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L’amore, la sorgente dell’essere

L’AMORE, LA SORGENTE DELL’ESSERE UN’ANALISI SU AMORE E CONOSCENZA E ORDO AMORISDI MAX SCHELER

REBECCA TRABALZA

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Max Scheler è considerato uno dei protagonisti dell’antropologia filosofica. Il suo intento nelle sue opere è quello di trovare un’antropologia del concreto svanita a causa del razionalismo moderno che ha diviso l’uomo nell’uomo delle passioni e dei sentimenti e nell’uomo dell’intelletto. Questo è il retaggio dell’illuminismo che liquida i sentimenti, che sono la sfera più profonda dell’Io. Per Immanuel Kant i sentimenti sono un limite all’agire umano. Salva solo il sentimento morale.

Il tema dell’antropologia filosofica è rilevante in Germania a causa della crisi dovuta alla II guerra mondiale. La tematica ontologica, attraverso l’antropologia filosofica viene alla luce. Il razionalismo è una riduzione dell’immagine dell’uomo poiché liquida la sfera emotiva umana che è il mezzo attraverso il quale avvengono le relazioni. Lo scopo di Scheler è quello di rettificare, ampliare e correggere la tradizione kantiana secondo cui ci sono valori universali. La prospettiva morale in Scheler viene esposta nell’opera Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Scheler crede che la morale di Kant sarebbe formale, ossia non fondata sui contenuti ma sulla forma differentemente dalla morale di Scheler che non prescinde dai contenuti. Ma una morale che si basa sui contenuti è relativa. Kant raggiunge l’universalità dell’etica solo a prezzo del formalismo. La forma è universale, il contenuto è particolare. Già G.F.W Hegel aveva criticato Kant dichiarando che la sua etica non serviva a nulla. Nell’ambiente sociale si parla di eticità, non di moralità. In ogni ambiente ci sono leggi che prescindono dai compor-

tamenti. Tuttavia, Hegel non considera che ci sono valori universali che prescindono dagli ambienti. L’etica di Scheler è un’etica materiale che si fonda sui contenuti ma che è anche universale.

La sfera affettiva intuisce i valori. C’è corrispondenza tra amore e conoscenza ma questa corrispondenza contraddice la mentalità borghese secondo la quale l’amore rende ciechi, non veggenti. Se si conosce, non si ama, se si ama, non si conosce, Pascal sostiene che l’amore e la ragione non sono che la stessa cosa. Solo nel corso dell’amore affiorano gli oggetti ai sensi e solo dopo la ragione giudica. Scheler non vuole enfatizzare le emozioni in senso soggettivo. Solo nell’amore e nella sfera affettiva si affermano oggetti che differentemente non sarebbero palesi all’esperienza. In un’esperienza Erlebnis affettiva la persona è un valore. L’esperienza morale è un’esperienza, non una dottrina. Percepiamo i valori attraverso un’esperienza che è morale. Pure Spinoza, razionalista, considera il più alto grado di conoscenza l’amor dei intellectualis. Scheler si chiede come mai il pensiero indiano e il pensiero greco, seppur diversi, convergano. L’amore non è autonomo ma è finalizzato al conoscere e quindi esso è dipendente dalla conoscenza. In Scheler c’è il superamento della categoria dell’Erlebnis (ognuno ha la propria conoscenza vissuta). Scheler valorizza Dilthey ma rende oggettiva l’Erlebnische in Dilthey è racchiusa nella soggettività.

Per il pensiero indiano noi aderiamo al mondo, alla realtà attraverso un desiderio. Se si toglie l’emotività, l’interesse, il mondo diventa astratto, non reale. Il limite del pensiero indiano è che l’amore è finalizzato alla conoscenza. L’amore accompagna il processo di de realizzazione del mondo che è conoscere. Conoscere è conoscere che il mondo è illusorio. Il mondo è tanto più reale quanto più l’uomo è un essere desiderante. Tanto più si eliminano i desideri, tanto più il mondo si rivela illusorio. In Agostino l’amore è una realtà originaria; infatti lo stesso Dio ama. Scheler pone in contrasto Cristianesimo e Aristotelismo secondo cui Dio non può amare.

L’amore non è più difettante ma è pienezza nel Cristianesimo. In Aristotele Dio non può ricambiare l’amore dell’uomo, è schiavo della propria perfezione. Anche in Plotino l’Uno non ama, è amato. Plotino chiama l’Uno Pater, un termine che indica affetto. La filosofia di Plotino è influenzata dal Cristianesimo. Sia nel pensiero indiano che nella filosofia greca la salvezza non è data da un atto di amore ma da un processo della conoscenza che è un’autoredenzione. La conoscenza è salvezza. Secondo la gnosi la salvezza è nel processo stesso della conoscenza. La filosofia è richiesta di approfondimento sull’immagine di Dio. Platone è influenzato da Pitagora il cui modello è fondato sulla metempsicosi secondo la quale l’anima per una colpa originaria si sarebbe imprigionata nel corpo e attraverso la filosofia si sarebbe redenta. Il filosofo si libera dalla schiavitù della caverna che è il corrispettivo del velo di Maya indiano. Anche per Platone il mondo fenomenico è illusorio. Il filosofo non è colui che possiede la sapienza ma è simile ad Eros che desidera. A Platone interessa il mondo ideale perché attraverso le Idee l’anima è riscattata. Si fa filosofia per la salvezza dell’anima. La conoscenza è elevazione dell’anima. Per la filosofia platonica diventare filosofo significa convertirsi. La differenza con il Cristianesimo è che la redenzione è opera di un atto gratuito del divino che entra nella storia non grazie alla gnosi che è rivolta ad una élite; inoltre per il Cristianesimo la salvezza è rivolta a tutti mentre per la filosofia la salvezza è per una élite di uomini.

L’amore rende reali gli enti individuali. Per la concezione buddista l’amore non è l’amore personale, non è l’amore per una persona singola ma è una sorta di amore cosmico. Anche se in questa opera non ne parla, il sentimento dell’amore per il buddismo si esprime attraverso la compassione, dove la compassione è verso le cose in forza della loro vanità e tutte le cose partecipano di questa vanità, di questa illusione e quindi il saggio stende un velo di compassione su tutte le cose esistenti. Ma è la compassione deriva dal fatto che

le cose non hanno consistenza, che sono effimere e che sono illusorie per cui l’amore non riesce mai ad aderire alla realtà della persona perché un amore in senso positivo sarebbe un incremento dell’illusione, ossia ti attaccheresti a qualcosa che non è reale, continui a perseverare nell’illusione dell’esistenza di ciò che è; per cui la compassione buddista contrasta con l’amore in senso positivo perché la particolare concezione ontologica che il buddismo ha che blocca la percezione dell’amore in senso positivo. La compassione buddista implica la vanità del mondo, non la realtà. Implica l’idea che il mondo non sia sussistente, non abbia consistenza ontologica e che il mondo sia illusorio. Il saggio buddista guarda le cose con compassione nella loro evanescenza. Questa compassione si oppone all’amore in senso positivo, dove l’amore in senso positivo è l’amore che si rivolge verso le singole persone e i singoli enti. L’amore in senso positivo viene considerato dal buddismo come insano, non giusto perché mi trattiene nell’illusione del mondo.

Scheler scrive che l’amore in senso buddista non è esperienza vissuta che ha come punto di partenza e di arrivo reali persone. Nel buddismo non c’è amore per reali persone individuali. L’amore diventa una sorta di percezione della nullità della forma delle esistenze individuali personali. Questo perché il fondamento dell’individuazione nel buddismo non è la persona come soggettività spirituale. Nell’amore, in questa compassione cosmica, noi non percepiamo il valore dell’altro, il valore dell’Io, ma al contrario l’annullamento dell’Io e dell’altro. È un amore che dissolve ciò che è individuale. L’amore è finalizzato al superamento del principio individuationis.Quindi l’amore è funzionale alla perfetta conoscenza mediante la quale l’individuo si scioglie ed entra nel Nirvana. La vera morte è l’annullamento di tutto ciò che è compresa la nostra individualità. La morte fisica non è, in fondo, la vera morte. La redenzione di Buddha non è la redenzione del finito, ma la redenzione dal finito, la negazione della finitezza. La redenzione di Buddha è

redenzione dalla vita presente, non della vita presente. L’Io si scioglie nella totalità intesa come nulla, ossia il Nirvana. Dunque, per non soffrire nel mondo bisogna dichiarare che il mondo è illusorio. In netto contrasto col tipo indo-buddista di determinazione della relazione tra conoscenza e amore, tra essere e valore, il tipo greco vede la conoscenza, come l’amore, apportata ad un essere positivo. Quindi abbiamo il tipo greco che si contrappone al tipo indiano. Il tipo indiano svolge una relazione negativa tra essere e valore, il tipo greco una relazione positiva. Scheler sta usando un metodo fondato sulla tipologia. In quegli anni, 1915-1920, lo studio per tipi era molto diffuso nella cultura tedesca. Colui che la consacra è il grande sociologo Max Weber. Alla concezione del tipo si collega una peculiare esperienza vissuta, l’Erlebnis. L’esperienza vissuta si esprime in una tipologia, in una struttura ideale, il tipo è in qualche modo una struttura, ma dietro la struttura sta l’Erlebnis, l’esperienza vissuta che Dilthey aveva elevato a criterio fondamentale. Il tipo greco si oppone per la concezione positiva dell’essere. La filosofia greca inizia dalla percezione del cosmo come essere positivo. Scheler scrive che la conoscenza assoluta è la conoscenza dell’ontos on. Qui i valori positivi delle cose sono semplici funzioni della pienezza di essere in esso contenute, mentre i valori male, cattivo, brutto, nel massimo contrasto con il buddismo, sono ricondotte alla carenza di essere, al me on. Ossia, quei valori negativi che il buddismo eleva a criteri dell’essere, qui indicano un limite dell’essere, ma non diventano il contenuto dell’essere; infatti rappresentano soltanto il momento della sua carenza, che però non porta ad un giudizio negativo sull’ente o sull’essere nella sua totalità. Analogamente anche l’amore soggettivamente inteso è un primario rivolgersi ad un valore positivo, ossia ad una forma di essere e non un originario allontanarsene. L’amore in senso greco è adesione all’essere e non rifiuto. L’amore aderisce all’essere perché l’essere ha in sé attrattiva. L’essere attrae perché l’essere è positivo e ha in sé la capacità d’at-

trarre ma non in senso illusorio ma in senso ontologico, reale, positivo. Platone scrive che l’essere supremo è Bene, è l’essere per eccellenza, è pienezza dell’essere. La suprema delle Idee è il Bene ma l’idea in Platone è l’essere nella sua perfezione. L’idea non è il valore in senso kantiano. Le idee sono l’essenza delle cose, la pienezza dell’essere. Che la suprema delle idee sia il Bene e che del Bene partecipino tutte le altre idee significa che l’essere è Bene contro ogni gnosi, contro ogni buddismo. La concezione greca parte dall’equazione essere è bene. Quindi l’amore corrisponde a questa positività dell’essere: il bene attrae perché il bene è bello. La famosa identità che Platone stabilisce tra bene e bello, kalokagathia, è ciò che spiega perché eros si dirige verso l’essere. L’essere aderisce al bene in quanto è bello. L’azione è etica e anche estetica. Gli antichi non vivono la dissociazione che noi abbiamo posto tra l’etica e l’estetica. Noi non riusciamo più a capire che il bene è bello. Nella concezione antica l’etica e l’estetica non sono separate. Se il bene non ha in sé il fascino del bello, il bene non ha la forza per essere seguito. Il bene vince sul male solo se ha una forza maggiore. Questo è quello che Kant non capisce più, ossia che l’etica ha a che fare con l’estetica poiché per Kant l’etica è una questione di norme. Sarà Schiller a rispondergli con Le lettere sull’educazione estetica dell’uomoe lo accuserà di essere il Dracone della Germania. Schiller capisce che il Bene deve essere bello e in questo ritorna alla concezione greca.

Scheler scrive che amore è appropriazione dell’essere nella conoscenza. Quindi non liberazione dell’essere come presso per gli indiani, però inteso oggettivamente come nella dottrina empedoclea dell’amore e dell’odio. L’amore è principio di generazione. Platone scrive nel Simposio che l’amore è generare nel bello. L’amore non è soltanto un principio soggettivo per i greci ma è anche un principio cosmico. Nel Simposioe nel FedroPlatone intuisce a partire da questo concetto di generatività che attraverso l’amore l’uomo intuisce l’immortalità perché il generare in bello è la continuità di te.

