del reparto frigo esclusi), per es. barrette al cioccolato, 4 x 100 g

Red Bull standard o sugarfree in conf. da 12 12 x 250 ml, 20% di riduzione

Croccantini alle mandorle, Nobilé o Buttersnacks Créa d’Or in conf. da 3 per es. croccantini alle mandorle, 3 x 103 g

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9.90 invece di 12.40

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Tutta la pasta M-Classic a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. pipe grandi, 500 g

Funghi prataioli o misti M-Classic in conf. da 3 per es. funghi misti, 3 x 200 g

Tutti i müesli o i fiocchi Farmer 20% di riduzione, per es. müesli con frutti di bosco Croc, 500 g

Mix Les Dragées Frey in sacchetto da 1 kg, UTZ 20% di riduzione

Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g, UTZ (Suprême, M-Classic, Eimalzin e confezioni multiple escluse), a partire dall’acquisto di 3 tavolette, –.30 di riduzione l’una, per es. al latte e alle nocciole, offerta valida fino al 25.5.2015

30%

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Peonie mazzo da 5

Pizza Antipasti Casa Giuliana in conf. da 2 surgelata, 2 x 350 g

Miscela di noci o cranberries Sun Queen in conf. da 2 20% di riduzione, per es. cranberries, 2 x 150 g

Tutte le bevande istantanee al cacao o al malto 20% di riduzione, per es. Banago in bustina, 600 g

Selina in confezioni multiple in vaschetta da 16 x 100 g o in bustina da 24 x 100 g per es. con pollo, in bustina, 24 x 100 g

Tutti i sistemi di filtraggio dell’acqua Brita, Cucina & Tavola e i prodotti Soda Stream per es. filtri Duomax Cucina & Tavola, 3 cartucce, offerta valida fino al 25.5.2015

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Tutti gli occhiali da sole o da lettura (articoli SportXX inclusi, articoli melectronics esclusi), per es. occhiali da sole Polaroid, in metallo, offerta valida fino al 25.5.2015

Tutte le pantofole comode Piscina gonfiabile a forma di tartaruga Bestway (articoli SportXX esclusi), disponibili in diverse forme 1,8 m x 1,5 m x 0,66 m, offerta valida fino al 25.5.2015 e diversi colori, per es. pantofole da donna, rosa, numeri 36–41, offerta valida fino al 25.5.2015

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Carta per uso domestico Twist in confezione multipla per es. recycling, 16 rotoli, offerta valida fino al 25.5.2015

Fazzoletti di carta o salviettine cosmetiche Linsoft in confezioni multiple per es. in scatola quadrata, conf. da 3, FSC, 3 x 90 pezzi, offerta valida fino al 25.5.2015

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Tutti gli articoli M-Plast 20% di riduzione, per es. gel igienizzante per le mani, 75 ml, offerta valida fino al 25.5.2015

Tutti i tovaglioli, le tovagliette, le tovaglie o le tovaglie in rotolo di carta Cucina & Tavola e Duni per es. tovaglioli con motivo farfalla, 33 cm, FSC, 20 pezzi, offerta valida fino al 25.5.2015

* In vendita nelle maggiori filiali Migros. FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Pomodori a grappolo, Svizzera / Paesi Bassi, al kg 2.60 invece di 3.90 33% Asparagi bianchi, Spagna / Ungheria, mazzo da 1 kg 5.20 invece di 8.70 40% Lattuga rossa e formentino Anna’s Best in conf. da 2, lattuga 150 g, formentino 100 g 4.95 invece di 6.20 20% Foglia di quercia verde o rossa, Ticino, al pezzo 1.40 invece di 1.90 25% Pesche noci, Spagna, sciolte, al kg 5.50 invece di 7.90 30% Meloni Charentais, Spagna, al pezzo 3.60 invece di 4.90 25% Ananas, Costa Rica, al pezzo 2.40 Mirtilli, bio, Svizzera / Spagna, vaschetta da 250 g 4.40 invece di 6.40 30%

