L'Assaggiatore n. 9 - Marzo 2018

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L’Assaggiatore

ANNO XXXVIII · NUMERO 9 · MARZO 2018

ANNO XXXVIII · NUMERO 9 · MARZO 2018

L’Assaggiatore

PERIODICO ONAV PER LA CULTURA

E LA DIDATTICA DEL VINO

TURISMO DEL VINO

TURISMO DEL VINO

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PINOT NERO ITALIANO

IL GAVI

VERTICALE IL MONTIANO


L’Assaggiatore Periodico trimestrale dell’ONAV per la cultura e la didattica del vino Anno XXXVIII n. 9 – Marzo 2018 Direttore Vito Intini Direttore Responsabile Daniele Cernilli Caporedattore Alessandro Brizi Redazione Flavia Rendina Collaboratori Carlo Consonni, Giulia Filippetti, Silvia Furghieri, Vito Intini, Mario Menconi, Danilo Poggio, Mario Ubigli Grafica e impaginazione DNP Comunication via Ferdinando Acton, 7 int. 6 – 00122 Roma Stampa L’Artistica Savigliano S.r.l. via Togliatti, 44 12038 Savigliano CN Fotografie 123RF, Lisa Barbieri, Alberto Blasetti, Daniela Calanca, Cristian Castelnuovo, Claudia Cavazzuti, Valeria Cremaschi, Alice Curatola, Sara Fattori, Renza Grossi, Stefania Lasagni, Sara Morselli, Manuela Marchetti, Mariusmele, Katty Nucera, Pixabay, Nataliya Ratushna, Michela Simoncini Sede via Ferdinando Acton, 7 int. 6 – 00122 Roma Pubblicità redazione.assaggiatore@gmail.com Registrazione Autorizzazione del Tribunale di Asti n. 5/79 del 16 maggio 1979 L’Assaggiatore è inviato ai Soci dell’ONAV in regola con il pagamento della quota e agli abbonati.

Editore ONAV, Piazza Medici, 8 – 14100 Asti


L’ASSAGGIATORE

Cover Story

TURISMO DEL VINO pagina 8

Primo Piano Donne in vino Siduri pagina 22

L’intervista Senatore Dario Stefano pagina 19

Wine Important Person Armando Castagno pagina 30

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SOMMARIO

Vino e Territorio Gavi, il Piemonte al mare pagina 52

La cantina Badia a Coltibuono pagina 98

La verticale Il Montiano di Falesco pagina 86 L’uva Pinot nero italiano pagina 62

La cantina Librandi, la leggenda del Cirò pagina 104

La cantina Uberti, modello Franciacorta pagina 92

RUBRICHE Editoriale La nostra guida Prosit è online pagina 5

Il Ristorante SantoPalato pagina 116

Analisi sensoriale Il glossario del vino pagina 36

I Vitigni storici pagina 118

Professione Winemaker Lorenzo Landi pagina 110

Agenda ONAV pagina 126

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Assaggi di libri pagina 127 Controeditoriale Acetaldeide pagina 128


L’ASSAGGIATORE

INTERVISTA ALL’ENOLOGO LORENZO LANDI Il “toscano doc” Lorenzo Landi si racconta: dalle sue prime esperienze in Francia, al cospetto di Dubourdieu, ai progetti di un futuro, che si augura, sarà ancora ricco di studio di Flavia Rendina

Cultura, sensibilità e sobrietà trapelano dai racconti di un grande enologo italiano, Lorenzo Landi, “toscano doc” di Pescia (PT). Un uomo che nel suo percorso formativo ha saputo sempre osservare e comprendere, attingendo ogni possibile insegnamento dai grandi dell’enologia francese. E che, ancora oggi, continua a rapportarsi con massima umiltà e attitudine al confronto verso coloro, i produttori, che considera collaboratori fidati ed esperti, prima che clienti. In una parola, un enologo che ha fatto del rispetto, per il lavoro di madre natura e per quello dei vignaioli, la chiave di volta di un mestiere che ama.