Nell’amore e nel generare, ciò che l’uomo intuisce è l’idea dell’immortalità sicché questa idea è legata all’amore del cosmo, all’amore che genera. In questo senso è un generare nel Bello. In seguito Scheler scrive che la concezione dell’amore greco conserva molte affinità con la concezione indiana sul piano del rapporto tra amore e conoscenza. Anche i greci riducono l’amore a funzione della conoscenza come il buddismo perché l’amore viene inteso in senso intellettualistico, dipendente unicamente dai progressi della conoscenza, come passaggio o movimento da una conoscenza più povera ad una più ricca. Scheler in questa riflessione evidenzia la concezione platonica dell’eros. La definizione che né i non sapienti né i perfettamente sapienti, per esempio gli dei, possono amare ma solo i filosofi, appunto gli amanti della sapienza, mostra come l’amore sia interamente riferito unicamente alla conoscenza. Anzi per Platone l’amore significa solo tendere ad una conoscenza, da una conoscenza imperfetta ad una perfetta. La concezione platonica dell’eros porta anch’essa a funzionalizzare l’amore alla conoscenza; infatti ama soltanto chi è filosofo, ossia ama chi non è perfettamente sapiente e desidera questa sapienza, di modo che gli dei, che sono perfettamente sapienti non amano, non hanno bisogno di amare. Scheler scrive che il filosofo è colui che ama mentre gli dei non possono amare. La divinità può essere soltanto oggetto di amore. Amore è figlio di povertà e al dio non manca nulla. Anche la definizione “tendenza”, Streben, contiene il nucleo della dottrina secondo cui l’amore tende alla conoscenza. Quando si ha conoscenza assoluta, l’amore svanisce. L’amore è a fondamento della tendenza. L’amore non tende verso l’oggetto ma si appaga dell’oggetto così come è. L’amore romantico odia la forma, che è una determinazione che impedisce la libertà. Platone anticipa l’amore romantico. L’amore diventa più intenso quando l’amato se ne allontana. Nella concezione platonica dell’androgino l’amore platonico è vicino all’amore romantico. Scheler accosta la concezione platonica del-

l’amore alla concezione romantica dell’amore. In particolare Scheler scrive del mito dell’androgino narrato da Platone nel Simposio. Platone, in questa dottrina dell’amore e della conoscenza, anticipa soprattutto il grande movimento storico dell’amore romantico inteso come quel tipo anticlassico di amore in cui l’amore stesso non è dato primariamente come possesso dell’anima ma soltanto come nostalgia di qualcosa di lontano. Ancora una volta Scheler pone a confronto una tipologia. Egli sta mettendo alla prova una teoria dei tipi. In questo caso l’antitesi è tra tipo romantico e tipo classico. Il tipo classico dell’amore è quello in cui l’amore stesso è dato come possesso dell’anima. L’amore è presente, è dato, è un possesso. Mentre nel tipo romantico l’amore è nostalgia. Il termine tedesco per nostalgia è die Sehnsucht che è un tema tipicamente romantico. È nostalgia di qualcosa di lontano, di passato, di offuscato e sembra crescere proporzionalmente col progressivo allontanarsene. L’amore diventa tanto più intenso quanto più l’oggetto si fa lontano. Quanto più l’oggetto non è alla tua portata, tanto più l’amore si fa impossibile: l’amore è tanto più struggente quanto impossibile. Quando vi è corrispondenza tra l’amante e l’amato, il fascino dell’amore è già consumato. Non c’è più il gusto di ottenere la cosa. Il seduttore, quando ha sedotto l’oggetto della seduzione, non ha più interesse. Voleva conquistare, non voleva amare, ma semplicemente il trionfo dell’amore, ovvero della sua potenza seduttrice. Quando l’oggetto dell’amore viene raggiunto, dal punto di vista romantico non ha più interesse e l’amore evapora come un sogno del passato. La concezione romantica non presuppone una relazione positiva tra l’amante e l’amato ma presuppone il fatto che l’amato è semplicemente l’occasione dell’amore. Il Romanticismo è Occasionalismo. Occasionalismo significa che non ti soffermi mai sulla realtà dell’altro, non hai interesse. Per questo Kierkegaard nella sua tesi sull’ironia dedicata a Socrate coglie perfettamente nel centro quando per interpretare il teme dell’ironia, distingue tra ironia classica e

romantica e, per capire l’ironia romantica, si rifà a Solger ma dietro c’è Fichte, ossia l’Io non può mai riposare nel non-Io. La libertà non può essere determinata dal nulla e, quindi, chi ironizza, è colui che non è toccato dal mondo. L’ironista non può mai stabilire un rapporto positivo con la realtà, perché la sua libertà sarebbe altrimenti determinata, finita, ma l’infinito non può determinarsi con il finito. L’infinito non può mai determinarsi nella scelta. Ecco perché Kierkegaard attraverso il saggio sull’ironia, mette a fuoco l’estetica romantica. Lui capisce che l’estetica romantica è una concezione della vita, non è semplicemente una pratica casuale ed è per questo che contrappone l’estetica all’etica: è solo a partire dalla concezione romantica che si può capire perché Kierkegaard oppone l’estetico all’etico, perché l’estetico è l’idealista fichtiano che non può mai scegliere nulla, perché ha paura di contaminarsi con il mondo. Ciò che qualifica la dimensione estetica è che non avviene mai una scelta e quindi la dimensione etica non entra mai in gioco. Don Giovanni si mantiene in una sfera della possibilità, che è la sfera dell’astratto, in cui uno tra le infinite possibilità non si determina mai per una possibilità. Quindi il seduttore rimane perennemente infantile, perché la sua libertà non è entrata in gioco. Egli non entra mai nella sfera etica, ma la sfera etica è una sfera dell’uomo adulto. Invece il seduttore è l’eterno fanciullo che rifiuta la durezza del mondo, che rifiuta di conoscere e accettare il mondo.

Scheler scrive che Platone nella concezione mitica dell’amore tra uomo e donna l’amore è inteso come reciproca attrazione tra le due parti i un uomo ancora sessualmente indifferenziato. Ossia in Platone la convergenza tra amore romantico e l’amore platonico sta proprio nel mito dell’androgino riportato da Aristofane nel Simposio.Scheler scrive che Platone guarda in questa maniera abbastanza chiaramente all’India, cioè all’unità dell’indifferenziato. Il Nirvana dell’India è l’unità dell’indifferenziato. Tutto ciò che è differente è illusorio. Il Nirvana è l’unificazione dell’indifferenziato; infatti in

Platone è presente soltanto una particolare forma del profondo errore metafisico degli Indiani secondo cui l’amore sarebbe conoscenza intuitiva dell’unità dell’essere, ovvero comprensione del carattere illusorio di separazione, individualità, molteplicità. L’amore sarebbe soltanto il movimento mediante cui le parti di un originario Uno-Tutto vengono a incontrarsi. Il mito dell’androgino, che ha esercitato un fascino particolare sul Romanticismo, porta ad una concezione analoga a quella buddista perché nel mito dell’androgino la differenza tra uomo e donna è illusoria. La differenza è illusoria, ciò che è sostanziale, ciò che è originario e quindi vero è l’unità delle due parti che sono state separate per una colpa. Quindi l’amore è ricostituzione dell’intero. Amore non è legame di due che si incontrano nella unità che mantiene la differenza ma amore è togliere la differenza. Una unità così sostanziale che prevede l’eliminazione dell’ulteriore differenza che viene a crearsi nella coppia degli amanti e che è la differenza generata dalla procreazione. L’androgino non procrea, non genera. L’androgino è nella sua beata assolutezza, non ha bisogno di nulla. Quindi anche la differenza che nasce dalla generazione del figlio viene con ciò eliminata nella figura dell’androgino.

Scheler scrive che ogni panteismo da Spinoza, a Hegel, a Schopenhauer ha accolto in sé questo principio sbagliato alla radice. Il panteismo parte dall’idea che la diversità, la molteplicità è illusoria. Tutte le forme di panteismo dicono che c’è un principio unico nella natura, nel mondo, nel cosmo e i fenomeni non sono altro che manifestazioni transeunti, non consistenti. Di questo principio Schopenhauer dice che esiste la volontà, poi i singoli fenomeni sono semplicemente manifestazioni illusorie di questa volontà. Ogni panteismo riduce il Tutto all’unità del principio: per Spinoza esiste un’unica sostanza e gli individui sono solo i modi apparenti della sostanza. Il panteismo ha la sua formula nel detto greco en kai pan.

Eppure, Scheler aggiunge in base a questo schema l’amore viene

ricondotto all’egoismo. Cioè questo schema è lo schema di ogni falsa mistica che porta a sacrificare l’individuo in nome della totalità e dell’Uno-Tutto che non è reale ma è Uno-Tutto panteista che chiede il sacrificio della tua individualità e lo chiede illudendoti che la tua persona sia illusoria e che tu devi dissolverti nella totalità. Tu da solo non hai alcun valore ma solo se ti immergi nella totalità, esisti. È una religione laica, è una mistica del panteismo. E l’amore qui viene funzionalizzato a questa mistica. L’amore diventa la passione in cui ti immoli in questa totalità. È una deformazione dell’amore. Qui, l’amore è illusorio. L’unico amore è quello del Tutto che vuole ritornare ad essere Uno e dell’Uno che vuole essere Tutto, dove gli amori particolari sono indirizzati a questo egoismo dell’Uno-Tutto che è l’unico che ha il diritto di amare. L’amore di individui meramente apparenti è anch’esso apparente. Qui l’amore viene degradato ad apparenza perché io in realtà non amo te, ma amo l’unico da cui sono stato separato. Io amo me stesso amando te, perché se il mito è quello dell’androgino, io amando te, amo me stesso. Voglio ricostituire l’unità originaria. Tu non sei reale, tu sei solo l’occasione per cui io mi ricostituisco nell’unità originaria. Non esiste un amore dell’altro ma mediante l’altro io amo me: amo l’essere originario di cui io sono parte. Quindi questa concezione panteistica dell’amore degrada l’amore a pura apparenza. Anche la concezione dell’amore sessuale tra un uomo e una donna riceve un carattere romantico con l’accettazione platonica del mito. La separazione dei sessi non è qui condizione fondamentale, radice di una particolare specie di amore ma la tendenza ad un puro ritorno a quell’unico uomo ancora non differenziato sessualmente le cui parti ora si cercano. Anche nella relazione sessuale in realtà non è un rapporto tra due persone ma è la ricostituzione dell’unico essere originario, dell’indifferenziato. Eros è la ricostituzione dell’indifferenziato. Erosquindi non può prevedere la procreazione perché la procreazione vorrebbe dire aumentare la differenza. Sche-

ler aggiunge che anche la concezione sessuale ha una coloritura mistica romantica in sé della semplice nostalgia di un antico stadio, lo stadio dell’androgino indiviso e la ricostituzione dell’intero.

Poi Scheler tratteggia i lineamenti dell’amore dopo il Cristianesimo e dichiara che la venuta di Cristo abbia rivoluzionato radicalmente la concezione del rapporto tra amore e conoscenza. L’ipotesi di Scheler è che il Cristianesimo introduce una sostanziale novità nel rapporto tra amore e conoscenza ma che questa non raggiunga se non marginalmente la coscienza filosofica. La filosofia sarebbe rimasta nella sua storia determinata dalle esperienze e dalle tipologie precedenti del rapporto tra conoscenza e amore, con alcune eccezioni. È venuta a mancare la formulazione concettuale e filosofica di questa singolare rivoluzione dello spirito umano. Sul piano dell’esperienza vissuta sarebbe avvenuto un cambiamento ma sul piano della formulazione filosofica i concetti ellenici avrebbero continuato a condizionare la riflessione filosofica. La filosofia non avrebbe cioè valorizzato fino in fondo la profonda rivoluzione sul piano dell’esperienza vissuta inaugurata dal Cristianesimo. Scheler continua dicendo che in questo senso non vi è mai stata una filosofia cristiana, a parte alcune eccezioni: soltanto Agostino è uno dei pochi che riesce a tradurre la nuova esperienza del Cristianesimo, una nuova esperienza vissuta che implica un rapporto diverso tra conoscenza e eros. Ma questa intuizione di Agostino sarebbe stata bloccata dal retaggio neoplatonico. Nella stessa esperienza vissuta cristiana si è compiuto un radicale assetto di amore e conoscenza, valore e essere. Scheler parla di inversione del movimento dell’amore. Nel Cristianesimo ci sarebbe un’inversione del movimento dell’amore rispetto al mondo greco perché non vale più l’assioma greco secondo cui l’amore sarebbe un movimento dal basso al più alto, dal me onverso l’ontos on, dall’uomo verso Dio il quale non ama, dal cattivo verso il migliore, ma ora l’accondiscendenza amorevole del più alto verso il più basso, di Dio verso l’uomo peccatore viene ascritta all’essenza

del più alto, dell’altissimo, quindi di Dio. Mentre nella concezione filosofica ama solo chi è inferiore perché amare significa essere difettosi. Se l’amore è desiderio, il desiderio implica la mancanza. Perciò, non sarà certo Dio che ama, il padrone non amerà mai lo schiavo, lo schiavo ama il padrone. Nella concezione filosofica colui che sta più in alto non può amare chi sta più in basso. Questo implica una concezione fortemente aristocratica. La benevolenza e il rispetto di chi sta più in alto verso chi sta più in basso è inconcepibile come il sistema celle caste in India che è fondato sulla metempsicosi. Chi è in alto non può avere benevolenza verso chi è in basso perché chi è in basso, lo è perché nella vita precedente ha commesso un qualche peccato e ora sta espiando la colpa. L’idea cristiana secondo cui chi sta più in alto Dio o per analogia ogni altra persona possa amare chi sta più in basso è una vera rivoluzione. Dal punto di vista ellenico è inconcepibile. Nella concezione cristiana l’inversione del movimento fa sì che chi è più in alto è colui che ama di più. Paradossalmente può amare che non ha bisogno di nulla, può amare in maniera disinteressata, autentica, vera, profonda. Questa inversione del movimento dell’amore ha alla base anche un nuovo tipo di fondazione tra amore e conoscenza e tra valore e essere. Questa inversione del rapporto tra alto e basso implica anche una modalità diversa di comprendere il rapporto tra amore e conoscenza. Scheler scrive che dalla posizione cristiana non è più il senso religioso dell’uomo che cerca di pervenire a Dio. Nel Cristianesimo la dinamica è proprio l’inversione del rapporto. Quindi è Dio che si rivela e che si manifesta all’uomo. Questa è la caratteristica e l’unicità del Cristianesimo rispetto alle altre religioni: nel Cristianesimo la differenza con le altre religioni è che un uomo ha la pretesa di essere Dio. Lo spirito religioso in tutte le altre religioni si identifica con l’assoluta lontananza tra umano e divino. In alcun religioni l’idea che l’uomo possa avere natura divina, possa essere addirittura un Dio è vissuta come un’empietà. Neppure nel buddismo Buddha