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FRUTTA E VERDURA

Salsiccia per il grill Rapelli, Svizzera, 420 g 5.40 invece di 9.– 40% Fleischkäse affettato finemente, TerraSuisse, per 100 g 1.40 invece di 2.– 30% Pancetta contadina Malbuner in conf. da 2, Svizzera, 2 x 134 g 6.90 invece di 11.50 40% Scamone di maiale marinato, TerraSuisse, per 100 g 1.70 invece di 2.90 40% Cosce di pollo Optigal speziate in vaschetta d’alluminio, Svizzera, al kg 10.50 invece di 15.– 30% Salmone affumicato, bio, d’allevamento, Scozia, 260 g 14.70 invece di 21.05 30% * Salametti a pasta fine, prodotti in Ticino, conf. da 2 pezzi, per 100 g 2.55 invece di 3.70 30% Costa schiena di manzo, TerraSuisse, Svizzera, imballata, per 100 g 3.25 invece di 4.70 30% Arrosto spalla di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 2.55 invece di 3.70 30% Fettine lonza di maiale, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 2.60 invece di 3.75 30% Sottilissime di pollo, AIA, Italia, conf. da ca. 250 g, al kg 12.90 invece di 18.50 30% Ali di pollo Optigal, Svizzera, conf. da 6 pezzi, per 100 g – .90 invece di 1.35 33% Branzino, Grecia, conf. da 2 pezzi, per 100 g 1.90 invece di 2.40 20% Pesce fresco selezionato, bio, per es. filetto di salmone, d’allevamento, Norvegia, per 100 g 3.60 invece di 4.50 20% * Fino al 16.5

PANE E LATTICINI Pane Midi ricco, 300 g 2.50 NOVITÀ *,** Tutti i tipi di crème fraîche, per es. al naturale, 200 g 2.05 invece di 2.60 20%

20x

*In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Tutti gli yogurt Yogos in conf. da 4, 4 x 180 g, per es. al naturale 2.85 invece di 3.60 20% Creme dessert M-Classic in conf. da 6, 6 x 125 g, per es. alla vaniglia 1.90 invece di 2.40 20% Grana Padano, per es. pezzo, per 100 g 1.60 invece di 2.– 20% Tilsiter dolce, per 100 g 1.05 invece di 1.35 20% Mozzarella Alfredo in conf. da 2, 2 x 125 g 3.65 NOVITÀ *,** 20x Pane Leopardo, –.30 di riduzione, 350 g 1.80 invece di 2.10 Caseificio Gottardo, prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg 15.40 invece di 22.– 30%

FIORI E PIANTE Peonie, mazzo da 5 11.90 invece di 13.90 Diverse erbe aromatiche, bio, in vaso da 13 cm, la pianta, per es. basilico 3.90 invece di 4.90 20%

ALTRI ALIMENTI Diversi articoli di cioccolato Kinder Ferrero in confezioni grandi o multiple (prodotti a base di latte del reparto frigo esclusi), per es. barrette al cioccolato, 4 x 100 g 4.55 invece di 4.80 Mix Les Dragées Frey in sacchetto da 1 kg, UTZ 9.90 invece di 12.40 20% Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g, UTZ (Suprême, M-Classic, Eimalzin e confezioni multiple escluse), a partire dall’acquisto di 3 tavolette, –.30 di riduzione l’una, per es. al latte e alle nocciole 1.55 invece di 1.85 ** Croccantini alle mandorle, Nobilé o Buttersnacks Créa d’Or in conf. da 3, per es. croccantini alle mandorle, 3 x 103 g 6.80 invece di 10.20 33% Abricot M-Classic in conf. da 3, 3 x 150 g 5.80 invece di 8.70 33% Tutte le bevande istantanee al cacao o al malto, per es. Banago in bustina, 600 g 6.30 invece di 7.90 20% Tutti i müesli o i fiocchi Farmer, per es. müesli con frutti di bosco Croc, 500 g 3.80 invece di 4.80 20% Müesli croccante ai frutti di bosco, bio, 20x aha!, 500 g 5.80 NOVITÀ *,** Miscela di noci o cranberries Sun Queen in conf. da 2, per es. cranberries, 2 x 150 g 3.40 invece di 4.30 20% Muffin Cup Lovers, 20x 80 g 1.60 NOVITÀ *,** Pizza Antipasti Casa Giuliana in conf. da 2, surgelata, 2 x 350 g 6.20 invece di 12.40 50% Tortine con funghi prataioli, con spinaci, al formaggio o quiche lorraine M-Classic in conf. da 4, surgelate, per es. tortine al formaggio, 280 g 2.15 invece di 2.70 20%