te dei monaci benedettini e cistercensi. Ed è una classificazione basata sulla qualità dei vini e sulla comprensione dei rapporti che passano tra terreno e microclima, da una parte, e qualità, dall’altra. Una grande lezione sul rispetto del terroir, ancora ineguagliata nelle altre regioni del mondo. A Bordeaux la classificazione è un po’ diversa, perché basata sui prezzi dei vini in un periodo storico molto lungo. Tuttavia, è sempre collegata alla qualità, anche se c’è un po’ meno spazio per il rapporto diretto tra questa e il terroir. È più pragmatica, se vogliamo. Ma il grande insegnamento dei bordolesi migliori (e qui non posso non ricordare Denis Dubourdieu, mio grande maestro e persona di genio, scomparso due anni fa) è che in cantina si opera per proteggere il terroir, si fa quello che serve, non una cosa di più e non una cosa di meno, sempre nel rispetto dell’ambiente, per proteggere e mantenere nel vino le peculiarità che la natura ha instillato nell’uva. In una parola, per rispettare l’originalità del territorio. Si parla molto adesso di vini naturali. Forse se ne potrebbe parlare anche in questi termini, di protezione e cura da parte dell’uomo di ciò che la natura ha partorito».

Dopo la laurea in agronomia e in enologia all’Università di Pisa hai proseguito i tuoi studi dapprima nella Cote d’or in Borgogna e poi all’Università di Bordeaux. A livello enologico, cosa ti ha insegnato la Francia? Secondo te, cosa distingue ancora oggi questa grande Regione vinicola? Cosa abbiamo da imparare dai “cugini” d’Oltralpe? «Molto. In Borgogna si impara a rispettare e comprendere l’importanza del territorio, anche quello micro. Capisci che la loro classificazione dei vigneti, quella attuale risale al 1936 ma i primi abbozzi sono del XVIII secolo, si basa su studi e approfondimenti quasi millenari, partiti nel XII secolo da par-

Come dicevi, a Bordeaux hai avuto l’onore di lavorare al seguito del grande enologo Denis Dubourdieu, scomparso nel 2016.

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Lorenzo Landi con il suo collaboratore, l’enologo Alessio Macchia, al lavoro in una delle aziende che segue in Umbria

Un uomo da molti ricordato per la sua schiettezza e per la sua competenza in ambito vitivinicolo, essendo “figlio d’arte” e lui stesso produttore in proprio di vini. Che ricordo hai di quell’esperienza? Quale è stata la sua eredità nel tuo percorso professionale e, eventualmente, privato? «Ho lavorato con Denis per venti anni, dal 1996 al 2016, e seguito adesso a lavorare con il suo team, e in particolare con Christophe Ollivier, che nel frattempo è divenuto un mio caro amico. Denis Dubourdieu era una persona geniale e un grande ricercatore (nel senso più nobile del termine), che univa, come tutte le persone di grande livello, l’approfondimento e la conoscenza con una straordinaria passione per il vino. Credo si possa dire che molte conoscenze

attuali si devono a lui, in particolare sulle sostanze aromatiche varietali, sull’evoluzione riduttiva e ossidativa, sull’importanza dell’affinamento sulle fecce, per non parlare delle ricerche sulla macerazione dei vini rossi. Veniva da una scuola, quella di Bordeaux, che non ha pari al mondo, avendo annoverato tra i suoi esponenti, nel corso del tempo, Jean Ribéreau-Gayon, Émile Peynaud, Pascal Ribéreau-Gayon e molti altri di altissimo livello. Nomi mitici dei quali è stato il più autorevole successore. Mi ha insegnato moltissimo e con grande disinteresse personale. Non sarei la stessa persona se non l’avessi conosciuto. Poi, certo, aveva un carattere difficile e forse parlare di schiettezza lo si può definire un eufemismo, ma era un uomo di grande generosità».