e Dio. Nel Cristianesimo Dio stesso pretende di manifestarsi. Non è più l’uomo che cerca di scoprire, ma è Dio. Scheler aggiunge che al posto dell’autoredenzione greco-indiana che si realizza attraverso la conoscenza subentra quindi l’idea del divenire redenti dall’amore di Dio. Nella posizione greco-indiana è la nostra conoscenza che produce la salvezza, la conoscenza del divino è ciò che ci redime sia in Buddha che nella filosofia greca. Nel Cristianesimo non è la conoscenza che salva ma è la presenza addirittura fisica della divinità. L’amore di Dio che salva. Ossia il primato sta nell’amore di Dio e non nella conoscenza dell’uomo: inversione del rapporto. Il processo della redenzione ora diventa oggettivo e non soggettivo. Chi redime è un altro, non è la riflessione immanente del tuo spirito, non è l’esercizio spirituale che salva, è l’accoglimento di una presenza amorosa diverso da te. Non è più un atto di conoscenza, ma di libertà. Con il Cristianesimo il primato si sposta sulla libertà: si tratta di accogliere o rifiutare. Ed è questo che permette la salvezza anche ai più poveri, ai semplici perché non è anzitutto il problema della conoscenza ma è il problema della libertà.

La rivelazione cristiana è rivelazione della persona di Cristo non tanto di una dottrina. Kierkegaard dice contro Hegel che nel Cristianesimo ciò che è decisivo è la persona di Cristo, solo in seconda battuta la dottrina perché Cristo non è Socrate. In Socrate la dottrina è importante, in secondo luogo la persona. Invece nel Cristianesimo dice Kierkegaard la dottrina è tanto importante poiché è comunicata da Dio che è infinitamente più importante di ciò che dice. Se colui che parla è Dio, la sua persona è infinitamente più importante del contenuto che viene comunicato. Scheler scrive che Cristo è modello per gli imitatori, maestro e legislatore solo in modo derivato e solo in conseguenza alla sua dignità di divino redentore, cioè come forma personale incarnata di Dio stesso della sua volontà di amare. Cristo non ha la verità, egli è la verità ed afferma di essere il contenuto ed il metodo del vero. Cristo non parla

come profeta ma è vox dei. Per Israele il profeta è colui che commenta la legge e annuncia la volontà di Dio ma non parla mai in prima persona. Nel Cristianesimo è la persona di Cristo che è la cosa più importante. Perciò Scheler dice che Cristo è la verità e proprio nella sua piena concretezza discorsi, azioni valgono come veri, buoni perché da Cristo confluiscono. La fede stessa in lui in quanto redentore e salvatore è collegata ad un antecedente amore di risposta al suo amore che mira a ciascuno singolarmente nel cui processo solamente si dischiude dinanzi agli occhi. L’amore cristiano si fonda sulla persona di Cristo il quale ama per primo ed è amore personale perché qui l’assoluto è personale ed è talmente personale che è una persona reale. L’amore ottiene qui la sua legittimità. Scheler aggiunge che la persona di Cristo è il primo oggetto dell’amore religioso così anche il punto di inizio del sentimento amoroso è una persona anticamente reale, la persona di Dio. La forma dell’esistenza della persona non si dissolve nei flutti dell’amore come presso i greci e gli Indiani. Qui la relazione personale come relazione amorosa diventa fondamentale perché è mediante l’amore che avviene la redenzione. La redenzione passa non attraverso l’atto della conoscenza ma attraverso una relazione d’affetto. Passa attraverso un predilezione personale. Il Cristianesimo è una posizione di predilezione di Dio nei confronti dell’uomo e risposta dell’uomo. È una questione di affettività. Il rapporto tra Dio e l’uomo di amicizia. Tutti i rapporti di dominio nel Cristianesimo sono superati. Il rapporto tra Dio e l’uomo non è un rapporto tra servo e padrone. L’affezione fa saltare questi rapporti di dominio. Scheler capisce la novità del Cristianesimo: non è più possibile amare Dio che non si vede se non si ama il prossimo che si vede. L’amore di dio viene vincolato all’amore del prossimo all’amore personale. L’amore implica un co-amare dell’uomo. Mentre il principio greco-indiano si esprime nella solitudine, il principio cristiano si esprime in una dinamica di unità e di comunione. Il principio greco-indiano secondo

cui la conoscenza fonda l’amore ha per sua natura la forza di isolare e di rendere solitari. Perché l’amore tanto va in quanto tende allo scopo, ma raggiunto lo scopo, viene meno. Quanto uno è perfetto tanto meno ama. Ma questo implica allora che non è possibile pensare ad una comunione dei perfetti: uno dei risvolti paradossali della concezione per cui eros è difettivo è che la comunione vale solo per gli imperfetti. Se comunione significa legame di affetto, vale solo nella condizione dell’imperfezione perché quanto più io mi elevo in una condizione di perfezione, tanto meno io ho bisogno dell’altro. Quindi questa concezione dell’eros difettivo porta ad un solipsismo come risultato. Mentre nella concezione cristiana è strutturale l’idea della comunione. Anzi, tanto più l’amore è perfetto quanto più genera comunione. Tutta questa novità dell’Erlebnis cristiana non riesce a rifluire adeguatamente in una riflessione filosofica. Scrive che nonostante il primato dell’amore sulla conoscenza appartenga all’essenza della coscienza religiosa cristiana, si sarebbe tentato solo raramente di tracciarlo dal punto di vista filosofico. Inoltre, polemizza contro Tommaso d’Aquino e la scolastica. In quegli anni la polemica contro il tomismo era molto diffusa sebbene la conoscenza che si aveva di Tommaso fosse del tutto approssimativa. L’immagine di Tommaso era veicolata dai Tomisti i quali avevano un’impostazione fortemente intellettualistica. La polemica di Scheler individua in Tommaso colui che avrebbe intellettualizzato l’amore cristiano perché in Tommaso la ratio ha un peso fondamentale. Mentre Agostino esprimerebbe il primato dell’amore sull’intelletto, Tommaso ritornerebbe ai greci. Scheler scrive che in Tommaso vengono mantenuti questi assunti greci: l’amore per un oggetto presuppone la conoscenza dell’oggetto. Questa per Scheler sarebbe una riduzione greca. Ma nessuno può amare un oggetto se non lo conosce. È preliminare la conoscenza all’atto dell’affezione. Quanto più si conosce, tanto più si vuol bene. Per Tommaso l’amore non avrebbe la sua autonomia poiché l’amore e i sentimenti si presen-

tano come modificazioni della facoltà dell’anima. È evidente che in questo sistema psicologico intellettualistico dell’amore competa solo un ruolo del tutto subordinato. Questa è la critica di Scheler a Tommaso. In Tommaso c’è una certa prevalenza intellettualistica.

Scheler critica anche i volontaristi che non avrebbero capito la priorità dell’amore sulla conoscenza. Solo in Agostino, Melambranches e Pascal si sarebbe trovata la via giusta: il filone agostiniano è l’unico a salvarsi da questo generale fallimento del pensiero cristiano nell’intendere il rapporto tra amore e conoscenza.

Ciò che è più alto viene incontro a ciò che è più basso; la filosofia dopo il Cristianesimo sarebbe rimasta ancora bloccata nella visione greca. Nemmeno l’alternativa volontarista riesce a superare questo intellettualismo. In Agostino, Melambranches e Pascal c’è il primato dell’amore sugli atti dello spirito. Amore sarebbe il fondamento delle facoltà umane e fonte di unità di ogni conoscenza. L’amore muove la conoscenza la quale a sua volta muove la volontà. Con Scheler l’atto teoretico non determina più la conoscenza del mondo, ma è l’esperienza vissuta. Non c’è conoscenza se non c’è interesse. È il tentativo di ritrovare il mondo della vita, quello che Husserl chiama la Lebenswelt. Gli atti d’amore sono fondanti la conoscenza. Le nostre percezioni e rappresentazioni sono considerate all’interno di una tonalità affettiva. La sensibilità accompagna sempre l’atto intellettuale. L’empatia è quel tipo di comunicazione originaria che precede ogni riflessione, è una percezione immediata dei sentimenti altrui, che presupporla visione del corpo altrui. Il corpo è veicolo dell’anima. Scheler parla di una simpatia, dove si stabilisce un legame che precede anche la dimensione intellettuale in senso proprio. Gli atti dell’amore e dell’odio presuppongono tre distinzioni: • Senza interessamento verso qualcosa non si può dare nulla a proposito di questo qualcosa, nessuna sensazione e rappresentazione. • La scelta secondo la direzione del nostro interesse, la

direzione del nostro sentire e del nostro percepire seguono la direzione del nostro interessamento. • Un oggetto è tanto pregnante di significato per me quanto ha più interesse per me; per noi è reale ciò che per noi è oggetto del nostro affetto e del nostro interesse: Per noi sono reali le persone con cui abbiamo dei legami d’affetto.

La realtà dell’altro partecipa della nostra realtà, è un dato ontologico. Ci rendiamo conto che una persona è importante quando essa viene a mancare, perché noi sentiamo un vuoto, ci sentiamo meno reali. L’orizzonte di senso è creato da presenze reali che ci vogliono bene, ovvero che ci riconoscono (valore ontologico) come esistenti in una forma tale che significa essere degno di essere al mondo. “Di troppo” vuol dire che l’esistenza non è necessaria, è di una gratuità insopportabile. L’esperienza della nausea è superata con l’affetto, con l’esperienza del riconoscimento. Noi diciamo io perché altri ci riconoscono, perché c’è un tu. Se nessuno ti vede, allora non puoi riconoscerti come io, ti consideri come un nulla. L’ego si forma in una relazione originaria di tipo affettivo. Gli affetti sono la possibilità di un’esperienza ontologica, non semplici passioni. Scheler pone gli atti di amore e di odio all’origine della visione del mondo. Il mondo è la realtà come si palesa all’uomo. L’uomo percepisce il mondo all’interno di una certa tonalità affettiva. Nell’atto dell’amore è l’oggetto che si rivela nella sua essenza propria, è l’oggetto stesso che mi si apre. Il mondo si apre nell’atto dell’amore. Nelle disposizioni affettive fondamentali si rivela l’essere. L’angoscia è una disposizione affettiva e solo in essa l’uomo percepisce che l’essere dell’ente sprofonda nel nulla che è inteso dall’angoscia. In Heidegger il nulla è esperienza reale affettiva

L’acquisizione più importante della riflessione di Scheler è nel caratterizzare il significato ontologico delle disposizioni emotive fondamentali, ossia l’amore e l’odio non sono semplici sentimenti ma i sentimenti si fondano sull’amore e sull’odio. Amore e odio sono ori-

ginari e ciò che è propriamente originario non è l’odio ma l’amore perché l’odio è sempre un contraccolpo dell’amore. L’odio sorge da un amore deluso. Scheler scrive che la dottrina che ha esposto potrebbe essere interpretata in maniera soggettiva. La preoccupazione di Scheler è quella di superare l’orizzonte psicologistico che allora nelle università tedesche era molto forte. Scheler è stato discepolo di Rudolf Eucken che si muoveva in un orizzonte neokantiano che criticava lo psicologismo che è una forma di soggettivismo criticato sia da Husserl che da Heidegger. La semplice esperienza vissuta non può definire i criteri in assoluto. Se il fattore psicologico diventa ultimativo, allora la riflessione sulla verità come verità comune diviene impossibile e ognuno si rinchiude nel proprio vissuto che diventa il metro ultimativo. È chiaro che ogni connotazione oggettiva viene negata. In fondo il vissuto diventa una forma di relativismo che porta al solipsismo: ognuno è prigioniero di se stesso. Scheler non intende l’amore in senso psicologico ma intende la disposizione affettiva fondamentale come anche ontologica. Nell’atto dell’amore non è solo il soggetto che ama ma anche l’oggetto che si dischiude. Io scopro l’essenza del mondo in quell’atto. Solo in quell’atto amoroso mi si manifesta, diversamente non lo comprenderei. Nell’amore si disvela il profondità proprio l’oggetto. La cosa ha una sua amabilità, si dischiude nel suo valore. Nell’affetto si palesa la realtà propria della persona. L’affetto non è la connotazione sentimentale che deforma l’oggetto ma è l’orizzonte all’interno del quale l’oggetto si manifesta nella sua essenza. Nello sguardo oggettivamente l’altro è ridotto a materia, è spersonalizzato. Nel Lager l’altro deve essere reso anonimo affinché l’altro possa dominarlo interamente senza scrupolo. Dominare interamente senza scrupolo significa eliminare la possibilità che egli possa suscitare sentimenti in me. Deve essere esautorata completamente la sfera affettiva. L’altro deve diventare un ente. La possibilità dello sterminio implica la possibilità del distacco totale tra i sottouomini e gli uomini in senso proprio. Biso-

gna ridurre gli uomini in sottouomini affinché non nasca alcun legame d’affetto. Nel legame affettivo si dischiude la realtà ontologica sicché se questo legame non c’è,nel senso che viene bloccato, la realtà ontologica non affiora. Nel Lager il legame affettivo è bloccato.