**Offerta valida fino al 25.5

Gelati da passeggio alla panna nei gusti vaniglia, cioccolato o fragola in conf. da 24, per es. alla vaniglia, 1368 ml 7.20 invece di 14.40 50% Tutti i frutti di bosco M-Classic, surgelati, per es. lamponi, 500 g 6.20 invece di 7.80 20% Red Bull standard o sugarfree in conf. da 12, 12 x 250 ml 14.85 invece di 18.60 20% Gold Summerkiss, Fairtrade, 1 l 2.30 NOVITÀ *,** 20x Succo d’arancia M-Classic in conf. da 10, 10 x 1 l 6.90 invece di 11.50 40% Ice Tea Magia estiva, bio, 1 l o 6 x 1 l, per es. 1 l 20x 1.70 NOVITÀ *,** Tutta la pasta M-Classic, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. pipe grandi, 500 g 1.– invece di 1.50 Tutti i tipi di pasta TerraSuisse, per es. pipe di spelta originale, 500 g 2.30 invece di 2.90 20% Olio di colza, TerraSuisse, 50 cl 2.65 invece di 3.35 20% Tutti i tipi di aceto o di salse Ponti e Giacobazzi, per es. balsamico di Modena Ponti, 50 cl 3.40 invece di 4.25 20% Tutte le olive Migros, Monini e Polli in bustine, vasetti o barattoli (prodotti Alnatura esclusi), per es. olive nere Migros provenienti dall’Andalusia, snocciolate, 150 g 1.90 invece di 2.40 20% Pepperballs con formaggio 20x fresco, 170 g 5.– NOVITÀ *,** Zuppa estiva al melone o alla crema di fragole Bon Chef, per es. al melone, 60 g 20x 1.90 NOVITÀ *,** Funghi prataioli o misti M-Classic in conf. da 3, per es. funghi misti, 3 x 200 g 7.80 invece di 11.70 33% Chips al naturale o alla paprica M-Classic in sacchetto XL, per es. alla paprica, 400 g 3.– invece di 6.– 50% Tortine in conf. da 4, per es. tortina al cioccolato, 4 pezzi, 300 g 3.60 invece di 4.80 25% Tutti i panini, gli antipasti e tutte le insalate Anna’s Best Vegi, per es. hummus al naturale, 20x 175 g 3.40 NOVITÀ ** Fiori o gnocchi Anna’s Best in conf. da 2, per es. fiori al limone, 2 x 250 g 7.80 invece di 9.80 20% La Pizza in conf. da 2, per es. 4 stagioni, 2 x 420 g 11.10 invece di 14.80 25% Polpettine di lenticchie e quinoa Cornatur, 200 g 20x 4.90 NOVITÀ *,** Uova svizzere da allevamento all’aperto, 9 pezzi da 53 g+ 4.50 invece di 5.40 15% Tutte le pizze Svila, surgelate, 235 g, per es. pizza Pala verdure, 235 g 3.40 invece di 4.– 15% Torta svedese, cake svedese e coppa svedese M-Classic, 100 g, 2 pezzi, 242 g e 350 g, per es. cake svedese, 350 g 6.20 invece di 7.80 20%

NEAR FOOD / NON FOOD Sheba Delikates in conf. da 2 in salsa, 4 x 85 g 4.95 NOVITÀ **