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Sempre Dubourdieu era noto, come professore universitario, soprattutto per i suoi studi sui vitigni a bacca bianca, al punto da essere etichettato come “le pape du blanc” per la sua capacità di coniugare nei vini bianchi qualità e longevità. Quanto del suo stile enologico hai mantenuto nel tuo approccio ai vini bianchi? «Molto. Lui voleva soprattutto rispettare l’originalità del territorio nel vino, dettata dalla natura, e permettere a essa di sfidare il tempo. Era nemico dell’ossidazione, che appiattisce tutti i vini su sentori comuni e banali, distruggendo l’opera della natura e riducendo la longevità. I suoi studi sull’evoluzione ossidativa e riduttiva restano magistrali, ma anche semisconosciuti, perché in fondo l’approfondimento e la fatica, nella situazione attuale in cui si pensa di conoscere tutto navigando qualche ora su internet, non sono molto alla moda. Però ci sono anche segnali positivi. Ricordo che una volta mi disse che non esiste un grande vino bianco al mondo che non sia affinato sulle fecce.

Sul momento mi parve un’affermazione eccessiva, qualche anno dopo ho capito che aveva ragione e adesso stiamo assistendo, anche in Italia, a una grande riscoperta di questo modo di affinare i vini». Il 2016 ti ha consacrato Miglior enologo dell’anno, grazie al riconoscimento della Guida Essenziale ai Vini d’Italia 2017 edita dal nostro direttore Daniele Cernilli. Quali risultati conseguiti fino a quel momento sono valsi, a tuo avviso, a farti ottenere il titolo? «La motivazione è stata: i vini sanno rispecchiare il territorio e la filosofia del produttore senza minimamente denunciare la mano che c’è dietro. Non ho mai ricevuto un elogio migliore. Spero sia fondato». Come sintetizzeresti il tuo stile enologico? «Credo che lo stile migliore, per un enologo, sia l’assenza di uno stile preciso. La mia più importante certezza (non ne ho molte) è che l’opera dell’agronomo-enologo debba essere al servizio del produttore, debba servire a

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realizzare il modello a cui lui aspira, non a imporre la propria visione. Solo attraverso la passione e la personalità del produttore si possono fare grandi vini. Tuttavia, esiste un comune denominatore che costituisce il punto d’incontro fondamentale con tutti i produttori: noi siamo, sì, al servizio della capacità del viticoltore ma, ancora di più, del territorio e della vite. Nessuna pianta ha, come la vite, la capacità di concentrare nel suo frutto l’anima del territorio che la nutre. In questo sta l’originalità del vino, dunque la diversità e, in ultima analisi, la motivazione della nostra passione. La nostra ambizione deve essere quindi quella di aiutare la vite in questo compito, facendo dei vini che sublimino il loro territorio. Dunque in fondo cerco originalità e longevità. In questa opera vigna e cantina sono inscindibili e la vigna deve essere conosciuta e accudita a fondo, poiché lì sta la fonte dell’originalità e della diversità che tanto ci appassionano».

dal produttore. È lui che sceglie lo stile, l’obiettivo che ha in mente. Noi dobbiamo solo consigliare la strada da percorrere, in vigna e in cantina, per arrivare a quell’obiettivo. Gli studi che abbiamo fatto e la nostra esperienza ci consentono di aiutarlo nella produzione, ma non dobbiamo avere la presunzione di ritenerci più competenti di lui, sarebbe un errore grave». La Toscana del vino (punti di forza, debolezze e prospettive) secondo il “toscano doc” Lorenzo Landi. «Credo che adesso i punti di forza siano molti. La Toscana ha alcune delle denominazioni più prestigiose della Penisola, un parco vigneti rinnovato e di ottima qualità e ha puntato ormai decisamente sui vitigni autoctoni, tra cui ovviamente il ruolo principe è affidato al Sangiovese, che è proposto in una serie di sfaccettature veramente uniche. Anche sui bianchi ci sono novità e sviluppi interessanti, Vermentino in primis. Certo, abbiamo anche molti margini di miglioramento: sul Sangiovese, ad esempio, si è lavorato molto sul materiale genetico, ma

Cosa rappresenta, oggi, l’enologo per un’azienda vinicola? «Io ho sempre creduto che il vino sia fatto

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forse non altrettanto sulla conoscenza degli aromi (se li conoscessimo meglio sapremmo anche meglio cosa fare per proteggerli), mentre sugli altri vitigni autoctoni si potrebbe forse lavorare di più a livello di ricerca dei biotipi e di selezione».