Anche il conoscere ordinario diventa rivelazione:l’essere del mondo mi si rivela all’interno di un’esperienza affettiva fondamentale. La conoscenza non è semplicemente conoscenza oggettiva ma assume il significato di un’esperienza: conoscere è esperire. Il mondo che mi si apre, mi si manifesta. La realtà diventa manifestazione. Nell’affettività sta la chiave di apertura della realtà.

Le piante non sanno nulla della loro bellezza ma è l’uomo che vede la bellezza delle piante. È nell’esperienza estetica che è un’esperienza affettiva perché il bello e il bene si appartengono, la realtà si apre e si manifesta. Tale bellezza sarebbe sprecata se non ci fosse un punto della natura, l’uomo, in cui viene accolta. Queste pagine di Scheler hanno lasciato un’impronta in Heidegger: il secondo Heidegger insiste sul rivelarsi dell’essere.

Dopo la fine dell’agostinismo medievale nell’era moderna noi assistiamo ad una forma di eros che prende inizio nel Rinascimento, Bruno, Campanella, Telesio, poi Spinoza di cui Dilthey tratta di questa forma d’amore caratterizzato come panteismo dinamico. Ma non è di questo tipo di eros che Scheler ha trattato in precedenza. Scheler non vuole continuare questa tendenza dell’eros moderno che nasce dal filone rinascimentale perché l’eros moderno è panteistico e porta all’eliminazione della personalità, singolarità, individualità. L’erospanteistico è quell’eros per il quale io mi devo consumare nel tutto, nella totalità. Amore nella visione bruniana o rinascimentale è quella forza della natura che vive in me e che fa sì che io mi sciolga nella natura medesima. Amore è una forza dionisiaca che porta con sé la spersonalizzazione dell’io. Ma Scheler ha detto finora che l’amore è personale, anzi: nell’amore si rivela la dimensione della singolarità come irrepetibile. Ciò è evidenziato ancora di più nel-

l’opera Ordo amoris:espressione agostiniana che è un programma singolare. Parlare di un ordo amorisè già prendere posizione molto chiara rispetto alla concezione romantica dell’amore. La concezione romantica dell’amore è una concezione che non ammette alcun ordine. Scheler vuole capire se esiste un ordine delle emozioni e delle passioni. È profondamente influenzato da Franz Brentano che ha influenzato Hussel che prese da Brentano l’idea dell’intenzionalità della coscienza. Ossia per Brentano e poi per Husserl, noi non pensiamo in generale, il pensiero non pensa se stesso. Il pensiero pensa sempre gli oggetti e il pensiero pensa inevitabilmente l’oggetto. Non esiste pensiero se non è pensiero della cosa. Il pensiero si esercita come attività pensante, cioè come attività che pensa qualcosa. Non esiste un pensiero che non pensa nulla. Scheler trasferisce l’intenzionalità sul terreno emotivo. Anche per questo Scheler può parlare di un ordo amoris perché l’amore e l’odio si portano immediatamente sui propri oggetti. Non esiste amore senza oggetto ma l’amore è sempre amore di qualcosa. L’amore in sé non esiste, così come non esiste il pensiero in sé. L’amore è sempre intenzionato sulla cosa o sull’oggetto. In questo Scheler deve moltissimo ad un’opera di Brentano intitolata Sull’origine della conoscenza morale. Ricordando il contributo di Brentano, Scheler scrive che a lui va il merito di aver riconosciuto sia la natura dell’atto di amore e dell’odio, sia la natura elementare di questi atti. Brentano ha preceduto Scheler nel capire l’autonomia della coscienza morale e nel capire che gli atti affettivi sono atti intenzionali. Il concetto di intenzionalità è l’uscita dal solipsismo e dallo psicologismo. Il concetto di intenzionalità è un concetto che mi trasferisce fuori di me; come nel conoscere io sono continuamente orientato sull’oggetto così nel sentire io sono portata sulla cosa sentita, amata. Lo spirito umano è caratterizzato intenzionalmente. Siamo rimandati fuori di noi, siamo rimandati ad una relazione. Per conoscere un individuo o un popolo devo conoscere il suo sistema di valori, ma dietro a que-

sto sistema di valori c’è l’ordine dell’amore e dell’odio. Si conosce un uomo da ciò che ama. L’uomo è assegnato dall’affezione. L’etica deve conoscere l’ordine gerarchico di tutte le possibili amabilità delle cose. Cioè per Scheler esiste un ordine oggettivo dei valori che hanno una loro oggettività, non sono semplicemente soggettivi. Non sono semplicemente l’espressione dell’Erlebnisdel vissuto per cui ognuno ha i suoi valori. Per Scheler i valori sono oggettivi. Esiste un ordine dei valori che è percepito nell’atto fondamentale dell’amore e dell’odio. L’amore coglie intenzionalmente una gerarchia dei valori. Nell’atto di amore io sono portato fuori di me e compartecipo il mio destino con un altro essere in un atto intenzionale. Ciò che noi chiamiamo conoscere è relazione ontologica, non è una relazione puramente gnoseologica come per Cassirer e il filone neokantiano. La conoscenza supportata dall’amore è empatica e mi porta a contatto con l’oggetto, è in funzione del rapporto con l’oggetto. Dietro al volere c’è l’amore che è ciò che risveglia ala conoscenza a al valore. L’amore è la genesi dello spirito, è ciò che lo muove. L’Uno-Tutto è personale perché nasce dal Dio personale che vuole, che ama. Non è lo scioglimento della personalità nella totalità, qui si afferma. Quindi l’ordo amorisè il nucleo dell’ordine del mondo in quanto ordine di Dio dice Scheler riecheggiando Agostino. Prima di essere un ens cogitans o un ens volens, l’uomo è un ens amans. Per Scheler l’asserzione cartesiana dell’ego cogito non è quella fondamentale. Ma è perché si ama che si pensa. Il cogito è portato dalla passione, dall’interesse. Perciò, l’amore precede il cogito e la volontà. La prospettiva di Scheler ha una precisa originalità. Nel saggio Amore e conoscenzaScheler ha contestato il modo in cui è stato affrontato il tema dell’amore e della conoscenza nell’intera tradizione occidentale. La concezione dell’amore è stata ridotta e finalizzata al tema della conoscenza. Questa posizione si trova nell’intellettualismo classico che prosegue nel mondo medievale e Tommaso ne sarebbe ancora dipendente. Le uniche eccezioni

sono Agostino e Pascal che riconoscono l’autonomia della sfera affettiva nei confronti della conoscenza sicché la posizione vera secondo Scheler sarebbe quella dell’amore come dimensione originaria, in secondo luogo gli atti dell’intelletto che sono determinati dalla sfera affettiva e in terzo luogo la volontà che viene mossa dall’intelletto guidato, orientato dalla dimensione affettiva. Scheler non è un volontarista, non sta criticando l’intelletto dal punto di vista della volontà. Non è uno schopenhaueriano, non è un nietzscheano. Questa è l’impostazione che è stata vista nel saggio Amore e conoscenza: rivendicare un luogo originario di intuizione dell’essenza e della realtà dell’amore. Se l’impostazione classica è che l’amore è finalizzato alla conoscenza, l’impostazione moderna è ancora più riduttiva secondo Scheler. È l’impostazione conseguente all’impostazione cartesiana del razionalismo moderno per la quale la dimensione degli affetti non viene più finalizzata alla ragione come accade nell’intellettualismo classico ma al contrario: diventa una sorta di incidente di percorso un elemento di disturbo di cui la ragione deve liberarsi poiché la dimensione degli affetti è una sfera perturbante l’oggettività della conoscenza. Il pensiero moderno non riesce più a riconoscere la peculiarità propria della sfera affettiva. Ciò ha delle conseguenze molto rilevanti in sede antropologica: l’uomo viene identificato interamente con la ragione e conoscenza, mentre la parte affettiva viene retrocessa all’uomo corporeo. Anche in Kant accade così: ci sono la ragione, l’intelletto e io psicologico, empirico che Kant chiama con un’espressione singolare “io variopinto”. L’Io psicologico è l’io mutevole, cangiante, è l’io incostante, è l’io determinato dalle passioni, dalle impressioni. Non c’è niente di certo nell’io variopinto e non possiamo fare affidamento sull’io variopinto, ma anzi esso deve essere sottomesso nella ragione pratica e controllato dalla ragione teoretica. In sede pratica l’io variopinto sono le passioni, le emozioni, la sfera della sensibilità che deve essere sottomessa alla sfera della ragione poiché

l’individualità propria, potenzialmente egoistica, contrasta con la legge universale della ragione in quanto tale. L’unico sentimento positivo che Kant riconosce è il sentimento morale che però non è un sentimento originario, ma penetrato: nasce dal rispetto verso la ragion pratica. Quando la ragione morale si afferma, anche il nostro sentimento ha questo senso di riverenza, di rispetto verso la legge morale. È un sentimento riflesso, non originario.

Per Hume il sentimento morale più significativo è quello della simpatia: gli uomini provano tra di loro un sentimento spontaneo di simpatia e sulla simpatia si fondano anche la socievolezza e la società. Ma questo sentimento di simpatia per Hume non ha alcun fondamento oggettivo, è solo un’impressione determinata dalla piacevolezza. Si prova simpatia perché c’è una situazione di piacere Questo sentimento della simpatia è l’ultimo appiglio nello scetticismo per confermare i legami sociali. Una posizione come quella di Hume potrebbe facilmente portare a Hobbes e all’idea di homo homini lupus; infatti Hobbes consegna tutta la mia volontà nelle mani dello stato che provvede alla utilità generale e alla totalità perché i singoli in quanto tali si sbranerebbero tra di loro se fossero lasciati nella legge, stato di natura. Per superare l’esito ferino di Hobbes, Hume si appiglia ad un sentimento: l’ultimo appiglio per far sì che gli uomini non si sbranino tra loro è la simpatia. È una base fragilissima che però permette agli uomini di convivere. La simpatia rimane l’ultimo retaggio dell’amicizia come idea politica di polis. Il sentimento della simpatia per quanto importante( anche Scheler ne ha parlato) però è un sentimento soggettivo che rivela solo il mio stato d’animo ma non mi rivela l’altro. Non si esce dalla sfera psicologica. Il sentimento non mi porta realmente fuori di me, il sentimento riguarda il mio stato d’animo.: tra il mio stato d’animo e il mondo c’è un abisso. Quando Scheler sta elaborando la sua teoria dei sentimenti e delle affezioni, sta prendendo le distanze dal razionalismo moderno ma non vuole seguire la via empirista perché

l’empirismo porta ad un soggettivismo che è l’altra faccia del razionalismo. Per far questo, Scheler deve superare lo psicologismo che è quella concezione che trova espressione nella psicologia per la quale gli affetti, le emozioni, i sentimenti vengono realizzati in relazione alla propria psiche. Lo psicologismo non si pone il problema della corrispondenza tra i sentimenti e la realtà fuori di me. Non si pone il problema se i sentimenti sono rivelativi di un a condizione oggettiva reale. Non si pone il problema se i sentimenti mi aprono il mondo. I sentimenti vengono indagati come espressione della struttura della psiche. Un uomo a determinate condizioni prova determinati sentimenti. Comunque, la critica allo psicologismo è centrale in Scheler e deriva dal neokantismo del maestro di Scheler, Rudolf Eucken, con cui Scheler studia tra la fine dell’Ottocento e il Novecento ed era ciò che Scheler condivideva anche con Husserl. Come Husserl, Scheler i distanzia dallo psicologismo e tenta di delineare una filosofia che rivaluti la dimensione dell’affettività. Il superamento dello psicologismo avviene attraverso l’opera di Brentano; l’idea di fondo di Brentano è l’idea dell’intenzionalità che influenzerà tutta la fenomenologia husserliana. L’idea della intenzionalità è l’idea per la quale nella conoscenza, ogni atto del conoscere, ogni pensiero, è sempre pensiero di qualcosa, di un oggetto. Non esiste un soggetto pensante scisso da un oggetto. Il pensiero, in quanto atto del soggetto pensante, è sempre dato con il contenuto e il pensare è sempre pensare qualcosa. Il nostro pensiero è sempre intenzionalmente rivolto ad un oggetto. Il concetto di intenzionalità nel senso di Brentano supera di un passo tutta l’impostazione critica. Per Kant bisogna elaborare prima una teoria della conoscenza perché poi essa possa essere applicata all’oggetto. In Brentano non puoi distinguere il tuo pensiero dalla cosa pensata. Hegel critica Kant dicendogli che non si può imparare a nuotare prima di entrare in acqua. La pretesa di Kant di descrivere a priori le condizioni del pensiero prima che il pensiero pensi è una pretesa impos-