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Pesce misto Sheba Fresh & 20x Fine, 6 x 50 g 4.50 NOVITÀ ** Pollame misto Sheba Fresh & Fine, 12 x 50 g 20x 8.95 NOVITÀ ** Sheba Finesse con pollo, 20x 85 g –.85 NOVITÀ ** Selina in confezioni multiple in vaschetta da 16 x 100 g o in bustina da 24 x 100 g, per es. con pollo, in bustina, 24 x 100 g 10.90 invece di 15.60 30% Topo di stoffa Best Friend, con erba gatta, il pezzo 20x 2.90 NOVITÀ *,** Palla da gioco con campanellino e piuma Best Friend, 20x set da 3 4.50 NOVITÀ *,** Palla da gioco in elastomero Best Friend in set da 4 20x 3.90 NOVITÀ *,** Articoli Nivea Sun in conf. mista, latte solare IP 30, 250 ml, e lozione doposole gratuita, 200 ml 15.30 invece di 22.90 33% ** Tutti i prodotti Maybelline (prodotti Baby Lips esclusi), a partire dall’acquisto di 2 prodotti, 3.– di riduzione l’uno, per es. gamma The Nudes Eyeshadow, disponibile in 12 tonalità 15.90 invece di 18.90 Tutti i prodotti per capelli Syoss o Taft in conf. da 2, per es. Taft Ultra Mousse, grado di tenuta 4, 2 x 200 ml 7.20 invece di 9.– 20% ** Tutto l’assortimento per la cura del viso o del corpo L’Oréal (esclusi prodotti Men Expert o confezioni multiple), per es. trattamento rigenerante Age Perfect Pro-Calcium, 50 ml 20.85 invece di 26.10 20% ** Tutti i deodoranti Rexona (confezioni multiple escluse), a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.80 di riduzione l’uno, per es. Cotton Compressed, 75 ml 2.80 invece di 3.60 ** Fazzoletti di carta o salviettine cosmetiche Linsoft in confezioni multiple, per es. in scatola quadrata, conf. da 3, FSC, 3 x 90 pezzi 4.55 invece di 5.70 20% ** Tutti gli articoli M-Plast, per es. gel igienizzante per le mani, 75 ml 3.65 invece di 4.60 20% ** Diversi sandali, per es. sandali da donna, bianco, numeri 36–41 39.90 ** Bermuda da bambino, turchese, taglie 98–128 20x 23.– NOVITÀ ** Detersivo per i piatti Manella in conf. da 3, per es. al limone, 3 x 500 ml 7.40 invece di 9.30 20% ** Sacchi per la spazzatura Cleverbag Herkules in conf. da 5, 5 rotoli da 35 l 12.90 invece di 17.– 25% ** Padelle in acciaio inox, set da 3, Ø 20 cm, 24 cm e 28 cm, indicate anche per i fornelli a induzione 49.80 ** Tutti i sistemi di filtraggio dell’acqua Brita, Cucina & Tavola e i prodotti Soda Stream, per es. filtri Duomax Cucina & Tavola, 3 cartucce 10.35 invece di 14.80 30% ** Bicchieri Acqua o Longdrink Cucina & Tavola Tricolore in conf. da 3, per es. bicchieri da Acqua, 3 x 28 cl 6.90 invece di 13.80 2 per 1 ** Serie di borse da viaggio Titan Merik, per es. 54 cm, rosso 48.90 invece di 69.90 30%


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Müesli croccante ai frutti di bosco, bio, aha! 500 g

Zuppa estiva al melone o alla crema di fragole Bon Chef per es. al melone, 60 g

Pepperballs con formaggio fresco 170 g

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Idee e acquisti per la settimana

Tencha

Il tè freddo per gli amanti del lampone La famiglia dei tè freddi Tencha si allarga: Black Tea Raspberry è un aromatico tè nero al gusto di lampone, affinato con una sfumatura di vaniglia. Con il suo tocco fruttato, il nuovo Tencha si presenta come un ideale dissetante per questo avvio di stagione calda. E, contenendo meno zucchero

grazie alla stevia, un dolcificante naturale senza calorie, si segnala anche come un’ottima bevanda rinfrescante povera di calorie. Come tutti gli altri membri della famiglia Tencha anche il Black Tea Raspberry è disponibile in bottiglia di PET da mezzo litro con pratico tappo a vite.