è passione per la diversità, se ci si dovesse ridurre a un’unica tipologia sarebbe ben triste». Da ormai 18 anni ti sei messo in proprio con il tuo studio Consulenze Viticolo-Enologiche con sede a Pistoia. Quanti collaboratori fanno parte del tuo gruppo? Vi dedicate anche alla ricerca? Quante aziende state seguendo? «La mia struttura è molto piccola, è sempre stata così e lo rimarrà. È stata una scelta obbligata a causa del mio carattere: non riesco a lavorare se non mantengo un contatto stretto con i produttori, e la delega non mi viene naturale. E poi il rapporto dell’enologo con il produttore è fiduciario e la fiducia è personale. Se la struttura si ingrandisce troppo il rapporto si diluisce ed è fatale. E così siamo in tre a seguire 20-25 aziende. Si deve lavorare molto, il nostro è un lavoro artigianale. Naturalmente facciamo ricerca, non direttamente, non è il nostro lavoro, ma proponendo temi specifici a istituti di ricerca e collaborando con loro. Anche in questo momento abbiamo diversi progetti in corso».

Da agronomo, prima che da enologo, quanto è importante nel tuo lavoro lo studio delle varietà e la conservazione dei biotipi? Ti stai dedicando in modo particolare a qualche varietà? «Fondamentale. In Italia, è un luogo comune ma per una volta corrisponde a verità, abbiamo una ricchezza immensa in varietà autoctone. Non tutte ovviamente interessanti, ma molte lo sono. Lo studio di molte di esse è ancora in una fase iniziale, sia per quanto riguarda i biotipi esistenti che come caratterizzazione (ad esempio lo studio degli aromi delle diverse varietà, di importanza fondamentale, è ancora agli albori), ma abbiamo mosso i primi passi. È indispensabile continuare con maggiore decisione in questa direzione. Noi cerchiamo di dare il nostro contributo facendo selezioni massali dei vari vitigni nei vecchi vigneti delle diverse aziende. Lavoriamo su molti vitigni in varie zone d’Italia, tanto per citare alcuni esempi riporterei il Cannonau, il Carricante, il Nerello mascalese, il Gaglioppo, il Verdicchio, il Pecorino, il Friulano, il Nero di Troia, il Grillo e naturalmente il Sangiovese. Tutti vitigni che possiedono una spiccata personalità».

Cosa c’è nel futuro di Lorenzo Landi? «Faccio il lavoro che ho sempre desiderato fare, fin da quando mi sono iscritto all’università. Il vino mi ha sempre appassionato e fare della propria passione un lavoro è un privilegio raro. Quindi mi va bene così. Ho due desideri però: dedicarmi sempre più a quei territori e vitigni che possono dare vini originali e avere più tempo per studiare: cerco di ritagliarmene sempre, ma non basta mai».

Il vitigno del cuore e, se c’è, il vino. «Non ho un unico vitigno preferito. Tutti quelli che hanno una loro originalità quando sono coltivati nelle terre di maggiore vocazione sono interessanti e importanti. Potrei ripetere l’elenco che ho detto prima e aggiungerne altri. E poi cambio un po’ a seconda dei periodi. Del resto la passione per il vino

STUDIO LANDI

Via Salvo D’Acquisto, 45 51012 Castellare di Pescia PT tel. 0572 448665 l.landi@lorenzolandi.it

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