sibile. Noi sappiamo del pensiero in quanto abbiamo pensato. Il pensiero è già immerso nel contenuto. La teoria dell’intenzionalità dice che atto e contenuto sono inseparabili. La teoria dell’intenzionalità è il superamento del kantismo che è la pretesa che il pensiero pensi se stesso indipendentemente dall’oggetto. Con la teoria dell’intenzionalità Brentano, da buon aristotelico, supera con un colpo tutta l’impostazione criticista e riporta il pensiero sulla cosa. Tanto è vero che negli anni di Gottinga la fenomenologia e la scuola di Husserl riscoprono un mondo nuovo. Come dirà Edith Stein nel saggio dei ricordi Il primo semestre a Gottingail motto di Husserl “il ritorno alle cose stesse” aveva il sapore di una riscoperta di una realtà dopo due secoli di criticismo che era diventato il paraocchi della realtà”. Con la lezione di Brentano e di Husserl, la filosofia tornava ad immergersi nella realtà. Brentano non si limita ad elaborare una teoria dell’intenzionalità solo in sede teoretica ma elabora la teoria dell’intenzionalità anche in sede pratica nel saggio Sulla teoria della conoscenza morale. In quella teoria Brentano diceva che non solo i concetti ma anche i sentimenti hanno un’intenzionalità morale, ossia anche i sentimenti ci portano all’oggetto intenzionato. Come la teoria dell’intenzionalità in sede gnoseologica supera il kantismo, così la teoria dei sentimenti in sede morale supera lo psicologismo che ha dominato fino ad allora. I sentimenti non hanno a che fare semplicemente con la psicologia dell’io ma ci aprono sulla realtà dell’oggetto morale. I sentimenti entrano di diritto nella sfera morale da cui finora erano stati kantianamente e rigorosamente esclusi. La sfera affettiva rientra a pieno diritto nell’esperienza morale da cui tutto l’Illuminismo post-kantiano l’aveva esclusa. Se il sentimento diventa rivelativo di una realtà oggettiva, il sentimento viene ad avere una funzione conoscitiva che non è identica a quella teoretica ma che è complementare, ossia i sentimenti diventano un altro modo di conoscere. Questo è il contributo di Scheler che può mettere questo titolo agostiniano Ordo amoris al saggio incompiuto in

quanto esiste un ordine dell’amore, ossia un ordine che l’amore comprende. Esiste questo amore che l’amore comprende in quanto l’amore intenzionalmente verte sugli oggetti. Il titolo già presuppone il titolo dello psicologismo e di una prospettiva puramente empirista. Per questo Scheler parla del regno degli oggetti dell’amabilità, della gerarchia di questi oggetti. Questo regno da una parte è oggettivo, dall’altra però non è definito una volta per tutte: non è un regno in cui l’oggetto viene esaurito nella conoscenza del singolo atto d’affetto. Ci sono livelli di altezza diversi nelle regioni dei valori perché in sede morale l’amore concepisce l’oggetto non in maniera neutra ma come valore. Ciò che in sede teoretica è l’oggetto conosciuto, in sede morale diventa il valore conosciuto. Cioè, l’oggetto si palesa come valore e proprio perché si palesa come valore chiama indirettamente in causa proprio la moralità affettiva con cui viene percepito. Io chiamo valore ciò che per me vale, ciò che e prezioso. Il prezioso non è l’esito di un giudizio meramente conoscitivo in senso teoretico ma è evidentemente in gioco la sfera affettiva. In sede morale l’affettività entra in gioco perché in sede morale l’oggetto è il valore.

Questi valori possono essere percepiti diversamente. Il semplice libertino è colpito dal fatto che il godimento che riceve dagli oggetti della sua soddisfazione diminuisce sempre più rapidamente nella sua corsa sempre più veloce di oggetto in oggetto mentre l’impulso rimane invariato; infatti questa acqua fa venire tanta più sete quanto più se ne beve. Questo esempio colpisce avendo in mente l’esempio analogo che viene richiamato da Socrate nel Gorgia. Nel dialogo finale che Socrate ha con Callicle, seguace di Gorgia, giovane rampollo ateniese scettico e nietzscheano ante litteram, Callicle non vuole rinunciare a niente di ciò che ha dal momento che la vita gli ha offerto questa possibilità. Ciò che vuole, lo vuole a discapito di tutti poiché ciò che importa è il suo godimento, il suo successo. Callicle ha la volontà di potenza, per lui il dominio spetta ai migliori

che sono quelli che hanno. <per coloro che sono in una condizione inferiore, non c’è pietà perché non ha senso avere compassione o interesse verso chi non è fortunato nella vita. La fortuna ha assegnato il destino ad ognuno. Socrate si sforza in tutti i modi di convincerlo che quella non è il tipo di vita giusta e tra tutti gli esempi ricorre quello dell’otre: la vita di Callicle è come quella di un otre in cui viene versata continuamente acqua ma poi sempre è sempre più sfondata e tu sei sempre più assetato di prima, non è vera felicità; non avrai mai amici perché saranno sempre invidiosi delle tue ricchezze e dei tuoi poteri. Ma a Callicle le argomentazioni di Socrate non fanno effetto perché a lui interessa solo il suo godimento. Callicle è l’unico caso in cui Socrate in un certo punto si arrende: la dialettica di Socrate, sempre raffinatissima, non riesce a convincere Callicle. La vita di Callicle si oppone alla potenza filosofica di Socrate e non a caso Socrate nell’ultima parte del dialogo gli narra il mito dell’Oltretomba. Gli dice che sa che per Callicle è una favola ma lui ci crede e gli descrive il destino dei morti nel grande prato dell’aldilà dove le anime dei giusti andranno del paradiso dei Campi Elisi e quelle degli ingiusti nell’Acheronte. È un mito escatologico l’ultima arma che Socrate ha nei confronti di Callicle che prende il giro Socrate perché secondo lui Socrate spreca la sua vita andando dietro ai giovani invece di sfruttare la grande intelligenza ottenendo successo.

Se l’amore ha a che fare con la conoscenza, allora significa che per Scheler l’amore permette di vedere di più l’oggetto. Come c’è una visione del mondo dal punto di vista dei sensi e della ragione, così c’è una visione del mondo peculiare all’amore in quanto tale. L’amore investe nell’oggetto e vede l’oggetto come una promessa, non semplicemente come attrazione. L’amore è un investimento. L’amore non soltanto l’amore da parte dell’Io ma l’amore ha un’influenza e una corrispondenza anche nel Tu, in una forma tale che il Tu viene incrementato da questo amore, viene provocato da questo

amore alla realizzazione di te. Questo movimento fa progredire la persona nella sua peculiare direzione di idealità di perfezione. L’amore non fa progredire solo te ma perfeziona anche l’altro. Poiché l’altro è amato da te, l’altro desidera perfezionarsi nella sua idealità. L’amore introduce un movimento di perfezionamento, non è semplicemente la corrispondenza tra due che rimangono come sono ma l’amore introduce una dinamica di perfezionamento dell’Io e del Tu. Tanto nell’amore del libertino quanto nell’amore più profondo non c’è mai un carattere di definitivo. Il carattere di definito distrugge l’amore non nel senso della promessa, ma definitivo nel senso dell’atto d’amore stesso. Lì nel libertino il fatto che non è mai definitivo è derivato dal godimento infinito. La legge del piacere è una legge infinita. Il piacere appena soddisfatto si estingue all’istante ma riemerge l’istante dopo. Nell’amore personale la soddisfazione aumenta a differenza del godimento dove la soddisfazione diminuisce. Quindi la diversità è che nel godimento l’infinità del piacere richiede l’infinità degli oggetti. Dopo un po’ ti stanchi di un unico oggetto, hai bisogno di cambiare, di variare. La vita estetica è cambiamento, odia la stabilità, anche quella del legame amoroso è insopportabile: dopo un po’ ci si conosce e che altro si può aggiungere? Si sa tutto dell’altro. La vita estetica cerca il cambiamento, la variazione e quindi l’infinito nella vita estetica è la moltiplicazione degli oggetti del godimento. È quello che Hegel chiama “cattivo infinito”. La diversità è tra inquietudine e una fermezza tranquilla. Il libertino nel suo apparente disincanto è, in realtà, inquieto, non riesce ad appagarsi di nulla. L’altro è una modalità con cui risolve la sua inquietudine. Questo non accade invece a chi trova appagamento nella certezza di un rapporto in cui puoi stare. Perché sia appagato un amore per propria essenza infinito, esige un bene infinito. Intenzionalmente l’amore richiede un oggetto infinito, un oggetto nel quale ogni appagamento non sia, non rimanga qualcos’altro. L’oggetto infinito è l’oggetto che basta all’amore, per cui l’amore non

debba ricorrere ad un altro oggetto. Ossia nell’amore vi è un’intenzionalità infinita che richiede un oggetto infinito se non altro come fondamento della possibilità dell’amore stesso. In questo senso l’idea di Dio sta a fondamento dell’ida dell’amore. «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in te» è la famosa frase di Agostino che viene citata nelle Confessioni. Questa inquietudine del cuore trova la sua consistenza in un oggetto infinito. Il cuore richiede un oggetto. Ecco il superamento della dimensione soggettiva dei sentimenti codificata dall’empirismo illuminista. Il cuore non è appagato da se stesso come celebra l’amore romantico: quell’amore innamorato dell’amore; il cuore richiede un oggetto che sia potenzialmente infinito. Un oggetto nel quale la tensione infinita dell’eros possa trovare un appagamento infinito. La cosa importante è che la sfera dell’amore richiede un oggetto. Questo non significa che l’uomo non possa amare ciò che è finito: ognuno di noi è finito. Scheler non sta dicendo che un uomo e una donna non si possono amare ma sta dicendo che un uomo o una donna se amano l’altro come se fosse assoluto, vanno incontro ad un’illusione. L’assoluto è l’intenzionalità che regge il rapporto ma non è l’oggetto del rapporto. Se l’oggetto del rapporto viene assolutizzato dall’amore, l’amore è stritolato da quel rapporto. Una idealizzazione dell’altro in termini di assolutezza porta alla distruzione del legame stesso. L’amore in questo caso non aiuta a vedere la realtà ma la confonde. Per Scheler l’amore non certifica l’evidenza dell’oggetto, l’amore può anche confondere. Dipende dall’intenzionalità, dalla direzione. L’opera principale di Scheler L’eterno nell’uomoè sul tema dell’idolatria. In questa opera Scheler parte dall’idea che in ogni uomo vi è un assenso religioso, un’attitudine verso l’assoluto che caratterizza l’umanità in generale. Ebbene questa dimensione religiosa o trova l’oggetto che le corrisponde, quello che gli uomini chiamano Dio, oppure trova inevitabilmente un sostituto di Dio che è sempre qualcosa di finito e di contingente, l’idolo. L’idolo è la forma di contraffazione di Dio.

L’idolo è bene finito che diventa assoluto. L’uomo trova il Dio che gli corrisponde oppure inventa l’idolo. In questa posizione l’ateismo non esiste, esiste invece la vecchia categoria biblica dell’idolatria. Non è che l’uomo non creda a nulla: colui che rifiuta Dio creerà dei sostituti di Dio, ossia delle forme contingenti del vivere che diventano assolute in cui egli riporrà tutte le sue speranze ma in cui egli inevitabilmente rimarrà deluso. Già nel 1916-17 Scheler ha elaborato l’idea della categoria dell’idolo che diventa un’assolutizzazione della sfera dell’amore che evidentemente per Scheler non è corretta; la chiama infatti infatuazione.

Il regno è un regno che ha la sua unità, la sua legalità e la sua costruzione graduale. I valori, che sono percepiti dall’amore, hanno una gradazione. Alcuni sono più, altri meno importanti. Già gli antichi distinguevano tra beni più grandi e meno grandi e a seconda della costituzione antropologica dell’uomo ci sono i beni corporali e i beni dell’anima. I beni che presiedono alla sopravvivenza dell’uomo sono importanti. Hanno a che fare con l’anima vegetativasensitiva. Però esistono beni che in certi momenti sono più grandi e più importanti e allora bisogna sacrificare i beni inferiori in nome dei beni superiori. Questa concezione per cui vi è una gerarchia dei beni appartiene alla tradizione classica. Scheler la ritrova con questa forma del regno. Scheler prosegue scrivendo che nell’atto di amore c’è un posporre e un proporre i valori che vengono percepiti. Non tutti i valori stanno sullo stesso piano. Ciò che chiamiamo animo umano o cuore umano non è un caos. Il termine “cuore” prendo il posto della vecchia concezione dell’anima nell’antropologia tra Ottocento e Novecento. Noi abbiamo smarrito a concezione dell’anima perché è stata interamente inglobata nella psicologia che è la dottrina dell’anima. La psicologia si è resa autonoma dalla filosofia nel corso dell’Ottocento e si è impadronita del tema dell’anima e così la filosofia non si occupa più di essa. Il tema dell’anima, come Hegel sapeva bene, è fondamentale perché l’uomo non è solo mente che

pensa. Eredi della tradizione cartesiana pensiamo che l’uomo sia semplicemente l’ego cogito, ossia che il nostro io spirituale sia il nostro io pensante. Ma a parte che nemmeno Cartesio pensava così perché con il termine cogito, Cartesio intendeva tutto il plesso dello spirito, non intendeva semplicemente la mente pensante. L’uomo non è semplicemente l’io pensante, noi siamo prima che pensiero, siamo anima che è il luogo in cui noi sentiamo, è la sfera dei sentimenti, è il luogo del nostro inconscio, è il luogo dei sogni. La nostra vita spirituale è più ricca della semplice attività coscienziale e mentale. L’anima è la condizione e grande madre dello spirito. Essa è la nostra dimensione inconscia. Se noi escludiamo l’anima, riduciamo l’Io a mente con la conseguenza estrema che solo l’Io consapevole e razionale è persona. L’Io che ragiona è persona. L’identità dell’Io non è garantita soltanto dall’Io pensante. L’anima è l’alba, è l’interiorità profonda dell’Io. Il razionalismo riduce l’uomo a essere pensante, perciò chi non è pensante non è considerato uomo.