Novità Tencha Black Tea Raspberry 50 cl Fr. 1.50 Nelle maggiori filiali

Un piacere impareggiabile: un sorso ghiacciato di Tencha Black Tea Raspberry.

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche i tè freddi di Tencha.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Idee e acquisti per la settimana

Colori – Effetti & Tendenze

Riconoscere i colori 100 nuove idee: non importa che il cielo sia grigio o azzurro, con le idee del nuovo libro dell’estate non ci si annoia mai.

Il tempo lo coloriamo noi

Portate il sole in casa: con un po’ di colore si può ridipingere di bello anche il maltempo più ostinato. Che si tratti di una vecchia sedia o dell’intera parete… una mano di pittura rinfresca la casa e la mente. Prima di mettersi a riverniciaTesti: Nicole Ochsenbein

Melanzana: il teatrale Un colore estremamente espressivo, che dovrebbe stimolare la meditazione. Non serve proprio a niente provare in tutti i modi a far diventare luminosa una stanza buia riempiendola di bianco: non funziona! Nelle stanze con poca luce naturale, infatti, è meglio puntare sui colori scuri, che creano un’atmosfera di teatrale intimità.

Verde: il balsamico Trasformano casa nostra in un giardino botanico: le tonalità del verde creano un ambiente rilassante, infondendo armonia al corpo e alla mente. Il verde è anche fonte di creatività e potrebbe funzionare benissimo come balsamo contro il mal d’amore.

Rosa: il tranquillante I colori rosa sono confortanti, calmano la mente e sono terribilmente in voga. Sono ideali per le pareti dei locali più luminosi e, secondo gli esperti, particolarmente adatti per dipingere la camera da letto.

Giallo: il buonumore Il giallo porta il sole in casa e nella mente e ha un effetto dinamizzante. Grazie alle sue proprietà stimolanti, favorisce la concentrazione ed è quindi ideale per i locali in cui si lavora.

Grigio chiaro: l’eleganza Tutt’altro che una tinta tetra: le sfumature di grigio conferiscono eleganza alla stanza. Usate come raffinato sottofondo, fanno risaltare gli altri colori con maggiore intensità. Particolarmente elegante è il grigio chiaro combinato con il bianco.

Celeste: la serenità Le sfumature di celeste infondono un senso di freschezza e pulizia e vengono impiegate di preferenza in combinazione con tinte calde. Dato che ha un effetto rilassante e favorisce il sonno, il celeste va benissimo anche in camera da letto.

re un mobile di legno, i perfezionisti toglieranno il vecchio strato di colore con la carta vetrata. Chi ha la vena artistica, invece, lo scrosterà alla bell’e meglio, conferendogli quelle sfumature oggi così di moda.

Foto: Daniel Amman

Styling: Mira Gisler Il libro con 100 nuove idee per l’estate a prova di meteo è disponibile dal 12 maggio per Fr. 7.70, in esclusiva alla Migros. Scaricate l’idea che più vi piace dal sito www.100idee.ch e tentate la fortuna: potrete vincere ogni settimana una carta regalo del valore di Fr. 1000.–!


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Idee e acquisti per la settimana

Diverse sementi per ortaggi ed erbe aromatiche, es. ravanelli Fr. 1.90

Prodotti

Per il giardinaggio FSC Paletta per piante inox Fr. 7.95 nei centri Do it + Garden

100 nuove idee: non importa che il cielo sia grigio o azzurro, con le idee del nuovo libro dell’estate non ci si annoia mai.