Scheler scrive che ciò che chiamiamo animo umano o cuore non è affatto un caos di cecità. Il cuore è perfino un’immagine speculare articolata del cosmo di tutte le possibili amabilità e pertanto è un microcosmo del mondo dei valori. “Il cuore ha le sue ragioni” ha scritto Pascal. Scheler vuole conferire piena dignità filosofica a questa frase dove il termine importante è ragioni. Il cuore ha delle ragioni, non è irrazionale, non è un caos. Il cuore ha un orientamento, direzione delle ragioni nel suo muoversi. Il nomos agraphossono leggi di non scritte di cui parla Sofocle in Antigone; quelle leggi non scritte in base alle quali Antigone vuole seppellire il corpo del fratello perché la pietas lo vuole contro le leggi della città che lo vietano. Queste sono le eterne non scritte leggi degli dei, ma queste leggi non scritte sono scritte nel cuore. Quindi il cuore ha delle leggi non scritte che corrispondono al disegno in base al quale il mondo è costruito come mondo dei valori. Il cuore può amare o odiare ciecamente o avvedutamente cos’ come altrettanto avvedu-

tamente o ciecamente possiamo giudicare. Il cuore può essere tanto cieco quanto avveduto. Può essere tanto ordinato nel senso della logica del cuore quanto violento e irrazionale quando non segue queste ragioni che stanno a fondamento della sua natura. Il cuore è un microcosmo del mondo dei valori. “Microcosmo” è espressione che proviene dal Rinascimento per cui l’uomo è un microcosmo rispetto al macrocosmo. Nell’uomo troviamo tutte quelle componenti che si ritrovano nell’intera natura. È questa visione della coincidenza tra grande e piccolo che obbedisce all’idea di armonia e di proporzione che è al centro della cultura rinascimentale che trova espressione nell’opera di Pico della Mirandola e nell’idea che l’uomo è al centro dell’universo nella famosa immagine di Leonardo da Vinci dell’uomo che è al centro di una circonferenza che esprime il cosmo. L’uomo è microcosmo del mondo dei valori. Il cuore possiede nel suo stretto ambito un analogon della logica che tuttavia non prende a prestito dalla logica dell’intelletto. Nel cuore vi è una logica analoga ma anche diversa rispetto alla logica dell’intelletto. Scheler sta lottando per strappare la nozione di cuore dal sentimentalismo. Il cuore non è il momento dell’irrazionale, il cuore ha delle ragioni, quindi ha una logica. Il cuore ha una sua natura. La logica del cuore non è identica a quella dell’intelletto e della ragione. Nel cuore vi sono delle leggi. Il fatto che il cuore abbia una sua logica implica che esistano delle leggi del cuore. Ci stiamo allontanando dalla concezione romantica del cuore e ci avviciniamo alla concezione articolata. Le leggi non scritte testimoniano che il cuore ha una sua logica non riducibile alla logica aristotelica. Il fatto che il cuore ha le sue leggi non significa che queste vengano sempre rispettate dal cuore medesimo. Il cuore può amare in modo irrazionale o secondo una logica, secondo le sue leggi. Il cuore può violare queste leggi, amare e odiare in maniera distorta. Il cuore ha le sue ragioni di cui l’intelletto non sa nulla e mai qualcosa potrà mai saperne. Le ragioni del cuore sono intuizioni oggettive ed evidenti su

realtà di fatto per le quali l’intelletto è cieco. L’intelletto non capisce certe cose se non con l’ausilio del cuore. È vero che la logica dell’intelletto non coincide con la logica del cuore. Per questo Pascal dice che l’esprit de geometrie non è l’esprit de finesse. La logica geometrica nelle relazioni sociali non serve a nulla. La doppia logica corrisponde alla distinzione tra l’esprit de geometrie e l’esprit de finesseche indica una sensibilità in cui la dimensione del cuore entra in gioco nella sua logica. I sensi possono essere avvertiti solo mediante se stessi, ossia attraverso l’esperienza sensibile. Per questo Aristotele dice che i sensi sono principii. Non esistono soltanto i principi della logica, ma anche i principii della sensibilità. Allo stesso modo per Scheler il cuore sarebbe principio di una logica, di un’esperienza, di un’intuizione oggettiva che non può essere sostituita dalla logica. Per Scheler esiste un ordine oggettivo del cuore che intuirebbe dei valori oggettivi. Ci stiamo spostando molto lontano dalla concezione romantica per la quale il cuore è un sentimento vuoto pronto per ogni oggetto. Nella concezione romantica che noi critichiamo come sentimentale il cuore è disponibile ad ogni oggetto possibile. Nella concezione romantica il cuore è una forma senza contenuto. L’oggetto è irrilevante. L’Occasionalismo è la versione filosofica del Romanticismo. Nulla viene preso sul serio. Tutto è solo occasione di altro. Nella concezione romantica dell’amore inteso come sentimento, il sentimento è una forma rispetto cui il contenuto è indifferente. Un tale concezione è una concezione assolutamente relativistica del cuore. Il cuore non ha dei valori propri ma tutto può diventare oggetto del cuore, del sentimento o dell’amore. Scheler invece ci sta dicendo che il cuore ha un’intuizione di un ordine oggettivo di valori. Il cuore ha una sua legalità. Kant sarebbe inorridito a pensare che il cuore ha una legalità; per Kant l’unica legalità possibile è legge della ragion pratica: Invece Scheler estende la nozione di legalità al cuore. Ha il cuore una legalità intrinseca che è indipendente dalla organizzazione psicofisica del-

l’uomo, ossia il cuore intuisce un ordine oggettivo che non è semplicemente psicologico. Se fosse psicologico sarebbe ancora una volta variabile rispetto alla psicologia individuale. Il nostro carattere singolare diventa il metro di fondazione di ogni scelta possibile. Se la psicologia diventa assoluta, ancora una volta non usciamo dalla prigione dell’Io. Noi potremmo parlare di un ordine oggettivo dei valori ma soltanto di valori psichici relativi alla singola psiche del singolo oggetto. Scheler critica Kant ma estende la pretesa di universalità e di oggettività, che per Kant vale solo nell’ambito della ragione, anche alla sfera del cuore. Anche il cuore ha e sue leggi. La differenza è che l’a priori è un a priori materiale, ossia un a priori indirizzato sui contenuti, non è un a priori formale come in Kant, ma è un a priori per cui esiste un ordine oggettivo di valori, cosa che in Kant non c’era.

Ci sono epoche che non riconoscono alla dimensione emozionale una dignità del conoscere. La dimensione emozionale diventa muta e soggettiva. Siamo arrivati a questa conclusione dell’irrilevanza della conoscenza affettiva per l’esperienza umana e per l’intuizione dei valori perché è prevalso un modello scientifico del sapere per il quale tutto ciò che non è conoscenza in senso intellettuale viene ritenuto meramente soggettivo. Quindi gli stessi giudizi di valore sono diventati giudizi di gusto, ossia giudizi estetici. La morale diventa un momento dell’estetica: non esiste più il buono e il cattivo, ma il disdicevole e ciò che è appropriato. L’estetica ha preso il posto dell’etica. Se l’etica entra nell’estetica, l’etico diventa soggettivo. Questo accade a causa del modello scientifico che pretende di definire oggettivo tutto ciò che rientra in quel modello e di ricacciare le soggettivo tutto ciò che non rientra nel modello. L’intero campo dell’esperienza umana viene confinato nel soggettivo. Scheler scrive che gli economisti cercano di evitare i giudizi di valore perché per loro stessa natura non sarebbero scientifici. Max Weber è l’autore di riferimento per questa distinzione tra giudizi di valore e i giudizi

di fatto. I giudizi di fatto sono giudizi che nascono sul terreno della scienza. Solo la scienza può pronunciarsi sulla realtà o meno dei fenomeni e può descrivere esattamente le cose come accadono. Mentre i giudizi di valore nascono dai pregiudizi, chiamano in causa la psicologia sia individuale che di gruppo, le valutazioni personali, il contesto culturale nel quale si svolgono i nostri giudizi. I giudizi di valore sono giudizi non scientifici, sono giudizi che rientrano nell’Erlebnis, nell’esperienza vissuta. Sono giudizi soggettivi che non hanno valore oggettivo universale. I giudizi di fatto devono avere il criterio dell’universalità perché derivano dal sapere scientifico. Scheler contesta questa visione di Weber. Se il principio etico assoluto è la libertà di coscienza senza contenuti si cade in un formalismo assoluto da un lato e da un relativismo assoluto dall’altro. La libertà di coscienza non può essere il fondamento e la libertà di coscienza è semplicemente una forma. La libertà di coscienza è in funzione di una verità.

La vita emozionale è il luogo di svelamento di nessi oggettivi che nel loro mutevole rapporto con noi governano il senso e il significato della nostra vita ma come una serie di accadimenti assolutamente ciechi. La nozione di emozionalità è quella di un caos puramente cieco, una serie di impulsi che provengono dal profondo ignoto e che semplicemente non hanno logica: ora siamo schiavi di un impulso, ora di un altro e non riusciamo semplicemente a capire che logica c’è in tutto questo. Nel sentire vi è un prestare ascolto. L’uomo contemporaneo non prende più sul serio l’esperienza della vita che si palesa come esperienza del vivere. Non presta più attenzione a quei movimenti della vita che coinvolgono tuta la sfera dell’affettività che è dimensione fondamentale dell’esperienza, del senso della vita. Scheler anticipa la riflessione di Husserl Crisi delle scienze europee, opera del 1933 in cui Husserl capisce che le scienze europee sono in crisi perché hanno dimenticato il mondo della vita che è precondizione del sapere scientifico. Una delle conseguenze

della riduzione scientifica della vita emozionale, del fatto che il modello scientifico è l’unico in grado di conferire l’ambito del sapere è che la sfera degli affetti è stata relegata nella psicologia che si appropria di questa sfera delle emozioni in quanto le oggetti vizza. Nella psicologia le passioni diventano stati e non atti. Sono condizioni statiche di una struttura psichica. Il paradosso della psicologia è che essa dovrebbe essere la scienza dell’anima, ma l’anima, oggetto della scienza, diventa un’anima scientifica, ossia l’anima diventa una struttura, uguale per tutti. L’anima che viene studiata dalla psicologia è un’anima in generale. La psicologia non concerne l’ontologia, non dice nulla sula verità dell’Io, dell’anima, del mondo ma ci parla soltanto degli atti psichici. Noi abbiamo relegato l’intera sfera delle passioni e delle emozioni nella psicologia. Questa è una conseguenza del modello scientifico del sapere. Nella psicologia tutto si muove verso l’interno. Tutto ciò che è atto non è mai nella psicologia. La psicologia è statica per definizione, mentre nella realtà la nostra anima è continuamente in atto, ossia percepisce effettivamente. Nella psicologia l?io non c’è mai.

Lo psicologismo si rivela nel fatto che l’atto è più importante del contenuto. Se colui che guarda un paesaggio o un bel quadro, invece di guardare il paesaggio o il quadro si sofferma sulle emozioni che lui prova nel guardare il paesaggio o il quadro, non capirà nulla del paesaggio o del quadro. Quelle emozioni invece di introdurlo ad una maggiore comprensione del paesaggio o del quadro, fanno sì che lui si ripieghi su stesso; allo stesso modo nell’amore quelle emozioni, invece che introdurti ad una maggiore comprensione del contenuto diventano un’enfatizzazione dell’Io psicologico. Questo è il sentimentalismo che è quella posizione per la quale il sentimento è più importante del contenuto evocato e sentito. È il soggettivismo narcisistico che trionfa nelle sue mille forme e sul contenuto. In questo caso le emozioni non aprono all’ordo amoris, al contrario ti schiavizzano in una prigione psicologistica e lo psicologismo può diven-

tare anche una patologia. Chi ha problemi psichici è perché è prigioniero della sfera psichica. La sanità è nel rapporto con la realtà. L’atto psichico è sano quando corrisponde all’oggetto, non quando uno è ripiegato su di sé. Lo psicologismo è uno spostamento dall’oggetto al soggetto. Ma in questa maniera non intuisco il mondo: ho penso quell’intenzionalità che invece secondo Scheler è la caratteristica non solo della conoscenza teoretica ma anche morale-affettiva Questa era la lezione che gli era stata consegnata da Brentano per il quale l’intenzionalità vale anche per la coscienza morale. È conseguenza del modello scientifico la riduzione dell’uomo a conoscenza in senso teoretico e l’aver svalutato tutta la dimensione affettiva. Questa dimensione è stata recuperata nell’ambito della psicologia con il risultato però dello psicologismo per il quale i sentimenti hanno un valore eminentemente soggettivo. Lo psicologismo è l’altra faccia del razionalismo scientifico. Se l’unica conoscenza oggettiva è quella della scienza, tutta la sfera delle passioni e degli affetti ha il suo terreno proprio nel soggettivismo. I sentimenti descrivono gli stati d’animo che non hanno valore se non nel limite della mia soggettività e non hanno nessun valore oggettivo. Nella psicologia non usciamo dalla percezione interna, la psicologia non ci apre ad una concezione oggettiva, ma ci sa soltanto la via di una percezione interna la quale resta nell’ambito dell’interiorità. La psicologia studia gli stati dell’Io ma non gli atti di percezione dell’Io che sono finalizzati a qualcosa che è fuori dell’Io. Se l’atto emozionale è rivolto verso il soggetto e il suo sentimento e non è rivolto all’oggetto, non si esce dalla psicologismo. In questa maniera confermiamo che l’unico tipo di conoscenza è la conoscenza di tipo logico e non c’è una conoscenza di tipo alogico ed è invece quello che Scheler vuole raggiungere.

Negli anni 1916-17 il motto della scuola di Gottinga era diventato: “tornare alle cose stesse”. Dopo più di cento anni di kantismo, ossia di riduzione fenomenistica per cui la mente non coglieva più

le cose stesse ma solo i fenomeni il pensiero tedesco stava reagendo a questo e affermava con la fenomenologia il ritorno alle cose stesse. Nel racconto dei contemporanei questo slogan aveva il valore di una liberazione. Questo, però, dice Scheler continua ad essere pensato solo per la filosofia in senso teoretico e non si capisce che anche la sfera affettiva può avere un valore conoscitivo nell’ambito degli oggetti. Scheler vuole estendere il ritorno alle cose stesse anche all’ambito delle affezioni e delle emozioni. Vuole estendere la categoria di intenzionalità non solo all’atto pensante ma anche all’atto emozionale. O può fare perché è rimasto colpito dall’opera di Brentano Saggio sull’esperienza morale in cui Brentano aveva esteso il concetto di intenzionalità anche all’esperienza morale.

Nell’ambito teoretico noi vogliamo sapere cosa intendono questi oggetti, perché la conoscenza si volge verso di loro e cosa intendiamo per conoscenza dell’oggetto. Scheler distingue il sentimento come stato psichico, ciò che io provo, dal sentimento come intenzionalità. Il sentire dell’uomo è in prima istanza interamente orientato ai valori che ineriscono alle cosa. Il sentimento è intenzionato ai valori che ineriscono alle cose, ossia nel sentimento si rivela il valore delle cose che sono apprese da noi non semplicemente come immagini che colpiscono il nostro occhio o il nostro udito ma esse hanno una loro qualità da subito e noi reagiamo emotivamente a queste qualità delle cose. Non è una reazione teoretica ma affettiva. Ognuno di noi incontrando qualcosa, è colpito emozionalmente da questo. Nel sentire io percepisco il valore o il disvalore della cosa. Nell’affettività si rivela il valore o il disvalore della cosa. La dimensione valoriale è una dimensione oggettiva colta nella cosa mediante l’intuizione emozionale. Le cose sono portatrici di valori che vengono percepiti mediante l’intuizione emozionale. La cosa è l’occasione in cui il valore si disvela.

Col sentimento rispondiamo al mondo nella sua dimensione di valore: Il sentimento è in gioco quando c’è qualche valore da ap-

prendere. Se una cosa non ci interessa, ci è indifferente, il sentimento non è in gioco fino al punto estremo dell’apatia. Una cosa che mi lascia indifferente per me non ha valore. Ciò che ha valore sia in senso positivo che negativo mi coinvolge, entra in gioco la mia sfera affettiva. La dimensione del valore è percepita soltanto nella sfera affettiva, dal punto di vista dell’esperienza. All’inizio c’è un’esperienza in cui percepisco il valore della cosa in quanto sono emotivamente coinvolto nella percezione della cosa. Ma non senso che quella percezione è semplicemente soggettivistica ma nel senso che soltanto mediante quella percezione che il valore della cosa si palesa. La percezione della cosa è la modalità con cui il valore oggettivo si manifesta.

L’essere nel mondo presuppone l’intenzionalità. L’essere nel mondo presuppone il superamento della problematica moderna del ponte tra io e il mondo: da Cartesio in avanti il problema filosofico è come, partendo dal cogito, posso trovare il mondo. Martin Heidegger alla luce di Scheler, Di Husserl e della fenomenologia dice che noi non dobbiamo trovare il mondo, noi siamo originariamente in contatto con il mondo. Noi siamo nel mondo non solo con il nostro pensare ma anche nel nostro sentire. Il sentire è sentire il mondo. Quello che lo psicologismo non capisce è che sentire se stessi è operazione di secondo grado: non ci sarebbe sentimento di sé se non ci fosse sentire del mondo. Il ritorno a sé è sempre in seconda battuta. Il primumè l’essere nel mondo; in quanto io sento il mondo, io posso allora sentire me stesso. In quanto io mi pongo in raccordo con la realtà passando dalla potenza all’atto, così io conosco ciò che sono. L’Io conosce se stesso solo mediante le azioni.

Il movimento per cui io invece di concentrarmi sulla cosa mi concentro su di me è l’inizio di una patologia: è qualcosa di abnorme e di psicologico. Lo psicologismo conduce alla prigione dell’Io: l’Io non riesce a trovare il ponte con la realtà. Quando il perdo la direzione intenzionale verso i valori, che sono colti solo nelle cose, al-

lora mi ritrovo come in una prigione. L’egoista è colui che si ripiega su di sé, sul suo sentire e non sui dati dell’esperienza. L’intenzionalità non può essere solo teoretica ma anche la sfera dello psichico è una sfera intenzionale. La filosofia per Scheler deve riportare in luce l’oggetto intenzionato, non può concentrarsi sulla psiche semplicemente come fa la psicologia. Se rinunciamo a questa intenzionalità allora non si potrà mai scoprire quale mondo e quale contenuto assiologico del mondo si dischiudono nel sentire, nell’amare e nell’odiare. Lo psicologismo è questa prigione dell’Io.

Husserl combatte lo psicologismo per rivalutare l’oggettività della conoscenza teoretica ma non estende questa battaglia anche alla sfera affettiva: questa è la novità di Scheler rispetto a Husserl. Ossia il concetto di intenzionalità non vale solo per il sapere teoretico ma anche per quello alogico. Scheler vuole estendere il campo della conoscenza in una forma tale che conoscere non è soltanto conoscere teoretico ma anche emozionale che è una forma diversa del conoscere. È una forma intuitiva non dimostrativa.

Se noi concepiamo soltanto il pensare come intenzionale sull’oggetto significa allora che in ogni tipo di conoscenza dovrà passare attraverso il pensare per avere un valore oggettivo e quindi anche i sentimenti e le affezioni dovranno essere mediate dal pensiero per poter avere un valore oggettivo. Ma non è di questo che secondo Scheler si tratta. Noi, in realtà, siamo sempre immersi nel mondo, facciamo da sempre esperienza del mondo che non è semplicemente l’esperienza della percezione interna, che non è semplicemente l’esperienza del riflesso sentimentale della cosa. Noi abbiamo esperienza degli oggetti e questa esperienza degli oggetti si palesa come esperienza dei valori, un’intuizione dei valori. L’esperienza che si rende sensibile nella lotta morale ci rende presente contenuti che non sono affatto presenti nel puro pensiero. L’esperienza morale ci offre dei contenuti che noi non potremmo altrimenti vedere, intuire, sperimentare. Il termine di esperienza qui è Erfahrung. Il tedesco

distingue tra Erlebnis e Erfahrung perché l’Erlebnis è esperienza vissuta nel senso dell’esperienza che non esce dallo psicologismo. Era il limite anche di Dilthey che spiega le teorie filosofiche alla luce dell’esperienza vissuta dei singoli pensatori. Non c’è una dottrina che non abbia dietro un’esperienza vissuta. Dilthey non parla più di dottrine filosofiche ma di visioni del mondo. La filosofia diviene visione del mondo in quanto presuppone un’esperienza vissuta. Qui Scheler usa Ehrfahrungche è esperienza oggettiva.

L’appello alla trascendenza è il fatto che gli atti alogici rimandano al di là di se stessi. L’appello alla trascendenza vuol dire rompere con l’immanenza dello spirito. Gli atti di affetto, di amore e di odio rimandano al di là di sé, rimandano agli oggetti intenzionati. E una filosofia che non coglie questo tipo di conoscenza si condanna a non comprendere un’intera sfera di oggetti che altrimenti non sono manifesti. È una filosofia che riduce il campo della conoscenza. Paradossalmente il razionalismo consente di conoscere meno e ti pregiudica la possibilità della conoscenza alogico. Non capisce che anche questa è una forma di conoscenza. Non si possono conoscere i valori della cosa semplicemente con la ragione. La ragione presuppone l’esperienza l’Ehfahrung. Scheler sta ricucendo quel dualismo tra giudizi di valore e giudizi di fatto che Max Weber aveva codificato. Scheler sa andando al di là del neokantismo. La scissione tra giudizi di valore e giudizi di fatto, tra conoscenza logica e conoscenza alogica viene ricucita. Sono due modalità del conoscere che si completano l’uno l’altro ma non possono sostituirsi.

L’ordine del cuore presuppone quindi una gerarchia di valori, ossia nella percezione, intuizione emozionale viene colto un ordine dei valori. L’intenzionalità del cuore è orientato su un ordine dei valori che non viene colto in assoluto. Non è l’Iperuranio di Platone, il mondo delle essenze platoniche, ma un mondo dei valori che viene colto nel mondo delle cose. Noi percepiamo i valori mediante le cose. L’esperienza dei valori è sempre esperienza del mondo però

questi valori hanno un valore ideale, trascendono anche le singole cose le quali sono percepite. Viene percepito un ordine gerarchico del prediligere: alcune cosa sono più importanti di altre. C’è un ordine dei valori. Scheler ha qui presente la lezione agostiniana perché è Agostino che teorizza un ordo amoris. Per Agostino il male non ha una realtà in se stesso, il male è non essere, non ha dignità ontologica; solo il bene è essere. Come nasce il male? Per Agostino il male nasce da uno stravolgimento dell’ordo amoris. Il male nasce quando io preferisco un bene inferiore nella scala ad un bene più grande. Il male è sempre uno stravolgimento di un ordine che è un ordine del bene. Nessuno vuole il male per se stesso, ognuno vuole il bene. Soltanto che questo bene diventa male in relazione ad altro non in se stesso. Questo bene diventa male quando io, per affermarlo, devo negare un bene più alto. Anche le cose buone diventano cattive quando sono riferite ad altre che sono più grandi. Scheler arricchisce il quadro agostiniano con la teoria dell’intenzionalità: è convinto che ai nostri sentimenti corrispondono dei valori. Noi siamo intenzionati su dei valori. Agostino non ha la teoria dell’intenzionalità di Scheler ma ha la teoria dell’inclinazione: per Agostino noi siamo inclinati al bene per natura la quale precede la nostra libertà che entra in gioco nel determinare i modi di raggiungimento del bene. Questa inclinazione è verso un ordo amoris. Non è un’inclinazione abbandonata ad un soggettivismo senza metro. Se noi deviamo, per Agostino ma anche per Scheler, dall’ordo amoris, l’amore si trasforma in odio: c’è uno stravolgimento dell’ordine stesso.

Se noi amiamo qualcosa di finito in maniera assoluta, si crea uno smarrimento metafisico. L’opera d’arte che viene amata in maniera assoluta, diventa come se fosse Dio, un simulacro, un idolo. Qui l’amore stravolge l’ordine: non posso consacrarmi all’oggetto che diviene l’essere in assoluto perché ne diventerei schiavo e perché non è più sano ma diventa insano, una follia. Ogni oggetto ha l’amore

che gli conviene. L’amore deve graduare secondo la qualità e il valore dell’oggetto. Per Scheler un amore sano dovrebbe saper individuare l’oggetto nella giusta gerarchia con gli altri. Quando scambio un oggetto con un altro, inizio la corruzione dell’ordo amoris.

L’atto dell’odio è la conseguenza di un amore non retto, non corretto. L’odio non è originario per Scheler. La sfera dell’amore e dell’odio è la sfera dell’interesse. Nell’amore e nell’odio non viviamo nella sfera dell’indifferenza. “Interesse” etimologicamente significa “inter” “esse”, essere fra. Essere nel mondo significa interesse a questo sia nel senso della relazione, sia nel senso del fatto che l’essere non mi è indifferente. Scheler evidenzia il legame tra l’affezione e l’interesse. Io sono coinvolto nell’essere e quindi la sfera dell’affettività è la sfera mediante la quale noi siamo nel mondo realmente. L’amore e l’odio condividono questa sfera dell’interesse. Per Scheler l’amore e l’odio son gli atti emozionali originari: tutta la vita affettiva secondo Scheler dipende dall’amore e dall’odio i quali sono intenzionalmente volti sulla sfera dei valori. La percezione dei valori, secondo Scheler, è una percezione extrateoretica che affonda nella vita affettiva la sua condizione di possibilità. Quindi è nell’esperienza concreta dell’amore e dell’odio che i valori si palesano nella loro oggettività.