Ravanelli in balcone

Vaso per erbe aromatiche Elho Duo incl. forbice Fr. 15.90 nei centri Do it + Garden

Basilico Bio in vaso Ø 13 cm Offerta speciale 20% di sconto Fr. 3.90* invece di 4.90 *da 12 al 18 maggio, fino ad esaurimento scorte

Miocolor Vernici acriliche satinate, es. rosso fuoco, giallo melone, verde foglia, azzurro cielo, ognuno 375 ml Fr. 9.95 nei centri Do it + Garden

Rucola, 100 g al prezzo del giorno

Gelato alla panna Vaniglia Offerta speciale 50% di sconto 24 pezzi Fr. 7.20* invece di Fr. 14.40 *dal 12 al 18 maggio, fino ad esaurimento scorte

Fatevi l’orticello: piccoli, facili da coltivare e non richiedono continuamente il sole, i ravanelli sono l’ortaggio da balcone ideale. Procedete così: riempite una casetta di fiori con del terriccio, poi con le dita praticate dei buchi profondi 1-2 cm a intervalli di almeno 6 cm. Piantate

un seme in ogni foro e ricopritelo pressando la terra. Mantenete il suolo sempre umido. Dopo 30-40 giorni vedrete spuntare dalla terra i tuberi rossi e potrete coglierli. Naturalmente ci sono anche altre sementi che crescono in balcone. La Migros dispone di un ampio assortimento.

Pennello per verniciare, setole miste 60 mm Fr. 7.95 nei centri Do it + Garden

Limonada Lemon & Lime 1 l Fr. 1.90


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Idee e acquisti per la settimana

Frey

Dolci condivisioni

Risoletto Classic Minis 210 g Fr. 4.10

Concorso In palio premi per oltre 10’000 franchi www.risoletto.ch

Per il piacere di sgranocchiare qualcosa di dolce in compagnia, magari in un parco o durante una passeggiata, adesso la celebre barretta di cioccolato Risoletto è disponibile anche in formato da 15 grammi. I Minis confezionati in singole porzioni esistono nelle varietà Classic di cioccolato al latte e Blanco di cioccolato bianco. Con il suo cuore di caramello e gli spumeggianti chicchi di riso soffiato, Risoletto è sin dal 1975 tra gli snack al cioccolato più amati della Svizzera.

Risoletto Blanco Minis 210 g Fr. 4.10

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche Risoletto.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 maggio 2015 ¶ N. 20

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Idee e acquisti per la settimana

Anna’s Best

La forza del burro Preparare croccanti crostate e soffici torte è meno complicato di quanto possa sembrare. Con la pasta già spianata di Anna’s Best tutti diventano maestri pasticceri.

Torta alla mousse di fragole Per ca. 8 pezzi

Ingredienti 1 pasta sfoglia al burro rettangolare già spianata di 280 g 500 g di fragole 20 g di zucchero a velo 1 dl di panna 250 g di Qimiq, a temperatura ambiente 100 g di quark alle fragole zucchero a velo da cospargere

Preparazione 1. Scaldate il forno a 200 °C. Accomodate la pasta sfoglia con la carta da forno nella teglia. Formate un bordo ripiegando i quattro lati sulla pasta di ca. 1 cm e schiacciateli leggermente con una forchetta. Bucherellate più volte il fondo della torta. Dorate la pasta sfoglia in forno per 15-20 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare. 2. Nel frattempo, frullate 100 g di fragole con lo zucchero a velo. Montate la panna ben ferma. Mescolate il Qimiq con il quark e la purea di fragole. Incorporate con cura la panna montata. Distribuite la crema sulla pasta sfoglia. Mettete la torta in frigo per ca. 30 minuti. Tagliate le fragole rimaste a pezzettini e distribuiteli sulla crema. Conservate la torta in frigo fino al momento di servirla. Prima di gustarla, spolverizzate la torta con lo zucchero a velo.