L’odio è una conseguenza dell’amore che può essere deluso o frustrato ma l’odio presuppone l’amore. L’amore è originario, l’odio è secondario: senza l’amore non c’è l’odio. Gli atti d’odio dipendono da questa legge e ogni atto di odio è fondato su un atto di amore. L’atto di odio così come quello dell’amore hanno in comune un forte interessamento per l’oggetto in quanto portatore di valore. Questo, nel caso dell’amore, è ovvio: l’amore è interessato all’oggetto in quanto è portatore di valore.. Si ama ciò che per noi è valido, ciò che ha valore, ciò che vale. Vi è una connessione stretta tra amare e valore. L’essere nell’amore si palesa come valore e nell’amore si palesa la sfera dell’interessa. Nell’amore non siamo disinteressati

ma coinvolti, interessati. Non siamo spettatori dell’amore ma siamo attori, protagonisti. Anche nell’odio siamo interessati. Anche l’odio ci coinvolge in una passione in cui la cosa o l’altro appare come disvalore. Anche nell’odio si entra nella sfera dei valori: qualcuno, ci ha deluso, non corrisposto, umiliato. Nell’opera Il formalismo etico e l’etica materiale dei valoriScheler scrive che l’odio è piuttosto un atto positivo in quanto in esso è dato immediatamente un disvalore. Quindi anche nell’odio c’è una percezione valoriale: ciò che l’odio percepisce è un disvalore. Esattamente come nell’atto d’amore è dato un valore positivo.

Scheler scrive che l’odio riduce a disvalore ciò che è valore, mentre l’amore opta per il bene più grande possibile. Se tu vuoi bene a qualcuno, non puoi che augurargli il bene più grande possibile. Se odi qualcuno, godi se la persona viene disprezzata: anche l’odio ha i suoi piaceri. Soffri se l’oggetto dell’odio ha una vita serena e questo ti crea un risentimento gradissimo. Proprio perché l’odio presuppone l’amore, l’amore è originario. Siamo inclinati ad amare e non odiare. Quindi entra in gioco la categoria del risentimento a cui Scheler ha dedicato un’opera. Scheler ha indagato molto sul risentimento dietro le suggestioni di F. Nietzsche che per lui tutta la morale si fonda sul risentimento. La morale, da Socrate in avanti, si fonda sul fatto che i valori dello spirito devono trionfare sui valori della natura. Con Socrate avverrebbe il ribaltamento della morale eroica dei greci consacrata da Omero e dall’Iliadeper la quale solo i più forti hanno diritto a tutto. La morale platonica-cristiana porta i deboli sullo stesso piano dei forti. I malriusciti rivendicano diritti e hanno la pretesa di porsi sullo stesso piano dei forti e da qui lo stravolgimento della morale eroica che Nietzsche denuncia come la perversione dell’Occidente. Questa morale nasce dal risentimento che i malriusciti provano verso i forti e che, attraverso la morale, prendono in gabbia i potenti. La morale serve a rendere deboli i forti. Quindi la morale è la più grande astuzia con la quale i deboli inca-

tenano i potenti. Se questi spiriti fossero così superiori, però, come riescono i deboli a ingabbiarli? Se ha diritto di comandare chi trionfa, perché Nietzsche recrimina con questi impotenti che son diventati potenti? Hanno dimostrato di seguire la volontà di potenza. Senza andare fuori di un millimetro dai principi di Nietzsche, lui non risponde mai a questa elementare domanda. Il risentimento diventa per Nietzsche il fondamento della morale perché essa stabilisce dei valori che sottomettono tutti e quindi impediscono agli aristocratici di trionfare al di là della legge perché il superuomo non ha morale, o meglio, l’unica morale del superuomo è quella che il superuomo stabilisce per sé, è la sua morale ed è la morale mediante la quale sottomette gli altri, ma la morale che sottomette tutti è semplicemente l’espediente dei più fragili che altrimenti verrebbero spazzati via dalla storia. La morale è solo la diga con cui i più deboli arginano la potenza dei potenti. E in questo c’è del vero, ma in senso del tutto rovesciato rispetto a quello che dice Nietzsche; quando Habermans dice che la morale deve tutelare anzitutto i più deboli, lo dice in senso anti-nietzscheano. I più forti si difendono da soli, i più fori non hanno bisogno della morale ma sono i più deboli che hanno bisogno di questa. Per difendersi. In questo senso la morale difende la fragilità della vita.

La critica che Nietzsche svolge alla morale viene presa molto sul serio nel suo saggio sul risentimento in cui Scheler risponde anche con arguzia e profondità ma anche con talvolta con debolezza: il clima in quegli anni era molto filo-nietzscheano. Gli anni della Prima Guerra Mondiale sono gli anni della retorica della volontà di potenza ed era molto difficile rispondere a Nietzsche che era diventato un mito. La sua follia alimenta il suo mito: il grande pensatore travolto dalla follia.

Per Scheler non è la morale che nasce dal risentimento ma è l‘odio che nasce dal risentimento. Anche l’odio ha a che fare con i valori ma con valori ridotti a disvalore. Anche l’uomo del risentimento

amava originariamente, poi invece nell’attuale condizione odia: una persona si innamora di un’altra, non riesce a stabilire il legame che desiderava e l’odia per questo motivo. È sempre una delusione. Il risentimento è un prodotto dell’odio, ossia di un amore non ricambiato o non ottenuto. Ciò che Nietzsche pretende essere il fondamento dell’etica, in realtà, è il fondamento dell’odio. Ma d’altra parte questo era il tentativo di spiegazione che Nietzsche dava della morale. Poiché i poveri odiano i ricchi, si inventano la morale per costringerli ad essere loro pari grado. Il risentimento è una forma di odio.

L’odio non necessariamente nasce da me o da te. L’odio può nascere molto lontano da ciascuno di noi. E può essere partecipato. Scheler si sta riferendo ai fenomeni di odio collettivo, di massa verso singoli di cui non abbiamo alcuna esperienza diretta. Solo perché altri odiano, anche noi odiamo. L’odio nasce anche dal fatto che si presume che chi detiene il potere non è la persona che deve stare in quel posto, ossia che quella persona occupa un posto di cui non è degna, che quella persona è ignobile e non meritevole. E, quindi, si scatena un processo di risentimento e di odio che può culminare anche in un processo rivoluzionario in cui la rivoluzione si nutre dell’odio verso il nemico. La rivoluzione da un lato è un processo molto astratto, dall’altro ha bisogno di singoli molto personali, moto evidenti che possono essere amati o odiati.

L’interessamento è fondamentale nei processi della conoscenza. Non esiste rapporto che non sia tra conoscenza e interesse. Gli atti della volontà che riguardano la sfera del desiderio e dell’avversione dipendono dagli atti della conoscenza. Scheler non è un volontarista, non afferma la priorità della volontà sull’intelletto perché gli atti della volontà presuppongono una conoscenza dell’oggetto. Ma gli atti dell’amore precedono quelli della conoscenza. Non è che l’atto della conoscenza è derivato dall’amore. Vi è una distinzione di atti. La priorità ideale spetta però all’amore. Nel senso che tra amore e conoscenza vi è una distinzione e anche una autonomia.

Scheler sviluppa la sua teoria dei sentimenti che lui distingue dall’amore in senso proprio. La sfera emotiva non è riempita tutta dall’amore e dall’odio: vi sono i sentimenti che sono gli stati psichici i quali accompagnano gli atti dell’amore e dell’odio ma non si risolvono negli atti medesimi. Mentre amore e odio avrebbero a che fare con l’ordo amoris, gli stati sentimentali sono assiologicamente ciechi. Il sentimento di piacere o dispiacere non è connotato dal punto di vista assiologico: è posizione che va e che viene e che dipende da molti fattori. Possono dipendere dall’amore e dall’odio che possono provocare piacere e dispiacere tanto dal tendere quanto dal volere. Io tendo a raggiungere questo obiettivo e se lo raggiungo, ho un sentimento di piacere, se non lo raggiungo di dispiacere. Siamo appagati quando il tendere è un tendere verso qualcosa di amato.

I sentimenti non sono solo psicologia ma essi aprono, hanno un valore metafisico, sono spie della condizione umana. Se non si capisce questo, si rimane nello psicologismo col paradosso che ci sono sentimenti senza oggetto che risultano assolutamente inutili dal punto di vista etico. Non possiamo ridurre tutto ad appagamento e non appagamento anche perché l’appagamento e il non appagamento hanno a che fare con la realizzazione dell’umana natura. Sono appagato quando mi realizzo come uomo.

I sentimenti non hanno intenzionalità: questo è il punto limitato della prospettiva scheleriana. Sono l’amore ha questa intenzionalità ma non i sentimenti. Il sentimento sarebbe cieco nei confronti del valore, al contrario la passione vede il valore. Questo è il residuo del Romanticismo in Scheler Nulla è grande senza una grande passione. Ciò è vero. Ma quando dice che tutto quello che è grande lo è sicuramente senza affetto è come se la passione vera non si tramutasse in affetto: una passione che non diventa affetto è Romanticismo. È una passione che rimane dentro un fuoco che non può mai diventare forma. È l’atto che non può diventare forma. L’affetto è un processo che ha luogo nella sfera dell’Io corporeo.

Scheler dà un contributo di grande impatto perché è come se avvenisse uno sdoganamento della dottrina degli affetti. Scheler si rende conto che la percezione dei valori non è una questione puramente teoretica ma ha a che fare con la sfera affettiva dell’uomo. In questo senso restituisce a tutta la dimensione affettiva un valore assiologico che era stato totalmente dimenticato e trascurato da gran parte del pensiero moderno. In questo egli apre certamente in quella direzione di complementarietà tra la posizione affettiva e quella teoretica. La conoscenza dell’uomo non è una conoscenza a senso unico. L’esperienza morale avviene nella convergenza tra conoscenza teoretica e esperienza affettiva. Il valore non è semplicemente un’affermazione teorica, ma è una percezione reale. Scheler è convinto che all’amore corrisponda un ordo amoris; l’amore è intenzionalmente volto su un sistema dei valori oggettivi che possono essere percepiti e quando non sono percepiti adeguatamente c’è una confusione dell’ordo amoris che si riflette poi in una confusione dell’animo, quindi in uno stravolgimento dell’amore medesimo: Ma l’amore retto è in grado di cogliere i valori di cui i singoli enti della realtà sono i portatori. Noi cogliamo un determinato valore attraverso un determinato ente della realtà, attraverso una determinata persona, ma la persona è portatrice di valori come tale. Attraverso l’esperienza affettiva Scheler pone un rapporto di relazione costitutiva tra l’Io e il mondo o tra l’Io e l’altro. L’intenzionalità non è soltanto nella sfera conoscitiva teoretica, l’intenzionalità è nella sfera pratica-affettiva.

La nostra affettività è orientata fuori di noi, è orientata a percepire una realtà oggettiva che è fuori di noi. Scheler svilupperà il tema del rapporto nel suo trattato sulla simpatia dove metterà a fuoco la relazione “ io tu” per la prima volta come dimensione fondamentale. Scheler arriverà a teorizzare la simpatia come relazione io-tu proprio a partire dall’intenzionalità della sfera affettiva perché la sfera affettiva mi pone in una correlazione fuori della mia struttura psi-

chica, mi fa uscire dalla mia solitudine e mi pone in una relazione originaria con la sfera dei valori che viene esperita nel mondo. Sia in Brentano che in Scheler c’è il tentativo di uscire dal solipsismo, di uscire da una posizione per la quale l’Io veniva confinato in una prigione; in quella prospettiva rientrano anche le varie riflessioni sull’empatia che caratterizzano la scuola etnologica degli Anni Dieci e la riflessione di Edith Stein. L’empatia è la dimensione fondamentale per la possibilità di un’esperienza morale a punto che se non c’è questa esperienza empatica, non c’è un’esperienza morale. L’empatia è la capacità di immaginare quello che l’altro sente, è la capacità di porsi al posto dell’altro, è la capacità di immedesimarsi. Non c’è esperienza morale se non c’è empatia.

La riflessione sull’ordoamorise sull’amore e conoscenza servono ad allargare l’antropologia e la conoscenza morale. Per Scheler si dà una conoscenza morale soltanto a partire da una rivalutazione emotiva la quale non è semplicemente irrazionale ma ha un’intenzionalità oggettiva verso un vero e proprio ordine dei valori. La posizione di Scheler presenta una sorta di dualismo tra l’ambito del conoscere e l’ambito del cuore. L’affermazione di Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”» è certamente un’affermazione intrigante e che ha un suo fondamento di verità però ci pone di fronte al problema: quale ruolo svolge la conoscenza teoretica? In Scheler questa domanda rimane in sospeso nel senso che lui ribalta in senso forte la conoscenza emotiva però lascia in sospeso quale è il ruolo della conoscenza teoretica nella posizione morale. È vero che il cuore intenziona, però non possiamo dire che è infallibile e su questo punto Scheler è un po’ fragile: il dualismo che egli pone tra l’ambito della conoscenza e l’ambito affettivo è troppo rigido, è troppo marcato. Ciò che è importante è, tuttavia, evidenziare l’importanza che Scheler ha dato alle emozioni e all’amore quale sorgente dell’essere.

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