Tempo di preparazione ca. 25 minuti + cottura in forno 15-20 minuti + riposo in frigo ca. 30 minuti Per persona Un pezzo ca. 4 g di proteine, 17 g di grassi, 24 g di carboidrati, 1100 kJ/270 kcal

Ricetta di

www.saison.ch

Anna’s Best Pasta sfoglia al burro 280 g* Fr. 3.10 *nelle maggiori filiali

Anna’s Best Pasta per crostate al burro 300 g* Fr.2.80 *nelle maggiori filiali

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche la pasta spianata al burro di Anna’s.


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Exquisito

Un aroma sulla bocca di tutti Foto e Styling Claudia Linsi

Se durante le pause caffè la conversazione ruota sempre e solo attorno al caffè, c’è una precisa ragione. Infatti, adesso l’aromatico Exquisito non si gusta solo nella tazza, ma anche sul piatto: nella torta Café Crème fatta in casa si ritrova, infatti, la sua inconfondibile e marcata fragranza (vedi ricetta a destra).

Sin dal momento del suo lancio, avvenuto nel 1930, il caffè Exquisito fa onore al proprio nome. Con le sue varietà, oggi fa parte dei caffè più amati della Svizzera. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che ora anche l’affermato MClassic Extra Mild sia stato inserito in questa linea di successo e dotato di un nuovo imballaggio.

Torta al caffè Per 1 torta Per ca. 10 fette

Ingredienti 250 g di mascarpone 2,5 dl di caffè forte, freddo 1 dl di latte 2 bustine di preparazione per creme Varietà da 100 g 2 fondi di pan di Spagna chiari 1 fondo di pan di Spagna al cioccolato trucioli di cioccolato per guarnire

Preparazione 1. Lavorate il mascarpone con il caffè e il latte, con uno sbattitore elettrico fino a ottenere un composto omogeneo. Incorporate la preparazione per creme Varietà. Mescolate il tutto per ca. 3 minuti fino a ottenere una crema densa. Mettete la crema in frigo per ca. 15 minuti. 2. Spalmate un terzo della crema su un fondo di pan di Spagna chiaro. Accomodate sulla crema il fondo di pan di Spagna al cioccolato e ricopritelo con un altro terzo di crema. Accomodate il secondo fondo di pan di Spagna chiaro sulla crema. Ricoprite la torta con la crema al caffè rimasta e guarnite con i trucioli di cioccolato. Conservate la torta in frigo fino al momento di servirla.

Azione 30% sui caffè Exquisito in chicchi e macinati dal 5 al 18.5

Tempo di preparazione ca. 20 minuti Per persona Una fetta ca. 6 g di proteine, 18 g di grassi, 44 g di carboidrati, 1500 kJ/360 kcal

Ricetta di L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui i caffè Exquisito.

Exquisito Extra Mild macinato, 250 g* Fr. 3.30 invece di 4.75

Exquisito Crema in chicchi, 500 g* Fr. 5.25 invece di 7.50

Exquisito in chicchi, 500 g* Fr. 5.25 invece di 7.50 *nelle maggiori filiali

www.saison.ch


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Zoé Sun

Protezione solare con effetto Anti-Age

La nuova linea di protezione solare Zoé Sun è stata sviluppata per le pelli mature.

La pelle matura necessita di cure delicate, soprattutto in estate quando a causa dei raggi UV del sole è ulteriormente stressata. La nuova linea di protezione solare Zoé Sun offre alle donne a partire dai 40 anni una protezione ottimale con in più un effetto Anti-Age. Essa si compone di una body lotion rassodante e idratante, un After-Sun-Lotion rinfrescante come anche di un fluido per il viso opacizzante con agenti di ringiovanimento della pelle. Come tutti gli altri prodotti Zoé, anche la gamma Zoé Sun è stata sviluppata secondo le ultimissime conoscenze scientifiche. Sostituisce quella che finora era la linea Anti-Age di Sun Look.

Zoé Sun Body Lotion SPF 30 Age Protect 150 ml Fr. 17.80

Zoé Sun Face Fluid SPF 50 Age Protect 30 ml Fr. 12.50

Zoé Sun After Sun Fluid Age Protect 150 ml Fr. 8.80

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i prodotti Zoé.



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